Breve commento alla legge 20 luglio 2004 n. 189 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 178 del 31.7.2004

Premessa

Con queste brevi riflessioni si vuole recare un contributo interpretativo alla nuova legislazione in tema di maltrattamento degli animali, la legge 20 luglio 2004, n.189 ,entrata in vigore in Italia a partire dal 1 agosto 2004.
La prima riflessione che ne scaturisce è la dissonanza del Titolo IX del libro II del codice penale introdotto dall’art. 1 della legge n.189/2004 “Titolo IX-Bis – Dei delitti contro il sentimento per gli animali”, rispetto ai principi etici, scientifici e politici di cui è permeata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Animale proclamata il 15 ottobre 1978 nella sede dell'Unesco a Parigi. La Dichiarazione Universale sui diritti dell'Animale non ha alcun valore sul piano giuridico-legislativo, ma costituisce il frutto di riflessioni condotte in sede di riunioni internazionali, da personalità appartenenti al mondo scientifico, giuridico e filosofico e alle principali associazioni mondiali di protezione animale. E’ infatti sufficiente por mente all’Articolo 1 della Dichiarazione “Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all'esistenza.”, ovvero all’art. 2 “Ogni animale ha diritto al rispetto; a) L'uomo, in quanto specie animale, non può attribuirsi il diritto di sterminare gli altri animali, o di sfruttarli violando questo diritto. Egli ha il dovere dì mettere le sue conoscenze al servizio degli animali; b)ogni animale ha diritto alla considerazione, alle cure e alla protezione dell'uomo.”, per rendersi conto che lo spirito informatore della nuova legislazione italiana in materia di animali è rivolta non alla tutela dell’animale in sé, quale essere vivente, al quale riconoscere diritto alla vita e alla dignità, bensì alla tutela dell’umano sentimento di pietà verso le sofferenze inflitte agli animali (quindi non riconoscendo gli animali quali soggetti diretto di tutela legislativa, bensì quali oggetto di tutela solo in via “indiretta”, perché il bene tutelato in via principale è il “sentimento per gli animali”).
In definitiva, si ritorna ai tempi antecedenti a quella che era stata ritenuta la innovativa formulazione dell’art. 727 cod. pen., approvata con la legge n. 473 del 1993. Oltre 11 anni di giurisprudenza, anche di Corte di Cassazione, formatasi sulla base della legge 473 del 1993 sono ora totalmente da riscrivere, ripensare, rivalutare, e in tale nuova opera interpretativa – alla quale i giudici dovranno attenersi - un ruolo preminente avrà la esplicita intenzione del legislatore penale; il bene tutelato non è l’animale, ma “il sentimento per gli animali”, quindi le normative in vigore dal 1 agosto 2004 saranno oggetto di valutazione sotto il profilo dell’offesa che le condotte arrecano al sentimento umano verso gli animali.
Ritengo che non vi sia nulla di più distante rispetto all’art. 14, lett. b) della Dichiarazione universale dei diritti degli animali, secondo la quale “i diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo”.

