Consiglio di Stato, Sez. III, n. 5039, del 10 ottobre 2014
Caccia e animali.Legittimità diniego licenza di porto di fucile per uso caccia, in considerazione dei suoi comportamenti personali e dei familiari

Il provvedimento del Prefetto si basa principalmente sulla considerazione dei rapporti di parentela del ricorrente con soggetti per i quali risultano pregiudizi penali relativi a reati specificamente incidenti sulla sicurezza pubblica, indicativi di un contesto familiare che incide sulla completa e perfetta affidabilità del soggetto. A questa motivazione si aggiunge, sia pure con minor rilievo, una vicenda penale concernente personalmente l’interessato. Tale vicenda si è conclusa con un decreto di archiviazione ma il decreto di archiviazione, pur facendo venire meno la rilevanza penale dei fatti, non ha dichiarato l’estraneità del soggetto ai fatti stessi, pertanto permane la potestà di valutare gli stessi in ordine all’affidabilità del soggetto. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 05039/2014REG.PROV.COLL.

N. 05930/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5930 del 2013, proposto da: xxxxxx, rappresentato e difeso dall'avv. xxxxxx, con domicilio eletto presso xxx in Roma;

contro

Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00317/2013, resa tra le parti, concernente l’esito negativo del ricorso gerarchico proposto per l’annullamento del diniego porto d'armi per fucile da caccia e mancato rinnovo di concessione per uso sportivo , di cui al decreto del Prefetto di Reggio Calabria 4 dicembre 2009- mcp

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2014 il Pres. Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l’avvocato xxxx su delega di xxxx e l’avvocato dello Stato xxxx;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, già ricorrente in primo grado, è stato destinatario del provvedimento 22 giugno 2009 del Questore di Reggio Calabria con il quale gli è stata negata la licenza di porto di fucile per uso caccia e contemporaneamente gli è stata revocata la licenza di porto di fucile per uso sportivo. Ciò in quanto egli è stato ritenuto «non idoneo ad offrire sufficienti garanzie di un uso esclusivo e lecito delle armi» non solo in considerazione dei comportamenti suoi personali ma anche di quelli dei familiari.

L’interessato ha presentato ricorso gerarchico al Prefetto, ma il ricorso è stato motivatamente respinto.

2. L’interessato ha quindi proposto ricorso al T.A.R. di Reggio Calabria (r.g. 671/2010). Il ricorso è stato respinto con sentenza n. 317/2013.

3. Il ricorrente ha quindi proposto appello davanti a questo Consiglio. Resiste l’amministrazione dell’Interno. La domanda cautelare è stata respinta.

Il ricorso viene ora in decisione per il merito.

4. Poiché nel caso in esame l’interessato si è avvalso (sia pure senza fortuna) del rimedio del ricorso gerarchico, ne consegue, in base ai noti princìpi in materia di ricorso gerarchico, che il sindacato giurisdizionale deve concentrarsi essenzialmente sulla motivazione del provvedimento di seconda istanza. Quest’ultimo infatti riassume e approfondisce tutti gli aspetti della vicenda, grazie anche agli apporti del ricorso gerarchico della parte interessata.

Ciò premesso, si osserva che il provvedimento del Prefetto si basa principalmente sulla considerazione dei «rapporti di parentela [del ricorrente] con soggetti per i quali risultano pregiudizi penali relativi a reati specificamente incidenti sulla sicurezza pubblica, indicativi di un contesto familiare che incide sulla completa e perfetta affidabilità del soggetto... peraltro non è possibile escludere che le armi possano entrare nella materiale disponibilità di persone socialmente pericolose ed usate per fini illeciti».

A questa motivazione si aggiunge, sia pure (nel pensiero dell’autorità emanante) con minor rilievo, una vicenda penale concernente personalmente l’interessato. Tale vicenda si è conclusa con un decreto di archiviazione ma «il decreto di archiviazione, pur facendo venire meno la rilevanza penale dei fatti, non ha dichiarato l’estraneità del soggetto ai fatti stessi... pertanto permane la potestà di valutare gli stessi in ordine all’affidabilità del soggetto».

5. Ciò posto, si osserva che la funzione propria ed istituzionale dei provvedimenti dell’autorità di p.s. in materia di porto d’armi non è quella di sanzionare condotte illecite, bensì quella di prevenire i sinistri (non necessariamente intenzionali e non necessariamente imputabili al soggetto interessato) che possono derivare dalla disponibilità di armi da parte dei privati.

Che si tratti di un pericolo reale e non trascurabile viene confermato dalle cronache quotidiane.

A questo scopo, la legge conferisce all’autorità di p.s. una discrezionalità molto ampia. Il sindacato giurisdizionale sull’esercizio di tale discrezionalità sarà più penetrante qualora il provvedimento incida su interessi primari della persona (ad esempio, qualora il possesso del porto d’armi sia condizione per la conservazione di un posto di lavoro); lo sarà di meno qualora, come nel caso attuale, incida su interessi meno rilevanti, come quello all’esercizio di attività – pur indubbiamente lecite – meramente ludiche e sportive.

6. In questa luce, la motivazione del provvedimento del Questore – confermata ed integrata da quella della decisione del Prefetto in sede di ricorso gerarchico – appare sufficiente ed immune da vizi di legittimità.

S’intende che la presente decisione non preclude all’autorità di p.s. di riesaminare il caso, anche in considerazione del tempo trascorso ed alla luce di eventuali sopravvenienze che permettano, in ipotesi, di valutare più favorevolmente la posizione dell’interessato.

7. Concludendo, l’appello va respinto.

Le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) rigetta l’appello. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

 

 

 

 

 

 

IL PRESIDENTE, ESTENSORE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/10/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)