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QUALIFICA DELLE GUARDIE VOLONTARIE GIURATE DI ASSOCIAZIONI A TUTELA DEI BENI FAUNISITCO ED AMBIENTALI; USO DEGLI STRUMENTI DI SEGNALAZIONE.
di Francesco Cardona Albini (magistrato)

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Con la denuncia sporta nei confronti di appartenenti ad una associazione volontaria di tutela ambientale - A.I.L.P. - per l’uso di qualifiche e distintivi di polizia giudiziaria, si pone nuovamente il delicato problema della presenza sul territorio di enti morali i cui iscritti, quasi sempre in possesso di decreto prefettizio di nomina a guardia particolare giurata ai sensi degli artt. 133 e 134 T.U.L.P.S., ritengono di esercitare le funzioni di polizia giudiziaria di cui all’art. 55 c.p.p. e di conseguenza le funzioni di repressione dei reati, di assicurazione dei mezzi di prova e ricerca dei responsabili; tali associazioni quasi sempre si ritengono legittimate anche all’uso di tesserini di riconoscimento e di palette segnaletiche che identificano espressamente la qualifica degli appartenenti come agenti di polizia giudiziaria o che comunque appaiono del tutto simili ai simboli di riconoscimento e dispositivi in dotazione alle forze di Polizia di Stato ed ai Carabinieri; in particolare sulle palette segnaletiche - ma spesso anche sui tesserini - campeggia il sigillo statale contornato da denominazioni del più vario genere - ad es. il nome dell’associazione, la dizione Provincia di Genova e quindi “polizia amministrativa” o “polizia ambientale”-.

In passato sono già stati espressi autorevoli pareri da numerose Procure d’Italia, spesso in senso affermativo della qualifica di agenti di p.g. in capo agli appartenenti a tali associazioni, ma poiché a volte sono stati denunciati comportamenti non del tutto corretti posti in essere nei confronti di cittadini o addirittura da interventi di controllo svolti nei confronti di pattuglie civetta della polizia di Stato, appare necessario nuovamente ripensare i termini del problema prima di rispondere ai due quesiti fondamentali:
1. se tali soggetti ed associazioni possano ritenersi investiti dei poteri e prerogative proprie della polizia giudiziaria ed eventualmente in quali limiti;
2. se sia legittimo da parte di tali soggetti l’uso di stemmi, simboli e dispositivi di segnalazione similari a quelli in uso alle forze di pubblica sicurezza.
I presupposti per procedere ad una valutazione sono prima di tutto legislativi ma anche giurisprudenziali, dottrinali e storici.


1. GENESI E DISCIPLINA DELLE GUARDIE PARTICOLARI GIURATE: QUALIFICA E FUNZIONI.

Un primo approccio al problema può essere costituito dall’affrontare la questione della qualificazione giuridica delle guardie giurate e della natura delle funzioni esercitate. Infatti gli appartenenti all’Associazione Italiana Libera Pesca, così come la maggior parte degli appartenenti ad associazioni con finalità di tutela faunistica ed ambientale, sono muniti di decreto prefettizio di nomina a guardia particolare giurata “ambientale”. Si tratta quindi innanzitutto di verificare se tale investitura possa implicare di per sé l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria, pure limitatamente agli scopi dell’investitura stessa. E’ stato evidenziato criticamente (v. “La giustizia penale”, 1996, III, 669, “Guardie Giurate e funzioni di polizia giudiziaria” di Edoardo Mori) come le originarie previsioni normative, ma anche la disciplina che attualmente si rinviene nel T.U.L.P.S., autorizzerebbero conclusioni differenti rispetto a quelle cui è pervenuta spesso la giurisprudenza.
E’ di antica data, infatti, la tendenza giurisprudenziale a riconoscere in capo alle guardie particolari giurate le qualifiche di pubblici ufficiali ed agenti di p.g. al momento del loro intervento per reprimere un reato, tendenza che parrebbe contraddire quanto invece si può ricavare da un’esegesi storica della disciplina legislativa.
Già la formulazione dell’art. 44 del R.D. 690/1907- Testo Unico della legge sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza - stabiliva la facoltà per i comuni, enti morali e privati di destinare guardie particolari alla custodia delle loro proprietà. Queste dovevano possedere i requisiti determinati dal regolamento, essere approvate dal Prefetto e prestare giuramento innanzi al Pretore; i loro verbali, nei limiti del servizio cui sono destinate, fanno fede in giudizio fino a prova contraria. Il regolamento attuativo, contenuto nel R.D. 666/1909, all’art. 83 stabiliva che a tergo del decreto di approvazione del Prefetto dovessero essere stampati gli articoli relativi alle infrazioni o contravvenzioni per il cui accertamento le guardie sono specialmente preposte.
