Cass. Sez. III n. 27135 del 30 giugno 2015 (Ud 22 apr 2015)
Pres. Mannino Est. Mengoni Ric. Corrieri
Rifiuti. Miscelazione e oneri del gestore dell'impianto di discarica

1. La miscelazione di rifiuti consiste nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, sì da dare origine ad una miscela per la quale non è previsto uno specifico codice identificativo.  
2. In tema di gestione di rifiuti, l'onere del gestore dell'impianto di discarica di verificare la corrispondenza, alla tipologia risultante dal formulario, del rifiuto effettivamente conferito, va assolto con tutti i mezzi idonei, non potendo essere limitato ad una comparazione meramente visiva

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24/9/2014, la Corte di appello di Trieste confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Pordenone il 5/6/2013, con la quale C.S. era stato condannato - con rito abbreviato - alla pena di un anno di arresto e 6.000 Euro di multa; allo stesso era ascritta la violazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, commi 1 e 5, per aver - quale legale rappresentante della "Marchigiana Rottami s.r.l." - effettuato senza autorizzazione attività di gestione di rifiuti pericolosi (con concentrazioni di arsenico superiori al consentito), nonchè attività di miscelazione degli stessi con altri rifiuti pericolosi (provenienti dal trattamento dei tubi a raggio catodico) e non pericolosi.

2. Propone più che diffuso ricorso per cassazione il C. - a mezzo dei propri difensori - deducendo plurime doglianze ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, tutte riconducibili alla violazione di legge, al travisamento del fatto e alla carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, che peraltro viene confrontata - passo per passo, in modo "chirurgico" - con quella di primo grado. In estrema sintesi, la Corte di appello avrebbe confermato il giudizio di responsabilità a carico del ricorrente pur non sussistendo alcuna prova - o, quantomeno, prova adeguata - in ordine ad entrambe le contravvenzioni contestate; ed invero 1), quanto al capo a), la sentenza avrebbe travisato il pronunciamento del primo Giudice e, con argomentazione illogica, avrebbe affermato che il G. aveva svolto un'attività di gestione rifiuti pericolosi invero mai riscontrata; 2) quanto al capo c) (sul quale prevalentemente si diffonde il gravame), la Corte di merito sarebbe giunta a conclusioni apodittiche ed indimostrate, assumendo un'avvenuta miscelazione tra vetri pericolosi e non pericolosi invero mai accertata e, anzi, smentita dalla completa assenza di prova circa eventuali materie prime secondarie - il presunto prodotto della miscelazione - realizzate con tale indebita mescolanza. La quale condotta, peraltro, sarebbe stata ritenuta in forza di mere illazioni, nonchè di travisamento probatorio, quale il presunto (mero) addossamento di cumuli di rifiuti - pericolosi e non - tale da produrre, a giudizio della Corte, una "inevitabile" confusione degli stessi, sufficiente nell'ottica della contravvenzione sub c); circostanza di fatto, invero, in sè irrilevante, specie considerando che - contrariamente a quanto affermato in sentenza - il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 187 punisce solo la miscelazione di rifiuti con caratteristiche di pericolosità differenti, quel che non sarebbe stato provato nel caso di specie. Di seguito, il Corrieri eccepisce 1) l'intervenuta estinzione per prescrizione dei reati; 2) l'assenza dell'elemento psicologico sotteso agli stessi; 3) la surrettizia modifica dell'imputazione di cui al capo c) operata in secondo grado;

4) la sussistenza di un contesto probatorio tale da far quantomeno sorgere il ragionevole dubbio circa la colpevolezza; 5) l'eccessività del trattamento sanzionatorio, del quale, lungo ben 9 pagine, si censura anche l'infondatezza dei presupposti ed illogicità della motivazione; 6) la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, sostenuta da argomenti fallaci e da indimostrati giudizi di pericolosità e capacità criminale del C., oltre che da una prognosi negativa del tutto infondata, specie a distanza di diversi anni dalle contestazioni.

