Consiglio di Stato Sez. IV n. 4549 del 22 maggio 2024     
Rifiuti.Differenza tra rifiuti elettrici ed elettronici

La differenza tra rifiuti elettrici ed elettronici non è solo terminologica, dato che fra le apparecchiature elettriche e quelle elettroniche esiste una differenza tecnica di composizione, in particolare per quanto qui rileva ai fini di un riciclaggio, per fatto notorio nel settore specifico, i dispositivi elettrici utilizzano fili di rame e alluminio per il flusso di corrente elettrica mentre i dispositivi elettronici utilizzano materiale semiconduttore. In coerenza con questo dato tecnico, la normativa in materia distingue fra le due categorie. La direttiva RAEE, 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012 e la corrispondente normativa nazionale, d. lgs. 14 marzo 2014 n.49. per parte loro parlano, sia nel testo originale inglese sia in quello italiano, di “electrical and electronic equipment”, ovvero di “apparecchiature elettriche, ed elettroniche”. Nel regolamento 1013/2016 e nel suo antecedente la distinzione invece scompare, perché il testo del codice GC020, espressamente sostituito dalla voce Basilea B1110, che si riferiva ad entrambi, parla solo di apparecchiature “elettroniche” sia nel testo originale inglese, sia in quello italiano, come sopra riportati (fattispecie in cui il provvedimento impugnato, a prescindere dal riferimento che esso fa ad un codice CER, usato all’evidenza solo a scopo descrittivo, è stato ritenuto legittimo, perché un carico di rifiuti, contenendo sia rifiuti elettrici, sia rifiuti elettronici, non rientrava nella fattispecie per la quale è applicabile la procedura semplificata, ovvero nella fattispecie dei soli rifiuti elettronici).

Pubblicato il 22/05/2024

N. 04549/2024REG.PROV.COLL.

N. 07808/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7808 del 2022, proposto dalla S.E.Val. - Società Elettrica Valtellinese S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Salvatore Dettori, Andrea Martelli e Mara Chilosi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Dettori in Roma, piazza SS. Apostoli 66;

contro

l’Agenzia delle dogane e dei monopoli; l’Agenzia delle dogane - Direzione interregionale per la Liguria, il Piemonte e la Valle d'Aosta; l’Agenzia delle dogane e -Ufficio delle dogane di Genova, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
l’Ufficio delle dogane di Genova 2- Sezione antifrode e controlli, Reparto antifrode; l’Ufficio delle dogane di Genova 2, Sezione operativa territoriale di Voltri, Reparto controlli in linea; il Capo reparto antifrode della Sezione antifrode e controlli, dell'Ufficio delle dogane di Genova 2 ed il Direttore ad interim dell'Ufficio delle dogane di Genova 2, non costituiti in giudizio;

nei confronti

della Regione Lombardia, della Provincia di Lecco e della Psa Genova Prà S.p.a., non costituitesi in giudizio;

per l’annullamento ovvero la riforma

della sentenza del T.a.r. Liguria, sez. II, 3 marzo 2022 n.177, che ha respinto il ricorso n. 480/2021 R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti e provvedimenti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, Direzione interregionale per la Liguria, il Piemonte e la Valle d’Aosta, Ufficio delle dogane di Genova 2, concernenti la dichiarazione doganale 23 marzo 2021 n.EX1 34178 V presentata dalla Seval- Società Elettrica Valtellinese S.r.l. all’Ufficio delle dogane di Genova 2, Sezione operativa territoriale – SOT di Voltri e concernente rifiuti provenienti dalla macinazione meccanica di apparecchiature elettriche ed elettroniche –RAEE:

a) del provvedimento 23 aprile 2021 prot. n.18634RU, notificato il giorno stesso, con il quale il Capo reparto antifrode della Sezione antifrode e controlli ha comunicato la non conformità della merce e l’invito alla ripresa dei rifiuti;

di ogni altro atto presupposto, preparatorio, consequenziale, connesso e conseguente, e in particolare:

b) del verbale di verifica 29 marzo 2021 prot. n. 14705/RU del funzionario istruttore del Reparto controlli in linea della SOT Voltri;

c) del verbale dell’8 aprile 2021 del Reparto antifrode;

d) della comunicazione 9 aprile 2021 prot. n. 16413/RU del Capo reparto, di richiesta documentazione integrativa;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti suindicate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente appellante, impresa attiva nel settore dei rifiuti, gestisce in particolare un impianto di trattamento dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche – RAEE autorizzato con provvedimento della provincia di Lecco 22 dicembre 2020 prot. n.78215 (doc. 5 in I grado ricorrente appellante), impianto che si trova a Colico (Lc) in via La Croce 10, nel quale esercita attività di recupero di questi rifiuti, che in sintesi vengono sottoposti ad un primo trattamento, al termine del quale si presentano come frammenti risultato di una macinazione, e successivamente vengono avviati ad appositi impianti appunto di recupero dei metalli non ferrosi ovvero preziosi in essi contenuti. Poiché questi impianti di recupero nel nostro Paese nella sostanza non esistono, la ricorrente appellante esegue periodicamente spedizioni transfrontaliere di rifiuti di questo tipo. Si controverte del corretto procedimento applicabile ad una di queste spedizioni, indirizzata all’impianto della Onahama Smelting and Refining Co. Ltd., facente parte del noto gruppo Mitsubishi e situato in Giappone (cfr. atto di appello, pp. 9-11, fatti non contestati in causa).

2. Per chiarezza, vanno ricostruite in quanto necessario le norme che disciplinano la materia.

2.1 Come è noto, le spedizioni transfrontaliere di rifiuti sono disciplinate a livello internazionale, allo scopo di evitare il fenomeno, in passato ricorrente, dell’invio e dello smaltimento incontrollato dei rifiuti stessi nei paesi in via di sviluppo da parte dei paesi industrializzati. In proposito, la fonte di riferimento fondamentale è la “Convenzione sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento” firmata a Basilea il 22 marzo 1989, la quale costituisce il più completo accordo in materia, si propone di proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti avversi risultanti dalla produzione, dai movimenti attraverso i confini e dalla gestione dei rifiuti, in particolare di quelli pericolosi, e richiede alle parti di garantire che queste operazioni avvengano con modalità sicure.