Nonostante la disciplina di tali “corpi” fosse prevista nel testo unico unitamente a quella relativa agli agenti di pubblica sicurezza, per la limitatezza delle funzioni speciali loro riconosciute dal legislatore e per il carattere “privatistico” e patrimoniale dei beni presidiati, sembra condivisibile la considerazione sull’impossibilità di ritenere tali guardie agenti di pubblica sicurezza. Il T.U. del 1907 stabiliva infatti che rivestissero qualifica di agenti di pubblica sicurezza i carabinieri, la G.d.F. , le guardie di città (futura Polizia di Stato), nonché (art. 18) le guardie forestali, quelle “campestri, daziarie, boschive, ed altre dei comuni, costituite in forza di regolamenti deliberati ed approvati nelle forme di legge e riconosciute dal Prefetto”, con attribuzione, anche per questi ultimi corpi alle dipendenze di enti locali, di compiti di pubblica sicurezza - mantenimento dell’ordine pubblico, dell’incolumità e della tutela delle persone e delle proprietà - e di polizia giudiziaria - raccolta delle prove di reati, scoperta ed arresto dei delinquenti - (art. 34).
E’ evidente la confusione che sin dall’inizio si è ingenerata nell’accomunare in un unico regime giuridico una serie di soggetti eterogenei, militari e civili, mentre tutta la legislazione successiva ha riguardato esclusivamente gli agenti inquadrati nel Corpo militare delle guardie di Pubblica Sicurezza, costituito nel 1925, pure chiamati agenti di P.S. ma certamente con funzioni d’istituto molto più ampie rispetto a quelle di una guardia boschiva o daziaria. E comunque, nella elencazione degli agenti di pubblica sicurezza di cui al riportato art. 18 non paiono potersi ricomprendere le “guardie particolari a custodia della proprietà” di cui all’art. 44 del R.D. 690/1907.
Si deve quindi evidenziare che:
- le guardie private, al momento in cui furono previste dal legislatore, nulla avessero a che vedere con gli agenti di pubblica sicurezza, in quanto nate come custodi di proprietà;
- i loro verbali non facessero fede fino a querela di falso come quelli redatti dai pubblici ufficiali, ma solo sino a prova contraria ;
- le competenze all’accertamento di determinate infrazioni o contravvenzioni provenissero loro indirettamente da fonti di rango secondario (regolamenti), escludendo il regolamento stesso la competenza all’accertamento di delitti (l’art. 83 R.D.666/1909 parla infatti di infrazioni o contravvenzioni, in un epoca in cui il codice penale - quello del 1888 - già distingueva le contravvenzioni dai delitti).

Le leggi che hanno successivamente disciplinato le guardie particolari giurate sono il T.U.L.P.S. ed il relativo regolamento di esecuzione: l’art. 133 del T.U.L.P.S. prevede la medesima facoltà istitutiva di tali corpi da parte di enti privati e pubblici già prevista dal R.D. 1907/690, con riferimento alla sola vigilanza e custodia delle proprietà mobiliari ed immobiliari; il successivo art. 134 al c. 2° vieta la concessione della licenza prefettizia per operazioni che importino l’esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale; l’art. 255 del regolamento prevede la possibilità di stesura di verbali nei riguardi del servizio cui sono destinate, verbali che continuano ad avere la minorata efficacia - solo fino a prova contraria e non fino a querela di falso - già evidenziata.
In conclusione, l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria sembrerebbe inibito alle guardie particolari giurate così come sono state delineate nell’art. 44 del R.D. 690/1907, ma anche negli artt. 133 e 134 R.D. 773/31.

Peraltro si deve dar conto dell’ indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la guardia particolare giurata, nell’esercizio dei compiti cui è abilitata per la tutela delle proprietà private, assume la qualifica di agente di polizia giudiziaria (Cass. sez. II, 12.1.79, Cass. sez. VI, 20.3.81; Cass. 19.11.93, D’Acquisto, in Cass. Pen., 1995, 178); più spesso è stata riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale (Cass. Sez. VI, 20.3.81, che erroneamente, in massima, cita a fondamento l’art. 225 L. 635/40 anziché l’art. 255; sez. VI, 14.7.81; sez. VI, 5.3.93;) ma prevalente e più recente sembra l’indirizzo secondo il quale, impregiudicata la questione sull’esercizio di poteri di polizia giudiziaria per la tutela e repressione di reati contro i beni a vigilanza dei quali sono istituite, le stesse vengono qualificate come incaricati di pubblico servizio, anche alla luce della modifica normativa dell’art. 358 c.p. (Cass. Sez. VI, 6.6.90; sez. VI 16.1.91; sez. VI 18.2.92; sez. I 24.6.96);

in particolare la pronuncia della sez. VI, 18.2.92:
- focalizza i presupposti dei loro poteri negli artt. 133 e 134 T.U.L.P.S.;
- ricorda il divieto di autorizzazione all’esercizio di funzioni pubbliche di cui all’art. 134 c. 2°;
- ridimensiona il potere di stendere verbali che aveva per altre pronunce costituito un indice della qualifica di agenti di p.g., potere in realtà molto limitato ed in funzione solo certativa, “non esplicante effetti all’esterno dell’ufficio e comunque inidonea a connotare una pubblica funzione se disgiunta da un autonomo potere certificativo”;
- suggerisce che anche la possibilità di collaborare a richiesta delle forze dell’ordine nella repressione dei reati o nella tutela dell’ordine pubblico siano funzioni del tutto sussidiarie e prive di autonomia, “non dissimili - ancorchè più qualificate - da quelle che in certi casi sono chiamati a svolgere i privati cittadini”, concludendo nel senso che nei loro confronti non sia ipotizzabile il delitto di cui all’art. 341 c.p..

