Cass. Sez. III n. 17823 del 11 maggio 2012 (Ud. 17 gen. 2012)
Pres. Teresi Est. Fiale Ric. Celano
Rifiuti.  Materiali provenienti da demolizioni

I materiali provenienti da demolizioni rientrano nei novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all'abbandono; l'eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l'obbligo di disfarsi. L'eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti presupposti previsti dalla legge.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 17/01/2012
Dott. LOMBARDI Alfredo M. - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - N. 117
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere - N. 32059/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) CELANO ANTONIO SANTINO N. IL 01/11/1957;
avverso la sentenza n. 379/2009 TRIBUNALE di LAGONEGRO, del 06/04/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/01/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Volpe Giuseppe, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Viceconte Vincenzo, il quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Lagonegro, con sentenza del 6.4.2011, ha affermato la responsabilità penale di Celano Antonio Santino in ordine al reato di cui:
- al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, (per avere - nella qualità di legale rappresentante della s.a.s. "Epo Edil" - abbandonato, in un fondo ove detta società stava edificando un deposito agricolo, rifiuti speciali non pericolosi - acc. in Episcopia, il 31.1.2007);
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di Euro 1.800,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Celano, il quale - sotto il profilo del vizio di motivazione - ha eccepito:
- la erronea qualificazione come "rifiuti" dei materiali rinvenuti dai verbalizzanti, poiché l'area in cui essi erano stati depositati era interessata da un cantiere edilizio per la costruzione di un deposito agricolo e gli stessi consistevano in residui da demolizione destinati al reimpiego per l'esecuzione delle opere in corso. Si tratterebbe, dunque, di "materia prima secondaria" anche in base alle disposizioni contenute nell'allegato "C" della circolare n. 5205 del Ministero dell'ambiente pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 171 del 25.7.2005 (secondo le conclusioni formulate dal consulente tecnico della difesa), con percentuale del materiali diversi dal pietrame molto inferiore all'1%.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato.
1. Deve evidenziarsi, anzitutto, che - nella fattispecie in esame - i verbalizzanti hanno riscontrato l'ammasso alla rinfusa, nell'area di cantiere, di circa 200 mc. non soltanto di pietrame proveniente da demolizione ma anche di materiali consistenti in residui di impianti igienico-sanitari e di impianti elettrici divelti, frammisti ad elementi ferrosi e legnosi vari e pure ad indumenti dismessi e pneumatici usurati.
2. Ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 184, comma 3, lett. b), - sono rifiuti speciali "i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione ...".
In relazione ai residui delle attività di demolizioni edili e del loro reimpiego, questa Sezione:
- in alcune decisioni ha ritenuto possibile il loro riutilizzo, nello stesso od in diverso ciclo produttivo, solo quale attività di recupero (così Cass., Sez. 3: 9.7.2004, n. 30127, Piacentino;
15.6.2005, n. 22511, Venticinque);
- con le sentenze 9.10.2006, n. 33882, Barbati; 12.12.2006, n. 40445, Bisogno; 5.4.2007, n. 14185, Brugnera, ha rilevato che il materiale proveniente da demolizioni non può qualificarsi "materia prima secondaria", ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 161, commi 6 e 13;
- con la sentenza 7.4.2008, n. 14323, ha affermato il principio secondo il quale i materiali di risulta da demolizione di edifici e scavi di cantiere possono essere qualificati "sottoprodotti", ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. n), soltanto a condizione che:
- il loro utilizzo sia certo e avvenga direttamente ad opera dell'azienda che li produce;
- gli stessi materiali non vengano sottoposti a trasformazioni preliminari;
- l'utilizzazione non comporti condizioni peggiorative per l'ambiente o la salute;
- con la sentenza 29.4.2011, n. 16727 ha recentemente ribadito che i materiali provenienti da demolizioni rientrano nel novero dei rifiuti in quanto oggettivamente destinati all'abbandono; l'eventuale recupero è condizionato a precisi adempimenti, in mancanza dei quali detti materiali vanno considerati, comunque, cose di cui il detentore ha l'obbligo di disfarsi. L'eventuale assoggettamento di detti materiali a disposizioni più favorevoli che derogano alla disciplina ordinaria implica la dimostrazione, da parte di chi lo invoca, della sussistenza di tutti presupposti previsti dalla legge. 3. Nella vicenda in esame i residui in oggetto non possono essere considerati "materia prima secondaria" secondo la disciplina progressivamente vigente a decorrere dall'entrata in vigore dei D.Lgs. n. 152 del 2006.