2.2 La Convenzione di Basilea è stata approvata dall’allora Comunità economica europea con decisione 93/98/CEE del Consiglio 1 febbraio 1993 e immediatamente trasfusa nel regolamento 259/93 CEE dello stesso 1 febbraio 1993, regolamento oggi abrogato e sostituito da quello attualmente in vigore, 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006 (cfr. l’art. 61 di quest’ultimo per l’abrogazione), La Convenzione stessa, pertanto, è all’evidenza vincolante anche per l’Italia, in quanto Stato membro dell’Unione europea e quindi immediatamente vincolato dai relativi regolamenti.

2.3 In materia, dispone poi un altro atto internazionale, ovvero la “Decision concerning the Control of Transboundary Movements of Wastes Destined for Recovery Operations”, ovvero “Decisione sul controllo dei movimenti transfrontalieri dei rifiuti avviati al recupero” adottata il 14 giugno 2001 dal Consiglio dell’OCSE- Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico in sostituzione di un preesistente atto sulla stessa materia, al dichiarato scopo di armonizzarsi con la Convenzione di Basilea in particolare quanto alla classificazione dei rifiuti soggetti al controllo, e vincolante per i paesi OCSE, tra i quali anche l’Italia e la stessa Unione europea.

2.4 Per effetto di quest’ultima Decisione OCSE, quindi, il regolamento 1013/2006 si riferisce, come si vedrà, talora ai codici identificativi dei rifiuti previsti dalla Convenzione di Basilea, talvolta ai codici, in parte diversi, previsti appunto dalla Decisione OCSE. Come si evidenzia per chiarezza, questi codici esprimono poi una classificazione a sé stante, valida a livello internazionale per lo scopo specifico per cui essa è prevista. Come tali vanno ben distinti dai noti codici CER - acronimo di Catalogo Europeo Rifiuti- istituiti con la direttiva 75/442/CEE e suoi successivi aggiornamenti, che invece identificano i rifiuti per le operazioni diverse dalle spedizioni transfrontaliere e valgono soltanto per l’Unione europea.

2.5 Ciò chiarito, va illustrato per quanto interessa il regime applicabile a queste spedizioni secondo il regolamento 103/2006.

2.5.1 Si deve incominciare dal Titolo III del regolamento stesso, che dispone per le spedizioni all’interno dell’Unione, con o senza transito attraverso paesi terzi, e prevede due distinte procedure, la procedura di notifica ed autorizzazione preventive scritte di cui agli artt. 3 e ss. e gli obblighi generali di informazione di cui agli artt. 18 e ss. La prima procedura, come dice il nome, prevede in sintesi che l’interessato debba notificare all’autorità competente ogni carico che intende spedire, ai sensi dell’art. 4 e attendere il provvedimento esplicito di cui all’art. 9, ed è evidentemente più complessa ed onerosa. La seconda procedura consente invece di spedire direttamente i rifiuti, purchè corredati di una serie di informazioni, senza attendere provvedimento alcuno.

2.5.2 Ai sensi dell’art. 3 comma 1 lettera b) del regolamento, sono in particolare soggette a notifica ed autorizzazione scritta “le spedizioni dei seguenti rifiuti… se destinati ad operazioni di recupero” come nel caso di specie “iv) le miscele di rifiuti non classificati sotto una voce specifica degli allegati III, III B, IV o IV A tranne se elencati nell'allegato III A”.

2.5.3 Ai sensi invece dell’art. 3 comma 2 lettera a) del regolamento, invece “sono soggette agli obblighi generali d'informazione di cui all'articolo 18 le spedizioni dei seguenti rifiuti destinati al recupero: a) i rifiuti elencati nell'allegato III o III B, b) le miscele di rifiuti, non classificati sotto una voce specifica dell'allegato III, composte da due o più rifiuti elencati nell'allegato III, sempreché la composizione delle miscele non ne impedisca il recupero secondo metodi ecologicamente corretti e tali miscele siano elencate nell'allegato III A, a norma dell'articolo 58”, in tutti i casi se, come nella specie, il quantitativo spediti superi i 20 chilogrammi.

2.5.4 La disciplina appena descritta, in forza dell’art. 38 del regolamento è applicabile -con gli adattamenti ivi previsti- anche alle spedizioni in paesi non appartenenti all’Unione ai quali però si applichi la Decisione OCSE di cui si è detto, fra i quali il Giappone che rileva nel caso di specie: “In caso di esportazione dalla Comunità di rifiuti elencati negli allegati III, III A, III B, IV e IV A e di rifiuti o di miscele di rifiuti non classificati sotto una voce specifica negli allegati III, IV o IV A destinati al recupero in paesi ai quali si applica la decisione OCSE con o senza transito attraverso paesi ai quali si applica la decisione OCSE, si applicano, mutatis mutandis, le disposizioni del titolo II, con gli adattamenti e le integrazioni elencati nei paragrafi 2, 3 e 5”,

2.5.5 Fra gli adattamenti in questione, rileva nel caso presente quello previsto dall’art. 38 comma 2 lettera b) del regolamento, per cui “i rifiuti elencati nell'allegato III B sono soggetti alla procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte”.

2.5.6 Da quanto si è detto, risulta allora che, per sapere se un dato rifiuto a fini di recupero è esportabile semplicemente assolvendo gli obblighi di informazione in un paese non appartenente all’Unione europea, ma comunque soggetto alla Decisione OCSE, come nel caso del Giappone, occorre far riferimento al contenuto dei citati allegati III e III A, che ora va esaminato.