Sembra quindi che l’attribuzione della qualifica di agenti di p.g. alle guardie particolari giurate disciplinate nel T.U.LP.S. sia di sola matrice giurisprudenziale e trovi fondamento nella possibilità che le funzioni svolte a tutela dei beni oggetto di vigilanza fattualmente coincidano con gli interventi che ogni forza di polizia è chiamata ad attuare durante la perpetrazione di reati - peraltro, anche limitatamente alle funzioni di istituto, le stesse avrebbero certamente le facoltà riconosciute a qualsiasi privato dall’art. 383 c.p.p. - mentre è più difficile rinvenire un fondamento all’esercizio delle funzioni di p.g. negli artt. 133 e 134 T.U.L.P.S. e nell’art. 255 del regolamento attuativo; è plausibile ritenere che i riconoscimenti di qualifica operati anche da molte sentenze abbiano avuto come scopo anche la utilizzazione e legittimazione processuale dell’operato di appartenenti a tali corpi, i quali, per contingenze legate a ragioni di servizio, potevano avere assicurato alla legge fonti di prova e responsabili di reati. Ma un’altra spiegazione dell’orientamento giurisprudenziale esaminato può rinvenirsi nella formulazione dell’ultimo comma dell’art. 221 del codice di procedura penale previgente; tale norma, secondo alcuni autori, disciplinava in modo sensibilmente più aperto rispetto alla attuale formulazione l’attribuzione della qualifica di agenti di polizia giudiziaria, estesa anche a soggetti diversi da quelli elencati nel comma primo e secondo: si prevedeva che la stessa qualifica spettasse , “nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le attribuzioni ad esse conferite dalle leggi e dai regolamenti, (a) tutte le altre persone incaricate di ricercare ed accertare determinati reati”. Era quindi sufficiente che le competenze od attribuzioni d’istituto venissero a porsi in coincidenza con l’accertamento - eventuale - di fatti reato perché automaticamente scattasse la qualifica di agente od ufficiale di polizia giudiziaria. Ed infatti le pronunce più numerose della giurisprudenza nel senso di riconoscere alle guardie particolari giurate la qualifica di agenti di p.g. nel momento in cui esse intervengano a fronte di reati offensivi dei beni soggetti alla loro vigilanza, si collocano cronologicamente sotto la vigenza dell’art. 221 codice abrogato. Ciò che quindi poteva non rinvenirsi nella originaria disciplina delle guardie particolari giurate, veniva di fatto ad essere loro attribuito in virtù dell’estensione operata dall’art. 221 c. 3° del c.p.p.. E’ opinione di qualche commentatore, non senza contrasti, che la formulazione attuale dell’art. 57 c. 3° c.p.p. possa aver importato delle modificazioni rispetto al testo previgente per quanto concerne l’identificazione dei soggetti di polizia giudiziaria: più avanti se ne darà ampiamente conto. Per adesso è da evidenziare che, comunque, tutte le sentenze ricordate si sono occupate di appartenenti a corpi di vigilanza privati ad esclusiva tutela di beni patrimoniali, poiché il T.U.L.P.S. disciplina e fa riferimento solo a questo tipo di funzioni; se anche la giurisprudenza che ammette l’esercizio di funzioni di p.g. ha quasi sempre fatto riferimento a quella fonte, limitando perciò oggettivamente l’ambito del loro legittimo esercizio, bisognerà ricercare in leggi diverse dal T.U.L.P.S., o comunque speciali rispetto ad esso, previsioni analoghe per le competenze in materia di tutela faunistica ed ambientale.

2. I CORPI VOLONTARI DI TUTELA FAUNISTICO VENATORIA ED AMBIENTALE.
La legge n. 1420/23 sulla caccia riconosceva compiti di vigilanza ad agenti giurati delle società di cacciatori ed alle guardie private di riserve e bandite, con autorizzazione a redigere verbali di contestazione di infrazioni ed al sequestro di armi e selvaggina, ma non concedendo la potestà di perquisire, riservata dall’art. 27 ai soli agenti di forza pubblica. In seguito, il T.U. sulla caccia del 1939 ha consentito ai guardiacaccia l’esercizio dei poteri riservati dal c.p.p. agli agenti di p.g..