In data 4/4/2015 il difensore ha depositato nuovi motivi di ricorso, invero relativi alle medesime questioni sopra richiamate, con eccezione di quello inerente alla causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p..


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).

In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell'atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).

Questa conclusione, peraltro, non muta a fronte del vigente testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, che invero non ha trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione; la stessa, pertanto, non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti, ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Del pari, il ricorrente non può limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, ma deve indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Al riguardo, avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" costituisce il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione. In altri termini, vi è "travisamento della prova" quando il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato); del pari, può essere valutato se vi erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. In sintesi, detto travisamento è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, n. 18542 del 21/1/2011, Carone, Rv. 250168). Fermo però restando - occorre ancora ribadirlo - che non spetta comunque a questa Corte Suprema "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito (in questi termini, tra le molte, Sez. 3, n. 5478 del 05/12/2013, Ferraris, Rv. 258693; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 27/2/2013, Maggio, Rv. 255087).

Se questa, dunque, è l'ottica ermeneutica nella quale deve svolgersi il giudizio della Suprema Corte, le censure che il ricorrente muove al provvedimento impugnato in punto di responsabilità si evidenziano come manifestamente infondate; ed invero, lo stesso, dietro la formale deduzione di violazioni di legge o di vizi motivazionali, di fatto sollecita al Collegio di legittimità una nuova ed alternativa lettura delle medesime risultanze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito (in particolare, esiti degli accertamenti della polizia giudiziaria; tipologia dei diversi rifiuti rinvenuti; loro precisa allocazione nell'area della "Marchigiana Rottami"; concreta mescolanza tra gli stessi, pericolosi e non; fotografie in atti; contenuto della nota di p.g. del 12/1/2011), invocandone un'interpretazione più favorevole.

Quel che, come sopra indicato, non è consentito in questa sede.

Il gravame, peraltro, oblitera sul punto che la motivazione stesa dalla Corte di appello per confermare il giudizio di colpevolezza risulta del tutto coerente, logica, fondata sulle emergenze istruttorie e priva di qualsivoglia contraddizione; ciò, peraltro, anche integrando gli argomenti sviluppati dal primo Giudice, in aderenza al costante indirizzo di legittimità in forza del quale, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (per tutte, Sez. 3, n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv. 257595).

Esattamente come nel caso di specie.

In particolare, la Corte di appello ha innanzitutto evidenziato che, presso la "Marchigiana Rottami", erano stati pacificamente rinvenuti rifiuti in vetro pericolosi (vetro artistico con concentrazioni in composti di arsenico superiori ai limiti di legge e vetro costituito dal retro del tubo catodico dei televisori dismessi) e non pericolosi; precisando che, in ordine ai primi, l'impianto non aveva alcuna autorizzazione al trattamento. Di seguito, la sentenza ha richiamato gli esiti delle analisi compiute dall'A.r.p.a.v., che - con riguardo ai vetri artistici - ha concluso per una presenza di composto a base di arsenico per 1.200 mg/kg, superiore al limite di legge di 1.000 mg/kg; sul punto, peraltro, la Corte ha respinto la censura di inaffidabilità tecnica della verifica, rilevando, con argomento logico e non censurabile, che il dato comunicato dall'ARPAV evidenzia il superamento del valore limite di ben 1/5, non suscettibile certo di riduzione in forza della compiuta miscelazione con altri rifiuti, pericolosi e non, e quindi al più approssimato per difetto (che, all'evidenza, diminuisce la concentrazione).

Ancora, la Corte di merito ha richiamato la documentazione prodotta in appello dalla difesa (una relazione tecnica relativa ad analogo procedimento pendente per rifiuti rinvenuti in altro stabilimento della "Marchigiana Rottami"), sottolineandone l'irrilevanza alla luce 1) della non sicura assimilabilità al caso di specie, "perchè si ignora se i rottami esaminati in quella sede siano uguali a quelli rinvenuti nell'impianto di (OMISSIS)", 2) della possibile pericolosità, o meno, dello stesso rifiuto vitreo, a seconda delle concentrazioni di sostanze rinvenute.