2.5.7 L’allegato III contiene appunto l’elenco dei rifiuti soggetti agli obblighi generali di informazione di cui all’art. 18, denominato “elenco verde” e si apre con una previsione di carattere generale, per cui “Indipendentemente dal fatto che figurino o no in questo elenco, i rifiuti non possono essere assoggettati agli obblighi generali di informazione di cui all'articolo 18, qualora siano contaminati da altri materiali in misura tale da: a) aumentare i rischi associati a tali rifiuti in misura sufficiente a rendere questi ultimi assoggettabili alla procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte, in considerazione delle caratteristiche di pericolosità di cui all'allegato III della direttiva 91/689/CEE; o b) impedirne il recupero in modo ecologicamente corretto”.

2.5.8 Ciò chiarito, nella parte I l’elenco verde individua i rifiuti soggetti ai soli obblighi di informazione preventiva come quelli “elencati nell'allegato IX della convenzione di Basilea”, prevedendo peraltro anche qui alcuni adattamenti. Nel caso di specie, rileva quanto previsto dal comma 2 lettera e) dell’elenco stesso, per cui “la voce B1110 della convenzione di Basilea non si applica e si applicano invece le voci OCSE GC010 e GC020 della parte II”.

2.5.9 La voce B1110 in questione contempla gli “Assemblaggi elettrici ed elettronici” e quindi i “rifiuti provenienti da assemblaggi elettrici costituiti unicamente da metalli o leghe”, e inoltre i “rifiuti o rottami di assemblaggi elettrici o elettronici (comprese le piastre di circuiti stampati) che non contengono componenti quali accumulatori e altre batterie riportate nell'elenco A, commutatori a mercurio, vetri di tubi a raggi catodici e altro vetro attivato e condensatori di PCB, o non contaminati da sostanze di cui allegato I (ad esempio cadmio, mercurio, piombo, difenile policlorato) o da cui tali sostanze sono state eliminate in misura tale che essi non presentano alcuna delle caratteristiche di cui all'allegato III (cfr. la voce corrispondente nell'elenco A, A1180” e infine gli “assemblaggi elettrici ed elettronici (compresi i circuiti stampati, i componenti elettronici e i cavi) destinati al riutilizzo diretto e non al riciclaggio o all'eliminazione definitiva”. Il testo originale della convenzione, che fa fede ai sensi dell’art. 29 di essa, dice a sua volta che il codice B1110 comprende: “Electrical and electronic assemblies: • Electronic assemblies consisting only of metals or alloys • Waste electrical and electronic assemblies or scrap (including printed circuit boards) not containing components such as accumulators and other batteries included on list A, mercury-switches, glass from cathode-ray tubes and other activated glass and PCB capacitors, or not contaminated with Annex I constituents (e.g., cadmium, mercury, lead, polychlorinated biphenyl) or from which these have been removed, to an extent that they do not possess any of the characteristics contained in Annex III (note the related entry on list A A1180) • Electrical and electronic assemblies (including printed circuit boards, electronic components and wires) destined for direct reuse and not for recycling or final disposal”.

2.5.10 Viceversa, come si è detto, la voce B1110 non è applicabile, e si applicano al suo posto le voci GC010 e GC020 della Decisione OCSE, riportate nella parte II dell’allegato III, le quali rispettivamente comprendono “Rifiuti provenienti da assemblaggi elettrici costituiti unicamente da metalli o leghe” e “Rottami elettronici (per esempio lastre di circuiti stampati, componenti elettronici, fili, ecc.) e componenti elettronici recuperati che possono essere utilizzati per il recupero di metalli comuni e preziosi”. Nel testo originale della Decisione OCSE si parla poi per la voce GC010 di “Electrical assemblies consisting only of metals or alloys” e per la voce GC020 di “Electronic scrap (e.g. printed circuit boards, electronic components, wire, etc.) and reclaimed electronic components suitable for base and precious metal recovery”.

2.5.11 L’allegato III A invece non rileva ai fini di causa, dato che contempla le miscele di alcuni rifiuti già autonomamente previsti dall’allegato III, ma non comprende miscele di rifiuti classificabili con il codice B1100 della Convenzione di Basilea, e quindi miscele comprendenti i rifiuti GC010 e GC020.

2.5.12 Da quanto si è detto, risulta allora che se un rifiuto non è classificabile in alcuno dei codici dell’allegato III o dell’allegato III A, non potrà comunque essere spedito in uno dei paesi soggetti alla Decisione OCSE con la procedura semplificata degli obblighi di informazione. Secondo logica, si tratterà infatti di un rifiuto compreso nell’elenco di cui all’allegato III B del regolamento, ovvero nell’elenco di cui all’allegato IV, cosiddetto “elenco ambra”, per cui è richiesta la procedura di notifica e autorizzazione preventiva. Tutto ciò in astratto; in concreto una volta stabilito che la procedura degli obblighi di informazione non è applicabile sarà onere del soggetto interessato, che intenda comunque procedere all’esportazione, riconsiderare di nuovo la questione, individuare la voce corretta dell’elenco e chiedere l’autorizzazione con la notifica apposita.

