NORMATIVA SUI RIFIUTI. ANCHE IL PARLAMENTO EUROPEO SCONFESSA IL TESTO UNICO ITALIANO
a cura di Gianfranco Amendola

Il 15 febbraio 2007 il Parlamento europeo ha approvato, a larga maggioranza, la Risoluzione 2006/2175(INI) su una strategia tematica per il riciclaggio di rifiuti, che sembra scritta apposta per sconfessare le “invenzioni” italiane contenute nel testo unico ambientale n. 152/06. Esaminiamola sinteticamente :

1) La gerarchia comunitaria: favorire riutilizzo e riciclaggio, rispetto al recupero energetico

L’attuale testo unico, nell’art. 181, che ricalca l’art. 4 D. Lgs 22/1997, ha eliminato il comma 2 di quest’ultimo, secondo cui << il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero>>, in quanto, come si legge nella relazione governativa, si è ritenuto di dover procedere alla <<ridefinizione delle priorità nella gestione dei rifiuti in conformità a quelle stabilite dalla normativa comunitaria, senza porre gradi di gerarchia fra il recupero di materia prima secondaria ed il recupero energetico>>.

Trattasi di un clamoroso infortunio, in quanto, al contrario, la gerarchia comunitaria ha sempre posto il riciclaggio ed il recupero come materia in posizione prevalente rispetto al recupero energetico. E, quindi, anche nella Risoluzione del Parlamento europeo in esame si <<sottolinea l'importanza centrale della gerarchia dei rifiuti, che stabilisce le seguenti priorità d'azione in ordine decrescente:

prevenzione;

riutilizzo;

riciclaggio materiale;

altre operazioni di recupero, ad esempio il recupero di energia;

_ smaltimento;

come regola generale della gestione dei rifiuti finalizzata a ridurre la produzione di rifiuti e le ripercussioni negative sulla salute e sull'ambiente risultanti dalla produzione e gestione dei rifiuti>> (punto 15).

Resta da capire perchè il governo italiano che ha emanato il D. Lgs 152/06 ha tentato in modo così smaccato di negare questa consolidata gerarchia comunitaria. Ovviamente, non si tratta di una questione formale ma di una furbizia, tutta italiana, per poter giustificare la scelta centrale, effettuata dal testo unico, a favore della cd. “termovalorizzazione”, e cioè l’incenerimento con recupero di energia, ben più che del riutilizzo o del riciclaggio materiale dei rifiuti. Tanto da inserire addirittura la “termovalorizzazione” dei rifiuti tra le fonti di energia rinnovabile.

Oggi il Parlamento europeo ribadisce ancora una volta che, a livello comunitario, prima di questa opzione vengono, appunto, il riciclaggio ed il recupero materiale dei rifiuti.

Ed il Parlamento europeo evidenzia opportunamente, a questo proposito, di ritenere essenziali, ai fini di tutela dell’ambiente, - ben più della termovalorizzazione- le fasi della prevenzione e del riutilizzo- riciclaggio materiale, in quanto solo in tal modo si rientra nell’ottica dei cicli della natura. La Risoluzione, infatti, premette che <<le economie sono come gli ecosistemi: ambedue sfruttano energia e materiali per trasformarli in prodotti e processi, con la differenza che la nostra economia segue flussi di risorse lineari mentre la natura è ciclica; considerando che gli ecosistemi svolgono funzioni che convertono i rifiuti in risorse trasferendo l'energia proveniente dalla luce del sole, mentre i processi industriali non sono in grado di farlo; considerando, nel contesto di economie e popolazioni in rapida crescita, che la produzione e i prodotti che generano flussi di rifiuti che la natura non può assorbire né trasformare in nuove risorse risultano sempre più problematici sotto il profilo della sostenibilità, e considerando che è urgentemente necessaria una trasformazione dell'attuale sistema di produzione e di consumo; che l'obiettivo principale è quello di modificare il consumo in un'ottica sostenibile e rendere i processi di estrazione delle materia prime, la produzione e la concezione dei prodotti il più possibile compatibili con le concezioni e i processi naturali>> (punti D ed E). Ed occorre anche uscire dalla stretta ottica di mercato, pur se collegato al recupero, in quanto <<l'obiettivo essenziale della gestione dei rifiuti è quello di raggiungere un elevato livello di tutela dell'ambiente e della salute umana anziché quello di facilitare il funzionamento del mercato interno per il recupero dei rifiuti>> (punto K2).

Non a caso, peraltro, si conclude sottolineando la fondamentale importanza, a questi fini, della raccolta differenziata (punto 27) e di fissare norme minime comuni per il recupero ed il riciclaggio a livello dell’Unione europea (punto 26).

2) La definizione ed il depotenziamento della nozione di “rifiuto”

Come è noto, l’attuale testo unico riprende integralmente la invenzione italiana dell’art. 14 D.L. 8 luglio 2002 n. 138, convertito con L. 8 agosto 2002 n. 178, il quale, proponendo una “interpretazione autentica della definizione di « rifiuto »”, in sostanza ne restringeva l’ambito alle sole operazioni di smaltimento e di recupero elencate nei due allegati comunitari recepiti dal D.Lgs. n. 22/1997 come allegato B e C; derivandone, nel secondo comma, che non si trattava di rifiuti se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo anche dopo aver subito un trattamento preventivo. Ebbene, la Risoluzione in esame <<sottolinea che la modifica delle definizioni dovrebbe intervenire unicamente per motivi di chiarimento e non per indebolire le norme sulla tutela dell'ambiente o per incoraggiare l'accettazione da parte del pubblico di un concetto (ad esempio moderando la connotazione negativa dei termini "rifiuti" o "smaltimento") >> (punto 7).