Con riferimento ai guardiapesca, và precisato che la norma che attribuisce loro la qualifica di agenti di polizia giudiziaria si rinviene nell’art. 7 del D.P.R. 747/54; tale norma, dopo aver mantenuto ferme le disposizioni di cui all’art. 30 della L. 1604/31, riconosce in capo alle amministrazioni provinciali i compiti di sorveglianza per la repressione della pesca con materie esplosive e venefiche e l’accertamento delle relative infrazioni commesse nelle acque marittime antistanti il loro territorio; a tal fine consente, da parte delle stesse amministrazioni, la nomina di agenti cui è riconosciuta la qualifica di agenti di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 221 ult. Comma c.p.p. previgente, ovviamente limitatamente alla materia de quo.
La specialità delle previsioni esistenti per le funzioni di guardiapesca e di guardiacaccia conduce a ritenere che la mera qualifica di guardia particolare giurata, al di fuori di ogni specifica attribuzione proveniente da leggi speciali, non sia sufficiente per l’investimento di funzioni di polizia giudiziaria nelle particolari materie di tutela ambientale e faunistica. Si è visto infatti che ogni pronuncia giurisprudenziale che abbia dedotto l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria dall’essere investiti della qualità di guardia particolare giurata ha sempre fatto riferimento a fattispecie relative alla tutela di beni patrimoniali soggetti alla loro vigilanza. Quando le pronunce della Cassazione hanno fatto riferimento alla materia faunistico ambientale, hanno espressamente dato atto della diversità dell’ambito di tutela, ritenendo implicitamente insufficiente l’investitura di guardia particolare giurata per l’attribuzione di funzioni di polizia giudiziaria (ancora per tutte cfr. Cass. 27.2.95, Zappalà, in Dir. Pen. e processo, 1995, 56, in materia di guardie particolari giurate appartenenti all’Ente Nazionale Protezione Animali) E’ evidente che la peculiarità dei beni oggetto di tutela ambientale nonché delle previsioni di legge - espressamente conferenti la qualifica di polizia giudiziaria solo ad alcuni e ben individuati soggetti - non può non incidere, anche ai fini di una diversa valutazione giurisprudenziale per questo particolare ambito di tutela.
A maggiore conforto di questa conclusione, come già accennato in precedenza, si pone la tesi (non da tutti condivisa: cfr. G.Conti, La polizia giudiziaria, in commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da F.Amodio - O.Dominioni, I, Giuffrè, 1989, p.339) del sensibile mutamento della disciplina della polizia giudiziaria che avrebbe comportato l’entrata in vigore del vigente codice di procedura penale; secondo questa interpretazione - cfr. Cass. Pen. 1991, I, 600, Profili della organizzazione della polizia giudiziaria nel nuovo codice di procedura penale” di F.Tagliente - l’art. 57 c. 3°, infatti, riconoscendo la qualifica di p.g. anche alle persone cui le leggi ed i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’art. 55, avrebbe ristretto la categoria dei soggetti esercenti funzioni di p.g. rispetto al previgente art. 221 c. 3° c.p.p., richiedendosi un conferimento normativo espresso delle funzioni elencate all’art. 55, quindi i doveri di prendere conoscenza dei reati anche di propria iniziativa, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, assicurare le fonti di prova e raccogliere in generale quanto utile e necessario all’applicazione della legge penale. Di conseguenza, con l’entrata in vigore del nuovo codice, tutta una serie di soggetti ritenuti nella vigenza del precedente codice di procedura penale esercenti funzioni di polizia giudiziaria non potrebbe più essere considerata tale: in particolare l’autore citato si riferisce a quei soggetti che, proprio perché incaricati di ricercare ed accertare determinate fattispecie di reato, potevano rivestire la qualità di agenti di p.g., ai sensi dell’art. 221 c. 3° c.p.p. abrogato; si tratta di figure quali, ad esempio, l’ufficiale sanitario che aveva l’obbligo di denunciare al medico provinciale ogni trasgressione alle leggi e regolamenti sanitari i base all’art. 40 c.1 lett. c) del R.D: 1265/34; i funzionari del Ministero delle finanze e degli uffici dipendenti , ai quali sono attribuiti compiti di accertamento in materia di imposta di bollo ex art. 35 L. 633/72 e 41 D.P.R. 600/73; i funzionari dell’A.N.A.S., Ispettorato della Viabilità del Ministero dei trasporti per quanto riguarda la prevenzione ed accertamento dei reati in materia di circolazione stradale ex art. 136 D.P.R. 393/59; le guardie comunali e campestri preposte all’osservanza di polizia urbana e locale (alle quali, peraltro, il codice del 1913 riconosceva espressamente la qualifica di agenti di p.g.); gli impiegati addetti alla coltivazione del tabacco ex art. 104 L.17.6.42 n. 907; ed infine le stesse guardie particolari giurate.