2.5.13 Il quadro della normativa va completato osservando che le spedizioni transfrontaliere a paesi non appartenenti all’Unione europea comportano, secondo logica, il passaggio di una dogana, nel caso presente quella del porto di Genova. È allora applicabile la norma specifica di cui all’art. 193 bis del d. lgs. 3 aprile 2006 n.152, per cui: “Fermi restando gli obblighi in materia di tracciabilità e le eventuali responsabilità del trasportatore, dell'intermediario, nonché degli altri soggetti ad esso equiparati per la violazione degli obblighi assunti nei confronti del produttore, il deposito di rifiuti nell'ambito di attività intermodale di carico e scarico, trasbordo e soste tecniche all'interno di porti, scali ferroviari, interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci, effettuato da soggetti ai quali i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un'impresa navale o ferroviaria o che effettua il successivo trasporto, non rientra nelle attività di stoccaggio di cui all'articolo 183, comma 1, lettera aa), a condizione che non superi il termine finale di trenta giorni e che i rifiuti siano presi in carico per il successivo trasporto entro sei giorni dalla data d'inizio dell'attività di deposito (comma 1). Nell'ipotesi in cui i rifiuti non siano presi in carico entro sei giorni dall'inizio dell'attività di trasporto, il soggetto al quale i rifiuti sono affidati deve darne comunicazione formale, non oltre le successive 24 ore, all'autorità competente ed al produttore nonché, se esistente, all'intermediario o al soggetto ad esso equiparato che ha organizzato il trasporto. Il produttore, entro i ventiquattro giorni successivi alla ricezione della comunicazione è tenuto a provvedere alla presa in carico dei rifiuti per il successivo trasporto ed alla corretta gestione dei rifiuti stessi (comma 2). L'invio della comunicazione e la presa in carico dei rifiuti nel rispetto dei termini indicati al comma 2 escludono la responsabilità per attività di stoccaggio di rifiuti non autorizzato, ai sensi dell'articolo 256, fermo restando l'obbligo, per il soggetto al quale i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico, di garantire che il deposito sia effettuato nel rispetto delle norme di tutela ambientale e sanitaria (comma 3)”. In altre parole, il deposito temporaneo dei rifiuti all’interno del porto, in attesa della spedizione, non è soggetto, se contenuto entro i rigorosi termini temporali previsti dalla norma, alle autorizzazioni e disposizioni previste in via generale per lo stoccaggio di rifiuti. Se però entro il termine i rifiuti non vengono fatti proseguire, come sarebbe dovuto essere nel caso di specie con l’imbarco e la spedizione, questa specie di franchigia vien meno: il produttore dei rifiuti deve riprenderli in carico e gestirli in proprio in modo conforme alla normativa.

3. Ciò chiarito, vanno riassunti i fatti storici di causa, non controversi come tali.

3.1.1 La vicenda s’inizia con un contratto 27 febbraio 2020 (doc. 10 in I grado ricorrente appellante) concluso fra la ricorrente appellante, quale “persona che organizza la spedizione”, una ditta specializzata (cfr. doc. 11 in I grado, certificato relativo) giapponese, estranea a questo giudizio, quale “destinatario” e la già citata Onahama Smelting and Refining, indicata come “impianto di recupero”, avente ad oggetto lo “shipment of Green List Waste”, ovvero la spedizione di rifiuti dell’elenco verde già descritto, e precisamente di “Printed Circuit Boards/Precious metal scrap and GC0202 (Basel code B1110 or B1010)” ovvero di schede elettroniche e rifiuti di metalli preziosi, corrispondenti ai codici indicati. Fra essi vi è il codice Basilea 1110, quindi per quanto si è detto sopra questo contratto comprende senza dubbio i codici OCSE GC010 e GC020.

3.1.2 Sulla base di questo contratto, la ricorrente appellante ha organizzato la spedizione dei rifiuti per cui è causa, materialmente costituita da tre container, e a seguito di un’apposita rettifica ha indicato per essi come codice identificativo corretto il “B1110 (OCSE GC020)” (doc. ti 12 e 13 in I grado ricorrente appellante, spedizione e rettifica codice, da cui la citazione).

3.1.3 A fronte di ciò, l’Agenzia delle dogane, e precisamente il Reparto controlli in linea della Sezione operativa territoriale di Genova Voltri, competente per il porto di imbarco per la spedizione, con verbale 25 marzo 2021, ha proceduto al controllo documentale e alla verifica fisica della spedizione, ha verificato la documentazione di cui sopra, da cui risultano i codici rifiuto, e riscontrato “in sede di verifica fisica … che la merce era costituita da rifiuti triturati misti, tra cui si individuano metalli ferrosi e non ferrosi, frammenti di plastica dura e di fogli di plastica, parti elettriche quali pezzi di circuiti e pezzi di fili e spine elettriche” (doc. 2 in I grado ricorrente appellante, verbale citato).

3.1.4 Il successivo 8 aprile 2021, il Reparto antifrode della Sezione antifrode e controlli della Dogana Genova 2 ha quindi prelevato un campione di questi rifiuti da ciascun container (doc. 3 in I grado ricorrente appellante) e il 9 aprile ancora successivo ha chiesto alla ricorrente appellante di produrre ulteriore documentazione (doc. 4 in I grado ricorrente appellante), concernente in sintesi l’origine dei rifiuti stessi. La ricorrente appellante ha risposto essenzialmente con una nota 14 aprile 2021, contenente circa 460 pagine di allegati (doc. 14 in I grado ricorrente appellante).

3.1.5 Nonostante ciò, con il provvedimento 23 aprile 2021 di cui in epigrafe (doc. 1 in I grado ricorrente appellante), notificato il giorno stesso (cfr. appello p. 13 ottavo rigo dal basso), il predetto Reparto antifrode ha emesso una “comunicazione di non conformità della merce e invito alla ripresa di rifiuti” ai sensi dell’art. 193 bis del d. lgs. 152/2006 citato, ritenendo la merce in questione non esportabile. In motivazione, ha evidenziato che “i rifiuti oggetto della spedizione provenivano dalla macinazione meccanica dei RAEE ed erano composti da un triturato di cavi elettrici, circuiti stampati, condensatori, plastica, alluminio, rame e ottone classificabili al codice CER 191212 “altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce 19 12 11*” ed ha poi rilevato che “per il codice CER 191212 non esiste una voce specifica negli allegati III, III A, III B, del regolamento CE 1013/2006”, concludendo quindi che “la spedizione non può proseguire scortata da allegati VII riportanti un codice di Basilea/OCSE non rappresentativo dei rifiuti stivati all’interno dei container”.

3.1.6 La ricorrente appellante (doc. 18 in I grado ricorrente appellante) ha ottemperato con nota 26 aprile 2021 all’ordine di ripresa, con riserva di far valere le proprie ragioni nei termini di legge, come ha poi fatto con questo giudizio.

