Consiglio di Stato Sez. II n. 2255 del 7 marzo 2024
Rifiuti.Gestione ed economia circolare

La vigente normativa in tema di gestione dei rifiuti urbani si colloca nel più ampio quadro della strategia europea in materia di rifiuti (segnata, da ultimo, dal regolamento UE 2020/852 del 18 giugno 2020), i cui obiettivi principali sono, non solo la riduzione al minimo dell’impatto negativo derivante dalla produzione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente, ma soprattutto la graduale transizione del sistema economico da un modello di sviluppo lineare e dissipativo delle risorse ambientali ad uno «circolare». L’«economia circolare» impone, sia di tornare ad utilizzare quello che si è già usato, in modo da diminuire l’«impronta ambientale» (criterio che misura la porzione di terra e di mare necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana) di ciò che viene immesso al consumo o prodotto, sia di progettare prodotti in modo tale che essi, al momento di trasformarsi in rifiuti organici a seguito di trattamento in appositi impianti, riportino nell’ambiente elementi che ne migliorino le qualità. Le politiche di sostenibilità ambientale (di cui i rifiuti sono un aspetto fondamentale) hanno ricevuto una specifica base costituzionale con la legge di riforma 11 febbraio 2022 n. 1. L’art. 41 Cost. (in combinato con l’art. 9 Cost.), nell’accostare dialetticamente la tutela dell’ambiente con il valore dell’iniziativa economica privata, segna il superamento del bilanciamento tra valori contrapposti all’insegna di una nuova assiologia compositiva, per cui lo sviluppo economico deve integrarsi con la necessità di preservare il primo. L’intervento pubblico si giustifica oggi, non solo in termini negativi (affinché si produca senza inquinare: art. 41, comma secondo), ma anche proattivi, nella direzione della conformazione ecologica della politica industriale (art. 41, comma terzo).


Pubblicato il 07/03/2024

N. 02255/2024REG.PROV.COLL.

N. 05485/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5485 del 2023, proposto da
SOCIETÀ ITALCAVE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giampaolo Sechi, Vittorio Triggiani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Placidi s.r.l. in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;

contro

REGIONE PUGLIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Tiziana Teresa Colelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
AGENZIA TERRITORIALE DELLA REGIONE PUGLIA PER IL SERVIZIO DI GESTIONE DEI RIFIUTI (AGER), non costituita in giudizio;
AUTORITÀ DI REGOLAZIONE PER ENERGIA RETI E AMBIENTE (ARERA), MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA SICUREZZA ENERGETICA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

DAISY S.R.L., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Prima, n. 627 del 2023


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia, dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente e del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2023 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Giampaolo Sechi, Tiziana Teresa Colelli e Giorgio Santini per l’Avvocatura dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.‒ I fatti rilevanti ai fini del decidere possono essere così sintetizzati:

- la società ITALCAVE s.p.a. (di seguito anche: la ‘Società’) è titolare di un impianto di smaltimento rifiuti ubicato in Taranto, in località «La Riccia-Giardinello»;

- con delibera dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (di seguito anche: ‘ARERA’) n. 363 del 3 agosto 2021 ha approvato il metodo tariffario rifiuti (di seguito anche: ‘MTR2’) per il secondo periodo regolatorio 2022-2025;

- con delibera del Consiglio Regionale n. 68 del 14 dicembre 2021, è stato approvato il Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani della Regione Puglia (PRGRU);

- con successiva determina n. 2251 del 29 dicembre 2021, la Giunta regionale, in attuazione della delibera predetta ARERA n. 363 del 2021, ha effettuato l’«individuazione degli impianti di chiusura del ciclo minimi», includendovi l’impianto della Società appellante;

- con il ricorso di primo grado, integrato con un primo atto di motivi aggiunti, la Società ha impugnato la disciplina del MTR2 concernente gli impianti di chiusura del ciclo minimi, nonché gli atti regionali che hanno qualificato l’impianto di ITALCAVE s.p.a. quale «impianto minimo», sollevando svariate censure di legittimità;

- con un secondo ricorso per motivi aggiunti la Società ha impugnato anche il «Programma nazionale per la gestione dei rifiuti» approvato con decreto del Ministro della Transizione Ecologica n. 259 del 24 giugno 2022, nella parte in cui ha «recepito la tassonomia impiantistica declinata da MTR2»;

- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, con sentenza n. 627 del 2023: i) ha dichiarato improcedibili il ricorso introduttivo e i primi motivi aggiunti; ii) ha dichiarato la propria incompetenza e i secondi motivi aggiunti, in favore del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.

2.‒ Avverso la predetta sentenza ha proposto appello la ITALCAVE s.p.a., lamentandone l’erroneità sotto i seguenti profili:

- il capo di sentenza che ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo e i primi motivi aggiunti per sopravvenuto difetto di interesse – in ragione del fatto che la Società, sottoscrivendo con l’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti (AGER) l’accordo di programma del 12 gennaio 2023, avrebbe «espressamente accettato sia il quantitativo di rifiuti, impostole per lo smaltimento dalla deliberazione della Giunta regionale della Puglia n. 2251 del 29 dicembre 2021, sia la tariffa di ingresso fissata dalla deliberazione ARERA del 3 agosto 2021 n. 363/2021/R/rif», e per tale ragione sarebbe «venuto meno il suo interesse a censurare gli atti impugnati con il ricorso introduttivo e coi motivi aggiunti del 4 marzo 2022» – si porrebbe in contrasto con i consolidati principi giurisprudenziali in materi di ‘acquiescenza’;

- il capo di sentenza che ha dichiarato l’incompetenza territoriale del T.a.r. Lombardia in relazione all’impugnazione del Programma nazionale di gestione dei rifiuti (PNGR) – sul presupposto che la deliberazione dell’Autorità n. 363 del 2021 non si porrebbe quale presupposto giuridico dello stesso – si porrebbe in violazione degli articoli 13 e 14 del c.p.a., dal momento che: il PNGR, avendo recepito acriticamente quanto già contenuto all’interno della delibera ARERA n. 363 del 2021 in merito alla individuazione degli «impianti di chiusura del ciclo minimi», si sarebbe posto quale atto consequenziale della predetta delibera, inficiato in via derivata dalle medesime patologie dell’atto presupposto; in ragione della relazione contenutistica così sussistente tra i due atti, il T.a.r. di Milano avrebbe dovuto riconoscere la propria competenza a conoscere non solo della legittimità della delibera ARERA, ma anche (in parte qua) del PNGR che avrebbe fatto propria, recependola, la disciplina degli impianti dettata dall’Autorità.

2.1.‒ La Società appellante ripropone quindi i vizi sollevati con il ricorso principale avverso il MTR2, che possono essere sintetizzati come di seguito indicato:

a) l’Autorità, a mezzo dell’adozione delle disposizioni concernenti gli impianti minimi, avrebbe esercitato poteri che non le sarebbero stati attribuiti; dall’art. 1, comma 527, della legge n. 205 del 2017, si desumerebbe che l’oggetto specifico della regolazione attribuita all’Autorità sarebbe la gestione dei rifiuti urbani concepita quale servizio integrato; il richiamo ai «singoli servizi», presente nel citato comma 527, dovrebbe intendersi riferito ai soli servizi facenti parte del servizio integrato; tale conclusione si spiegherebbe in ragione del fatto che il servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani sarebbe dato in concessione e costituirebbe servizio di pubblico; l’ARERA avrebbe quindi esteso le proprie competenze regolatorie tariffarie a impianti di trattamento dei rifiuti non inseriti nel ciclo integrato, inglobando nell’ambito di applicazione della propria regolazione tariffaria impianti che risulterebbero ontologicamente sottratti a tale potere regolatorio, alla luce del quadro normativo primario;

b) la disciplina regolatoria impugnata sarebbe volta a compensare asseriti vantaggi concorrenziali che discenderebbero dalla qualificazione di un impianto come «minimo», ma dal citato art. 1, comma 527, della legge n. 205 del 2017 non si ricaverebbe l’attribuzione di una siffatta funzione pro-concorrenziale;

