Cass. Sez. III n. 23792 del 18 giugno 2007 (Up 15 mag. 2007)
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Majone
Rifiuti. Deposito temporaneo (requisiti)

A norma del comma 17 dell'articolo 208 del decreto legislativo n 152 del 2006 fatti comunque salvi l'obbligo della tenuta del registro di carico e scarico ed il divieto di miscelazione, non è richiesta alcuna autorizzazione per il deposito temporaneo se vengono rispettate le condizioni previste dall'articolo 183 comma 1 lettera m). Non si può quindi parlare di deposito temporaneo se i rifiuti provengono da luogo diverso da quello di produzione. Il mancato rispetto anche di una sola delle condizioni previste dalla norma dà luogo ad un' attività di gestione dei rifiuti non autorizzata e quindi penalmente
sanzionata

Svolgimento del processo

Con sentenza del 5 maggio del 2006, il tribunale di Salerno, sezione distaccata di Eboli, condannava Majone Gioacchino alla pena di euro 3.000 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche, del reato di cui agli artt. 14 e 51 comma secondo decreto legislativo n. 22 del 1997 per avere, nella qualità di titolare della ditta Caselle Fili, abbandonato rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da materiali derivanti da attività di demolizione e costruzione, pneumatici, parti di polistirolo, buste di latte etichettate” Vallepiana” e rottami ferrosi in un’area di pertinenza dell’azienda. Fatto accertato il 22 febbraio del 2002. Con la medesima sentenza assolveva l’imputato dal reato di cui agli artt. 29 e 59 del decreto legislativo n. 152 del 1999 per l’insussistenza del fatto.

La vicenda nella sentenza impugnata è ricostruita nella maniera seguente:

Il giorno 22 febbraio del 2002, nel corso di un sopralluogo presso l’azienda agricola di allevamento bovini” Caselle Fili”, il cui legale rappresentante era l’odierno imputato, venne constatata la presenza sul suolo dell’azienda di materiale proveniente da lavori edili, pneumatici e materiale ferroso. Si accertò inoltre che da una vasca contenente letame solido, a causa delle acque piovane che nei giorni precedenti avevano interessato l’area, era defluita acqua mista a letame nel canale consortile e da lì nel fiume Sele.

Tanto premesso in fatto, il tribunale osservava che il reato di cui agli artt 29 e 59 del decreto legislativo n. 152 del 1999 non sussisteva trattandosi di scarico occasionale; che era invece palese la responsabilità del prevenuto per il reato di abbandono di rifiuti, in quanto il materiale rinvenuto nell’azienda costituiva sicuramente un rifiuto come era stato confermato anche dalla deposizione del teste Maiorano indicato dallo stesso difensore, il quale aveva riferito che il materiale ferroso era stato stoccato in quell’area nell’attesa di smaltimento.

Ricorre per cassazione l’imputato denunciando:

mancanza di motivazione in ordine alla configurabilità del reato contestato poiché il tribunale non aveva dimostrato la sussistenza di un abbandono; che è concetto diverso dal semplice accantonamento nell’attesa dello smaltimento; inoltre solo una parte dei materiali era, peraltro indirettamente, riconducibile all’attività dell’azienda;

l’erronea applicazione della norma incriminatrice perché l’abbandono non è configurabile allorché i rifiuti siano depositati nell’ambito della stessa azienda in cui vengono prodotti.

 

In diritto

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi. Il ricorrente, da un lato, con il primo motivo sostiene che quel materiale solo indirettamente era riferibile all’attività dell’azienda e comunque non tutto il materiale rinvenuto nell’azienda era riferibile all’attività produttiva e, dall’altro afferma, che non si verifica un abbandono allorché i rifiuti vengono raggruppati nella stessa area in cui siano prodotti, senza considerare che egli stesso aveva ammesso che quel materiale non era riferibile all’attività produttiva dell’azienda e quindi non era stato raggruppato nella stessa area in cui erano stati prodotti. E’ palese la contraddittorietà della tesi difensiva, che è comunque manifestamente infondata.

Invero, a norma dell’articolo 28 comma quinto decreto Ronchi (ora sostituito dal comma 17 dell’articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006), fatti comunque salvi l’obbligo della tenuta del registro di carico e scarico ed il divieto di miscelazione, non era richiesta alcuna autorizzazione per il deposito temporaneo se venivano rispettate le condizioni previste dalla lettera m) dell’articolo 6 decreto citato, ora sostituito dall’articolo 183 comma 1 lettera m) del decreto legislativo n. 152 del 2006. Il deposito temporaneo, secondo la definizione contenuta nell’articolo 6 lettera m) del decreto Ronchi, ribadita con l’articolo 183 lettera m) del decreto legislativo n. 152 del 2006, è costituito da un raggruppamento di rifiuti prima della raccolta effettuato sul luogo di produzione, nel rispetto delle condizioni qualitative, quantitative e temporali, previste dalla citata norma. Non si può quindi parlare di deposito temporaneo se i rifiuti provengono da luogo diverso da quello di produzione. Il mancato rispetto anche di una sola delle condizioni previste dalla norma dà luogo ad un’attività di gestione dei rifiuti non autorizzata e quindi penalmente sanzionata (cfr. Cass. n. 3333 del 2004; 42212 del 2004).

Il deposito effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti vengono prodotti può dare luogo o ad un abbandono che, se effettuato da imprenditori o responsabili di enti, è sanzionato con la stessa pena prevista per la gestione non autorizzata dei rifiuti, o ad un deposito preliminare o stoccaggio nell’attesa dello smaltimento o del recupero. Anche lo stoccaggio però , come attività gestionale dei rifiuti, deve essere autorizzato.

Nella fattispecie il materiale in questione o è stato abbandonato in quel sito dallo stesso prevenuto o è stato ivi depositato da altri con la compartecipazione dello stesso imputato. In entrambe le ipotesi è palese la responsabilità del ricorrente per l’abbandono dei rifiuti. D’altra parte lo stesso accantonamento nell’attesa dello smaltimento, dedotto dal prevenuto peraltro relativamente al solo materiale ferroso, pur non costituendo per le ragioni dianzi esposte un abbandono in senso tecnico, è tuttavia punito con la stessa pena prevista per l’abbandono effettuato da imprenditori o soggetti responsabili di enti giacché costituisce pur sempre una fase della gestione dei rifiuti che è penalmente sanzionata se eseguita, come è avvenuto nella fattispecie, senza le autorizzazioni o comunicazioni previste dalla legge.

L’inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza dei motivi impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata, secondo l’orientamento espresso dalle sezioni unite di questa corte con sentenza n. 32 del 2000, de Luca.

Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in € 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.