3.1.7 Successivamente, il giorno 15 giugno 2021, l’Agenzia delle dogane, per mezzo del proprio laboratorio di Genova (doc. 20 in I grado ricorrente appellante, verbale relativo) ha proceduto in contraddittorio con la parte all’analisi dei campioni prelevati di cui si è detto, con l’esito seguente: “il materiale rinvenuto risultava composto da, parti di apparecchiature elettriche ed elettroniche macinate in pezzi delle dimensioni di alcuni cm. Si è proceduto quindi alla separazione su ciascuno dei tre barattoli delle parti costituite esclusivamente da materiali metallici, dalla cui pesatura è emerso che le stesse erano presenti nei tre campioni nella misura di circa 1/3 della massa totale. Questa parte metallica risultava costituita da materiali identificati visivamente in rame, ottone, e alluminio. La restante parte della massa risultava costituita da parti di circuiti stampati (notoriamente contenenti metalli anche preziosi quali oro, zinco e palladio), parti di fili in rame con la loro schermatura in plastica, contatti elettrici ed altre parti di apparecchiature tritate”.

4. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha respinto il ricorso proposto dall’impresa contro il provvedimento 23 aprile 2021 appena descritto e contro gli altri atti pure indicati in epigrafe, ritenendo in sintesi legittimo l’operato dell’Agenzia delle dogane; in particolare ha ritenuto corretto l’apprezzamento secondo il quale i rifiuti spediti non erano classificabili con il codice dichiarato, ovvero, come si ripete, con il codice B1110 – OCSE GC020.

5. Contro questa sentenza, l’interessata ha proposto impugnazione, con appello che contiene cinque motivi, di riproposizione di quelli dedotti in I grado e di critica alla sentenza impugnata per non averli accolti, riassumibili così come segue.

5.1 Con il primo di essi, alle pp. 15-26 dell’atto, ripropone la censura, dedotta in I grado, di difetto di motivazione del provvedimento amministrativo impugnato.

5.1.1 La parte premette in proposito quanto si è già detto, ovvero che il provvedimento 23 aprile 2021 si fonda esclusivamente su due affermazioni, ovvero su quella per cui i rifiuti spediti sarebbero “classificabili al codice CER 191212 “altri rifiuti (compresi materiali misti) prodotti dal trattamento meccanico di rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce 19 12 11*”e su quella per cui “non esisterebbe per tale EER 19 12 12 una voce specifica negli allegati III, III A e III B del Reg. 1013, con la conseguenza che non sarebbe stato possibile esportare i rifiuti in questione” con la procedura degli obblighi di informazione in concreto seguita (appello, p. 16). In particolare, sempre secondo la parte, l’amministrazione avrebbe tenuto in nessun conto tutta la documentazione da lei prodotta.

5.1.2 La parte premette ancora che il Giudice di I grado ha ritenuto nonostante ciò il provvedimento congruamente motivato in quanto esso indicherebbe “in modo inequivoco, sia pure in forma succinta, le ragioni sottese all’ordine di ripresa di rifiuti ritenuti non riconducibili ad alcuna delle voci elencate nell’allegato III al regolamento n. 1013 del 2006” (sentenza impugnata, p. 6).

5.1.3 A dire della parte appellante, ciò sarebbe errato per le ragioni che ora si riassumono. L’amministrazione intimata, secondo quest’ordine di idee, nel provvedimento impugnato avrebbe dovuto dimostrare che la classificazione dichiarata del rifiuto – ovvero Basilea 1110 – OCSE GC020- era errata. Diversamente, non avrebbe fatto ciò, ma si sarebbe soffermata su un punto in ipotesi irrilevante, ovvero “sulla classificazione secondo l’EER” ovvero con il CER 191212, che non avrebbe “alcuna diretta e decisiva rilevanza sulla verifica che, nel caso di specie, l’ADM era chiamata a compiere” (appello, p. 17). Secondo la parte, infatti, da un lato la classificazione CER 191212 in primo luogo sarebbe errata in quanto “non si trattava di rifiuti urbani indifferenziati o di generici rifiuti misti, ma, al contrario, di rifiuti provenienti da un’unica fonte (RAEE), caratterizzati dalla rilevante presenza di metalli comuni e preziosi e per tale ragione idonei ad essere recuperati nell’industria metallurgica” (appello, p. 20) provenienti da apparecchiature di tipo domestico e in secondo luogo non precluderebbe la classificazione del rifiuto stesso secondo il codice OCSE GC020 dichiarato. Tutto ciò si sarebbe ricavato dalla documentazione prodotta, che l’amministrazione invece non avrebbe valutato.

5.1.4 La parte ravvisa poi un ulteriore difetto di istruttoria nel mancato coinvolgimento di presunti “organi competenti”, ovvero in tesi l’Azienda di protezione ambientale della Lombardia e la Provincia di Lecco, e senza attendere i risultati dell’analisi dei campioni, che sempre a suo dire avrebbero consentito di concludere per la congruità del codice attribuito.

5.2 Con il secondo motivo, alle pp. 26-41 dell’atto, deduce propriamente la violazione degli artt. 38 e 18 del regolamento 103/2006 in relazione all’allegato III di esso, e sostiene in sintesi che i rifiuti in questione erano esportabili secondo la procedura degli obblighi di informazione in concreto seguita.

5.2.1 La parte appellante sostiene anzitutto che il rifiuto in questione proverrebbe “unicamente dal trattamento di RAEE urbani (senza la presenza di altri tipi di rifiuti)” e sarebbe “incontrovertibilmente riferibile a materiale elettronico e … caratterizzato da una rilevante concentrazione di metalli comuni e preziosi” (appello, p. 27 in fine e p. 28 prime righe). Ciò si desumerebbe, sempre a dire della parte, dalle analisi effettuate dalla Dogana, descritte sopra al § 3.1.7, dai caratteri del materiale, rilevabili anche a semplice vista, nonché dalla circostanza per cui esso è stato acquistato da un’impresa specializzata nel recupero dei metalli in questione. Ciò posto, la classificazione del rifiuto fatta dall’amministrazione, come CER 19 12 12 sarebbe comunque illegittima perché illogica, dovendo essere attribuito un codice più specifico.

5.2.2 La parte appellante sostiene poi che il codice specifico corretto sarebbe il codice OCSE GC020 di cui si è detto e che il Giudice di I grado avrebbe errato nel ritenerlo non applicabile.