Che l’intenzione del legislatore nella formulazione dell’art. 57 c. 3° del nuovo codice di procedura sia stata proprio quella di tagliare fuori dalla previsione tutti i soggetti che non avessero ricevuto qualifica espressa di agenti di p.g. dalla legge o dai regolamenti - anche mediante la diversa formula del riconoscimento espresso dell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria - si desumerebbe anche dai lavori preparatori, nei quali il Governo osserva, al progetto preliminare, che “l’emendamento contenuto nel comma terzo soddisfa esigenze formali volte a chiarire che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte dagli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria” e non da altri soggetti, stabilendone quindi l’esclusività dell’esercizio e la necessaria espressa investitura normativa.
La soddisfazione di esigenze di certezza, risolte con l’esplicito requisito della formalità dell’attribuzione della qualifica - o delle funzioni -, ha come logica conseguenza la precisa distinzione della polizia giudiziaria rispetto a tutti i pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio che pure sono tenuti alla denuncia dei reati di cui prendano conoscenza in forza dell’art. 331 c.p.p.. Si è anticipato che le conclusioni cui giunge l’autore citato non sono condivise da tutti, in particolare da coloro i quali ritengono che il mutamento lessicale del nuovo art. 57 non abbia apportato mutamenti sostanziali rispetto al passato in quanto riferito all’attribuzione delle funzioni di cui all’art. 55 c.p.p., in quanto l’ attribuzione delle medesime funzioni potrebbe dedursi anche dal fatto che le leggi od i regolamenti indichino dei soggetti cui spettino compiti di vigilanza e di accertamento delle infrazioni della legge tra le quali possano vi siano fattispecie di reato. Ma al di là dell’opzione per l’una o l’altra tesi, deve ritenersi che in materia faunistico ambientale il problema sia risolto proprio dalla presenza di leggi che espressamente attribuiscono la qualifica di p.g. solo ad alcuni soggetti, mentre ad altri riconoscono il più lato potere di vigilanza e di segnalazione di infrazioni.
La normativa più recente che consideri anche i corpi volontari delle associazioni di protezione ambientale è quella di cui alla L. 157/92, la quale, disciplinando all’art. 27 la vigilanza venatoria, distingue:
alla lettera a) del primo comma, gli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni, cui è riconosciuta espressamente la qualifica di agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza;
alla lettera b), le guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali e presenti nel Comitato tecnico faunistico venatorio, e quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell’ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai sensi del T.U. di P.S.;
il secondo comma prevede l’esercizio delle funzioni di vigilanza venatoria anche in capo a ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale di Stato, alle guardie addette ai parchi nazionali, agli agenti ed ufficiali di p.g. (tout court), alle guardie giurate comunali, forestali e campestri, ed alle guardie private riconosciute dal T.U.L.P.S., oltrechè alle guardie zoofile ed ecologiche riconosciute dal leggi regionali.
La netta distinzione tra le previsione delle lettere a) e b) del primo comma in ordine al riconoscimento della qualifica di agente di p.g. ha indotto a ritenere, da parte della giurisprudenza, che ai corpi previsti nella lettera b) non possa essere riconosciuta tale qualifica; sicuramente infatti tutti i soggetti di cui all’art. 27 della legge possono venire a conoscenza di determinate fattispecie di reato, ed in particolare di quelle previste e sanzionate dall’art. 30, ma solo per alcuni di tali soggetti viene espressamente riconosciuta la qualifica di agente di p.g.. Tale interpretazione trova ulteriore conforto nel quinto comma dell’art. 28 che disciplina i compiti degli organi di vigilanza non esercitanti funzioni di p.g. - redazione di verbali di segnalazione delle contravvenzioni da inviare all’ente dal quale dipendono ed all’autorità competente -. In tal senso possono prendersi a riferimento le pronunce di Cass. Pen. Sez. III, 29.9.94, n. 2109, Cass.Pen. sez. III 30.3.95 n. 613, Cass. Pen. sez.III, 6.5.96 e Cass.Pen. sez. V, 23.5.97, n. 4898; quest’ultima pronuncia, peraltro, riconosce alle guardie venatorie la qualifica di pubblici ufficiali con conseguente possibilità di integrazione del reato di cui all’art. 651 c.p. per il rifiuto delle generalità su loro richiesta.
Le autorità amministrative interpellate sul problema della qualificazione della natura delle funzioni svolte dalle associazioni volontarie di protezione ambientale e venatorie hanno sempre negato, sulla base della interpretazione sopra esposta, la qualifica di agenti di p.g.: in tal senso, tra i provvedimenti più recenti, sono il parere del Consiglio di Stato, sez. VI, 2.4.82 n. 168, la circolare n.559 del 1993 del Ministero dell’Interno ed il parere del Consiglio di Stato n. 2296 del 29.8.94. La soluzione scelta assorbe il problema del riconoscimento della qualifica di agente p.g. alla guardia particolare giurata in sé - nel T.U.L.P.S. e nel regolamento di attuazione, per quanto già sopra esposto, si potrebbero rinvenire semmai elementi per ritenere il contrario - ed evidenzia che non possono richiamarsi norme generali, quali l’art. 55 c.p.p., senza tener conto delle leggi speciali disciplinanti le materie specifiche, le stesse cui d’altronde fa riferimento proprio il codice di procedura all’art. 57 c. 3°.