c) il regime tariffario concernente gli impianti minimi, comportando in capo ai gestori il sorgere di obblighi coperti dalla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., avrebbe richiesto la presenza di una specifica norma primaria attributiva del potere, contenente i criteri generali per il suo esercizio; il principio di legalità e la riserva di legge non potrebbero essere pretermessi dall’esercizio, da parte di una Autorità amministrativa di poteri che non troverebbero fondamento nella legge;

d) anche a sostenere che l’Autorità sia effettivamente titolare di siffatti poteri regolatori con finalità pro-concorrenziali, sussisterebbe comunque un profilo di illegittimità del MTR2 derivante dal fatto che, in relazione a impianti non integrati, ARERA non avrebbe potuto dettare una disciplina tariffaria assimilabile a quella prevista per gli impianti integrati, potendo al più limitare a dettare «criteri» per la determinazione della tariffa, come previsto dall’art. 1, comma 527, lettera g). della legge n. 205 del 2017;

e) l’assoggettamento di impianti di smaltimento dei rifiuti al regime degli impianti minimi determinerebbe un’illegittima incisione del diritto allo svolgimento di attività economica (garantito dall’art. 41 Cost.) e di quello di proprietà (contemplato dall’art. 42), producendo effetti lato sensu espropriativi o comunque limitativi dell’iniziativa economica, senza la previsione in favore dei gestori di impianti minimi di un indennizzo volto a compensare l’effetto prodotto dal vincolo così imposto ai ricavi;

f) un ulteriore profilo di illegittimità delle disposizioni del MTR2 riguarderebbe la scelta di ARERA di attribuire la competenza a individuare gli impianti minimi alle Regioni, sebbene la scelta del livello territoriale cui allocare le medesime sarebbe, in assenza di una base legislativa espressa, riservata al legislatore statale;

g) il MTR2 non conterrebbe neppure una reale ed esaustiva motivazione delle ragioni poste a fondamento della scelta di assegnare a livello regionale l’individuazione degli impianti minimi;

h) le Regioni finirebbero, in questo modo, per avere la disponibilità dell’avvio di un segmento importante della regolazione tariffaria;

i) quanto al merito della disciplina regolatoria degli impianti minimi, il metodo di calcolo dei costi da dedurre in tariffa sarebbe irrazionale, illogico e discriminatorio per svariate ragioni indicate in ricorso; in particolare, il metodo di calcolo dei costi da dedurre in tariffa posto dal MTR2 sarebbe irrazionale nella parte in cui imporrebbe di considerare gli impianti minimi in termini unitari, senza considerare che un impianto potrebbe esercitare l’attività di discarica in base a distinte autorizzazioni, riferite a diversi lotti e aventi diverse prescrizioni e costi;

l) nel regime previgente all’entrata in vigore del nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani (PRGRU), l’impianto di ITALCAVE s.p.a. risultava assoggettato a un duplice regime, costituito dalle tariffe concordate con l’Ente territoriale (con lo strumento dell’accordo di programma di cui all’art. 9-bis della legge della Regione Puglia n. 24 del 2012) per i flussi del servizio pubblico, e un regime di tariffe a mercato per i quantitativi residui; tale commistione di regimi tariffari porrebbe un serio problema applicativo delle disposizioni del MTR2, rendendo assolutamente incerta la struttura dei corrispettivi;

m) il MTR2 sarebbe irragionevole anche nella parte in cui riconoscerebbe solo in parte rilievo allo scostamento tra i flussi programmati per gli impianti minimi e quelli effettivamente conferiti, determinando una grave disparità di trattamento tra operatori (e, in specie, «tra quelli titolari di impianti minimi “tout court” e quelli titolari di impianti minimi solo in parte»).

2.2.‒ L’appellante ripropone anche i motivi sollevati avverso gli atti della Regione Puglia che hanno individuato gli impianti minimi, e segnatamente la DGR 2251/2021 e la DCR 68/2021 di approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani (PRGRU), i quali sarebbero affetti da vizi di illegittimità derivata ‒ discendenti dai profili di illegittimità del MTR2 sopra sunteggiati ‒ e dai seguenti vizi propri e autonomi:

n) gli atti regionali non avrebbero fornito adeguata motivazione dei presupposti che avrebbero dovuto sussistere per qualificare un impianto come minimo ai sensi dell’art. 21.2 del MTR2, con particolare riferimento alle rigidità strutturali del mercato e ai flussi garantiti, e neppure conterrebbero puntuali indicazioni sulle specifiche caratteristiche impiantistiche della Società appellante;

o) il procedimento di formazione del PRGRU si connoterebbe anche per la sistematica violazione degli istituti partecipativi, pregiudicando la completezza del quadro istruttorio sul quale si sarebbero fondate le determinazioni impugnate;

p) le attività di individuazione degli impianti minimi non atterrebbero alla gestione del servizio integrato (rientrante tra le funzioni dell’AGER), bensì alla pianificazione-programmazione dello stesso, e in quanto tali non sarebbero potute essere delegate dalla Regione ad un proprio Ente; l’AGER, inoltre, nella sua attività di determinazione dei flussi, verserebbe in un grave conflitto di interessi, essendo composta dai Comuni, che sono i fruitori dei servizi dell’impianto e, dunque, per ciò stesso interessati a mantenere la tariffa entro livelli il più possibile contenuti;

q) la violazione degli istituti partecipativi, già dedotta avverso il PRGRU, si sarebbe riproposta anche nelle fasi attuative attinenti alla concreta declinazione della disciplina degli impianti minimi: la DGR 2251/2021, pur contenendo previsioni destinate ad incidere sulla sfera giuridica di soggetti individuati, sarebbe stata assunta in violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e, più in generale, in assenza di un minimo di interlocuzione, indispensabile per assicurare la completezza del quadro istruttorio e dunque la correttezza delle determinazioni da assumere;

r) la Comunicazione di AGER n. 202/2022 presenterebbe poi un autonomo profilo di illegittimità, nella misura in cui individuerebbe un flusso garantito per un solo anno (sino al 31 dicembre 2022) mentre la qualifica di «impianto minimo», ai sensi del MTR2, avrebbe durata biennale;

s) la Comunicazione AGER dell’11 gennaio 2022 sarebbe viziata in ragione del rifiuto della stessa AGER di considerare, ai fini dell’esecuzione degli atti regionali, i limiti e le modalità operative corrispondenti a good practices e principi di cautela nella coltivazione della discarica, in uso da lungo tempo ai fini dell’ottimale esercizio delle attività di smaltimento (tra cui quella per cui la quota di rifiuti secchi provenienti dal ciclo dei RU non dovrebbe superare il 20% del totale dei conferimenti, per un massimo di 4000 tonnellate al mese);

t) la comunicazione del Dipartimento prot. 003 del 17 gennaio 2022, sarebbe anch’essa illegittima in quanto l’individuazione dei flussi non avrebbe potuto essere effettuata da AGER.

2.3.‒ L’appello ripropone anche i vizi dedotti con il primo ricorso per motivi aggiunti, relativi all’individuazione dei presupposti per l’applicazione della disciplina degli impianti minimi. La DGR 2251/2021 colliderebbe con l’ordinamento regionale di settore e con le stesse previsioni del PRGRU vigente, nella misura in cui: a) non valuterebbe, in via prioritaria, il ricorso allo strumento dell’accordo di programma per il soddisfacimento di fabbisogni contingenti di servizi di trattamento non assicurati dalla impiantistica pubblica; b) non considererebbe la specifica posizione di ITALCAVE s.p.a. e le prescrizioni dell’AIA relativa al III lotto circa la riserva di capacità in favore dei materiali del ciclo degli RU attraverso lo strumento negoziale citato; c) propenderebbe per l’adozione di una disciplina unilaterale su base coattiva per il perseguimento di finalità che la legge regionale consentirebbe di conseguire attraverso un istituto specifico e basato su una fisiologica dialettica tra pubblico e privato.