5.2.3 Come si è detto, il codice GC020 comprende “Rottami elettronici (per esempio lastre di circuiti stampati, componenti elettronici, fili, ecc.) e componenti elettronici recuperati che possono essere utilizzati per il recupero di metalli comuni e preziosi”. Il Giudice di I grado lo ha ritenuto non applicabile argomentando dalla sentenza della Corte di giustizia UE sez. I 21 giugno 2007 in C-259/05 Omni Metal Service, pronunciata sul previgente regolamento 259/1993 CEE, identico peraltro nel punto rilevante al vigente regolamento 1013/2006.

5.2.4 La sentenza in questione ha affermato che il codice GC020 dev'essere interpretato “nel senso che essa riguarda fili di cablaggio soltanto a condizione che questi provengano da equipaggiamenti elettronici” e quindi non anche da equipaggiamenti elettrici. In particolare, la menzione dei “fili” fatta dal codice GC020 “riguarda esclusivamente i fili di cablaggio provenienti da equipaggiamenti elettronici. Per contro, tale voce non si applica in presenza di altri tipi di fili di cablaggio, in particolare quelli che provengano da equipaggiamenti o da assemblaggi elettrici, dal momento che la voce GC 010 della lista verde dei rifiuti specifica del resto espressamente a proposito dei rifiuti provenienti da tali assemblaggi che essi appartengono a tale voce soltanto se costituiti unicamente da metalli o leghe” (§ 20 della motivazione).

5.2.5 Per questa ragione, il Giudice di I grado ha ritenuto non applicabile la procedura degli obblighi di informazione “poiché il carico di rifiuti da spedire all’estero comprendeva parti di cavi elettrici non riconducibili né alla voce GC010 (stante la presenza di componenti in plastica) né alla voce GC020 (in quanto provenienti da assemblaggi elettrici)” (motivazione, p. 7).

5.2.6 A dire della parte appellante, questa conclusione sarebbe errata in quanto “i rifiuti in questione provenivano esclusivamente da equipaggiamenti elettronici” là dove “per equipaggiamenti elettronici (concetto richiamato dalla sentenza della GCUE)” dovrebbero sempre a suo dire intendersi “proprio i beni da cui provengono i rifiuti di Seval (che, nella terminologia italiana, sono definiti “apparecchiature elettroniche”, di qui la nozione di RAEE, in questo caso tra l’altro di uso domestico)” (appello, p. 34).

5.2.7 La parte appellante sostiene in particolare che ciò si dedurrebbe “facilmente dal confronto della versione in lingua inglese e di quella in lingua italiana, rispettivamente, della direttiva di riferimento in materia di RAEE (Direttiva 2012/19/UE) e della citata sentenza della GCUE. Quest’ultima, laddove afferma che «heading GC 020 covers only wire from electronic equipment», si rifà evidentemente alla direttiva 2012/19/UE sui RAEE, che, sempre nella versione inglese, definisce i beni da cui provengono i rifiuti in questione come «electrical and electronic equipment», rifiuti che conseguentemente sono definiti «waste electrical and electronic equipment»” (appello, p. 35 prime righe).

5.2.8 Sempre a dire della parte appellante, “questa chiarissima corrispondenza fra i rifiuti che, secondo la sentenza della GCUE sono riconducibili alla voce GC020 (cioè, proprio quella utilizzata da Seval) e quelli oggetto della spedizione controversa viene meno, tuttavia, nella versione in lingua italiana della medesima sentenza; per un evidente errore di traduzione, la versione in italiano della sentenza della Corte europea, traducendo in modo letterale il concetto di «electronic equipment», utilizza, infatti, il termine «equipaggiamenti elettronici» in luogo di quello, «apparecchiature elettroniche», che figura nella versione ufficiale in italiano della Direttiva 2012/19/UE come termine corrispondente a quello di «electronic equipment»” (appello, p. 35, righe successive).

5.2.9 La parte appellante critica poi la sentenza impugnata sostenendo che, con il richiamo alla sentenza della Corte di giustizia appena indicata, il Giudice di I grado avrebbe illegittimamente integrato la motivazione dell’atto amministrativo impugnato.

5.2.10 La parte appellante sostiene infine che il Giudice di I grado non avrebbe pronunciato su una censura ulteriore, contenuta nel corrispondente motivo respinto in I grado, censura che ripropone. Sostiene infatti che la possibilità – negata dal provvedimento amministrativo impugnato – “di attribuire alle frazioni decadenti dal processo di lavorazione dei RAEE di Seval il codice EER 19 12 03 (metalli non ferrosi)” sarebbe espressamente riconosciuta dall’AIA ad essa rilasciata, “la quale esplicitamente ammette che la presenza di residui di plastica nel rifiuto sia compatibile con l’attribuzione dell’EER 19 12 03” (appello, p. 40).

5.3 Con il terzo motivo, alle pp. 41-45 dell’atto, deduce la violazione dell’art. 4 della direttiva 2008/98/CE e degli artt. 177 e 179 del d.lgs. 152/2006. In proposito, la parte sostiene che l’atto amministrativo impugnato frustrerebbe “il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla normativa ambientale”, violerebbe “il principio di specializzazione nell’individuazione della destinazione dei rifiuti” e comprometterebbe “il rispetto della gerarchia tra le migliori opzioni ambientali disponibili rispetto alla gestione dei rifiuti in questione” (appello, p. 41) e che il Giudice di I grado avrebbe dichiarato inammissibile questa censura senza motivare.

5.4 Con il quarto motivo, alle pp. 45-48 dell’atto, ripropone la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento dedotta in I grado.

5.4.1 La parte sostiene in particolare che i rifiuti derivanti dal trattamento dei RAEE della stessa tipologia di quelli per i quali è causa sarebbero sempre stati e sarebbero a tutt’oggi “oggetto di spedizioni transfrontaliere di rifiuti da ogni parte dell’Italia e dell’Europa” tramite la procedura degli obblighi di informazione di cui all’art. 18 del regolamento (appello, p. 46).