3.1 Il cit. D.Lgs., art. 181, comma 6, (nella formulazione originaria) prevedeva la possibilità di ottenere materie prime secondarie attraverso attività di recupero - in attesa dell'emanazione di uno specifico decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio - rinviando alle disposizioni previste dal D.M. 5 febbraio 1998 e disponendo che materie siffatte fossero sottoposte al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti, purché avessero le caratteristiche indicate da quel decreto ministeriale e fossero "direttamente destinate in modo aggettivo ed effettivo all'impiego in un ciclo produttivo".
Nella vicenda che ci occupa la previsione normativa in oggetto non è applicabile, poiché non risulta che gli eterogenei materiali rinvenuti fossero direttamente destinati in modo oggettivo ed effettivo all'impiego in un ciclo produttivo. Essi, inoltre, non costituivano il risultato di una operazione in recupero giunta al suo completamento, come richiesto dall'originario art. 181, comma 12. 3.2 Il D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 ha modificato l'art. 181 (il cui testo è stato sostituito, da ultimo, dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 7) e nell'art. 181 bis, di nuova introduzione, aveva fissato requisiti e condizioni che dovevano sussistere perché un materiale potesse essere considerato non un rifiuto ma una materia prima secondaria.
Alla stregua di quella normativa:
- doveva trattarsi di materie e sostanze prodotte da un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;
- dovevano essere individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si potessero produrre;
- dovevano essere individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producevano, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse;
- dovevano essere precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l'immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l'utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all'ambiente - e alla salute derivanti dell'utilizzo o dal trasporto;
- le materie e sostanze dovevano avere un effettivo valore economico di scambio sul mercato.
Anche in relazione a tali disposizioni i materiali in oggetto non potevano essere considerati materia prima secondaria, già sul rilievo che essi non risultavano prodotti "da un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti".
3.3. L'art. 181 bis è stato poi abrogato dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 39, comma 3, che ha rinnovato ed innovato la disposizione del l'art. 184 quater, restando superata la definizione di materia prima secondaria a fronte di una chiara fissazione delle condizioni che, ove sussistenti, fanno cessare, per un materiale sottoposto ad attività di recupero, la qualità di rifiuto. Presupposti essenziali sono da individuarsi, in ogni caso:
- nella sottoposizione del rifiuto ad un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo;
- nella sussistenza di un mercato e di una domanda del materiale recuperato (con conseguente attribuzione di un valore economico) e nella riammissione dello stesso in un ciclo produttivo tipico;
- nella rispondenza del materiale recuperato a requisiti tecnici e standard specifici;
- nella insussistenza di impatti negativi sull'ambiente e sulla salute umana.
In relazione al regime attualmente vigente non risulta effettuata - nella vicenda che ci occupa - alcuna attività di recupero (da condursi nel rispetto di quanto previsto dai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 162 e 17 novembre 2005, n. 269), neppure rivolta alla mera verifica della sussistenza dei presupposti dianzi indicati da parte di un soggetto autorizzato a compiere le operazioni di recupero.
4. Per completezza espositiva appare opportuno evidenziare che i residui in oggetto neppure appaiono riconducigli al regime eccettuato previsto per i "sottoprodotti".
Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. n), nella formulazione originaria, definiva sottoprodotti "i prodotti dell'impresa che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo", precisando che non erano soggetti alle disposizioni della parte quarta i sottoprodotti "impiegati direttamente dall'impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l'impresa stessa direttamente per il consumo o per l'impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo" e che l'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale".
Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. p), (come riscritto dal D.Lgs. n. 4 del 2008, art. 2, comma 20) qualificava come sottoprodotti "le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell'art. 183, comma 1, lett. a), che soddisfano tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nei corso dei processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfano requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato". Alla stregua di entrambe le definizioni fissate dalla normativa anzidetto non risulta dimostrato, nella vicenda che ci occupa, (ad esempio, attraverso specifica ed espressa previsione nel progetto autorizzato con il titolo abilitativo edilizio) - che i residui da demolizione fossero destinati, sin dalla fase della loro produzione, al preventivamente individuato integrale riutilizzo per riedificazione, senza trasformazioni preliminari e senza compromissione della qualità ambientale.
In relazione poi alla (terza) definizione di "sottoprodotto" posta dall'attuale D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis (aggiunto dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 12, comma 1) va rilevato che l'utilizzo dei materiale in un nuovo ciclo produttivo deve essere certo fino dai momento detta sua produzione, mentre nella specie in esame non è dimostrata una preventiva organizzazione alla riutilizzazione, configurandosi piuttosto un utilizzo meramente eventuale e non integrale degli eterogenei materiali rinvenuti nel cantiere conseguente ad un'attività di produttore non industriale rivolta sostanzialmente a disfarsi degli stessi.
5 - Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 086 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2012