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Lo smaltimento di rifiuti urbani e speciali provenienti da altre Regioni. Nota a Cass. Sez. III 11 luglio 2002 di Veronica DINI

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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III penale – 11 luglio 2002 – Pres. MALINCONICO, Est. NOVARESE – Imp. D.F..

Rifiuti                            autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento ex art. 28 D.L.vo 22/1997  tipologie di rifiuti da smaltire o recuperare, differenti soluzioni tecniche

Rifiuti                            divieto di smaltimento di rifiuti provenienti da altre Regioni – smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi

Rifiuti                            inapplicabilità dei principi di autosufficienza e vicinanza al recupero di rifiuti provenienti da altre Regioni

Rifiuti                            divieto di recepimento di rifiuti da altra Regione – piani di gestione

Rifiuti                            traffico illecito di rifiuti – rifiuti transfrontalieri - art.26 del regolamento CE 93/529

L’art. 28 D.lgs. 22/1997, lettera a) comma I, prescrive nell’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero l’indicazione dei ‘tipi … di rifiuti da smaltire o recuperare’ e tutta la disposizione e la filosofia del citato decreto legislativo postulano un’individuazione di tipologie di rifiuti da smaltire o recuperare proprio per approntare una differente soluzione tecnica.

L’ordinanza impugnata tralascia di considerare l’impatto della disciplina speciale stabilita per l’emergenza rifiuti in Puglia e Campania e soprattutto la compatibilità costituzionale della normativa regionale e la legittimità del divieto di smaltimento di rifiuti provenienti dall’esterno della Regione, ove esistente nell’autorizzazione, in riferimento a varie pronunce della Corte Costituzionale in base alle quali può evidenziarsi l’ammissibilità di detto divieto solo nell’ipotesi di smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi, non essendo possibile vietare il conferimento di rifiuti extraregionali per quelli pericolosi o speciali.

Occorre valutare se l’impianto definito di “trattamento” dei rifiuti effettui attività di smaltimento o di recupero. In quest’ultimo caso, non sono applicabili i principi di autosufficienza e vicinanza, giacchè per il divieto di recepimento di rifiuti da altra Regione una giustificazione di carattere ambientale non sarebbe rinvenibile nel trattamento per il recupero dei rifiuti.

Tale divieto peraltro è  ammissibile, ove la libera circolazione di detti rifiuti contrasti con i piani di gestione apprestati dallo Stato e dalle autorità competenti.

Per quanto alla configurabilità del reato di traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 53 D.lgs. 22/1997, lo stesso si riferisce a quelli transfrontalieri, secondo quanto rende evidente il riferimento all’art.26 del regolamento CE 93/529.

 

Lo smaltimento di rifiuti urbani e speciali provenienti da altre Regioni.

La vicenda esaminata dalla Cassazione nella sentenza in commento trae origine dal ricorso del sig. D.F. avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari, con la quale in sostanza veniva confermato il decreto di sequestro preventivo dell’impianto di trattamento dei rifiuti di proprietà dell’imputato.

Argomentava innanzi tutto il ricorrente che non era stata considerata la differenza tra smaltimento e recupero di rifiuti in relazione al fatto che il divieto di ricevere rifiuti urbani extraregionali concerne i rifiuti da smaltire e non quelli da recuperare.

Sul punto, la Cassazione censura il Tribunale del riesame barese laddove non considera che il D.lgs. 22/1997 distingue tra rifiuti da smaltire e da recuperare proprio in relazione al fatto che è prevista, per le due categorie,  una diversa soluzione tecnica[1].

Come ben ha evidenziato la Corte Costituzionale[2], infatti:

1)     in relazione ai rifiuti urbani non pericolosi e' pienamente applicabile il criterio dell'autosufficienza - anche sotto il profilo del divieto di smaltimento di quelli extraregionali - in quanto l'ambito territoriale ottimale per il loro smaltimento, coincidente con quello della Regione di produzione, e' logicamente limitato e predeterminabile;

2)     per i rifiuti pericolosi, data la loro specificità e la non pretederminabilità di un ambito territoriale ottimale, vige invece il criterio della specializzazione dell'impianto di smaltimento, temperato dal criterio della prossimità geografica, in modo da ridurre il più possibile il rischio ambientale derivante dalla movimentazione dei rifiuti.

