Consiglio di Stato Sez. III n. 3897 del 29 aprile 2024
Rifiuti.Responsabilità per la M.I.S.E.

La responsabilità per la M.I.S.E. si ricollega alla mera qualità di gestore del sito e prescinde da una prova della responsabilità di questi nel causare l’inquinamento, dato che si tratta non di una misura sanzionatoria, ma di una misura di prevenzione dei danni, imposta dal principio di precauzione e dal correlato principio dell’azione preventiva; essa quindi grava sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente solo perché egli è tale, senza necessità di accertarne il dolo o la colpa.

Pubblicato il 29/04/2024

N. 03897/2024REG.PROV.COLL.

N. 04627/2019 REG.RIC.

N. 05011/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4627 del 2019, proposto dalla Società Porta di Venezia S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luciano Butti, Federico Peres e Alessandro Kiniger, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia,

contro

-- Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero della salute, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ispra - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, Enea - Agenzia nazionale nuove tecnologie energia e sviluppo economico sostenibile, Istituto Superiore di Sanità, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
-- Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – Direzione generale per la salvaguardia del territorio, Ufficio di Gabinetto del Ministero dello sviluppo economico, Ufficio di Gabinetto del Ministero della salute, Regione Veneto, Presidenza della Regione Veneto, Regione Veneto – Dipartimento Coordinamento Operativo Recupero Ambientale – Territoriale – Sezione Progetto Venezia, Regione Veneto – Direzione Valutazione Progetti Investimenti, Città Metropolitana di Venezia, Sindaco Metropolitano di Venezia, Città Metropolitana di Venezia – Servizio Difesa del Suolo e Tutela del Territorio – Ufficio Bonifiche, Comune di Venezia, Comune di Venezia – Direzione Ambiente e Politiche Giovanili, A.r.p.a. Veneto, Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale, Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, Inail – Istituto nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, Ulss 3 Serenissima, Ulss 3 Serenissima – Dipartimento di Prevenzione, non costituiti in giudizio;

nei confronti

di Immobiliare Tibole S.r.l., Apv Investimenti, Consorzio per la bonifica e riconversione produttiva – Fusina (In Liquidazione), Consorzio di bonifica acque risorgive, Consorzio tecnologico veneziano S.r.l., Consorzio Venezia Nuova, Consorzio Multimodale Darsena, Confindustria di Venezia, Fincantieri – Cantieri Navali Italiani S.p.A., Siderurgica Gabrielli S.p.A., Edison, non costituiti in giudizio,


sul ricorso numero di registro generale 5011 del 2019, proposto dalla Società Immobiliare Tibole S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gaetano Guzzardi e Gabriele Pafundi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi in Roma, via Tagliamento, n. 14,

contro

il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – Direzione Generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare - Direzione per la qualità della vita, il Ministero dello sviluppo economico - Ufficio di Gabinetto, Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Ufficio di Gabinetto, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Porta di Venezia S.p.a., Città Metropolitana di Venezia, Inail - Istituto nazionale assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, Ministero della salute - Ufficio di Gabinetto, Regione Veneto, Comune di Venezia, Ispesl - Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, Istituto superiore di sanità, Agenzia regionale per la protezione ambientale Veneto, Arpav Veneto - Dipartimento provinciale di Venezia, Regione Veneto - Direzione valutazione progetti investimenti, Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Settentrionale di Venezia, Apv Investimenti S.p.A. (già Autorità Portuale Holding), Provveditorato interregionale alle OO.PP. Veneto Taa e Fvg, Azienda Ulss 3 Serenissima, Confindustria (già Unindustria) di Venezia, Consorzio per la bonifica e riconversione produttiva - Fusina, Consorzio di bonifica acque risorgive, Consorzio tecnologico veneziano, Consorzio Venezia Nuova, Consorzio multimodale darsena, Fincantieri - Cantieri navali italiani S.p.a., Siderurgica Gabrielli S.p.a., Edison S.p.a., non costituiti in giudizio;
il Ministero della salute, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ispra - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, Enea - Agenzia nazionale nuove tecnologie energia e sviluppo economico sostenibile, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n.12;