Con tale logica motivazione, che si sottrae ad ogni censura qui proposta, il Collegio di appello ha quindi ravvisato la responsabilità del Corrieri in ordine alla contravvenzione sub a), pur evidenziando che - per palese omissione - la stessa ha ad oggetto soltanto i rifiuti vitrei provenienti da vetrerie artistiche e non anche quelli provenienti da tubo catodico Con riguardo al capo c) dell'imputazione, poi, la sentenza ha confermato che il ricorrente aveva illecitamente mescolato rifiuti pericolosi (entrambe le tipolgie di cui sopra, stavolta) e non pericolosi; anche sul punto, la motivazione appare congrua ed immune da vizi, atteso che la Corte di merito ha richiamato sia riscontri istruttori che argomenti logici.

Quanto ai primi, la sentenza ha sottolineato che le fotografie in atti ben evidenziavano cumuli di questi rifiuti non sperati l'un l'altro ma addossati, sì da creare, inevitabilmente, "zone in cui i vetri di un cumulo sono mescolati con quelli del cumulo adiacente";

in sintesi, le immagini "dimostrano che i materiali erano stoccati senza alcuna precauzione che impedisse il mescolamento delle diverse tipologie di rottame". Orbene, con tale argomento ha aderito al costante indirizzo di legittimità in forza del quale la miscelazione di rifiuti consiste nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, sì da dare origine ad una miscela per la quale non è previsto uno specifico codice identificativo (per tutte, Sez. 3, n. 19333 dell'11/3/2009, Cantatore, Rv. 243757, relativa ad un caso in cui si era accertato che alcuni spazi erano occupati non solo da materiale ferroso proveniente dalla demolizione di autoveicoli, attività per la quale l'imputato era autorizzato, ma anche da rifiuti ferrosi e non, di altro tipo, quali ad esempio, vasche da bagno, termosifoni, elettrodomestici ecc; tale accatastamento di vari rifiuti e la presenza di tracce di diversi liquidi dimostrava la configurabilità del reato posto che si erano comunque mescolati rifiuti anche pericolosi aventi codici identificativi diversi).

Il secondo argomento speso al riguardo dalla Corte - di natura logica - è invece legato all'attività svolta dal ricorrente, quale la realizzazione di materie prime secondarie da cedere alle fonderie per Sa produzione di manufatti in vetro; in particolare, la sentenza ha affermato che "i rifiuti pericolosi trovati nell'impianto non erano soggetti a smaltimento separato, ma confluivano nella produzione delle MPS da destinare alle fonderie del vetro, di talchè, posto che il prodotto finito doveva rispettare certi parametri, evidentemente le eccessive concentrazioni in composti di arsenico e piombo rilavante dall'ARPAV erano "annacquate" dalla miscelazione con residui di vetro non pericolosi".

Due considerazioni - queste che precedono - ispirate alle risultanze istruttorie ed a convincenti criteri logici, adeguate e coerenti, in forza delle quali la Corte ha quindi concluso per l'inverosimiglianza di qualsivoglia ipotesi alternativa a quella contenuta nella contestazione sub e); ipotesi invero formulata dal ricorrente in questa sede (pagg. 22-23), ma insuscettibile di verifica perchè implicante una nuova valutazione istruttoria e, soprattutto, basata su una mera illazione (il Corrieri avrebbe prodotto m.p.s. che rispettavano i limiti massimi per la classificazione, eventuale, di rifiuto pericoloso e non, ma non quelli quantitativi più stringenti previsti dal D.L. 5 febbraio 1998 per l'accettazione in fonderia, come accertato su un campione).