In applicazione di tale principio, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 16 comma IV della L.R. Friuli Venezia Giulia 28 novembre 1988 (come autenticamente interpretato dalla L.R. Friuli Venezia Giulia n°22/1996) in materia di smaltimento dei rifiuti speciali, nella parte in cui impone il divieto di smaltimento nelle discariche regionali dei rifiuti speciali non tossici e non nocivi di provenienza extra regionale[3].

In sostanza, la Corte  asserisce che il principio dell'autosufficienza di cui all'art. 5, comma 3, lettera a), del decreto n. 22 del 1997, permette di applicare il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale sia ai rifiuti urbani non pericolosi, sia a quelli speciali assimilabili. Al contrario, il principio dell'autosufficienza locale - e quindi il connesso divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale - non possono valere per i rifiuti pericolosi, che necessitano di processi di smaltimento appropriati e specializzati[4].

Tale interpretazione è del tutto coerente con il costante orientamento giurisprudenziale sul punto.[5] E la sentenza in commento, come visto, non se ne discosta.

La Corte di Giustizia CE ha invece escluso l’applicabilità, al recupero di rifiuti, dei principi di autosufficienza e vicinanza: “La direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, e il regolamento n. 259/93, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio, non possono essere interpretati nel senso che i principi di autosufficienza e di vicinanza sono applicabili alle spedizioni di rifiuti destinati al recupero. Ciò risulta dalle disposizioni della direttiva e del regolamento nonché dai lavori preparatori.

Inoltre la differenza di trattamento tra i rifiuti destinati al recupero e i rifiuti destinati allo smaltimento rispecchia la differenza tra le funzioni che ciascuno di questi due tipi di rifiuti deve svolgere nello sviluppo della politica ambientale della Comunità [...]

L'intento del legislatore comunitario [è quello ] di incentivare il recupero dei rifiuti in tutta la Comunità, in particolare per effetto dell'emergenza delle tecniche più efficaci, il che implica che i rifiuti di tale tipo devono poter circolare liberamente tra gli Stati membri per esservi trattati, escludendo così l'applicazione dei principi di autosufficienza e di vicinanza [6].

Sul punto, la sentenza della Cassazione qui in commento aggiunge una prcisazione: il divieto di recepimento di rifiuti da altre Regioni sarebbe ammissibile ove la libera circolazione dei rifiuti contrasti con i piani di gestione predisposti dalle autorità competenti.

Il traffico illecito di rifiuti

Il secondo capo di imputazione esaminato dalla Corte di cassazione nella sentenza in esame concerne il traffico illecito di rifiuti, disciplinato dall'art. 53 del D.Lgs 22/1997 comma 1, che punisce " chiunque effettua spedizioni dei rifiuti elencati negli allegati II, III e IV del regolamento CEE 259/93 del Consiglio del 1 febbraio 1993 in modo tale da integrare il traffico illecito, così come definito dall'articolo 26 del medesimo regolamento[7].

Ai sensi dell’art. 26 del regolamento CEE 259/1993 costituisce traffico illecito qualsiasi spedizione di rifiuti:

a)     effettuata senza che la notifica sia stata inviata a tutte le autorità competenti interessate conformemente al presente regolamento, o

b)      effettuata senza il consenso delle autorità competenti interessate, ai sensi del presente regolamento, o

c)      effettuata con il consenso delle autorità competenti interessate ottenuto mediante falsificazioni, false dichiarazioni o frode, o

d)     non concretamente specificata nel documento di accompagnamento, o

e)     che comporti uno smaltimento o un ricupero in violazione delle norme comunitarie o internazionali, contraria alle disposizioni degli articoli 14, 16, 19 e 21. [8]

Nel caso di specie, la Cassazione esclude l’applicabilità dell’art. 53 D.lgs. 22/1997, in ragione del fatto che esso ha ad oggetto, secondo quanto disposto dall’art. 13 del regolamento 259/1993, il traffico illecito di rifiuti transfrontalieri.