per la riforma,

in relazione ad entrambi i ricorsi n. 4627 del 2019 e n. 5011 del 2019,

della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sezione Terza, n. 1125 del 6 dicembre 2018, resa tra le parti, concernente l’ordine di presentazione di un piano di caratterizzazione del sito di interesse nazionale Venezia-Porto Marghera area “I pili”.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di Ispra - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, di Enea - Agenzia nazionale nuove tecnologie energia e sviluppo economico sostenibile, dell’Istituto superiore di sanità;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, c.p.a.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 7 febbraio 2024 il consigliere Giovanni Sabbato e viste note di trattazione scritta da parte degli avvocati Federico Pires, Alessandro Kinger e dell’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe nel ricorso n. 4627/2019 e delle note di trattazione scritta da parte degli avvocati Gaetano Guzzardi, Gabriele Pafundi e dell’avvocato dello Stato Daniela Giacobbe nel ricorso n. 5011/2019;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. E’ necessario ripercorrere, preliminarmente, i passaggi essenziali della complessa vicenda di causa.

1.1. La Conferenza dei Servizi del 29.11.2010 impartì a Porta di Venezia S.p.a. (di seguito anche la Società) l’ordine di eseguire la caratterizzazione, la messa in sicurezza dei suoli e della falda mediante confinamento fisico nonché di presentare un progetto di bonifica per entrambe le matrici. Queste prescrizioni vennero impugnate innanzi al T.a.r. per il Veneto con il ricorso R.G. n. 567/2011.

1.2. Successivamente, in data 11.10.2016, il Ministero dell’Ambiente notificò alla Società un nuovo provvedimento con cui ribadiva le richieste della Conferenza di Servizi del 2010 e richiamava un Accordo di Programma. Anche questo provvedimento venne impugnato innanzi al T.a.r. per il Veneto con ricorso R.G. n. 1554/2016.

1.3. Furono poi presentati motivi aggiunti nel ricorso R.G. n.1554/2016 avverso una nota ministeriale del 2017, con la quale, riconoscendogli la qualifica di mero proprietario non responsabile, si chiedeva all’appellante di adottare le sole misure di prevenzione consistenti – lo specificava la nota – in un’analisi di rischio esclusivamente sanitario c.d. “in modalità diretta”.

1.4. Nei ricorsi suddetti la ricorrente precisava, in sintesi, che: (i) la normativa, come interpretata dalla giurisprudenza consolidata, escludeva obblighi a carico del proprietario non responsabile, fatta eccezione per le misure di prevenzione; (ii) il tema del risarcimento del danno all’ambiente si chiuse con la transazione MONTEDISON, individuato dagli enti come responsabile; (iii) infine le misure di prevenzione (che effettivamente gravano anche sul proprietario non responsabile) non potevano essere richieste in caso di contaminazione storica (ciò nondimeno la società le realizzava).

2. In vista dell’udienza di discussione l’Avvocatura dello Stato depositava due memorie dando atto del superamento di tutte le vecchie prescrizioni, fatta eccezione per quella che chiedeva la presentazione di un piano di caratterizzazione.

3. Il T.a.r. adìto, con la sentenza n. 1125, pubblicata il 6 dicembre 2018, dopo aver disposto la riunione dei ricorsi NRG 567/2011 e NRG 1554/2016, accoglieva parzialmente quello relativo alla causa NRG 567/2011 mentre dichiarava inammissibili il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti nella causa NRG 1554/2016, oltre ad aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva di INAIL. Condannava la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 1.000,00 oltre accessori di legge in favore di INAIL, mentre compensava integralmente le restanti spese tra le parti.

4. Avverso tale pronuncia è insorta sia Porta di Venezia S.p.a., con atto di appello notificato in data 29 maggio 2019 e depositato il 31 maggio 2019, articolando quattro motivi (pagine 8-21), sia Immobiliare Tibole S.r.l. formulando un unico complesso motivo (pagine 9-13), deduzioni che saranno di seguito esaminate.

5. In data 12/14 giugno 2019 si sono costituiti in entrambi i giudizi il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della salute, l’ISPRA - Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, l’ENEA - Agenzia nazionale nuove tecnologie energia e sviluppo economico sostenibile e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

6. In prosieguo di entrambi i giudizi parte appellata ha depositato memorie concludendo per la reiezione del gravame n. 4627/2019 e per la declaratoria di inammissibilità di quello n. 5011/2019. Tutte le parti, nelle more della discussione, hanno depositato ulteriori memorie anche in replica.