Le nuove figure di reato

L’art. 727 introdotto dalla legge 473 del 1993 era insufficiente sotto molteplici aspetti, tra i quali possono segnalarsi i seguenti:
1) essendo il reato di natura contravvenzionale e, per di più, punito con la sola pena dell’ammenda, il termine di prescrizione dello stesso era assai breve, ovvero due anni che, in caso di interruzione della prescrizione, possono arrivare a tre. Per tale motivo moltissimi processi non arrivavano alle aule del dibattimento in quanto il reato – medio tempore - si estingueva per prescrizione.
2) data la natura contravvenzionale del reato, l’imputato poteva ricorrere, non solo al patteggiamento, ma anche all’oblazione che estingueva il reato.
Stanti gli oggettivi limiti della tutela legislativa offerta dall’art. 727, da anni si era in attesa dell’approvazione di un provvedimento legislativo organico a tutela degli animali, che ora ha trovato adozione con la legge 189 del 2004.
L’iter approvativi di tale legge è stato abbastanza travagliato, e le incongruenze del testo che ne è scaturito, ne sono la migliore riprova. Da un primo testo (approvato in gennaio 2003 dalla Camera dei Deputati), si è passati – a seguito dell’esame al Senato – ad un diverso testo al quale sono stati apportati cambiamenti che hanno ridotto in modo significativo la portata della nuova normativa, svuotandone in buona parte la ratio che l’aveva ispirata e l’efficacia in fase di applicazione (il testo approvato nel gennaio 2003 dalla Camera dei Deputati recitava “titolo XII bis – dei delitti contro gli animali e veniva poi ripetuto al capo 1 “dei delitti contro la vita e l’incolumità degli animali”).
Il testo approvato dal Senato è stato ulteriormente modificato nell’aprile 2004 dalla Camera dei Deputati, e lo stesso testo è stato approvato in via definitiva dal Senato nel luglio 2004.
La nuova normativa ha certamente aspetti positivi, ma a mio modesto avviso, sono decisamente prevalenti gli aspetti negativi.
Le innovazioni che ritengo positive riguardano :
- l’introduzione di specifiche figure di reato, che rendono più chiara ai cittadini la condotta penalmente rilevante
- l‘aver inserito la maggior parte dei reati contro gli animali nella categoria dei “delitti” , e non solo delle contravvenzioni (rimane l’art. 727 – abbandono di animali – come reato contravvenzionale), introducendo così la pena della reclusione e aumentando le sanzioni pecuniarie (i termini prescrizionali del reato in tal modo passano a 7 anni e mezzo)
- l’aver previsto la confisca dell’animale maltrattato (art. 544 sexies), non solo nel caso di condanna, ma altresì nel caso di applicazione della pena su richiesta (patteggiamento).
Le modifiche che ritengo peggiorative rispetto alla formulazione della legge 473 del 1993 riguardano :
- introduzione di articolo aggiuntivo rispetto al primo testo elaborato dalla Camera, vale a dire l’art. 19-ter (Leggi speciali in materia di animali), che si aggiunge all’art. 19 bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale; detto art. 19 ter dispone (con evidente efficacia riduttiva della nuova normativa in tema di divieto di maltrattamento) che le nuove disposizioni non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, vivisezione, zoo e circhi, nonché alle altre leggi speciali in materia di animali, e non si applicano neppure alle manifestazioni storiche e culturali autorizzate dalla regione competente; attraverso tale norma si è creata, a mio sommesso avviso, una inopportuna ambiguità della normativa sul maltrattamento, quando al contrario erano necessarie norme chiare e stringenti, soprattutto per la tutela degli animali d’allevamento e degli animali selvatici. Invero, l’interpretazione letterale della norma pare che porti ad escludere la sussistenza della condotta penalmente rilevante, non tanto nel caso di uccisione di determinate specie animali (che è già di per sé lecita come in materia di caccia, di macellazione ed altro), ma nel caso di maltrattamento degli stessi (le normative speciali in tema di animali richiamate dall’art. 19 ter prevedono - quasi sempre - ipotesi di illeciti amministrativi e non penali). L’introduzione dell’art. 19 ter ha quale conseguenza il fatto di limitare la tutela della nuova normativa in tema di divieto di maltrattamento agli animali d’affezione o latu sensu domestici. L’introduzione successiva dell’art. 19 ter inoltre ha creato – a mio avviso - una incongruenza con il disposto dell’art. 544 sexies primo capoverso, ultimo paragrafo; invero, non vedo come possa essere disposta la sospensione dell’attività di trasporto e di allevamento, o l’interdizione da tale attività in caso di recidiva, se trasporto e allevamento sono esclusi dall’ambito applicativo delle nuove norme sanzionatorie, proprio dall’art. 19 ter. Speriamo in un intervento chiarificatore da parte della giurisprudenza, ma devo osservare che una nuova normativa, discussa più volte nel corso di ben due anni, poteva connotarsi per maggiore chiarezza ed armoniosità applicativa
- un ulteriore elemento, che reputo negativo, deriva dall’intervenuta limitazione delle funzioni di polizia giudiziaria (art. 55 e 57 codice procedura penale) per le guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute (art. 6 legge 189/2004); l’attività di tali guardie (il testo non parla di guardie giurate volontarie, bensì di guardie particolari giurate, il che potrebbe innestare altri dubbi interpretativi, che tuttavia non ritengo opportuno sollevare in questo commento) sarà d’ora in poi limitata alle sole fattispecie penali che riguardano gli animali d’affezione (cani e gatti, gli unici definiti tali dall’attuale legislazione, ex lege 281 del 1991) con esclusione dell’ambito di operatività delle guardie giurate zoofile di tutti gli altri animali (che sono - ovviamente - la maggioranze delle specie); reputo anche inopportuno l’aver concentrato solo su cani e gatti l’attività della svariate centinaia di guardie giurate delle quali le associazioni chiederanno la nomina ai Prefetti; vi sarà sovrabbondanza di agenti di polizia giudiziaria concentrati solo sulla tutela di cani e gatti, animali che normalmente sono già oggetto di cure e attenzioni da parte dell’uomo, forse in maggiore misura rispetto agli animali trasportati, macellati, allevati, soggetti a sperimentazione scientifica, ovvero a manifestazioni circensi, o a spettacoli ludici; l’intervento legislativo potrebbe rivelarsi produttivo anche di disorganizzazioni, perché mentre è opportunamente previsto il coordinamento delle forze di polizia giudiziaria tradizionali (primo comma dell’art. 6), nulla è previsto a livello di coordinamento per l’azione delle guardie giurate della associazioni zoofile e protezioniste riconosciute
La nuova normativa ha apportato una modifica che costituisce – a mio avviso - una limitazione applicativa della fattispecie penale di cui al nuovo art. 727 (ora intitolato “abbandono di animali”); sono invero richiesti, al fine di integrare la nuova fattispecie penale, i requisiti congiunti della detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttivi di gravi sofferenze; ne conseguirà, a breve, a modesto avviso della scrivente, l’archiviazione o l’assoluzione dibattimentale per numerosi casi di denunce formulate vigente l’anteriore formulazione dell’art. 727 cod.pen. Invero, il Pubblico Ministero o il Giudice potrebbero non ritenere integrato l’ulteriore requisito della “produzione di gravi sofferenze”, in assenza del quale il reato non sussiste con la conseguente doverosa richiesta di archiviazione ovvero pronuncia di assoluzione.

Concludo le mie brevi considerazioni, nella consapevolezza che non hanno carattere esaustivo e che ben altri problemi si porranno nell’applicazione concreta, in sede giudiziaria e non solo.

Avv. Rossella Ognibene