5.4.2 Il Giudice di I grado ha ritenuto questa censura inammissibile perché “fondata su elementi congetturali e privi di riscontri oggettivi” (p. 8 della motivazione).

5.4.3 A dire della parte appellante, ciò sarebbe errato, in quanto a dimostrazione di questa presunta disparità di trattamento vi sarebbero due elementi di fatto, non valutati dal Giudice di I grado. Il primo sarebbe costituito “dalle lettere che ben tre Associazioni di categoria degli impianti di trattamento RAEE italiani – Assorecuperi, Assoraee e Assofermet, le quali raccolgono la stragrande maggioranza degli impianti di trattamento RAEE in Italia – hanno indirizzato alla Regione Lombardia … allo scopo di contestare l’interpretazione sostenuta dall’ADM sul regime di esportabilità dei rifiuti derivanti dal trattamento dei RAEE”, lettere nelle quali avrebbero precisato come essa contraddirebbe la prassi incontestata di due decenni (appello, p. 47 e doc. ti 28, 34 e 34 a in I grado ricorrente appellante). Il secondo sarebbe costituito da una lettera dalla lettera del Ministero delle Infrastrutture e dell’Ambiente olandese (doc. 33 in I grado ricorrente appellante e appello p. 47) che confermerebbe “che la triturazione di materiale elettronico non comporta l’attribuzione di un codice OCSE diverso dal GC020”.

5.5 Con il quinto motivo, a p. 48 dell’atto, deduce infine vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui essa non ha accolto la richiesta di disporre una c.t.u. richiesta per la presunta elevata complessità tecnica delle questioni da decidere.

6. L’Amministrazione delle dogane intimata appellata ha resistito, con atto 25 ottobre 2022 e con memoria 15 aprile 2024 ed ha chiesto che l’appello sia respinto. In particolare, ha eccepito la non pertinenza all’oggetto di causa delle diffuse deduzioni con cui la parte appellante ha descritto la propria generale attività, ha evidenziato la correttezza del provvedimento impugnato e della sentenza di I grado, dato che i rifiuti per cui è causa contenevano anche parti di apparecchiature elettriche, e non solo elettroniche (memoria 15 aprile 2024 p. 9 prime cinque righe) ed ha eccepito l’inammissibilità del primo motivo di appello, come mera riproposizione del corrispondente motivo respinto in I grado.

7. Con memoria 15 aprile e replica 24 aprile 2024, la ricorrente appellante ha ribadito le proprie asserite ragioni.

8. Alla pubblica udienza del giorno 16 maggio 2024, infine, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

9. L’appello è infondato e va respinto nel merito e ciò rende superfluo esaminare l’eccezione di carattere processuale dedotta dalla difesa delle amministrazioni statali.

10. Va respinto il primo motivo, centrato sulla presunta mancanza di motivazione del provvedimento impugnato.

10.1 Per costante giurisprudenza, per tutte C.d.S. sez. VI 16 agosto 2023 n.7776 e 29 maggio 2012 n.3210, non si richiede a fini di legittimità che l’atto amministrativo contenga un’analitica confutazione dell’eventuale apporto procedimentale del privato destinatario; occorre invece, e basta, che esso spieghi le ragioni di fatto e di diritto per cui l’amministrazione si è determinata in un dato modo.

10.2 Ciò nella specie è avvenuto dato che il provvedimento impugnato in sintesi spiega di aver rifiutato la spedizione perché i rifiuti spediti non rientravano in alcuna delle categorie contemplate dalla “lista verde” ovvero, come si è detto, dei rifiuti per cui è ammessa la spedizione con la semplice procedura degli obblighi di informazione. In questo modo il provvedimento assolve l’onere di motivazione, nel senso che essa è presente, spettando poi ovviamente all’organo giurisdizionale che il privato ritenga di adire stabilire se essa sia o no conforme a diritto.

10.3 Va solo aggiunto, per completezza, che per aversi motivazione nel senso detto non era affatto necessario coinvolgere l’Azienda di protezione ambientale della Lombardia ovvero la Provincia di Lecco, né attendere i risultati dell’analisi dei campioni, dato che non si tratta di adempimenti imposti dalla normativa. Come si è detto, la motivazione richiesta come tale è stata offerta, altra questione è poi valutarne la legittimità, anche sotto il profilo della corretta istruttoria.

11. È infondato anche il secondo motivo, che attiene al merito della motivazione.

11.1 Va premesso in fatto che i rifiuti in questione erano costituiti da un triturato di RAEE, e quindi da rifiuti sia elettrici sia elettronici: in proposito si vedano l’atto di appello a p. 27 in fine, ove si parla di RAEE in quanto tali; il doc. 2 in I grado ricorrente appellante, ove si parla di “parti elettriche quali pezzi di circuiti e pezzi di fili e spine elettriche” e il doc. 20 in I grado ricorrente appellante, ove si parla di “parti di apparecchiature elettriche ed elettroniche macinate”.

11.2 La differenza non è solo terminologica, dato che fra le apparecchiature elettriche e quelle elettroniche esiste una differenza tecnica di composizione, in particolare per quanto qui rileva ai fini di un riciclaggio, per fatto notorio nel settore specifico, i dispositivi elettrici utilizzano fili di rame e alluminio per il flusso di corrente elettrica mentre i dispositivi elettronici utilizzano materiale semiconduttore.

11.3 In coerenza con questo dato tecnico, la normativa in materia distingue fra le due categorie. La direttiva RAEE, 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012 e la corrispondente normativa nazionale, d. lgs. 14 marzo 2014 n.49. per parte loro parlano, sia nel testo originale inglese sia in quello italiano, di “electrical and electronic equipment”, ovvero di “apparecchiature elettriche, ed elettroniche”. Nel regolamento 1013/2016 e nel suo antecedente la distinzione invece scompare, perché il testo del codice GC020, espressamente sostituito dalla voce Basilea B1110, che si riferiva ad entrambi, parla solo di apparecchiature “elettroniche” sia nel testo originale inglese, sia in quello italiano, come sopra riportati.