7. All’udienza del 7 febbraio 2024 entrambe le cause, sulle conclusioni delle parti, sono state trattenute in decisione.

7.1. In via preliminare poichè entrambi i gravami attengono alla medesima controversia e hanno quale bersaglio la stessa sentenza deve disporsi la riunione degli stessi.

Va a tal proposito rammentato, in via generale e per completezza espositiva, che nel processo amministrativo, con riferimento al grado di appello, sussiste l’obbligo per il giudice di disporre la riunione degli appelli allorquando questi siano proposti avverso la stessa sentenza (art. 96, comma 1, c.p.a.), mentre in tutte le altre ipotesi la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., con la conseguenza che i provvedimenti adottati al riguardo hanno carattere meramente ordinatorio, sono privi di valenza decisoria e restano conseguentemente insindacabili in sede di gravame con l'unica eccezione del caso in cui la medesima domanda sia proposta con due distinti ricorsi dinanzi al medesimo giudice (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, sez. V, 24 maggio 2018, n. 3109).

Deriva da quanto sopra che va disposta la riunione del ricorso in grado di appello n. R.g. 5011 del 2019 al ricorso in grado di appello n. R.g. 4627 del 2019, in quanto quest’ultimo ricorso (in appello) è stato proposto in epoca antecedente rispetto al precedente, perché siano decisi in un unico contesto processuale e ciò sia per evidenti ragioni di economicità e speditezza dei giudizi sia al fine di prevenire la possibilità (eventuale) di un contrasto tra giudicati (cfr., ancora, Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 22, e 23 luglio 2012, n. 4201).

8. L’appello n. 4627/2019 è infondato.

Giova precisare che tale gravame è indirizzato (unicamente) nei riguardi delle statuizioni reiettive recate dall’impugnata sentenza, ed in particolare quelle con le quali il T.a.r. ha ritenuto che può essere chiesta anche al proprietario non responsabile dell’inquinamento la “messa in sicurezza d’emergenza” ed ha considerato irrilevante una transazione precedentemente raggiunta tra il Ministero e la Montedison, ritenuta responsabile dell’inquinamento

8.1. Con il primo motivo, l’appellante censura l’impugnata sentenza, nella parte in cui ha confermato la sussistenza, in capo alla ricorrente, dell’obbligo di eseguire la messa in sicurezza, avendo accertato, in punto di fatto, la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’effettuazione di tale operazione.

La società deduce, al riguardo, la violazione dell’art. 112 c.p.c. dalla seguente formulazione: “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti”. Evidenzia, infatti, che, poiché le relative prescrizioni dovevano ritenersi superate dalla successiva nota del Ministero del 24.2.2017 prot. 4287/STA, aveva chiesto la declaratoria di improcedibilità del primo ricorso.

Ai fini della disamina del motivo è opportuno riportare il seguente testuale passaggio del gravame d’appello: “La richiesta di dichiarare la carenza di interesse alla decisione (non contestata dalla ricorrente) avrebbe dovuto condurre il T.A.R. a non decidere sulle prescrizioni impugnate con il primo ricorso, fatta eccezione per la caratterizzazione (e le misure di prevenzione chieste con la nota del 2017). Come detto, il Giudice di primo grado si è pronunciato sulla caratterizzazione (e sull’analisi di rischio e sulla bonifica) correttamente escludendo obblighi in tal senso a carico del proprietario, ma ha erroneamente ritenuto legittima la richiesta di messa in sicurezza d’emergenza. La decisione del T.A.R. ha violato l’art. 112 c.p.c. non avendo esercitato «il potere giurisdizionale nell’ambito dell’esatta corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato» (Cons. Stato n. 4907/2017), è incorsa nel vizio di ultrapetizione (per avere pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni come definite nel contraddittorio processuale) ed ha violato anche il principio dispositivo. Vista la dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse, il T.A.R. avrebbe, dunque, dovuto dichiarare l’improcedibilità del ricorso.

