Cass. Sez. III n. 45974 del 12 dicembre 2011 (Ud.27 ott. 2011)
Pres.Mannino Est.Teresi Ric.Spagnuolo
Rifiuti.Legale rappresentante della ditta sulla cui area i rifiuti risultano abbandonati o depositati in modo incontrollato

Il legale rappresentante di una ditta, proprietario di un'area su cui terzi depositino in modo incontrollato rifiuti, è penalmente responsabile dell'illecita condotta di questi ultimi in quanto tenuto a vigilare sull'osservanza da parte dei medesimi delle norme in materia ambientale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio - Presidente - del 17/10/2011
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - rel. Consigliere - N. 2240
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 3904/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Spagnuolo Laura, nata a Roma il 22.08.1951;
avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Trieste in data 28.09.2010 che ha confermato la condanna alla pena di mesi 4 d'arresto Euro 2.000 di ammenda inflittale nel giudizio di primo grado per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1;
Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
Sentito il PM nella persona del PG dott. GAETA Pietro, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
Sentito il difensore del ricorrente, avv. RUSSO Maria Grazia, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
OSSERVA
Con sentenza in data 28.09.2010 la Corte d'Appello di Trieste confermava la condanna alla pena dell'arresto e dell'ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a Spagnuolo Laura per avere, quale legale rappresentante di una s.n.c., istituito un deposito incontrollato di rifiuti costituiti da 22 veicoli fuori uso contenenti oli minerali esausti, ai sensi del D.Lgs. n. 209 del 2003, art. 3, comma 2, lett. a) e d) nonché da un telaio di autoveicolo fatto accertato in Grosseto il 9.02.2006.
In particolare, essendo stato accertato dagli ispettori forestali che i veicoli, inizialmente avvistati nell'area antistante al capannone della società amministrata dall'imputata, si presentavano in stato d'abbandono, i giudici di merito avevano qualificato le vetture, che venivano sottoposte a rilievi fotografici, come rifiuti stante che erano in stato di degrado; che alcune di esse erano prive di parti meccaniche, con la carrozzeria divorata dalla ruggine e in parte coperte di foglie e di terriccio e, quindi, in evidente stato d'abbandono.
Doveva perciò escludersi trattarsi di auto d'epoca come asserito dal marito della Spagnuolo.
Proponeva ricorso per cassazione l'imputata denunciando violazione di legge e mancanza di motivazione;
- sulla configurabilità del reato poiché tutte le vetture avevano interesse storico-collezionistico ed erano conservate in modo adeguato anche al fine di ottenere pezzi di ricambio, come confermato dal teste Gasparini;
- sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato poiché essa reputava incolpevolmente che il proprio marito potesse lecitamente conservare in spazi aperti della società veicoli d'interesse storico per fini di restauro o per trame ricambi.
Chiedeva l'annullamento della sentenza.
Il ricorso è manifestamente infondato perché censura con rilievi sganciati dalle emergenze processuali e in punto di fatto la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi a carico dell'imputata e confutata ogni obiezione difensiva. Il primo motivo censura, senza alcun fondamento, la configurabilità del reato con l'asserzione che i veicoli sopraindicati fossero lecitamente depositati in quanto auto d'epoca aventi valoro storico- collezionistico.
Corretta, invece, è la qualifica dei materiali rinvenuti sull'area di pertinenza della società rappresentata dall'imputata come rifiuti, trattandosi di un deposito di auto fuori uso che si presentavano in evidente stato d'abbandono D.Lgs. n. 209 del 2003, art. 3, comma 3, lett. d), come accertato dagli operanti che hanno descrivendo lo stato d'abbandono dei veicoli e effettuato rilievi fotografici acquisiti agli atti.
Tale compendio probatorio porta all'esclusione del dedotto vizio di motivazione poiché questo sussiste, secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte, allorquando l'iter argomentativo che ha condotto alla decisione si dimostri incompleto, avulso dalle risultanze di causa, privo del necessario rigore, non già quando il giudice ha valutato gli elementi probatori in difformità alla ricostruzione dei fatti proposta dalla parte, alla quale non è consentito trasformare in maniera surrettizia il controllo di legittimità sul provvedimento impugnato in un giudizio di merito. Il motivo sull'elemento soggettivo del reato è inammissibile perché contesta in fatto il giudizio sfavorevole all'imputato effettuata dal Tribunale con congrua motivazione.
Infatti, in tema di rifiuti, la responsabilità per l'attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell'azienda cfr. Cassazione Sezione 3^ n. 47432/2003 RV. 226868.
Pertanto, in applicazione di tali principi correttamente è stata ritenuta la responsabilità del legale rappresentante dell'area su cui erano abbandonati in modo incontrollato i rifiuti, tenuta a vigilare che altri osservassero le norme ambientalistiche in tema di formazione di un deposito incontrollato in assenza delle prescritte autorizzazioni.
La manifesta infondatezza del ricorso comporta l'onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma che va equitativamente fissata in Euro 1.000.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 27 ottobre 2011. Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011