11.4 Di conseguenza, il provvedimento impugnato, a prescindere dal riferimento che esso fa ad un codice CER, usato all’evidenza solo a scopo descrittivo, va ritenuto legittimo, perché il carico di rifiuti in questione, contenendo sia rifiuti elettrici, sia rifiuti elettronici, non rientrava nella fattispecie per la quale è applicabile la procedura semplificata, ovvero nella fattispecie dei soli rifiuti elettronici.

11.5 Contrariamente a quanto sostiene la parte appellante, la sentenza Corte di giustizia UE sez. I 21 giugno 2007 in C-259/05 Omni Metal Service, di cui si è detto, citata dal Giudice di I grado, è nello stesso senso. Nella relativa motivazione non vi è alcun errore di traduzione, dato che sia l’originale inglese sia la versione italiana sono molto chiari nel riferirsi al codice GC020 come comprensivo solo dei rifiuti originati da apparecchiature elettroniche, e non elettriche.

11.6 La stessa sentenza esclude poi che ai rifiuti provenienti sia da apparecchiature elettriche, sia da apparecchiature elettroniche, si possa applicare la procedura semplificata come miscela di rifiuti, e ciò è coerente con il regolamento 1013/2006, che come si è visto esclude dalla “lista verde” le mescolanze dei rifiuti suddetti. Pertanto, il carico di rifiuti per cui è causa non si sarebbe potuto assoggettare alla procedura semplificata anche sotto questo profilo.

11.7 Per completezza, si aggiunge che, anche qui contrariamente a quanto sostiene la parte appellante, il riferimento ad un precedente giurisprudenziale contenuto nella sentenza impugnata è semplicemente un argomento utilizzato dal Giudice per chiarire le ragioni della decisione, e non costituisce certo integrazione postuma non ammessa della motivazione dell’atto impugnato.

11.8 Si aggiunge infine che quanto prevede l’AIA rilasciata alla ricorrente appellante circa la possibilità di attribuire il codice EER 19 12 03 ai rifiuti per cui è causa non rileva ai fini del decidere, dato che qui si tratta della diversa disciplina della spedizione transfrontaliera dei rifiuti, soggetta alla disciplina speciale ampiamente descritta.

12. Va respinto anche il terzo motivo di appello, secondo il quale l’interpretazione seguita dal provvedimento impugnato frustrerebbe il raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio stabiliti in sede europea. Al di là del carattere generico del motivo stesso, è sufficiente osservare che gli obiettivi di riciclaggio vanno raggiunti nel rispetto delle regole specifiche, quali quelle in esame, previste per i vari tipi di rifiuto, mentre non si può per definizione dare raggiungimento di obiettivi se queste regole non sono rispettate.

13. Va respinto a sua volta il quarto motivo di appello, centrato su una presunta disparità di trattamento rispetto ad altre realtà del settore.

13.1 Sul punto, va premesso che in generale la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento può essere accolta solo ove la parte interessata, cui spetta l’onere relativo, dimostri la assoluta identità delle situazioni che si vogliono paragonare e che in ogni caso non è possibile chiedere l’estensione a proprio favore dell’abuso eventualmente commesso dall’amministrazione a vantaggio di altri: così la giurisprudenza costante, per tutte sul primo punto C.d.S. sez. V 8 gennaio 2024 n.256 e VI 5 marzo 2013 n.1298; sul secondo C.d.S. sez. II 7 marzo 2024 n.2214 e la stessa 1298/2013.

13.2 Ciò posto, i dati assunti come termini di paragone riguardano fattispecie di tipo diverso da quella per cui è causa. Come risulta a semplice lettura, le missive dell’associazione di categoria (doc. ti 28 e 34 in I grado ricorrente appellante) parlano d’altro, ovvero del trattamento dei rifiuti triturati, senza affrontare la questione della compresenza nel triturato di rifiuti elettrici ed elettronici. A sua volta, la nota del ministero olandese (doc. 33 in I grado ricorrente appellante) riguarda una questione ancora diversa, ovvero il trattamento dei rifiuti di circuiti stampati, che sono pacificamente elettronici e non elettrici. Non è quindi possibile parlare di una disparità di trattamento in tesi ingiustificata.

13.3 Inoltre, a quanto la parte appellante scrive a p. 46 nono rigo dell’atto, ovvero che “i rifiuti derivanti dal trattamento dei RAEE della stessa tipologia di quelli prodotti da Seval sono sempre stati e sono tutt’oggi oggetto di spedizioni transfrontaliere di rifiuti da ogni parte dell’Italia e dell’Europa tramite la procedura semplificata di cui all’art. 18 del Reg. 1013” si deve replicare che questa prassi, ove effettivamente corrispondente al vero, sarebbe una prassi illecita, che non si potrebbe richiedere, come si è detto, di estendere al caso presente.

14. Da ultimo, va respinto anche il quinto motivo, che censura la mancata ammissione di una consulenza tecnica di ufficio, evidentemente non necessaria dato che, come ampiamente spiegato, la composizione dei rifiuti per cui è causa non era controversa quanto al fatto storico.

15. L’appello va quindi respinto; le spese seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo, in misura prossima agli onorari minimi previsti dal D.M. 13 agosto 2022 n.147, per una causa di valore indeterminabile e complessità elevata, tenuto anche conto del mancato rispetto da parte dell’appellante del principio di sinteticità degli atti, rilevante ai sensi dell’art. 26 comma 1 c.p.a. Nulla per spese nei riguardi delle altre parti non costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.7808/2022), lo respinge.

Condanna la ricorrente appellante a rifondere alle amministrazioni statali appellate costituite le spese di questo grado di giudizio, spese che liquida in € 6.000 (seimila/00) complessivi, oltre rimborso spese forfetario ed accessori di legge, ove dovuti.

Nulla per spese nei riguardi delle altre parti non costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Gambato Spisani, Presidente FF, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Paolo Marotta, Consigliere

Rosario Carrano, Consigliere

Eugenio Tagliasacchi, Consigliere