2.4.‒ Vengono, da ultimo, riproposti anche i vizi dedotti con il secondo ricorso per motivi aggiunti ‒ avente ad oggetto il «Programma nazionale per la gestione dei rifiuti» approvato con decreto del Ministro della Transizione Ecologica n. 259 del 24 giugno 2022, nella parte in cui ha «recepito la tassonomia impiantistica declinata da MTR2» ‒ riguardanti soprattutto profili di illegittimità derivata (dai motivi da I a XI del ricorso introduttivo) del MTR-2.

3.– Si sono costituiti in giudizio l’ARERA, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (di seguito, anche ‘MASE’) e la Regione Puglia, insistendo tutti per il rigetto del gravame.

4.– All’odierna udienza del 19 dicembre 2023, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.‒ Il primo motivo di appello ‒ proposto dalla Società avverso il capo della sentenza di primo grado che ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso, come integrato dai successivi motivi aggiunti del 4 marzo 2022 ‒ deve essere accolto.

1.1.‒ La statuizione di rito è stata motivata dal Tribunale Amministrativo Regionale sulla base della stipulazione, avvenuta in data 12 gennaio 2023, di un accordo di programma tra la Società appellante e l’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione dei rifiuti (AGER). In base a tale accordo, la tariffa da applicare ai flussi regionali destinati ad essere smaltiti nell’impianto della Società veniva determinata tramite rinvio ai criteri del MTR-2, applicabile agli «impianti minimi».

In questo modo, argomenta il giudice di prime cure, la Società appellante avrebbe irrimediabilmente «accettato» la tariffa di ingresso come disciplinata dalla deliberazione impugnata nel presente giudizio, con il conseguente venire meno del suo interesse a ricorrere.

1.2.‒ Va preliminarmente ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, l’acquiescenza al provvedimento amministrativo è ravvisabile soltanto in presenza di atti o comportamenti univoci, posti liberamente in essere dal destinatario dello stesso, tali da dimostrare la chiara e inconfutabile sua volontà di accettarne gli effetti e l’operatività (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. V, 5 dicembre 2022, n. 10635; sez. IV, 21 novembre 2022, n.10254; sez. IV, 29 aprile 2020, n. 2729).

1.3.‒ Nel caso in esame, non sono ravvisabili comportamenti univoci che dimostrino la chiara e irrefutabile volontà di accettare gli effetti dell’atto di regolazione tariffaria oggetto di causa.

L’accordo di programma è stato sottoscritto ai sensi dell’art. 9-bis della legge della Regione Puglia del 20 agosto 2012, n. 24, secondo cui, «in caso di impossibilità di realizzare l’autosufficienza nel trattamento, recupero, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti solidi urbani», l’Agenzia regionale «può prevedere il ricorso ad accordi per l’utilizzo di impianti privati operanti sul territorio regionale in forza di provvedimenti autorizzativi efficaci» (art. 9-bis, comma 1, primo periodo); aggiungendo che, in tali casi, «la tariffa di conferimento di rifiuti solidi urbani indifferenziati agli impianti privati non può superare la media delle tariffe praticate negli impianti pubblici esistenti nell'ambito territoriale ottimale» (art. 9-bis, comma 3).

L’accordo in questione: sul piano quantitativo, ha incorporato la prescrizione contenuta nell’autorizzazione integrata ambientale (di cui alla determinazione della Provincia di Taranto n. 52 del 17 aprile 2018, rilasciata per l’ampliamento della discarica e dell’impianto di selezione rifiuti e inertizzazione, stoccaggio e trattamento del percolato, di recupero energetico da biogas) che imponeva di riservare ai rifiuti provenienti dal ciclo dei rifiuti urbani gestito dell’AGER una quota, non inferiore a 500 tonnellate giornaliere, della capacità ricettiva del terzo lotto della discarica gestito dalla Società appellante; sul versante tariffario, ha fatto propri, in via ricognitiva, i criteri vigenti fissati dal MTR2.

Su queste basi ‒ posto che all’ottemperanza della prescrizione contenuta nell’autorizzazione integrata ambientale del 2018 (antecedente l’approvazione del MTR2) era subordinata la messa in esercizio del terzo lotto della discarica ‒ la sottoscrizione dell’accordo di programma con AGER non può considerarsi espressiva di una volontà acquiescente della Società, rispondendo invece alla logica strategica e difensiva di contenere il pregiudizio, in attesa della definizione del contenzioso già incardinato (al momento della stipula) presso il giudice amministrativo.

L’appellante conserva intatto l’interesse a coltivare l’impugnazione della disciplina degli «impianti minimi» predisposta dall’ARERA. Anzi, dopo la stipula dell’accordo di programma, la Società ha semmai una ragione in più per insistere nell’accoglimento del ricorso. L’annullamento giurisdizionale dell’atto di regolazione tariffaria ‒ operante come fonte di eterointegrazione dell’accordo di programma ‒ finirebbe infatti per incidere, retroattivamente, sul contenuto del rapporto economico pattuito con l’Agenzia regionale (che, come si è detto, rinvia per relationem ai criteri fissati dal MTR2).

A ciò si aggiunge che, nelle riunioni preparatorie alla stipula dell’accordo di programma, la Società appellante (come dedotto nel ricorso, senza specifica contestazione di controparte) si era espressamente riservata, per quanto concerne la quantificazione della tariffa definitiva, agli esiti del contenzioso pendente, senza manifestare quindi alcuna volontà abdicativa rispetto al diritto di difesa già esercitato.

1.4.‒ Sulla procedibilità del presente giudizio neppure può incidere la mancata impugnazione, eccepita da ARERA, della deliberazione 389/2023/R/rif, riguardante «l’aggiornamento biennale (2024-2025) delle entrate tariffarie di riferimento e delle tariffe di accesso agli impianti di chiusura del ciclo “minimi”». Si tratta, infatti, di un atto di aggiornamento che non ha alcuna portata novativa e sostitutiva della delibera MTR2, che ne costituisce semmai il presupposto applicativo.

2.‒ L’annullamento della statuizione di rito, impone a questo punto la disamina di tutte le censure rimaste assorbite in primo grado, come riproposte in appello.

3.‒ Assume carattere preliminare la questione relativa al difetto di attribuzione. L’estrema rilevanza, anche sistemica, della controversia rende necessarie alcune preliminari riflessioni ricostruttive.

3.1.‒ La vigente normativa in tema di gestione dei rifiuti urbani si colloca nel più ampio quadro della strategia europea in materia di rifiuti (segnata, da ultimo, dal regolamento UE 2020/852 del 18 giugno 2020), i cui obiettivi principali sono, non solo la riduzione al minimo dell’impatto negativo derivante dalla produzione dei rifiuti sulla salute umana e sull’ambiente, ma soprattutto la graduale transizione del sistema economico da un modello di sviluppo lineare e dissipativo delle risorse ambientali ad uno «circolare». L’«economia circolare» impone, sia di tornare ad utilizzare quello che si è già usato, in modo da diminuire l’«impronta ambientale» (criterio che misura la porzione di terra e di mare necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana) di ciò che viene immesso al consumo o prodotto, sia di progettare prodotti in modo tale che essi, al momento di trasformarsi in rifiuti organici a seguito di trattamento in appositi impianti, riportino nell’ambiente elementi che ne migliorino le qualità.

Le politiche di sostenibilità ambientale (di cui i rifiuti sono un aspetto fondamentale) hanno ricevuto una specifica base costituzionale con la legge di riforma 11 febbraio 2022 n. 1. L’art. 41 Cost. (in combinato con l’art. 9 Cost.), nell’accostare dialetticamente la tutela dell’ambiente con il valore dell’iniziativa economica privata, segna il superamento del bilanciamento tra valori contrapposti all’insegna di una nuova assiologia compositiva, per cui lo sviluppo economico deve integrarsi con la necessità di preservare il primo. L’intervento pubblico si giustifica oggi, non solo in termini negativi (affinché si produca senza inquinare: art. 41, comma secondo), ma anche proattivi, nella direzione della conformazione ecologica della politica industriale (art. 41, comma terzo).