Quindi, per quanto riguarda le associazioni volontarie di protezione ambientale o venatoria di cui all’art. 27 c. 1 lett. b), nemmeno per il limitato esercizio delle funzioni di vigilanza in materia di caccia può riconoscersi la qualifica di agenti di p.g., mentre non esiste alcuna specifica previsione di legge che attribuisca a tali corpi la medesima qualifica nella prevenzione e repressione dei reati ambientali disciplinati dalle L. 319/76 e D.Lvo 22/97. Ogni tentativo di fondare l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria per queste materie che faccia riferimento al T.U.L.P.S. deve ritenersi improprio, in quanto tale normativa disciplina e considera le guardie particolari giurate poste a tutela di proprietà di enti privati o pubblici, con inibizione dell’esercizio di funzioni pubbliche. Ed a quali funzioni poteva riferirsi il legislatore se non a quelle generali funzioni di pubblica sicurezza nelle quali certamente deve ritenersi ricompresa - seppure distinta - la funzione di polizia giudiziaria?
Anche per quanto riguarda i corpi nominati o istituiti da enti locali quali le regioni, le province ed i comuni, si è già visto come alla luce dei testi di legge in materia - a prescindere dal riferimento all’art. 57 c. 3° c.p.p. - non possa più ritenersi sufficiente il conferimento di compiti di vigilanza in materie nelle quali sono previste fattispecie di reato; laddove la legge ha ritenuto di attribuire competenze di polizia giudiziaria in materia faunistico ambientale lo ha fatto espressamente; l’interpretazione formalista è anche maggiormente rispettosa delle garanzie del cittadino, considerato che si tratta di potestà di particolare cogenza, il cui esercizio può incidere in modo diretto ed irreversibile su beni primari come la libertà di movimento, di autodeterminazione e quella di riservatezza. Che il conferimento di tali poteri possa avvenire in base a normative regionali o locali appare quantomeno discutibile, vertendosi in materia che sembrerebbe logico ritenere di esclusiva competenza statale: non contrasta con tale conclusione la previsione costituzionale di cui all’art. 117 della competenza regionale ad emanare normative di polizia urbana e locale, perché né le regioni né gli enti territoriali delegati avrebbero necessità di istituire o riconoscere quei poteri e qualifiche quando pacificamente la normativa regionale non può prevedere nuove fattispecie di reato, ma al più sanzioni amministrative, per l’irrogazione delle quali, ai sensi dell’art. 13 della L. 689/81, possono procedere gli organi amministrativi addetti ai controlli con facoltà anche di sequestro delle cose confiscabili, esercitando così funzioni di polizia amministrativa e non giudiziaria; la qualifica di incaricato di pubblico servizio certamente spettante ai dipendenti delle amministrazioni locali, consente comunque l’esercizio dei poteri di denuncia dei reati di cui all’art. 331 c.p.p.. Né, per gli stessi motivi, si può ritenere che laddove le funzioni di p.g. siano state riconosciute espressamente dalla legge, queste possano estendersi a materie e competenze differenti rispetto a quelle per le quali furono conferite. Non pare inoltre che l’attribuzione di materie nelle quali vi è potestà legislativa primaria da parte delle regioni - all’interno dei principi delle leggi quadro statali - possa di per sé comportare la possibilità da parte di questi enti ad attribuire qualifica o funzioni che sistematicamente attengono, come già detto, alla materia dell’ordinamento della sicurezza pubblica e che nella L. 121/81 trovano una compiuta disciplina organizzativa. L’esigenza di distinzione tra le materie nelle quali è attribuita competenza normativa agli enti locali e la materia del conferimento di funzioni di polizia giudiziaria potrebbe poi bene accordarsi con la tesi del mutamento di disciplina apportato dalla formulazione dell’art. 57 c. 3° c.p.p., tesi che evidenzia una maggiore delineazione di confini rispetto al passato, non a caso nel segno della generale riforma della struttura del processo e delle prassi operative della polizia e dell’autorità giudiziaria, improntate - dichiaratamente - a maggiore rispetto delle garanzie di difesa dei diritti del cittadino.
Comunque, per quanto riguarda la legislazione della regione Liguria, non si rinvengono leggi che abbiano attribuito qualifica o funzioni di agenti di polizia giudiziaria ai corpi volontari di vigilanza ambientale: la L. 29/94 sulla protezione della fauna omeoterma, si riporta esattamente agli artt. 27, 28 e 29 della L. 157/92, prevedendo per gli stessi la qualifica di agenti di polizia amministrativa e l’esercizio dei poteri di cui all’art. 13 della L. 689/81, così come anche la L.R. 30/90 sulla istituzione delle Guardie Ecologiche Volontarie.