8.1.1. La censura non convince per due ragioni:

i. in primo luogo va rilevato che la nota del 2017 ribadisce le precedenti prescrizioni per cui l’interesse sarebbe venuto meno soltanto se la parte avesse impugnato la nuova nota anche in relazione a queste invece che soltanto rispetto alle misure di prevenzione;

ii. dagli atti di causa del giudizio di prime cure non si riscontra alcuna esatta richiesta di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse da parte ricorrente.

8.2. Con il secondo motivo, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ritiene legittima l’imposizione della messa in sicurezza d’emergenza al proprietario non responsabile. Parte appellante argomenta in tal senso valorizzando talune norme di riferimento (in particolare, l’art.242 d.lgs. n. 152/2006) e ripercorrendo l’evoluzione della giurisprudenza in materia, anche di questo Consiglio, secondo cui va escluso il coinvolgimento coattivo del proprietario incolpevole del sito inquinato nelle attività di messa in sicurezza di emergenza. Su quest’ultimo può gravare soltanto l’obbligo di effettuare la comunicazione e di realizzare le misure di prevenzione

8.2.1. Anche tale motivo risulta infondato.

Occorre dare atto sul punto dell’ormai consolidato orientamento di questo Consiglio, sfavorevole alla tesi di parte appellante, che è compendiato nel passaggio testuale di una recente pronuncia e che di seguito si riporta:

“A tal riguardo, il Collegio ricorda che l'impossibilità di imporre le opere di bonifica al proprietario di un terreno inquinato non responsabile del relativo inquinamento è stata affermata a partire dalla nota sentenza Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell'Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n. 25). La sentenza della Corte di giustizia, in particolare, ha chiarito che "La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'autorità competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione".

La successiva giurisprudenza nazionale, nel tentativo di ulteriormente sviluppare l'assunto della Corte di giustizia, è giunta ad affermare l'impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione, traendo principale argomento dalla natura sanzionatoria di questa misura.

In tale ottica ricostruttiva, si è tuttavia osservato che analogo ragionamento non può valere anche con riferimento alle misure di messa in sicurezza di emergenza, le quali, così come le misure di prevenzione, non hanno analoga natura sanzionatoria, ma preventiva e cautelare, trovando fondamento nel principio di precauzione e nel correlato principio dell'azione preventiva, e, in quanto tali, possono gravare sul proprietario (o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente) solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (in questi termini, la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1658; sez. VI, 3 gennaio 2019, n. 81; sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089; 14 aprile 2016, n. 1509.

In base a tale consolidato orientamento, il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti, che non sia responsabile dell'inquinamento (c.d. proprietario incolpevole) e che non sia stato negligente nell'attivarsi con le segnalazioni e le denunce imposte dalla legge, è, pertanto, tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza definitiva, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia su colui al quale - per una sua condotta commissiva od omissiva - sia imputabile l'inquinamento; la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda agli adempimenti dovuti, può adottare d'ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un'azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito dopo l'esecuzione degli interventi medesimi (cfr., tra le altre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2018, n. 502, e id., Sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5604).

Ne discende che il proprietario non responsabile dell'inquinamento - nell'accezione prima chiarita - è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006 ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 152 del 2006 (ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia") e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2024, n.1110).

Tale pronunciamento affonda le sue radici in un orientamento giurisprudenziale già precedentemente consolidatosi e dal quale quindi non vi è ragione di decampare in questa sede, secondo cui “il proprietario ‘non responsabile' dell'inquinamento è tenuto, ai sensi dell'art. 245, comma 2, d. lgs. n. 152/2006, ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett. i), (ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”) e le misure di messa in sicurezza d'emergenza, non anche la messa in sicurezza definitiva, né gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale. Ad ogni modo, nel caso di bonifica spontanea di sito inquinato, il proprietario avrà diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute (pur se si tratta del dante causa), a condizione che sia stata rispettata la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall'identificazione del responsabile dell'inquinamento da parte della competente autorità amministrativa, senza che, in presenza di altri responsabili, trovi applicazione il principio della solidarietà” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1° giugno 2022, n.4445).