Non è questa la sede per un esame dettagliato di una disciplina estremamente articolata, risultante da fonti di varia natura e rango, presidiata da una congerie di dispositivi sia autoritativi che di mercato e con il coinvolgimento di una pluralità di soggetti istituzionali. Ci si limiterà ad esporre solo gli aspetti correlati alla soluzione della presente controversia, e in particolare le disposizioni della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (come modificato dal d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, con cui è stata data attuazione alle direttive UE 2018/851 e 2018/852), relative all’individuazione delle funzioni e competenze amministrative in materia di rifiuti e di fabbisogno impiantistico (richiamando solo incidentalmente, per motivi di economicità, i principi generali della materia: precauzione, prevenzione, sostenibilità, chi inquina paga», responsabilità estesa al produttore: artt. 178, 178-bis, 178-ter, 179, del d.lgs. n. 152 del 2006).

3.2.– La gestione dei rifiuti costituisce un’«attività di pubblico interesse» (art. 177, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006) per la quale l’ordinamento ha assegnato all’Amministrazione funzioni di regolazione e di prestazione.

I rifiuti ‒ definiti come: «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi» ‒ sono classificati dalla legge sulla base di due elementi discretivi: l’origine e la pericolosità (art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006). La distinzione assume rilievo a vari fini, anzitutto in relazione ai regimi autorizzatori, alle modalità di affidamento della gestione e all’individuazione del soggetto che ha il compito di provvedere allo loro smaltimento.

La gestione dei rifiuti si ripartisce in fasi, quali: «la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la cernita, e lo smaltimento dei rifiuti» (art. 183, comma 1, lettera n, del d.lgs. n. 152 del 2006). Tali fasi si differenziano tra loro sul piano tecnico e della struttura del relativo mercato.

L’attività di raccolta ‒ comprendente il prelievo, la cernita preliminare e il deposito (art. 183, comma 1, lettera o, del d.lgs. n. 152 del 2006) ‒ consente di distinguere i rifiuti in frazione indifferenziata e differenziata (ovvero in base a frazioni merceologiche omogenee). Pur non presentando «economie di scala» significative (essendo prevalentemente labour intensive e con un livello di capitale piuttosto basso), l’attività di raccolta presenta «economie di densità» che rendono conveniente il suo svolgimento in regime monopolistico (nelle zone più popolate dove, concentrando il volume di rifiuti da raccogliere, i costi unitari di produzione si riducono). La privativa è giustificata anche dall’impossibilità di escludere dalla fruizione del servizio coloro che non lo pagano, impedisce al mercato di raggiungere una produzione ottimale della raccolta nei cassonetti.

La ‘privativa’ (il monopolio legale) del soggetto affidatario include la raccolta e l’avvio a recupero o smaltimento in discarica (da intendersi come attività di trasferimento dei rifiuti agli impianti di selezione), con esclusione dell’attività di recupero e smaltimento, che costituiscono altre fasi della filiera (ferma restando la possibilità che la gara per l’affidamento del servizio di gestione integrata includa anche la realizzazione o gestione degli impianti di trattamento e la conseguente fase operativa), come si desume dagli artt. 181, comma 5, e 198, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 (cfr., in giurisprudenza, Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5257 del 2023; Sez. VI, n. 2114 del 2023).

Le due tipologie di raccolta, differenziata e indifferenziata, danno luogo a distinte filiere di gestione, che si distinguono per le differenti destinazioni funzionali: da un lato, il «recupero», ovvero «qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile» (art. 183 lettera t, del d.lgs. n. 152 del 2006); dall’altro, lo «smaltimento», cioè qualsiasi operazione diversa dal recupero anche quando l’operazione ha come conseguenza secondaria il recupero di sostanze o di energia (art. 183, lettera z, del d.lgs. n. 152 del 2006).

In particolare, i materiali che risultano dalla raccolta differenziata sono ulteriormente differenziati tra la frazione organica (denominata FORSU, trattata in impianti di compostaggio) e i rifiuti da imballaggio raggruppati per frazioni merceologiche e poi avviati a riciclo per la trasformazione.

I rifiuti indifferenziati sono, invece, sottoposti a trattamento (quello meccanico-biologico, in cui si produce combustibile derivato e altri compost di bassa qualità) per poi essere avviati a recupero energetico (attraverso impianti di termotrattamento, che mirano al recupero energetico attraverso la combustione o la gassificazione) oppure smaltiti in discarica.

Il servizio di smaltimento (collocato sull’ultimo gradino della scala gerarchica del ciclo), pur essendo un’attività in cui non ricorrono le condizioni tecnologiche che conducono alla configurazione di un monopolio naturale (in quanto i costi fissi non risultano particolarmente elevati e i costi irrecuperabili sono modesti), comporta rilevanti esternalità negative sotto il profilo ambientale, giustificando una regolazione pubblica a protezione dell’ambiente e della salute pubblica (su queste basi, è previsto, ad esempio, un regime autorizzatorio per la realizzazione di nuovi impianti per il trattamento meccanico-biologico e di termovalorizzazione, caratterizzati da particolare complessità tecnologica).

La regolazione delle fasi a valle della raccolta si fonda sui principi: di ‘autosufficienza’, in ordine allo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti derivanti dal loro trattamento in ambiti territoriali ottimali (il quale comporta il divieto di smaltire rifiuti urbani presenti in Regioni diverse da quella di appartenenza); e di ‘prossimità’, attraverso il ricorso alla rete di impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi (art. 182-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006). I rifiuti speciali sono gestiti senza vincoli territoriali.

Il legislatore ha attribuito ad un sistema consortile il compito di assicurare il raggiungimento degli obiettivi globali di riciclo e recupero degli imballaggi sull’intero territorio nazionale.

Nei segmenti a valle della raccolta, in regime di mercato libero, per fronteggiare il potere di mercato esercitato dai (pochi) operatori economici, le Regioni hanno talvolta adottato un regime di regolazione tariffaria dei corrispettivi di conferimento agli impianti di trattamento, smaltimento e recupero energetico della frazione indifferenziata dei rifiuti urbani (in questo quadro rientra il sopra citato art. 9-bis della legge della Regione Puglia del 20 agosto 2012, n. 24).

3.3.‒ Il ciclo dei rifiuti, oltre che essere un’attività economica regolata alla luce dei principi sopra rapidamente esposti, costituisce anche l’oggetto di un servizio di interesse economico generale. Il servizio di «gestione integrata dei rifiuti» ‒ ossia: «il complesso delle attività, ivi compresa quella di spazzamento delle strade […], volte ad ottimizzare la gestione dei rifiuti (art. 183 lettera ll, del d.lgs. n. 152 del 2006) ‒ si articola in una pluralità di attività coordinate rispetto alle quali gli utenti si collocano ‘a monte’.

L’integrazione del servizio assume due direzioni.

Sul piano orizzontale, l’integrazione mira al superamento della frammentazione territoriale delle gestioni, con la riorganizzazione per ambiti territoriali ottimali (ATO) in grado di incrementarne l’economicità e l’efficienza (art. 200, comma 1, lettera a, del d.lgs. n. 152 del 2006). Il legislatore ha voluto superare la tendenza storica, dovuta all’accentuato decentramento amministrativo italiano, di un dimensionamento dei bacini di affidamento inferiore alla scala minima ottimale per l’erogazione del servizio. L’ampiezza della scala gestionale del servizio incentiva la crescita dimensionale degli operatori economici.

Sul piano verticale, la gestione integrata del servizio ricomprende le diverse attività in cui lo stesso si articola, anche quelle a valle della raccolta, e in particolare il recupero e lo smaltimento in discarica, che possono quindi costituire oggetto di un unico affidamento. L’operatore integrato, in quanto sussidiato dalla compensazione economica ricevuta per l’attività svolta in privativa, pone il problema di mitigare le interferenze sulle dinamiche concorrenziali delle altre fasi del ciclo.

Sennonché, nessuna dei due tipi di integrazione del servizio è rigidamente imposta dal legislatore.

Quanto all’integrazione orizzontale del servizio, le singole Regioni, a date condizioni, possono adottare «modelli alternativi o in deroga» al modello degli ATO (art. 200, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006). Da qui la presenza sul territorio nazionale di assetti organizzativi variegati, per quanto riguarda l’ampiezza degli ATO e la scelta di frazionare il territorio in ambiti inferiori.

Anche sul piano verticale, le norme consentono ma non impongono l’affidamento dell’intero ciclo dei rifiuti, ben potendo gli enti territoriali affidare solo singole fasi di gestione dei rifiuti, mantenendo separate le attività a monte (di raccolta, spazzamento e trasporto) da quelle a valle (di trattamento, smaltimento e recupero). Ne consegue, anche sotto questo profilo, il permanere di forti disomogeneità regionali nella perimetrazione del servizio.

3.4.‒ L’erogazione del servizio di gestione dei rifiuti, così sommariamente descritto, è retto da un sistema di governance articolato e distribuito su plurimi livelli di governo. Sebbene la legge annoveri tra le funzioni fondamentali dei Comuni «l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi» (cfr., l’art. 14, comma 27, del-decreto legge 31 maggio 2010, n. 78), l’evoluzione normativa è stata infatti contrassegnata da una progressiva divaricazione tra il livello di governo più prossimo, al quale resta imputata la privativa, e i livelli di governo titolari dei compiti di programmazione e organizzazione.

La legge riserva allo Stato le principali funzioni di coordinamento generale del sistema, di indirizzo dell’attività pianificatoria delle Regioni, di uniformazione della normativa tecnica e dei contenuti autorizzatori (art. 195 del d.lgs. n. 152 del 2006).

Tali funzioni sono esercitate, in buona parte, dal Ministro dell’ambiente, di concerto con altri Ministri e sentita la Conferenza unificata, attraverso due strumenti di tipo programmatorio, e segnatamente: il «Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti», il quale fissa idonei indicatori e obiettivi qualitativi e quantitativi per la valutazione dell’attuazione delle misure di prevenzione dei rifiuti in esso stabilite (art. 180); il «Programma nazionale di gestione dei rifiuti», il quale costituisce il principale atto di indirizzo dell’economia circolare che fissa i macro-obiettivi, i criteri e le linee strategiche cui Regioni e Province autonome si attengono nella elaborazione dei Piani regionali di gestione dei rifiuti (art. 198-bis).

Ai fini del presente giudizio, vale rimarcare che, in sede di Conferenza unificata vengono individuati gli impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale «da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del paese», secondo criteri di equilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, e secondo una quantificazione di risorse pubbliche da inserire nei documenti di programmazione finanziaria nazionale (cfr. l’art. 195, comma 1, lettera f, del d.lgs. n. 152 del 2006). Al Programma nazionale di gestione dei rifiuti è affidata «la ricognizione impiantistica nazionale, per tipologia di impianti e per regione» (comma 1, lettera b), nonché «l’individuazione dei flussi omogenei di produzione dei rifiuti […], i relativi fabbisogni impiantistici da soddisfare, anche per macroaree, tenendo conto della pianificazione regionale, e con finalità di progressivo riequilibrio socioeconomico fra le aree del territorio nazionale» (art. 198-bis, comma 1, lettera f).

In attuazione del Programma nazionale, le Regioni curano a loro volta «la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti» (art. 196, del d.lgs. n. 152 del 2006). I «Piani regionali di gestione dei rifiuti» (art. 199, del d.lgs. n. 152 del 2006), tra le altre cose, prevedono: «la ricognizione degli impianti di trattamento, smaltimento e recupero esistenti […]» (lettera b); «una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità […]» (lettera c); «il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali […]» (lettera g); «i criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti» (lettera l).

Anche le Province hanno competenze di programmazione e organizzazione delle attività di recupero e di smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, nonché funzioni di controllo periodico sulle attività di gestione, intermediazione e commercio dei rifiuti (ai sensi dell’art. 197 d.lgs. n. 152 del 2006).

I Comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti (art. 198 del d.lgs. n. 152 del 2006). Al fine di evitare la frammentazione nello svolgimento dei servizi e di raggiungere una scala di operatività ottimale, i Comuni esercitano tali competenze in forma collettiva (le Autorità d’ambito) all’interno degli ATO (ai sensi dell’art. 200 TUA).

3.5.‒ Nel già complesso sistema di governance si è inserita, nel 2017, anche l’ARERA. Il coinvolgimento di quest’ultima nel settore dei rifiuti ‒ più che rispondere, come nel caso delle autorità di regolazione imposte dai processi politici di ascendenza europea improntati, nel quadro della liberalizzazione dei servizi a rete, alla necessità di proteggere l’attività pubblica dalla crescente pressione di interessi esogeni (politici e finanziari) ‒ riflette l’esigenza di correggere i fallimenti dell’intervento pubblico locale nella regolazione dei servizi a contenuto economico, ponendo rimedio alla tendenza localistica a far prevalere visioni politiche all’efficienza economica del servizio affidato e neutralizzando il conflitto di interessi che grava sugli enti locali.

All’Autorità sono state attribuite funzioni di regolazione della qualità (tecnica e contrattuale) e di regolazione tariffaria.

Il primo versante comporta la predisposizione di adeguati standard tecnici e qualitativi per lo svolgimento dell’attività di smaltimento e di recupero (art. 202, comma 1-bis e 1-ter, del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotti dall’art. 14, comma 2, della legge 5 agosto 2022, n. 118).

La seconda tipologia regolatoria ‒ a cui si riferisce la presente controversia ‒ è volta a definire un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri di riconoscimento di costi efficienti del servizio, uniformando le politiche locali di allocazione degli stessi, con un approccio integrato sistemico e di lungo periodo.

In particolare, per quanto qui rileva, l’art. 1, comma 527, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha assegnato all’ARERA compiti in materia di: - «predisposizione ed aggiornamento del metodo tariffario per la determinazione dei corrispettivi del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi che costituiscono attività di gestione, a copertura dei costi di esercizio e di investimento, compresa la remunerazione dei capitali, sulla base della valutazione dei costi efficienti e del principio ‘chi inquina paga’» (lettera f); - «fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento» (lettera g); - «approvazione delle tariffe definite, ai sensi della legislazione vigente, dall’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale per il servizio integrato e dai gestori degli impianti di trattamento» (lettera h); - «verifica della corretta redazione dei piani di ambito esprimendo osservazioni e rilievi» (lettera i); - «formulazione di proposte relativamente alle attività comprese nel sistema integrato di gestione dei rifiuti da assoggettare a regime di concessione o autorizzazione in relazione alle condizioni di concorrenza dei mercati» (lettera l); - «formulazione di proposte di revisione della disciplina vigente, segnalandone altresì i casi di gravi inadempienze e di non corretta applicazione» (lettera m).

3.6.‒ È possibile, a questo punto, rassegnare due prime conclusioni, rilevanti ai fini del decidere.

Le norme del d.lgs. n. 152 del 2006, conformemente al nuovo quadro costituzionale, hanno ridisegnato, quanto alla gestione dei rifiuti, la distribuzione delle funzioni amministrative tra i diversi livelli di governo. La scelta allocativa è stata compiuta dal legislatore statale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., materia alla quale la giurisprudenza costituzionale ascrive la disciplina della gestione dei rifiuti (cfr., ex plurimis, le sentenze 2 del 2024, n. 50 del 2023, n. 222 del 2022, n. 86 del 2021 e n. 227 del 2020). Tale titolo competenziale statale risponde a ineludibili esigenze di protezione di un bene unitario e di valore primario quale è l’ambiente (sentenze n. 246 del 2017 e n. 641 del 1987). La trasversalità della competenza statale caratterizza non soltanto le disposizioni di natura sostanziale, ma anche quelle aventi contenuto organizzativo. Solo legislatore nazionale è cioè competente a definire l’organizzazione delle corrispondenti funzioni amministrative anche attraverso l’allocazione di competenze presso enti diversi dai comuni (ai quali esse devono ritenersi generalmente attribuite secondo il criterio espresso dall’art. 118 Cost.), tutte le volte in cui l’esigenza di esercizio unitario della funzione trascenda il relativo ambito territoriale di governo, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (sentenza n. 189 del 2021).

Nell’anzidetto quadro delle fonti, la rete degli impianti riveste una rilevanza regolatoria che supera i confini locali, costituendo oggetto della programmazione nazionale (come rafforzata dal d.lgs. n. 116 del 2020, in recepimento delle direttive europee in materia di economia circolare) e territoriale. La disciplina è ispirata alla logica della sussidiarietà economica, coerentemente alla disciplina generale di riordino dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, di cui al d.lgs. 23 dicembre 2021, n. 201. In assenza di una riserva pubblica, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti urbani non differenziati sono oggetto di regolazione, al fine di realizzare l’autosufficienza nello smaltimento e trattamento dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno degli ATO, ed il rispetto del principio di prossimità. Laddove l’iniziativa privata sia insufficiente, la costruzione e gestione degli impianti stessi viene attratta nell’orbita della gestione integrata del ciclo dei rifiuti.

4.‒ Su queste basi, la censura di violazione del principio di legalità è fondata.

4.1.– È utile ripercorrere rapidamente i contenuti dell’intervento regolatorio in questione.

L’ARERA, con una prima delibera del 31 ottobre 2019 n. 443/2019/R/RIF, ha approvato il Metodo Tariffario Rifiuti (MTR), il nuovo sistema tariffario in materia di ciclo dei rifiuti, anche differenziati, urbani e assimilati, in sostituzione del ‘metodo normalizzato’ di cui al d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, la cui incentivazione al perseguimento di obiettivi di efficienza si era rilevata del tutto insufficiente.

Con la successiva delibera 363/2021/R/rif del 3 agosto 2021 ‒ oggetto del presente giudizio ‒ l’ARERA ha approvato il Metodo Tariffario Rifiuti per il secondo periodo regolatorio 2022-2025 (MTR2) che, per la prima volta, ha fissato (agli articoli 21 e ss.) i criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti (c.d. tariffe al cancello).

L’Autorità indipendente ha seguito un approccio asimmetrico per il riconoscimento dei costi alla base delle tariffe di accesso a taluni impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti, distinguendo tra impianti:

(a) integrati: ricompresi nell’affidamento al gestore della raccolta integrato, che gestisce almeno uno dei servizi a monte e a valle della catena del valore del settore, e soggetti a regolazione tariffaria;

(b) minimi (per la chiusura del ciclo): non integrati nel gestore della raccolta e tuttavia individuati come indispensabili per la chiusura del ciclo dei rifiuti in ambito regionale, soggetti a regolazione dei costi riconosciuti e delle tariffe;

(c) aggiuntivi: impianti non integrati e non indispensabili che offrono sul libero mercato la propria capacità, soggetti a meri obblighi di trasparenza sulle condizioni di accesso agli impianti.

Gli «impianti minimi», al pari di quelli integrati, sono sottratti al libero gioco della concorrenza nei mercati del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti, in quanto soggetti ad una pianificazione regionale dei flussi di rifiuti conferiti e a una fissazione delle tariffe di accesso.

La stessa deliberazione n. 363/21 ha dettato i requisiti per l’individuazione degli «impianti minimi», quali: (a) la presenza nelle filiere del trattamento e dello smaltimento di particolari categorie di rifiuti di rigidità strutturali e, in particolare, di «un forte e stabile eccesso di domanda e da un limitato numero di operatori»; (b) il fatto che tali impianti presenti sul territorio regionale abbiano già una capacità impegnata per flussi garantiti da strumenti di programmazione o da altri atti amministrativi, oppure che siano già stati individuati per la chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti in sede di programmazione da parte dei soggetti competenti.

La motivazione di tale scelta regolatoria, come illustrata in sede di consultazione pubblica, è stata motivata dalla necessità di promuovere l’efficienza in un quadro di progressivo dinamismo concorrenziale, al fine di sostenere lo sviluppo di un adeguato sistema infrastrutturale necessario al conseguimento degli obiettivi di economia circolare.

La delibera di ARERA rinvia alle singole Regioni e Province autonome l’individuazione degli impianti eventualmente minimi, a chiusura del ciclo nel proprio territorio. A tale compito ha dato attuazione la Regione Puglia, con la deliberazione n. 2251 del 29 dicembre 2021, includendo in apposito elenco tutti gli «impianti minimi di trattamento della FORSU, i termovalorizzatori e gli impianti di discarica.

4.2.‒ Il nucleo essenziale della controversia ‒ la riconducibilità o meno delle disposizioni sulla individuazione degli impianti minimi all’esercizio alle attribuzioni dell’Autorità, e il loro sovrapporsi ai contenuti degli atti programmatici di Stato e Regioni ‒ solleva problemi di teoria generale che, nei limiti consentiti nella presente sede giurisdizionale, non possono essere elusi ai fini del decidere.

4.3.‒ Nel corso degli ultimi decenni una copiosa letteratura, giuridica e sociologica, ha constatato la crisi, secondo alcuni irreversibile, della legge come strumento di coordinazione delle società complesse.

È comune osservare che le principali cause attengono alla struttura stesse delle organizzazioni politiche contemporanee che non si lasciano più governare a partire da un unico centro politico, di modo che la legge dello Stato ha perso il monopolio della regolazione degli interessi sociali.

La crisi del sistema politico ha contribuito a indebolire la generalità e astrattezza della legge: la sintesi politica dell’interesse generale assicurata dal confronto parlamentare tra partiti strutturati e radicati nella società ha lasciato il posto ad una produzione normativa (di cui è, peraltro, è divenuto protagonista il Governo) minuta e contingente, veicolo di tendenze centrifughe e compositiva di micro-interessi, oltre che di bassa qualità. La crisi della rappresentanza è accentuata poi da un tessuto sociale ed economico sempre più «liquido» e frammentato.

Soprattutto negli ambiti maggiormente coinvolti dall’incessante evoluzione tecnologica, la legge appare un mezzo inadeguato di selezione e riduzione della complessità.

In questa sede, viene in rilievo l’aspetto specifico dell’indebolimento della legge quale strumento di indirizzo degli apparati amministrativi. La portata del principio di «legalità amministrativa», inteso come regola (implicita nel testo costituzionale) di esercizio e di validità dell’azione amministrativa, appare sempre più indecifrabile, sia sul piano del contenuto (se enunci la necessità di una norma, qualsivoglia sia la fonte, o se invece tale norma debba essere di ordine legislativo) che della struttura (se il rapporto tra legge e amministrazione si atteggi in termini di mera compatibilità o di conformità o mera non contraddizione).

La crisi del modello ‒ improntato alla razionale successione logica tra previo disporre e susseguente provvedere – ha raggiunto la sua fase culminante nel contesto della funzione di ordinazione attribuita a corpi amministrativi, strutturalmente e funzionalmente indipendenti dal Governo. La delega normativa, in questo caso, basata spesso su previsioni generiche e finalistiche, ha assecondato la prospettiva di una accezione ‘debole’ del principio di legalità. Quest’ultimo non troverebbe più fondamento nell’esigenza democratica di assoggettare l’amministrazione pubblica all’indirizzo politico delle assemblee politiche rappresentative, avendo lasciato il posto ad un più duttile principio di necessaria predeterminazione normativa dell’attività amministrativa, dove il compito di rendere “raffrontabile” l’azione pubblica verrebbe svolto da fonti subprimarie e da standards desunti dalla tecnica.

Va rimarcato che la marginalizzazione delle assemblee parlamentari nella disciplina di importanti settori della vita economica si accompagna, quale suo inevitabile corollario, ad una sovraesposizione del giudice comune, che viene così sollecitato a spingersi nell’attività di mediazione delle istanze sociali.

4.4.‒ Il giudice amministrativo, quale custode della legalità amministrativa ‘ordinaria’, non può limitarsi ad una remissiva presa d’atto dello stato delle cose, ma deve cercare di contemperare la doverosa considerazione dei cambiamenti storici che investono economia, società e politica con il rispetto delle strutture giuridiche costituzionali.

Il coinvolgimento dei regolatori indipendenti nella produzione di norme di diritto oggettivo deve necessariamente raccordarsi con i vincoli costituzionali in materia di fonti di produzione del diritto (preferenza della legge, riserva di legge, principio di legalità), aventi funzione liberale (di tutelare i diritti dei cittadini contro l’abuso del potere pubblico) e democratica (riconducendo la disciplina di determinate materie sotto il dominio degli organi rappresentativi espressione della sovranità popolare).

Anche nel settore della regolazione economica, il principio di legalità deve svolgere lo «scopo di vincolare l’uso del potere amministrativo al diritto democraticamente statuito», secondo un continuum logico che va dalla sintesi politica alla ponderazione concreta degli interessi. Trattandosi di settori di attività che la costituzione riserva alla legge (art. 41 e 42 Cost.), il principio di legalità risulta rafforzato in senso “sostanziale”, nel senso di postulare sia il fondamento legislativo dei poteri conferiti all’amministrazione, sia l’apposizione di limiti contenutistici alla sua azione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 6330 del 2018).

L’assunto trova conferma nel principio europeo di certezza del diritto che, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, risulta connesso, in chiave rafforzativa e integrativa, oltre che al principio di legalità (secondo cui atti normativi che spiegano i propri effetti all’interno dell’Unione Europea devono essere assunti sulla base di precise previsioni normative: cfr., ex plurimis, sentenze 3 giugno 2008, causa C-308/06; 10 settembre 2009, causa C-201/08), anche al principio di legittimo affidamento, secondo cui coloro i quali agiscono in buona fede, nel rispetto della legge vigente, non dovrebbero rimanere disattesi nelle loro aspettative (sentenza 8 aprile 1988, causa 120/86). Il principio di certezza del diritto, nella giurisprudenza europea, ha una latitudine molto estesa, concernendo sia gli atti amministrativi sia gli atti legislativi, e venendo in rilievo, sia come strumento interpretativo, sia come parametro di legittimità degli atti normativi e amministrativi dell’Unione.

4.5.‒ Non può essere disconosciuta l’estrema difficoltà per il legislatore di creare un sistema completo di prescrizioni in settori specialistici che richiedono una capacità di adattamento alle incessanti evoluzioni tecniche, incompatibile con le dinamiche dei processi legislativi.

Efficienza tecnica e adattabilità regolatoria possono integrarsi con il principio democratico nei termini che seguono.

La regolazione è un tipo di azione pubblica che incide ‘sulla’ economia, senza comprimerne i meccanismi spontanei, bensì definendo un quadro di regole e valori che devono essere tutelati. Il funzionamento del mercato viene in parte sottratto alla ponderazione politica degli interessi per essere affidato a dispositivi neutrali che, facendo leva sulla la spontanea propensione degli operatori economici all’efficienza allocativa e produttiva, simulano la pressione concorrenziale.

In questo contesto, la legge soddisfa il suo ruolo costituzionale di indirizzo e garanzia dei pubblici poteri quando definisce in modo chiaro: la causa dell’intervento pubblico; il tipo di conformazione del mercato (statuendo ciò che ‘non può’ essere messo in concorrenza e ciò che ‘non si vuole’ sia in concorrenza); la misura compositiva dei bisogni (economici e sociali) contrapposti; il grado di incisione delle sfere giuridiche regolate.

Sul versante tecnico-economico, la legge può invece delegare all’Autorità indipendente il compito di ‘implementare’ – anche con ampio margine di autonomia operativa – il dettato normativo con i meccanismi che meglio siano in grado di assicurare l’equilibrio ottimale del sistema in termini di razionalità economica e desiderabilità sociale. Le opzioni regolatorie, per quanto non circostanziate nei loro contenuti dalla fonte primaria, restano ‘raffrontabili’ alla luce degli indici, parametri e standards elaborati dalla comunità scientifica di riferimento.

Al di fuori invece degli apprezzamenti di ordine tecnico-economico, le funzioni che comportino scelte distributive o siano volte alla realizzazione di ‘valori’ extra-mercatili, richiedono un mandato espresso del legislatore. Peraltro, nei casi in cui l’Autorità indipendente venga coinvolta nella ponderazione lato sensu politica degli interessi, la stessa dovrebbe (a rigore) vedere limitata la propria indipendenza funzionale e rispondere all’indirizzo governativo, per ovviare alla condizione di irresponsabilità derivante dalla sua collocazione istituzionale (estranea cioè al circuito politico rappresentativo di cui all’art. 95 Cost.). In termini generali, gli spazi di valutazione politico-discrezionale dell’Amministrazione si conciliano con il principio di legalità attraverso la declinazione politico-rappresentativa della sovranità (che promana nei pubblici poteri attraverso la rappresentanza politica).

4.6.‒ Il deficit di legalità sostanziale non può essere «compensato» da una declinazione ‘procedurale’ del principio di legalità (per la quale, invece, Consiglio di Stato, sez. VI, 24 maggio 2016, n. 2182), e neppure aggirato con la teoria dei c.d. poteri impliciti.

L’attitudine del modello regolatorio a garantire un contraddittorio paritario (attraverso gli schemi della c.d. ‘consultazione’) ha una sua ragione specifica. Il regolatore deve poter contare su di una capillare piattaforma conoscitiva, avente ad oggetto i dati tecnici ed economici di funzionamento del mercato, per rimuovere le proprie asimmetrie informative. La trasparenza del modello ‘process oriented’ scongiura anche possibili condizionamenti del regolatore da parte dei gruppi economici.

La partecipazione amministrativa, pur segnando il superamento di una visione elitaria ed autoritaria dell’Amministrazione (consentendo agli operatori economici interessati di fare pervenire il proprio contributo informativo e valutativo), non equivale certo all’investitura democratica della legge. La ‘compensazione’ procedurale del principio di legalità, in ipotesi, potrebbe ritenersi coerente soltanto con un assetto corporativo della società e della sua rappresentanza.

Sotto altro profilo, la consultazione assicura un maggiore livello di garanzie per l’operatore privato, operando (al pari della motivazione) come una sorta di ‘limitatore’ della discrezionalità (è questo, a parere del Collegio, il senso che deve attribuirsi alle parole della stessa Corte costituzionale secondo cui la «declinazione procedurale del principio di legalità», rappresenta «un utile, ancorché parziale, complemento delle garanzie sostanziali»: sentenza n. 69 del 2017).

4.7.‒ Va pure attentamente circoscritta l’ammissibilità della categoria dei poteri c.d. impliciti, fondati cioè sulla base di una previsione legislativa che solo ‘implicitamente’ li preveda, in quanto legati da un nesso di strumentalità con il potere esplicito.

Nella sua assolutezza, tale linea interpretativa – nella misura in cui ritiene di poter trasformare senza limiti l’enunciazione di scopi in poteri nuovi e innominati – va respinta per le stesse ragioni indicate sopra. Con riguardo all’esercizio di poteri puntuali ad effetto conformativo, ablatorio e sanzionatorio, non è possibile superare la valenza costituzionale del principio di sottoposizione dell’azione amministrativa di tipo autoritativo a disposizioni legislative provviste di un livello sufficiente di tipizzazione.

Di attribuzioni implicitamente conferite può parlarsi soltanto con riferimento ai poteri ‘strumentali’ sussumibili nello stesso «spazio» giuridico del potere ‘principale’, situati cioè all’interno dei confini individuati dalla norma attributiva, in ordine a: interesse pubblico perseguito; punto di incidenza materiale; soggetti destinatari; tipo e grado di incisione delle posizioni giuridiche soggettive.

5.‒ Possono ora essere meglio esemplificate le ragioni del vizio di carenza di potere in cui è incorsa l’Autorità.

5.1.‒ L’art. 1, comma 527 della l. n. 205 del 2017 ha, in primo luogo, attribuito ad ARERA il compito di individuare il «metodo tariffario» relativo al «servizio integrato dei rifiuti» e ai «singoli servizi che costituiscono attività di gestione» dello stesso servizio integrato.