4. Il ricorso è manifestamente infondato anche con riguardo all'elemento soggettivo delle contravvenzioni.

La sentenza impugnata lo individua, ancora con argomento non censurabile, nell'atteggiamento colposo tenuto dal C., il quale non aveva verificato - compiendo precise analisi - l'eventuale presenza di sostanze pericolose nei rifiuti; in tal modo, quindi, la Corte di merito ha aderito al costante indirizzo di legittimità in forza del quale, in tema di gestione di rifiuti, l'onere del gestore dell'impianto di discarica di verificare la corrispondenza, alla tipologia risultante dal formulario, del rifiuto effettivamente conferito, va assolto con tutti i mezzi idonei, non potendo essere limitato ad una comparazione meramente visiva (per tutte, Sez. 3, n. 36818 del 14/6/2011, Bonato ed altri, Rv. 251033). Del pari, la pronuncia sottolinea che il ricorrente non aveva adottato alcuna misura volta ad impedire il mescolamento di rifiuti, sì da ravvisarsi la colpa anche in ordine alla contravvenzione di cui al capo e).

A ciò si aggiunga, peraltro, che la censura mossa sul punto nel presente ricorso non riguarda tanto l'argomento appena richiamato, quanto la parte del capo c) della rubrica che sembra contenere un dolo specifico invero non previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 5; orbene, osserva la Corte che, anche al riguardo, la motivazione stesa dal Collegio di merito non patisce rilievi, atteso che - ribadita la natura contravvenzionale del reato - assegna alla locuzione il logico senso di "meglio evidenziare forse i motivi a delinquere, non certo per introdurre una più rigorosa visione dell'elemento soggettivo". E con l'ulteriore, decisiva considerazione per cui, a prescindere dalla lettera del capo in esame, alcun dolo specifico è stato mai oggetto di istruttoria o di valutazione in sentenza.

5. Manifestamente infondato è anche il motivo che vorrebbe estinte per prescrizione entrambe le condotte. Ed invero, premesso che la contestazione mossa nei due capi è fissata al 25/2/2010, data del sopralluogo della p.g.; ciò premesso, la diversa (ed anticipata) indicazione fornita nel ricorso (29/4/2009) non è suscettibile di alcuna verifica in questa sede, perchè fondata su materiale istruttorie non accessibile alla Corte di legittimità e non citato nella sentenza impugnata.

6. Il ricorso, di seguito, risulta del tutto infondato anche in ordine alle censure in punto di trattamento sanzionatorio e di sospensione condizionale ex art. 163 c.p..

La Corte di appello, rispondendo alla medesima questione, ha infatti redatto ancora una motivazione logica e congrua, evidenziando, quanto alla pena, 1) l'elevato grado di colpa in capo al Corrieri, "che non ha mai fatto eseguire analisi dei rifiuti conferito al fine di accertarne l'eventuale pericolosità"; 2) i precedenti penali, anche specifici; 3) che la sanzione è stata contenuta (9 mesi di arresto e 4.500 Euro di ammenda per ciascuna violazione) ed è assai lontana dal massimo edittale (compreso tra 6 mesi e 2 anni di arresto e tra 2.600 e 26.000 Euro di ammenda), sì da non imporre un elevato onere motivazionale (nel caso di specie, peraltro, comunque adempiuto).

Quanto, poi, alla mancata sospensione condizionale della pena, il Collegio di merito ha richiamato ancora i precedenti specifica a carico del ricorrente, al pari di quelli non specifici, così giustificando - con argomento adeguato e logico - la mancata prognosi favorevole sulle future condotte dello stesso; in tal modo, quindi, la sentenza ha aderito al costante indirizzo di legittimità in forza del quale, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell'art. 133 c.p., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (per tutte. Sez. 3, n. 30562 del 19/3/2014, Avveduto, Rv. 260136).

7. Da ultimo, il motivo inerente alla causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., come introdotta dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28; la stessa doglianza deve ritenersi inammissibile. Ed invero, e preclusa in questa sede qualsivoglia valutazione nel merito, osserva la Corte che già la contestazione di due distinte condotte della stessa indole impedisce in radice la configurabilità dell'ipotesi in oggetto, espressamente previsto dal cit. art. 131 bis c.p., comma 3.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015.