E, proprio per evitare che, come ha fatto l’Italia, qualche altro Stato membro provi a cambiare la definizione di rifiuto, aggiunge che <<le decisioni politiche, quali le definizioni di rifiuti, recupero e smaltimento, non devono essere adottate a livello di comitatologia bensì mediante codecisione>> (punto 8), quindi al massimo livello politico comunitario. Nella sostanza, dichiara di opporsi <<a una declassificazione generale dei rifiuti che possa condurre a un trattamento ambientale inadeguato e all'assenza di tracciabilità dei flussi di rifiuti; sottolinea che le procedure per la declassificazione dei rifiuti possono essere prese in considerazione solo per casi eccezionali di flussi di rifiuti omogenei, quali compost, aggregati riciclati, carta e vetro di recupero>> (punto 10).

3) Materie prime secondarie, combustibili e prodotti recuperati

In sostanza, l’attuale testo unico italiano fa scomparire quasi del tutto i rifiuti industriali recuperabili che diventano “materie prime secondarie”, “sottoprodotti”, “combustibili” o “prodotti”. Tanto è vero che, ai sensi dell’art. 183, lett.h, si intende come <<recupero: le operazioni che utilizzano rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti , attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, inclusa la cernita, e in particolare, le operazioni previste nell'allegato C alla parte quarta del presente decreto>>; anzi <<la disciplina in materia di gestione dei rifiuti non si applica ai materiali, alle sostanze o agli oggetti che, senza necessità di operazioni di trasformazione, già presentino le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti individuati ai sensi del presente articolo, a meno che il detentore se ne disfi o abbia deciso, o abbia l'obbligo, di disfarsene.>> (art. 181, comma 13).

La Risoluzione del Parlamento europeo, come ovvio e come già più volte precisato dalla giurisprudenza comunitaria, dice, invece, esattamente il contrario. Infatti <<sottolinea che i rifiuti che cessano di essere qualificati tali possono acquisire questo status solo qualora il flusso di rifiuti in questione sia stato sottoposto ad un'operazione completa di riutilizzo, riciclaggio o utile impiego – il che non esclude la possibilità che un'operazione di utile impiego finisca col produrre nuovi rifiuti – e risulti conforme alle norme concordate a livello europeo, risultando idoneo all'impiego per scopi prefissati, e dopo che siano state adottate e applicate norme in materia di tracciabilità>> (punto 11). Ed ancora più drasticamente <<esige che tutti i rifiuti destinati al recupero di energia o all'incenerimento rimangano rifiuti, ai quali va applicata la direttiva 2000/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 dicembre 2000, sull'incenerimento dei rifiuti>> (punto 12). Anzi, a proposito di incenerimento, <<esprime forti riserve sul proposto metodo di calcolo dell'efficienza energetica e sul fatto che esso va applicato unicamente agli inceneritori urbani; chiede alla Commissione di rivedere la direttiva sull'incenerimento dei rifiuti al fine di fissare norme ambientali omogenee (in materia di emissioni ed efficienza energetica) per l'incenerimento e il coincenerimento dei rifiuti>> (punto 14).

Dai sintetici cenni di cui sopra, appare, quindi, evidente che, in tema di rifiuti, il Parlamento europeo segue una linea di tendenza politica esattamente opposta a quella oggi vigente in Italia sia per quanto attiene l’ambito di applicazione della normativa sia per quanto attiene le scelte di strategia. E, se pure è vero che una risoluzione del Parlamento europeo non è vincolante, è anche vero che trattasi di manifestazione di volontà dell’organo massimamente rappresentativo a livello comunitario in una problematica normativa, quale quella dei rifiuti, dominata dalle scelte dell’Unione europea.

Resta solo da dire che, pur dopo il cambio di maggioranza e di governo, e pur essendo ormai passato quasi un anno, queste evidenti storture del testo italiano non sono ancora state corrette, ed anzi, risulta che esse sono difese anche da consistenti settori della attuale maggioranza. Tanto è vero che una prima, elementare bozza di modifica correttiva in tal senso, elaborata dal Ministero dell’ambiente, sembra essersi persa nelle nebbie politichesi.

Anzi, sembra che in sostanza, nonostante tutti i piagnistei sulle mutazioni climatiche, la massima aspirazione di questo governo nel suo complesso sia la <>, ovviamente a livello esclusivamente quantitativo. Esattamente il contrario di quanto oggi ci chiede il Parlamento europeo, il quale, come abbiamo visto, opportunamente ci ricorda che, invece, la cosa più urgente è la <> onde riportarli in un’<> (scusate il termine). Insomma, in Italia continuiamo ad adorare il dio PIL e ad invocare una crescita tutta quantitativa, anche quando appare del tutto evidente che invece serve una scelta che non può essere fine a se stessa (ed al mercato) ma che deve tendere a farci vivere meglio, in pace con noi stessi e con la natura.