La funzione di «fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento» (lettera g), può invece riguardare – come deve ritenersi alla luce dell’interpretazione logica e sistematica dei diversi alinea attraverso cui si dipana la disposizione – anche gli impianti di trattamento estranei al servizio integrato.

Sennonché, la qualificazione degli impianti «minimi» comporta che alcuni operatori – sulla base degli indici selettivi prescelti dal regolatore indipendente – vengano sottratti all’ambito concorrenziale del mercato del trattamento e smaltimento dei rifiuti, per essere assoggettati alla pianificazione regionale dei flussi di rifiuti conferiti e alla fissazione autoritativa del prezzo.

Si tratta di una misura regolatoria – volta a fronteggiare le manifestazioni di potere economico dei titolari di impianti privati – che eccede il mero svolgimento tecnico di modelli di razionalità tariffaria, sporgendo vistosamente rispetto al mandato legislativo che riguarda la sola determinazione autoritativa del prezzo sulla base dei costi efficienti.

Stabilire i confini tra attività riservate al settore pubblico, attività regolate e attività lasciate alla concorrenza nel mercato, così come orientare i mercati verso assetti più giusti, limitando la spinta alla massimizzazione del profitto, spetta al decisore politico. La delicata combinazione delle componenti di un sistema complesso – in cui si muovono ambiente, società, economia e istituzioni – non può essere rimesso alle opzioni di un’Autorità indipendente che non abbia ricevuto, sul punto, un mandato legislativo espresso.

La norma statale evocata da ARERA non può certo leggersi come se includesse una competenza regolatoria generale e innominata per l’intero ciclo di vita dei rifiuti, neppure valorizzando le generiche formulazioni finalistiche contenute nell’incipit dell’art. 1, comma 527, della legge n. 205 del 2017 (il quale richiama il «fine di migliorare il sistema di regolazione del ciclo dei rifiuti […] per garantire […] l’adeguamento infrastrutturale agli obiettivi imposti dalla normativa europea»).

5.2.‒ Peraltro, le valutazioni poste da ARERA a fondamento dell’intervento regolatorio in esame – l’assenza di stimoli concorrenziali nella fase del trattamento degli impianti (peraltro, già sottoposti ad un regime di regolazione tariffaria da parte delle Regioni) e l’esistenza di una sotto-capacità impiantistica – interferiscono con le (sopra citate) funzioni programmatorie riservate allo Stato con riguardo al fabbisogno impiantistico (cfr. l’art. 195, comma 1, lettera f, e 198-bis del d.lgs. n. 152 del 2006).

Si è venuto così a determinare un vero e proprio sovvertimento della sequenza logico-giuridica prefigurata dal legislatore. Al più, solo dopo l’adozione del Programma nazionale di gestione dei rifiuti – con l’individuazione, in quella sede, dei criteri per l’individuazione degli impianti necessari alla ‘chiusura’ del ciclo – l’ARERA avrebbe potuto disciplinare l’ambito tariffario, secondo la competenza che le è attribuita dall’ordinamento (le medesime conclusioni sono state raggiunte, sia pure con diversa motivazione, da questa stessa Sezione II, con sentenza n. 10550 del 2023).

6.‒ La delibera ha invaso, oltre le competenze statali, anche con le funzioni di pianificazione regionale in materia di rifiuti che, nel sistema del d.lgs. n. 152 del 2006, come si è detto, sono soggette al potere direttivo dello Stato.

Nel sistema delineato dalla riforma costituzionale del 2001, le funzioni amministrative riconducibili alle materie di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., tra cui l’ambiente – le quali, sulla base di una valutazione orientata dai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, siano state conferite dallo Stato alla regione – non possono essere riallocate (o comunque alterate) dal regolatore indipendente, al di fuori di un chiaro mandato legislativo. Si avrebbe, altrimenti, una modifica, operata mediante un atto secondario, dell’assetto inderogabilmente stabilito dalla legge nazionale competente per materia (quale, nell’ambito di cui si tratta, il d.lgs. n. 152 del 2006), sulla base di una valutazione di congruità rispetto alla dimensione degli interessi implicati.

7.‒ La carenza di potere e il vizio di incompetenza che affligge la delibera di ARERA si riverbera inevitabilmente sulle deliberazioni e sugli atti regionali adottati in esecuzione della stessa, per la parte relativa all’individuazione degli «impianti minimi».

8.‒ Va invece confermato il capo della sentenza di primo grado che ha declinato la competenza in ordine all’impugnazione (con secondi motivi aggiunti) del Programma nazionale di gestione dei rifiuti (PNRG).

Gli effetti immediati del PNGR, in quanto atto programmatorio affidato alla competenza statale, si estendono all’intero territorio nazionale.

Come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, il Tribunale competente a decidere la presente controversia deve essere individuato ‒ sulla scorta del criterio ordinario regolatore della competenza territoriale di cui all’articolo 13, comma 1 e 3, del c.p.a., rappresentato dalla sede dell’autorità amministrativa, il quale cede il passo a quello dell’efficacia spaziale nel solo caso in cui la potestà pubblicistica spieghi i propri effetti diretti esclusivamente nell’ambito territoriale di un Tribunale periferico ‒ nel Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma.

Non ricorrono i presupposti di legge per derogare al predetto criterio ordinario di riparto.

In primo luogo, non può essere invocata la competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sede di Milano, di cui all’articolo 14, comma 2, del c.p.a., in quanto tale previsione, di stretta interpretazione, è limitata alle sole «controversie relative ai poteri esercitati dall’ARERA».

Neppure sussistono gli estremi dello spostamento della competenza per ragioni di connessione, di cui al comma 4-bis dello stesso art. 13, come introdotto dall’art.1 lettera a), del d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160. Tale previsione è riferita esclusivamente all’ipotesi di impugnazione contestuale dell’atto presupposto di carattere pregiudiziale e dell’atto consequenziale, e sempre che gli atti presupposti non siano, come nella specie, «normativi o generali» (peraltro, secondo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 20 novembre 2013, n. 29, tale ipotesi di spostamento della competenza per ragioni di connessione ricorre soltanto quando l’atto presupposto non sia autonomamente impugnabile).

Più in radice, la deliberazione dell’Autorità n. 363/2021 (così come, più in generale, le funzioni regolatorie e propositive attribuite all’ARERA dalla legge n. 205 del 2017) non si pone certo in rapporto di presupposizione con le funzioni programmatorie in materia di rifiuti, esercitate a livello statale con lo strumento del PNGR. Non è sufficiente a fondare un rapporto giuridico di connessione tra procedimenti la circostanza di fatto che il PNGR richiami (al paragrafo 5.1), in relazione alla disciplina degli impianti del ciclo minimi, i contenuti del MTR2. La connessione tra procedimenti che eccezionalmente può consentire di derogare all’ordinario criterio di riparto territoriale è solo quella istituita dal legislatore.

Per gli stessi motivi non ricorre neppure quella particolare forma di connessione per accessorietà, in base a cui, ai fini della determinazione del giudice competente, la causa principale attrae a sé quella accessoria (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, ordinanze nn. 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26 del 31 luglio 2014).

L’esatta portata del richiamo dell’atto statale alla deliberazione di ARERA sarà dunque vagliata dal giudice competente.

9.‒ Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite del doppio grado di giudizio, in considerazione della elevata complessità e novità della questione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie parzialmente nei termini di cui in motivazione, e per l’effetto:

- in riforma della sentenza di primo grado, annulla la deliberazione dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) del 3 agosto 2021, n. 363/2021/R/RIF, con particolare riferimento alla individuazione dei c.d. «impianti di chiusura del ciclo minimi», e gli atti della Regione Puglia adottati in esecuzione della stessa;

- conferma il capo della sentenza di primo grado che ha dichiarato l’incompetenza territoriale del T.a.r. Lombardia in ordine alla impugnazione del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (PNGR), adottato con decreto del Ministro della transizione ecologica n. 259 del 24 giugno 2022;

- compensa le spese del doppio grado di giudizio;

- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Dario Simeoli, Presidente FF, Estensore

Cecilia Altavista, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere

Giancarlo Carmelo Pezzuto, Consigliere

Maria Stella Boscarino, Consigliere