3. L’USO DI DISPOSITIVI DI SEGNALAZIONE VISIVA E DI SIMBOLI O ISCRIZIONI IN USO ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA.
E’ frequente da parte dei corpi volontari di cui si discute e ricorre anche nel caso del procedimento instaurato nei confronti di appartenenti all’A.I.L.P., l’uso di palette segnaletiche per l’intimazione dell’alt ai conducenti di veicoli e quindi per l’agevolazione dello svolgimento delle funzioni d’istituto.
L’unica normativa valida di riferimento sull’uso e la detenzione di tali strumenti appare essere il codice della strada: in particolare l’art. 12 disciplina l’espletamento dei servizi di polizia stradale, attribuendolo oltreché al corpo speciale di Polizia Stradale, anche alla Polizia di Stato, Carabinieri, G.d.F., corpi e servizi di polizia municipale e, in via residuale, ai rimanenti ufficiali ed agenti di p.g. indicati negli artt. 57 c. 1 e 2 c.p.p.. Al comma terzo della medesima norma sono elencati appartenenti al personale di varie amministrazioni, centrali, periferiche ed enti locali, i quali possono svolgere compiti di prevenzione ed accertamento di violazioni in materia di circolazione stradale solo previo superamento di un esame di qualificazione disciplinato dal regolamento di esecuzione. Il quinto comma prevede che tutti i soggetti indicati, quando non siano in uniforme, per espletare i propri compiti di polizia stradale devono fare uso di apposito segnale distintivo, conforme al modello stabilito dal regolamento; l’art. 24 del regolamento, come sostituito dall’art. 21 del D.P.R. 610/96, individua le caratteristiche di forma e colore delle palette di segnalazione, prevedendo che rechino, al centro il simbolo della Repubblica Italiana; al secondo comma viene delimitato l’uso delle stesse alla sola intimazione dell’alt agli utenti della strada in movimento e, in situazioni di emergenza, per le segnalazioni manuali di regolamentazione del traffico, con espressa previsione di perseguibilità disciplinare di eventuali casi di abuso.
La dettagliata disciplina delle forme e modalità d’uso di tali dispositivi di segnalazione porta ad escludere che il loro uso sia consentito da soggetti estranei a quelli contemplati dalla normativa e per ipotesi dalla stessa non considerate: è sintomatico che per ben due volte nell’art. 24 del regolamento e nell’art. 12 c. 5° si precisi che l’uso delle palette debba avvenire obbligatoriamente quando l’agente non sia in uniforme; la rigorosa interpretazione dell’ambito applicativo è confortata anche dalla espressa previsione di sanzione disciplinare per usi impropri. Che a fronte di un rigore che potrebbe sembrare quasi eccessivo nei confronti di soggetti che senza dubbio rivestono la qualifica di agenti ed ufficiali di p.g., possa ritenersi ammissibile un uso indiscriminato dei medesimi strumenti o di loro imitazioni da parte di soggetti per i quali tale qualifica sia del tutto carente o riconosciuta per finalità che non implicano certamente lo svolgimento di servizi di polizia stradale, appare alquanto incoerente con il sistema normativo. Così come non sembra ipotizzabile che enti locali possano autorizzare l’uso di tali strumenti al di fuori di quanto già previsto per legge. Già il Consiglio di Stato, con la medesima pronuncia più sopra richiamata - n. 2296 del 29.8.94 - aveva ritenuto la legittimità del divieto stabilito da circolare del Ministero dell’Interno, per le associazioni venatorie e guardie volontarie ad esse appartenenti, di installare dispositivi di segnalazione di emergenza acustica e visiva sulle proprie autovetture e di munirsi delle palette di segnalazione, proprio sul presupposto di una interpretazione non estensiva della normativa - previgente - sull’uso di tali strumenti. Le norme del Nuovo Codice della strada non hanno aperto spazi maggiori rispetto al passato. Quindi, seppure sulle palette venga specificata la dizione di polizia amministrativa ed indicato l’ente di dipendenza funzionale, ciò non appare sufficiente a legittimarne l’uso e la detenzione; il cittadino sa che quel segnale gli impone un dovere di comportamento, che trae forza coercitiva dall’esercizio di funzioni pubbliche, chiaramente riconoscibili, legislativamente previste e disciplinate e quindi per lui garantite; garanzia che manca nell’uso da parte di soggetti non autorizzati e non investiti della qualifica e delle funzioni che legittimano l’uso stesso. Una parziale deroga potrebbe porsi in modo legittimo per quelle funzioni di accertamento di infrazioni amministrative - pacificamente esercitabili da agenti di polizia amministrativa - ricollegabili alla materia della circolazione dei fuoristrada, potendosi peraltro argomentare che in tali situazioni, ove vige la disciplina dell’ente locale per espressa previsione legislativa ed attribuzione di materia, lo stesso ente locale possa prevedere e disciplinare l’uso di dispositivi atti a rispondere alle “...identiche esigenze di formalizzazione dell’intimazione di fermata” cui sono finalizzati gli strumenti previsti dal codice della strada. In questo senso sono ad esempio i pareri del 27.2.95 della XI Ripartizione “Caccia e Pesca/Agricoltura” della Provincia di Genova, così come il parere espresso il 12.12.94 dall’ufficio Servizi Affari Istituzionali e Legislativi della Regione Liguria. In particolare quest’ultimo parere ha interpretato l’art. 12 del regolamento al codice della strada in senso tassativo ma non esclusivo, ritenendo pertanto legittimo l’uso degli stessi dispositivi in materia di disciplina della circolazione fuoristradistica, da parte soggetti titolari delle funzioni di polizia amministrativa in base ad espressa previsione di legge, come le Guardie Ecologiche Volontarie; l’autorità interpellata ritiene in tal modo di aver interpretato la normativa disciplinante l’uso delle palette di segnalazione in consonanza con quanto espresso dal Consiglio di Stato con il parere n. 2296 del 29.8.94 proprio perché le G.E.V. non sono privati appartenenti ad associazioni volontarie ma organi di polizia amministrativa per espresso riconoscimento di legge regionale (n. 30/90).