Inoltre, come affermato da costante giurisprudenza, per tutte da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 1547/2023, la responsabilità per la M.I.S.E. si ricollega alla mera qualità di gestore del sito e prescinde da una prova della responsabilità di questi nel causare l’inquinamento, dato che si tratta non di una misura sanzionatoria, ma di una misura di prevenzione dei danni, imposta dal principio di precauzione e dal correlato principio dell’azione preventiva; essa quindi grava sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente solo perché egli è tale, senza necessità di accertarne il dolo o la colpa. Il motivo in esame è quindi infondato.

8.3. Con il terzo mezzo, l’appellante contesta la sussistenza dei presupposti oggettivi per l’attivazione della M.I.S.E., così come definiti dall’art. 240, lett. m) del D.lgs. 152/2006.

Più in particolare, si deduce che la M.I.S.E. può essere imposta dalla P.A. solo:

i) qualora si verifichino eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura;

ii) qualora ricorrano le condizioni di emergenza (ai sensi dell’art. 240, comma 1, lett. t), si hanno condizioni di emergenza in caso di concentrazioni attuali o potenziali dei vapori in spazi confinanti prossime a livelli di esplosività o idonee a causare effetti nocivi alla salute, presenza di quantità significativa di prodotto in fase separata sul suolo o in corsi d’acqua superficiali o nella falda, contaminazione di pozzi ad uso idropotabile o per scopi agricoli, pericolo di incendi od esplosioni). Tali condizioni nel caso di specie non sussisterebbero trattandosi di un fenomeno di inquinamento non recente (invero si tratterebbe di una “compromissione antica”).

8.3.1. Anche tale motivo non coglie nel segno dovendosi così confermare quanto sul punto osservato dal T.a.r. nel senso che si deve “interpretare la locuzione legislativa “eventi di contaminazione repentini” di cui all’art. 240, lett. m) d.lgs. n.152/2006, non nel senso di eventi di contaminazioni imprevedibili o sopravvenuti, ma nel senso di eventi di contaminazione che richiedono, proprio in ragione della loro gravità e del loro pericolo intrinseco, di essere fronteggiati con immediatezza e con assoluta celerità”.

Nel medesimo senso si è infatti espresso questo Consiglio, anche di recente, rilevando quanto segue:

“Ebbene, in tali situazioni le misure di prevenzione, al pari della messa in sicurezza d'emergenza, possono essere imposte, ai sensi delle predette norme, anche al proprietario incolpevole (Cons. Stato Sez. IV, 12/07/2022, n. 5864).

8.1. Si tratta, infatti, di disporre (come avvenuto nella fattispecie) interventi tempestivi volti ad impedire e arginare la diffusione delle predette sostanze per gli evidenti impatti negativi ad effetti tendenzialmente irreversibili che le stesse sono in grado di produrre per l'ambiente e, più in particolare, a scapito della salute umana, in matrici di ecosistemi dai quali è poi difficile, in termini operativi, sanitari ed economici, la loro rimozione.

8.2. La giurisprudenza amministrativa, formatasi successivamente alla sentenza Corte di giustizia UE, sez. III, 4 marzo 2015 C 534-13 (su ordinanza di rinvio pregiudiziale dell’Adunanza plenaria 13 novembre 2013 n. 25), ha chiarito che, in materia di inquinamento, l'impossibilità di imporre le misure di bonifica al proprietario non responsabile della contaminazione si giustifica, in sintesi estrema, per la natura sanzionatoria di questa misura.

8.3. Diverso discorso si deve, invece, fare per le misure di prevenzione le quali, al pari della messa in sicurezza di emergenza, non hanno questa natura, ma costituiscono prevenzione dei danni, sono imposte dal principio di precauzione e dal correlato principio dell'azione preventiva, e quindi gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente solo perché egli è tale senza necessità di accertarne il dolo o la colpa (Cons. Stato Sez. IV, 02/05/2022, n. 3426; 12/07/2022, n. 5863).

8.4. Le misure emergenziali possono essere, dunque, disposte a carico del proprietario anche laddove venga ordinata una misura di prevenzione, e non solo di messa in sicurezza di emergenza; e anche soltanto per evitare un incremento repentino e potenzialmente immediato e incontrollabile dell'inquinamento.