L’art. 53 è una norma incriminatrice estremamente ampia, che rimanda - per l’individuazione della condotta penalmente rilevante – all’art.26 del regolamento 259/93/CEE che, a sua volta, rinvia ad altri articoli del medesimo regolamento (artt.14 – 16 – 19 – 21). Per tale ragione, il Decreto Ronchi è stato oggetto di  critiche in ordine alla sua rispondenza ai principi di legalità, tassatività e determinatezza delle fattispecie penali.

Quanto alle condotte sanzionate, la maggior parte riguarda violazioni di obblighi aventi natura formale che, sulla base di una presunzione assoluta di pericolo, configurano reati di mera disobbedienza.

Esaminiamo dunque nel dettaglio la normativa europea richiamata.

Il regolamento CEE n.259/93 del Consiglio del 1° febbraio 1993, che si rifà a sua volta alla Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 sul controllo dei movimenti transfrontalieri di scorie tossiche e della loro eliminazione, costituisce il quadro giuridico della politica comunitaria in materia di controllo delle spedizioni di rifiuti sia all’interno della comunità che in entrata e in uscita dal suo territorio, al fine di preservare, tutelare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente.

Obiettivo di tale convenzione è quello di regolare, sul piano internazionale, i gravi problemi ambientali che hanno colpito i paesi destinatari del traffico illecito di rifiuti tossici e pericolosi. Essa, tuttavia, non prevede un divieto totale di movimenti transfrontalieri di rifiuti ma mira a ridurli  progressivamente e a renderli compatibili con la protezione dell’ambiente e della salute umana: pur affermando il diritto sovrano di ogni Stato di impedire l’importazione di tali rifiuti nel proprio territorio - sulla base dei principi di vicinanza, della priorità al recupero e dell’autosufficienza[9] - prevede in particolare l’impegno degli Stati a minimizzare la produzione di tali rifiuti e a provvedere al loro smaltimento, per quanto possibile, nel territorio di produzione.

L’esportazione di rifiuti è pertanto subordinata ad alcune precise condizioni:

1)     l’esportazione e lo smaltimento non possono avvenire verso quegli Stati che hanno deciso di vietare l’ingresso e lo scarico dei rifiuti nei loro territori, né verso gli Stati che non fanno parte della Convenzione e neppure verso l’Antartide;

2)     l’esportazione può avvenire solo quando lo Stato di produzione non è in grado di garantire lo smaltimento ambientalmente adeguato dei rifiuti o questi servano come materia prima di riciclaggio o recupero nello Stato di importazione;

3)     l’esportazione dev’essere autorizzata e pubblicizzata: lo Stato esportatore deve notificare allo Stato di destinazione e a quelli di transito il trasporto dei rifiuti e una serie di dati ad essi relativi, nonchè essere autorizzato da tali Stati al trasporto.

Quanto al regolamento CEE 259/1993, occorre rammentare innanzi tutto che a seguito della sottoscrizione della Convenzione di Basilea da parte della Comunità Europea, lo stesso è stato modificato con regolamento CE 120/1997. In particolare, è stato modificato l’art.16, con la previsione  del divieto assoluto  di esportazione dei rifiuti pericolosi destinati al recupero.

Per il resto, il sistema delineato è imperniato sulla notifica, che lo Stato esportatore è tenuto a inviare all’autorità competente di destinazione nonchè a quelle di transito[10], e sulla garanzia finanziaria destinata a coprire le spese di trasporto e smaltimento, che viene rimborsata solo quando viene dimostrato che i rifiuti hanno raggiunto la loro  destinazione finale.

Il regolamento CEE 259/1993, avendo efficacia diretta in Italia, è stato semplicemente integrato dal legislatore italiano con il D.lgs. 22/1997 che  definisce le autorità competenti previste dal regolamento (art. 16[11]) e fissa le relative sanzioni (art. 53).

Il Decreto Ronchi, in particolare, riprende su base nazionale l’incentivazione all’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti, propugnata dal Regolamento CEE 259/1993 e dalla Convenzione di Basilea, anche in relazione ai rifiuti urbani non pericolosi che, a partire dal 1° gennaio 1999, non possono essere smaltiti in Regioni diverse da quelle di produzione[12].

Peraltro, parte della dottrina ha correttamente sottolineato che gli obblighi di comunicazione previsti dal D.lgs. 22/1997 sono di carattere esclusivamente amministrativo e non soddisfano, di conseguenza, i principi delineati nella strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti, tantomeno l’obiettivo primario del regolamento: controllare e ridurre al minimo le spedizioni di rifiuti.

Per quanto attiene  i più recenti passaggi normativi, basti qui ricordare il  D.M. 3 settembre 1998, n.370, che fissa le norme relative alla prestazione di garanzie finanziarie per il trasporto transfrontaliero di rifiuti[13].

 

 

Veronica Dini



[1] Sul punto, si rammenta incidentalmente che  la nozione di rifiuto è stata recentemente ridefinita dall’art.14 del recente Decreto legge 138/2002 :

1. Le parole: "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, di seguito denominato: "decreto legislativo n. 22", si interpretano come segue:

a)      "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22; [...]

 2. Non ricorre la decisione di disfarsi, di cui alla lettera b) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:

a)      se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;

b)      se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22.

[2] Corte Cost., 6 luglio 2000, n°281

[3] Corte Cost., 19 ottobre 2001, n°335

[4] La dottrina ha peraltro evidenziato come i rifiuti speciali costituiscano in realtà una variegata tipologia, la cui localizzazione non è facilmente determinabile, così come la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire. Neppure per tale categoria di rifiuti, dunque, sarebbe identificabile un ambito territoriale ottimale, che valga a garantire l'obiettivo specifico dell'autosufficienza nello smaltimento.

Il divieto di conferimento nelle discariche regionali di rifiuti speciali provenienti da altre Regioni è stato ritenuto, pertanto, incongruo, potendo in realtà sia pregiudicare lo smaltimento di tali rifiuti "in uno degli impianti appropriati più vicini", ai sensi di quanto disposto dall’art. 5, co.3, lett. b d.lgs. n. 22/97), sia introdurre in contrasto con l’art.120 della Costituzione un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici (cfr. F. Di Lascio, commento alla sentenza Corte Cost. 19 ottobre 2001 n°335).

 

[5] In particolare, si consideri:

  • sulla piena applicabilità del divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale ai rifiuti urbani non pericolosi nonché ai rifiuti speciali assimilabili, alla luce del principio di autosufficienza di cui all'art. 5, comma 3, lettera a), del decreto n. 22 del 1997, cfr. sentenza Corte Cost., 20 maggio 1998, n° 196: “Non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., degli artt. 16, comma 4, della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 28 novembre 1988, n. 65 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi) e 29 della legge regionale del Friuli-Venezia Giulia 14 giugno 1996, n. 22 (Modifiche alla legge regionale 7 settembre 1987, n. 30 ed ulteriori norme in materia di smaltimento dei rifiuti solidi e di attivita' estrattive), […] - in quanto, premesso che la disposizione dell'art. 16 sopra citato si inserisce in un complesso quadro normativo costituito da fonti comunitarie, statali e regionali, che disciplinano il settore dei rifiuti, in un ambito nel quale, in particolare, il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 […] contiene disposizioni che costituiscono principi fondamentali della legislazione statale, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, e rappresentano anche <> nei confronti delle regioni a statuto speciale; nella specie non e' configurabile la lesione della liberta' di iniziativa economica, perche' questa consente l'apposizione di limiti al suo esercizio a condizione che essi corrispondano all'utilita' sociale, nel cui ambito rientrano sicuramente gli interessi alla tutela della salute e dell'ambiente.”

  • sulla mancata applicabilità del principio dell'autosufficienza locale e del divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale per i rifiuti "pericolosi" in quanto necessitanti processi di smaltimento appropriati e specializzati, cfr. Corte Cost., 6 luglio 2000, n° 281, citata: “E' costituzionalmente illegittimo l'art. 18, comma 1, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59, che impone il divieto di smaltimento nelle discariche regionali dei rifiuti pericolosi di provenienza extraregionale, in quanto tale divieto viola i principi fondamentali della legislazione statale, contenuti nel decreto legislativo n. 22 del 1997 - interpretati in coerenza con i principi della normativa comunitaria in materia -; dimostrandosi irrazionale e in contrasto con le finalità di protezione dell'ambiente e della salute umana, le quali debbono ispirare, ai sensi dell'art. 2 del citato decreto legislativo n. 22 del 1997, anche la disciplina regionale della gestione di rifiuti.

  • da ultimo, cfr. Corte Cost., 14 dicembre 2002, n°505 : “…il principio dell'autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti in ambiti territoriali ottimali vale, ai sensi dell'art. 5, comma 3, lettera a) del citato decreto legislativo n. 22 del 1997, per i soli rifiuti urbani non pericolosi e non anche per altri tipi di rifiuti, per i quali vige invece il diverso criterio della vicinanza di impianti di smaltimento appropriati, per ridurre il movimento dei rifiuti stessi, correlato  a quello della necessità di impianti specializzati per il loro smaltimento, ai sensi della lettera b) del medesimo comma 3: a siffatto criterio sono stati ritenuti soggetti i rifiuti speciali (definiti dall'articolo 7, commi 3 e 4), sia pericolosi (sentenza n. 281 del 2000) che non pericolosi (sentenza n. 335 del 2001).

La legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3 (Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti), pone allo smaltimento di rifiuti di provenienza extraregionale un divieto non assoluto, ma relativo, commisurato cioè ad una percentuale della capacità ricettiva delle discariche, peraltro diversamente calcolata secondo che si tratti di discariche nuove o già esistenti. Ma questa particolarità non giustifica una valutazione diversa da quella riservata dalle citate sentenze alle norme allora scrutinate, che imponevano un divieto assoluto.

L'art. 3, commi 3 e 4, viola [pertanto] l'art. 120 della Costituzione, il quale […] vieta alle regioni di adottare provvedimenti ostacolanti la libera circolazione delle cose; e così pone un limite assoluto, correlato ai beni in quanto tali e non soltanto ad una loro quantità, che la norma impugnata determina del resto in misura decisamente esigua.”

[6] Sentenza Corte di Giustizia Europea, 25 giugno 1998, nella causa C-203-1996 tra Chemische Afvalstoffen Dusseldorp BV e altri.

Analogamente, cfr. sentenza 23 maggio 2000: “…Né la direttiva 75/442, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156, né il regolamento n. 259/93, riguardante la sorveglianza ed il controllo delle spedizioni di rifiuti in entrata ed in uscita dalla Comunità europea, impongono agli Stati membri di concludere con tutte le imprese autorizzate ai sensi dell'art. 10 della detta direttiva contratti relativi alla presa in carico ed al ricupero dei rifiuti di cantiere non pericolosi per l'ambiente. (v. punto 88, dispositivo 3

[7] In merito alla pena, vi è da sottolineare che tale articolo aggiunge alla pena pecuniaria anche quella  detentiva, consistente nell’arresto fino a due anni e dilata i limiti edittali dell’ammenda .

 

[8] Quanto alle singole responsabilità degli operatori in caso di traffico illecito di rifiuti, l’art.26 prevede che:

1)“…Se di tale traffico illecito è responsabile il notificatore, l'autorità competente di spedizione controlla che i rifiuti in questione:

a) siano ripresi dal notificatore o, se necessario dalla stessa autorità competente, all'interno dello Stato di spedizione, oppure, se ciò risulta impossibile,
b) vengano smaltiti o recuperati secondo metodi ecologicamente corretti, entro un termine di 30 giorni a decorrere dal momento in cui l'autorità competente è stata informata del traffico illecito o entro qualsiasi altro termine eventualmente fissato dalle autorità competenti interessate. In tal caso viene effettuata una nuova notifica. Gli Stati membri di spedizione e gli Stati membri di transito non si oppongono alla reintroduzione dei rifiuti qualora l'autorità competente di destinazione ne presenti motivata richiesta illustrandone le ragioni.

2) Se di tale traffico illecito è responsabile il destinatario, l'autorità competente di destinazione provvede affinché i rifiuti in questione siano smaltiti con metodi ecologicamente corretti dal destinatario o, se ciò risulta impossibile, dalla stessa autorità competente entro il termine di 30 giorni a decorrere dal momento in cui è stata informata del traffico illecito o entro qualsiasi altro termine fissato dalle autorità competenti interessate. A tale scopo esse cooperano, se necessario, allo smaltimento o al recupero dei rifiuti secondo metodi ecologicamente corretti.
3)  Quando la responsabilità del traffico illecito non può essere imputata né al notificatore né al destinatario, le autorità competenti provvedono, cooperando, affinché i rifiuti in questione siano smaltiti o ricuperati secondo metodi ecologicamente corretti. Tale cooperazione segue orientamenti stabilità in conformità della procedura prevista all'art. 18 della direttiva 75/442/CEE.”

[9] Il principio della vicinanza è volto a limitare il più possibile il transito dei rifiuti sul territorio. Per questo ad esso si associa quello dell'autosufficienza, teso a far si che ogni Stato membro (e, all'interno di esso ogni regione) sia dotato di una rete integrata di impianti di smaltimento. La Corte di Giustizia Europea ha ritenuto che, in base alla direttiva 91/156/CEE sui rifiuti (attuata in Italia con il D.Lgs. 22/1997), e al regolamento CEE n.259/93, se i principi di vicinanza e autosufficienza ostacolano le esportazioni in modo non giustificato da misure per la tutela dell'ambiente, né da deroghe specifiche previste dagli articoli 36 e 130 T del trattato UE, non è consentito agli Stati membri di estendere l'applicazione di tali principi ai rifiuti destinati al recupero: è emblematico, in questo senso, il caso in cui esista all'estero una tecnica di trattamento migliore ovvero la capacità di trattamento di un certo tipo di rifiuto, a livello nazionale, sia insufficiente.

 

[10] Oggetto della notifica/richiesta è un documento di accompagnamento rilasciato dall’autorità di spedizione contenente informazioni relative alle caratteristiche dei rifiuti, l’identità del produttore e del destinatario, le prescrizioni in materia di itinerari e di assicurazioni per eventuali danni a terzi, le misure di sicurezza, nonche la durata e il tipo di autorizzazione del centro di smaltimento e delle operazioni di smaltimento.

[11] L’art.16 del D.lgs. 22/1997 stabilisce che le spedizioni transfrontaliere dei rifiuti sono disciplinate dal regolamento CEE 259/1993, precisando che, ai sensi e per gli effetti di tale regolamento:

1)      le autorità competenti di spedizione e di destinazione sono le Regioni e le Province autonome;

2)      l’autorità di transito è il Ministero dell’ambiente;

3)      l’autorità corrispondente con la Commissione è il Ministero dell’ambiente;

4)      le Regioni e le province autonome comunicano le informazioni di cui all’art.38 del Regolamento comunitario al Ministero dell’ambiente, per il successivo inoltro alla Commissione Europea.

[12] Art.5 D.lgs. 22/1997

[13] Il decreto, in particolare, ribadisce che talli trasporti devono essere garantiti da fidejussione rilasciata a favore dello Stato, che  garantisca "le eventuali spese sostenute dalla pubblica amministrazione per il trasporto, il recupero o lo smaltimento dei rifiuti e per i costi diretti e indiretti di bonifica dei siti inquinati connessi alle predette operazioni.

Ai sensi dell’art.3, le spedizioni devono soddisfare i seguenti requisiti:

  • i rifiuti devono essere adeguatamente imballati;

  • i contenitori devono presentare etichette in cui sia indicato natura, composizione e quantitativo dei rifiuti, numero/i di telefono delle persone dalle quali possono essere ottenute informazioni in qualsiasi momento e, quando possibile, l’identità del produttore iniziale dei rifiuti;

  • i rifiuti devono essere accompagnati da istruzioni di sicurezza da seguire in caso di pericolo o incidenti;

  • le etichette e le istruzioni devono essere redatte nelle lingue degli Stati interessati.