Cass. Sez. III n. 35588 del 29 agosto 2016 (Ud 10 mag 2016)
Pres. Rosi Est. Aceto Ric. Caponi
Rifiuti.Materie fecali provenienti da attività di trasporto bestiame

Non sono escluse dal novero dei rifiuti le materie fecali che non provengono da attività agricola ma da attività di trasporto bestiame per conto terzi e che certamente non sarebbero state riutilizzate nella medesima attività (che agricola non era).

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 11/04/2011 il Tribunale di Assisi ha dichiarato il sig. C.C. colpevole del reato di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a), commesso in (OMISSIS), e lo ha condannato alla pena di 1.800,00 Euro di ammenda.

1.1.Si contesta all'imputato, quale titolare dell'omonima impresa individuale esercente attività di trasporto di animali vivi per conto terzi che gestiva anche una stalla di sosta per il ricovero degli animali vivi trasportati da un luogo di allevamento all'altro oppure verso i siti di macellazione, di avere illecitamente smaltito la frazione solida dei reflui liquidi provenienti dalle deiezioni animali (per lo più bovini e suini) ovvero dalla pulizia delle stalle di sosta e dei camion utilizzati per il trasporto.

1.2.In particolare, secondo il Tribunale, l'impresa produceva rifiuti di origine zootecnica classificati con il codice CER 02 01 06 (lettiere, paglia, escrementi solidi e liquidi) ma mentre i reflui liquidi venivano conferiti regolarmente al depuratore comunale, la gestione della frazione solida era ambigua e certamente non documentata, sicchè non era dato sapere (almeno documentalmente) se e come fossero smaltiti.

1.3.Quand'anche, secondo quanto sostenuto dalla difesa, fossero destinati a pratiche agronomiche, ciò nondimeno - ha affermato il Tribunale - tale pratica non era documentata e doveva pertanto ritenersi illecita.

2.Per l'annullamento della sentenza ricorre per Cassazione l'imputato che, con due motivi, eccepisce l'inosservanza del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 185 e 256, (primo motivo) e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione dei reflui zootecnici utilizzati per la pratica della fertirrigazione (secondo motivo).

Citando giurisprudenza di questa Corte deduce che:

2.1.ai reflui zootecnici che risultino direttamente connessi all'attività agricola o che siano esclusivamente ed integralmente destinati alla concimazione del fondo agricolo mediante sversamento non si applica la disciplina della parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006, e ciò a prescindere dalla documentazione della relativa attività, in ossequio ad un principio di effettività che si basa sul dato oggettivo dell'utilizzazione del rifiuto;

2.2.a norma dell'art. 185, D.Lgs. n. 152, cit., le materie fecali non sono considerate rifiuti se riutilizzate nella normale pratica agricola e di conduzione dei fondi;

2.3.1e disposizioni in materia di fertirrigazione hanno una portata derogatoria più ampia sia perchè ricomprendono anche la miscela di lettiera e la deiezione di bestiame, anche sotto forma di prodotto trasformato, perchè non richiedono che gli effluenti provengano dalla medesima attività agricola in cui sono utilizzati (e, anzi, nemmeno da un'attività agricola vera e propria), nè particolari forme di irrigazione;

2.4.nel caso di specie è stato accertato che la frazione solida dei rifiuti veniva utilizzata per la concimazione dei terreni di una vicina azienda agricola, attività che il Tribunale ha ritenuto illecita sol perchè non documentata.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile perchè generico e manifestamente infondato.

4.Secondo il consolidato principio di questa Suprema Corte, le materie fecali sono escluse dalla disciplina dei rifiuti di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006 a condizione che provengano da attività agricola e che siano effettivamente riutilizzate nella stessa attività (Sez. 3, n. 37548 del 27/06/2013, Rattenuti, Rv. 257686, nonchè l'ulteriore giurisprudenza in essa richiamata; Sez. 3, n. 8890 del 10/02/2005, Gios, Rv. 230981; Sez. 3, n. 37405 del 24/06/2005, Burigotto, Rv. 232355; si veda altresì, Sez. 3, n. 36363 del 10/07/2008, Galli, Rv. 241035).

4.1.Come ricordato dalla sentenza Sez. 3, n. 5044 del 17/01/2012, n.m. (citata dal ricorrente a supporto della propria tesi difensiva), "è stato sempre costante nel tempo il riferimento alla provenienza, alle caratteristiche ed alla successiva utilizzazione delle materie fecali, cosicchè tali peculiarità risultano determinanti ai fini dell'esclusione o meno dal novero dei rifiuti", e ciò anche nell'originaria formulazione dell'art. 185, D.Lgs. n. 152, cit., vigente fino al 12 febbraio 2008, che escludeva, alla lett. e) "le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed interaziendali agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente patogeni dei materiali di partenza".

4.2.Orbene è pacifico, nel caso in esame, che le materie fecali non provengono da attività agricola ma da attività di trasporto bestiame per conto terzi e che certamente non sarebbero state riutilizzate, secondo la stessa deduzione difensiva, nella medesima attività (che agricola non era).

4.3.Quanto alla dedotta utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, osserva la Corte che le deiezioni animali oggetto di successiva utilizzazione non provenivano da un allevamento ma dalla pulizia dei camion utilizzati per il trasporto degli animali e dalle stalle di sosta utilizzate - secondo quanto risulta dalla sentenza - in modo occasionale.

4.4.In ogni caso non è sufficiente la generica deduzione secondo la quale essi venivano utilizzati come concime da un'azienda agricola vicina, poichè quel che rileva ai fini della sottrazione delle deizioni animali dalla normativa sui rifiuti è che tale utilizzazione avvenga nel rispetto delle condizioni di liceità indicate dal D.M. 7 aprile 2006 (oggi sostituito dal D.M. 25 febbraio 2016) e della normativa regionale (Sez. 3, n. 9104 del 15/01/2008, Manunta, Rv. 238997), altresì postulando, la pratica della fertirrigazione, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonchè l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione (Sez. 3, n. 40782 del 06/05/2015, Valigi, Rv. 264991).

4.5.L'onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell'utilizzazione agronomica degli effluenti ricade su colui che ne invoca l'applicazione, secondo un principio generale applicato da questa Corte in tema di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 182, comma 6 bis, primo e secondo periodo, (Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini, Rv. 265839), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio, Rv. 262159), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 258, comma 15 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini, Rv. 258860), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone, Rv. 244784).

4.6.Nel caso di specie non è chiaro cosa sia stato effettivamente oggetto di utilizzazione agronomica (o fertirrigazione, sul punto l'imputato opera una confusa sovrapposizione delle due diverse tecniche di utilizzazione in agricoltura degli affluenti di allevamento), tanto più che - come ben spiegato dal Tribunale è incerta la sorte della frazione solida delle deiezioni animali e non quella liquida e che tale attività sarebbe stata svolta in totale assenza quantomeno della comunicazione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 112, ordinariamente dovuta salvo eccezioni in questo caso nemmeno ipotizzate.

7. La inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare cause di estinzione del reato, quale la prescrizione, verificatesi successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata. Alla detta declaratoria consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1500,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2016.