8.5. Sotto quest’ultimo profilo, l'accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti (in termini di incremento anche potenziale) si basa sul criterio del "più probabile che non", ovvero richiede semplicemente che il nesso eziologico ipotizzato dall'autorità competente sia più probabile della sua negazione (Cons. Stato Sez. IV, 02/05/2022, n. 3426).

9. La circostanza, posta in evidenza dall’appellante, secondo cui la contaminazione sarebbe risalente nel tempo non assume, pertanto, alcuna rilevanza.

9.1. In primo luogo, perché l'art. 242, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006, nel fare riferimento specifico anche alle "contaminazioni storiche", ha inteso affermare il principio per cui la condotta inquinante, anche se risalente nel tempo e verificatasi in momenti storici passati, non esclude il sorgere di obblighi di bonifica, messa in sicurezza di emergenza o di prevenzione ove il pericolo di aggravamento della situazione sia ancora attuale (Cons. Stato Sez. IV, 14/06/2022, n. 4826).

9.2. In secondo luogo, alla luce di quanto ritenuto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 21 del 25 settembre 2013 che ha riconosciuto che “il proprietario non responsabile è gravato di una specifica obbligazione di facere che riguarda, però, soltanto l'adozione delle misure di prevenzione di cui all'art. 242, (che, all'ultimo periodo del comma 1, ne specifica l'applicabilità anche alle contaminazioni storiche [quale quella per cui oggi si controverte NdR] che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione)” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2023, n. 1147).

8.4. Con il quarto motivo, l’appellante contesta la statuizione con la quale è stata ritenuta irrilevante la transazione, intervenuta nel 2001 con Montedison, per un ammontare di 500 miliardi di lire a titolo di risarcimento del danno ambientale arrecato a laguna, canali e aree prospicienti, compresa quella che qui interessa.

L’appellante a tal proposito deduce che: l’area “I Pili” (all’epoca ancora di proprietà dello Stato) era ricompresa tra quelle oggetto di transazione che il Ministero doveva risanare con la somma incassata da Montedison; l’oggetto della transazione non era il risarcimento del danno da reato, ma il risarcimento del danno ambientale ex art. 18 l. n. 349/1986; il Ministero, transando con il soggetto identificato come responsabile dell’inquinamento, decise di farsi carico degli interventi necessari per il completo risanamento di tutte le aree considerate dalla transazione stessa, ponendone l’onere economico sul trasgressore e definendo con lui il quantum in via transattiva; in ogni caso, non rileva la circostanza che le risorse finanziarie della transazione sarebbero state destinate alla bonifica (in senso stretto) dell’area, non alle diverse misure di prevenzione e di messa in sicurezza d’emergenza che resterebbero invece a carico del proprietario.

8.4.1. Anche tale motivo è privo di fondamento.

Deve infatti rilevarsi l’infondatezza di quanto dedotto a proposito della statuizione con la quale il T.a.r. ha ritenuto irrilevante la transazione raggiunta in precedenza tra il Ministero e Montedison in forza della quale il Ministero ha percepito somme rilevanti destinate specificamente al risanamento dell’area “I Pili”.

Come risulta dalla semplice lettura dell’Atto Transattivo (cfr. art.6), ai sensi dell’art.1304 c.c. è stata espressamente esclusa, da parte di soggetti terzi, la facoltà di avvalersi del predetto accordo, restando impregiudicata la facoltà dello Stato di richiedere, a loro carico, misure riparatorie o ripristinatorie. Tale espressa previsione dell’accordo transattivo induce a reputare infondati tutti i passaggi argomentativi posti a sostegno del motivo in esame ostando alla sua efficacia espansiva sul piano soggettivo quanto espressamente previsto dalla disposizione su citata.

9. Occorre quindi provvedere alla disamina dell’appello n. 5011/2019.

9.1. Con un unico motivo, la società appellante deduce la violazione dell’art. 111 c.p.c, rilevando, nella sostanza, che la conferenza di servizi del 2006 era il primo atto lesivo che estendeva i suoi effetti anche alla società Tibole, la quale, quindi, era legittimamente intervenuta ad adiuvandum nei due giudizi promossi dalla società Porta di Venezia.

