Cass. Sez. III n. 30629 del 3 novembre 2020 (CC 22 set 2020)
Pres. Ramacci Est. Gentili Ric. P.M. in proc. R.
Ecodelitti.Delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. e  presunzione relativa di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere

Il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., è una delle fattispecie per le quali - ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il quale rinvia a tale proposito al novero dei delitti elencati dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., nel cui ambito è appunto ricompresa anche la violazione dell’art. 452-quaterdecies cod. pen. – ove sussistano a carico dell’indagato gravi indizi di colpevolezza la misura cautelare da applicare a carico di questo è quella della custodia in carcere, con la sola eccezione dei casi in cui si ritengano non sussistere esigenze cautelari ovvero si ritenga che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altra più blanda misura. Il combinato disposto delle norme che sono state dianzi indicate è tale da indurre l’interprete a far ritenere che, in caso di presenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari, vi è una presunzione, relativa, di adeguatezza della sola misura custodiale intramuraria al fine di garantire il rispetto delle predette esigenze. Tale presunzione può di essere superata solo sulla base di una valutazione, avente un carattere analitico, degli elementi peculiari del caso in esame i quali consentono di affermare che le esigenze cautelari riscontrate nella fattispecie siano suscettibili di essere soddisfatte anche con altre più blande misure.


RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Bari, operando in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti cautelari personali, ha, con ordinanza del 5 marzo 2020, in accoglimento del ricorso in tal senso formulato da R. F., riformato il provvedimento con il quale, il precedente 7 febbraio 2020, il Gip del Tribunale di Bari aveva applicato al predetto la misura cautelare della custodia in carcere, avendo ritenuto che a carico dello stesso sussistessero gravi indizi di colpevolezza, corredati dal pericolo di reiterazione del reato contestato, in merito al reato di cui agli artt. 110 e 452-quaterdecies cod. pen., per avere il R., in concorso con altri, provveduto, in qualità di socio di una società cooperativa operante nel ramo della raccolta e del trasporto di rifiuti speciali non pericolosi denominata D.T., al deposito sistematico di rifiuti provenienti da demolizioni edili presso un terreno nella disponibilità di tale B. G.
Il Tribunale, minutamente descritti gli elementi di indagine a carico del R., in esito ai quali era risultato che lo stesso si sarebbe reso responsabile, nel periodo che va dal 19 gennaio 2018 al 16 febbraio 2018, di un numero di sversamenti di rifiuti del tipo sopraindicato pari ad almeno 16, ha rilevato che egli ha, in tal modo, contribuito in larghissima parte al deposito di circa 70 tonnellate di rifiuti complessivamente compiuto da parte della società di cui egli faceva parte.
 Il Tribunale ha, altresì, rilevato, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, che il numero delle singole condotte poste in essere, l’uso di un mezzo meccanico e l’attività specificamente realizzata dal R. costituivano elementi tali da far ritenere concreto ed attuale il pericolo di reiterazione delle condotte criminose.
Il Tribunale, pur consapevole della circostanza che la tipologia di imputazione in provvisoria contestazione a carico del R. sia fra quelle per le quali opera la presunzione di cui al comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., in forza della quale, laddove sussistano gravi indizi di colpevolezza, la presenza delle esigenze cautelari può essere neutralizzata con misura diverse dalla applicazione della custodia in carcere solo previa verifica del fatto che, nel caso concreto, vi sia la possibilità di soddisfare la esigenze in questione con altra meno afflittiva misura, ha rilevato che la presenza di un solo pregiudizio nella storia penale del R. e la mancanza di elementi in base ai quali poter ritenere che egli non avrebbe osservato le prescrizioni connesse ad una misura diversa da quella di massimo rigore giustificavano la riforma dell’originaria provvedimento con la modifica della misura in atto con quella dell’obbligo di dimora nel Comune di Manfredonia, con la prescrizione di indicare alla autorità di Pg territorialmente competente il luogo ove fisserà la sua abitazione nonchè gli orari ed i luoghi ove egli potrà essere reperito per lo svolgimento dei necessari controlli.
Avverso la predetta ordinanza hanno interposto ricorso per cassazione, per opposte ragioni, sia la difesa dell’indagato che la pubblica accusa.
La prima ha, in sostanza, lamentato la insussistenza degli elementi per la qualificazione dei comportamenti posti in essere come integranti il reato in provvisoria contestazione, stante il fatto che i materiali depositati dal R. non erano rifiuti in senso tecnico ma terre e rocce lecitamente utilizzati per il ripascimento dei terreni; l’indagato ricorrente ha, altresì, lamentato il difetto di motivazione in ordine alla quantificazione del danno arrecato attraverso i depositi nonché il difetto di motivazione in ordine alla necessità di applicare la misura cautelare.
La pubblica accusa, rappresentata data la tipologia di reato provvisoriamente contestato, dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari, ha dedotto la illegittimità della ordinanza impugnata stante la apparenza della motivazione con la quale è stato riformato l’originario provvedimento cautelare, posto che la esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e la sussistenza delle esigenze cautelari è stata neutralizzata con una formula eccessivamente sintetica, essendo stato apoditticamente affermato che le stesse potessero essere soddisfatte con misure meno afflittive di quella a suo tempo disposta dal Gip; peraltro l’Ufficio ricorrente ha censurato la scelta della misura concretamente ritenuta idonea, in quanto la stessa, lungi dall’impedire al R. la reiterazione delle condotte criminose, consentirebbe allo stesso di permanere nel territorio ove le stesse sarebbero state realizzate, libero anche di muoversi in esso coi mezzi meccanici da lui in passato utilizzati per commettere gli illeciti dei quali avrebbe conservato la disponibilità.
Con nota datata 21 settembre 2020 il difensore fiduciario del ricorrente, avv.ssa Innocenza Starace, allegando la circostanza di essere affetta “da sindrome vertiginosa con cefalea persistente”, come da certificazione medica redatta in pari data dal dott. F. Vairo, medico chirurgo in Manfredonia, che le impedisce gli spostamenti per la durata di giorni 3, ha chiesto il differimento della celebrazione del giudizio, precisando di non potere neppure essere sostituita da altro professionista, essendo l’unico suo sostituto processuale impegnato in data odierna in un altro procedimento penale di fronte al Tribunale di Foggia.  

CONSIDERATO IN DIRITTO
In via preliminare ad ogni altra valutazione deve essere esaminata la istanza di differimento della trattazione del processo presentata dal difensore fiduciario del ricorrente.
La istanza deve essere rigettata.
Infatti, rileva il Collegio, la certificazione medica presentata dal difensore istante, oltre ad essere estremamente generica quanto a diagnosi, evidenziando esclusivamente una sintomatologia, vertigini e cefalea, ma non formulando alcuna diagnosi nosologica in ordine alla origine dei predetti sintomi (i quali, in sé considerati non appaiono comportare una rilevante invalidità del soggetto che ne sia portatore), neppure prescrive in termini tassativi la inamovibilità del paziente, cui è semplicemente sconsigliato di viaggiare.
Un siffatto quadro clinico, non evidenziando una situazione di assoluto impedimento a carico del professionista, non è tale da giustificare il differimento della trattazione del giudizio (sulla necessaria assolutezza dell’impedimento a comparire per una della parti del processo ai fini del differimento della udienza: Corte di cassazione, Sezione V penale, 30 ottobre 2029, n. 44317).
 Tanto premesso, rileva la Corte che mentre il ricorso dell’indagato deve essere dichiarato inammissibile, quello proposto dalla pubblica accusa va, viceversa, accolto, con il conseguente annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
Con riferimento alla prima impugnazione, quella proposta dal R., si rileva che la stessa ha sostanzialmente ad oggetto la qualificazione del materiale oggetto dei ripetuti conferimenti da parte dal prevenuto non come rifiuto ma come materiale prelevato da alcuni terreni ove gli agricoltori, bonificati i campi coltivabili dalle pietre, avevano ammassato queste ultime.
L’argomento è privo di pregio in quanto confliggente con il dato obbiettivamente rilevato nel corso delle indagini preliminari secondo il quale il materiale oggetto degli sversamenti era costituito da rifiuti da demolizioni edili e non da pietrame riveniente dalla opera di dissodamento dei terreni agricoli.
E’, pertanto, indubbio che a tali materiali non sia applicabile la speciale disciplina dettata per le rocce e le terre provenienti da scavi.
Riguardo agli altri motivi di ricorso, la cui complessiva illustrazione ha occupato per tutti poco meno di una pagina dell’atto presentato dalla difesa del ricorrente, rileva la Corte che si tratta evidentemente di questioni del tutto inammissibili.
Un primo motivo attiene al difetto di motivazione in ordine alla quantificazione del danno arrecato: si tratta, al di là della totale genericità del motivo, di un’argomentazione del tutto ultronea rispetto alla attuale fase processuale, nella quale non sono in discussioni eventuali profili di carattere risarcitorio.
Un secondo motivo, che attiene alla erronea valutazione del fatto addebitato al R., si palesa, a prescindere dalla mancanza di qualsivoglia specificità di esso, già nella sua stessa intestazione come inammissibile in sede di legittimità, avendo esclusivamente profili di merito e non involgendo la legittimità della ordinanza impugnata.
Con l’ultimo motivo il ricorrente si è doluto della motivazione della ordinanza in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari che, invece, è stata adeguatamente esposta dal Tribunale di Bari attraverso il richiamo alla frequenza delle condotte attribuite al condannato ed alla imponenza dei loro effetti, fattori questi che, evidenziando la natura sistematica degli interventi, lasciano logicamente presagire la concreta ed attuale possibilità che gli stessi si possano, in assenza di opportune cautele, nuovamente verificare.
Fondato e, pertanto, meritevole di accoglimento è, invece, il ricorso del Pm.
Deve al riguardo preliminarmente ricordarsi che il reato in provvisoria contestazione al R., cioè la violazione dell’art. 452-quaterdecies cod. pen., è una delle fattispecie per le quali - ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il quale rinvia a tale proposito al novero dei delitti elencati dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., nel cui ambito è appunto ricompresa anche la violazione dell’art. 452-quaterdecies cod. pen. – ove sussistano a carico dell’indagato gravi indizi di colpevolezza la misura cautelare da applicare a carico di questo è quella della custodia in carcere, con la sola eccezione dei casi in cui si ritengano non sussistere esigenze cautelari ovvero si ritenga che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altra più blanda misura.
Il combinato disposto delle norme che sono state dianzi indicate è tale da indurre l’interprete a far ritenere che, in caso di presenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari, vi è una presunzione, relativa, di adeguatezza della sola misura custodiale intramuraria al fine di garantire il rispetto delle predette esigenze.
Tale presunzione può di essere superata solo sulla base di una valutazione, avente un carattere analitico, degli elementi peculiari del caso in esame i quali consentono di affermare che le esigenze cautelari riscontrate nella fattispecie siano suscettibili di essere soddisfatte anche con altre più blande misure.
Verificata la ricorrenza di tali elementi nel caso ora in esame sulla base delle censure formulate dal rappresentante della pubblica accusa riguardo alla motivazione della ordinanza impugnata, ritiene la Corte che nell’occasione il Tribunale di Bari non abbia addotto nel motivare il proprio provvedimento elementi attraverso i quali sia consentito superare la presunzione di cui sopra.
Invero, premesso che non vi è dubbio in merito alla sussistenza a carico dell’indagato sia dei gravi indizi di colpevolezza che delle esigenze cautelari, riconducibili al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si sta procedendo, il Tribunale ha, con motivazione priva di un effettivo contenuto dimostrativo atto a superare la presunzione di cui dianzi, nell’occasione rilevato, così giustificando l’adozione di una misura cautelare meno afflittiva della custodia cautelare in carcere disposta dal Gip, che R. ha un solo precedente penale - fattore questo privo di consistenza ai fini di elidere il pericolo di reiterazione del reato laddove si sia ritenuto, come ha d’altra parte espressamente fatto il Tribunale di Bari, che vi è comunque pericolo di reiterazione delle condotte criminose del tipo di quelle per cui vi sono indagini in ragione della ritenuta pericolosità dell’indagato legata al suo modus operandi, all’uso di potenti mezzi meccanici espressamente dedicati alla realizzazione del reato ed alla sostanziale professionalità dimostrata da quello  nel reiterato compimento delle condotte criminose – e che non vi sono elementi da cui dedurre l’eventuale inosservanza da parte sua di una misura cautelare meno afflittiva di quella di massimo rigore – conclusione questa cui il Tribunale giunge senza avere indicato letteralmente alcun elemento predittivo atto a giustificarla e che, pertanto, appare avere esclusivamente un carattere apodittico.
La evidenziata incongruità motivazionale della ordinanza impugnata ai fini della giustificazione del ritenuto superamento della presunzione di adeguatezza della sola misura cautelare intramuraria, rende inevitabile l’annullamento della ordinanza de qua in accoglimento del ricorso promosso dai rappresentanti della pubblica accusa, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bari in funzione di giudice del riesame cautelare personale.              

PQM
In accoglimento del ricorso del Pubblico ministero, annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Bari, Sezione del riesame.
Dichiara inammissibile il ricorso di R. F. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
      Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020