Peraltro, se è corretto ritenere che per le funzioni inerenti alla vigilanza sulla disciplina dei fuoristradisti di cui alla L. R. 38/92 sia necessario prevedere l’uso di strumenti formali idonei a rendere ufficiale ed obbligatoria l’intimazione dell’alt, al fine di evitare ogni tipo di confusione sarebbe forse possibile ed opportuno differenziare tali strumenti da quelli disciplinati dal codice della strada, rendendoli chiaramente identificativi della natura della funzione amministrativa svolta e della sua provenienza dall’ente competente per la vigilanza - si possono ipotizzare palette recanti anziché il simbolo dello Stato quello della Provincia o della Regione dai quali funzionalmente dipendono gli agenti cui sia demandato il controllo sul rispetto delle normative locali -. Comunque, anche secondo il parere espresso dalla Provincia di Genova, e ribadito in una recentissima comunicazione datata 18.9.98, non pare ammissibile un uso di tali dispositivi al di fuori delle funzioni per le quali risultano strettamente necessari, quindi per intimare l’alt in operazioni di vigilanza non inerenti la circolazione dei fuoristradisti.
In conclusione, alle guardie particolari giurate appartenenti ad associazioni con finalità di protezione faunistico ambientale può senz’altro riconoscersi la qualifica di agenti di polizia amministrativa per l’accertamento delle infrazioni di cui all’art. 13 della L. 689/81 (cfr. art. 6 c. 13 L.R. Liguria n. 30/90); dovrebbe altresì riconoscersi la qualifica di incaricati di pubblico servizio e non di pubblici ufficiali, in quanto personale funzionalmente dipendente dagli enti delegati della vigilanza sulle materie di rispettiva attribuzione e competenza, peraltro privo di poteri autoritativi od anche certificativi - v. art. 28 c. 5 L. 157/92 ed artt. 6 c. 13 e 10 lett. g) della L.R. Liguria 30/90 -; a meno di non ritenere che, in quanto soggetti incaricati dalla pubblica amministrazione di svolgere attività disciplinate da norme di diritto pubblico ed estrinsecanti la volontà della P.A. con esplicazione di potere discrezionale, le stesse partecipino di poteri autoritativi - più che certificativi - in senso lato, ad esempio nella rilevazione delle infrazioni amministrative e nel potere di identificazione e di ordinare l’esibizione della licenza di caccia di cui all’art. 28 c. 1° L. 157/92; va comunque segnalata la recente pronuncia, specifica rispetto alla materia ambientale, di sez. V, 8.4.97 n. 4898, che riconosce agli agenti venatori la qualifica di pubblici ufficiali, non agenti di p.g., con conseguente ipotizzabilità del reato di cui all’art. 651 c.p. in caso di rifiuto delle proprie generalità, confermante una precedente pronuncia nello stesso senso ci Cass. 26.9.90, Antonelli.
L’uso di dispositivi di segnalazione quali le palette utilizzate per l’intimazione dell’alt agli autoveicoli dovrebbe ritenersi consentito nei limiti della disciplina della circolazione fuoristradistica da parte dei soggetti investiti dalle leggi locali e di settore del potere di vigilanza in materia, ma limitatamente a tali funzioni. Non pare osti alcuna previsione di legge all’utilizzo di strumenti che si differenzino da quelli previsti e disciplinati in modo tassativo dal regolamento al codice della strada, ad esempio nell’indicazione del simbolo dell’ente di appartenenza funzionale - Regione o Provincia - in vece del sigillo dello Stato.