In particolare, l’appellante censura la sentenza laddove afferma che “Il primo motivo di ricorso risulta parzialmente inammissibile per difetto di interesse laddove la ricorrente impugna le prescrizioni contenute nel verbale della conferenza di servizi del 29 novembre 2010 rivolte unicamente nei confronti della società Tibole s.r.l. (non estensibili alla società Porta di Venezia)”. Evidenzia infatti che la ricorrente Porta di Venezia - ancorché abbia impugnato le prescrizioni del verbale 29.11.10 rivolte a Tibole - ha anche e validamente impugnato l’atto del 2010 ricognitivo della conferenza di servizi 2006 (costituente atto generale perché interessante la complessiva area ‘I Pili’ all’epoca ancora non ripartita fra Tibole e Porta di Venezia) che confermava alla proprietà la complessiva sottoposizione dell’area a caratterizzazione in violazione del principio chi inquina paga. Il T.a.r. Veneto, accogliendo la sua domanda nella parte in cui la ricorrente, pacificamente non responsabile dell’inquinamento dell’area “I Pili”, è stata destinataria, nel verbale della conferenza di servizi decisoria del 29 dicembre 2006 ha sancito in modo inequivocabile che tale conferenza di servizi era in parte qua illegittima. Senza però tener conto del fatto che nel 2006 Porta di Venezia era proprietaria dell’intero compendio, venduto a Immobiliare Tibole solo nel 2009.

9.2. L’appello, come eccepito da parte appellata, risulta inammissibile in quanto non si comprende il preciso tenore delle deduzioni di parte appellante, la quale non avversa una precisa statuizione della sentenza di prime cure; la società si limita infatti a rilevare che aveva interesse a contestare l’atto del 2006 sebbene avesse acquistato il bene soltanto nel 2009 stante il carattere meramente confermativo dell’atto del 2010 rispetto a quello del 2006.

In punto di interesse a ricorrere condivisibile giurisprudenza è nel senso che “Nel processo amministrativo l'intervento "ad adiuvandum o "ad opponendum" può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale e non anche da un soggetto che sia portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale; di conseguenza la mancanza nell'interveniente di una posizione sostanziale di interesse legittimo, invece di costituire momento di ostacolo al suo ingresso in giudizio, ne rappresenta al contrario un presupposto di ammissibilità.” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2011, n.4557). Nel medesimo senso: “La mancanza nell’interveniente di una posizione sostanziale di interesse legittimo, lungi dal costituire momento di ostacolo al suo ingresso in giudizio, ne rappresenta al contrario un presupposto di ammissibilità, in adesione ai consolidati orientamenti giurisprudenziali che subordinano l'intervento del terzo alla difesa di un suo interesse derivato o non ancora attuale, in caso contrario si eluderebbe la perentorietà del termine per la proposizione di autonomo ricorso (nel caso di specie, veniva riconosciuta in capo agli intervenienti ad adiuvandum una posizione qualificata in quanto collocatisi in posizione utile nella graduatoria di un concorso e aventi un interesse alla conservazione degli atti impugnati).” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 settembre 2010, n.6483).

10. In conclusione l’appello n. 4627/2019 deve essere respinto mentre l’appello n. 5011/19 deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse a ricorrere.

11. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di grado in ordine al giudizio n. 4627/2019 sussistendo i presupposti di cui all’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., stante la peculiarità e la complessità, sia in punto di fatto che di diritto, delle questioni oggetto di contenzioso; invece, secondo il principio della soccombenza ed in assenza delle peculiarità evidenziate al precedente gravame, le spese relative al giudizio n. 5011/19 vanno poste a carico della Società Immobiliare Tibole S.r.l. in favore della parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti (n. 4627/2019 e n. 5011/2019), previamente riuniti, così decide:

- respinge il ricorso n. 4627/2019 proposto da Porta di Venezia S.p.a.;

- dichiara inammissibile il ricorso n. 5011/2019 proposto dalla Società Immobiliare Tibole S.r.l.

Spese di grado compensate in relazione all’appello n. 4627/2019 mentre poste a carico della Società Immobiliare Tibole S.r.l. in favore delle Amministrazioni appellate, in solido tra loro, nella misura di € 4.000,00 (quattromila/00) oltre IVA, CPA ed accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2024 svoltasi in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l’intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore

Carmelina Addesso, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere