“Riforma” End of waste: brutta lex, sed lex (per ora)!

di Stefano MAGLIA

È dunque in vigore dal 18 giugno scorso la nuova versione del comma 3 dell’art. 184 ter T.U.A., come sostituito dall’art. 1 c.19, del decreto “Sblocca cantieri”, convertito nella L. 14 giugno 2019, n. 55 (DL 32/19, conv. in L. 55/19), che avrebbe dovuto, nei suoi intenti, colmare il drammatico vuoto normativo/interpretativo in tema di End of waste generato dalla ormai tristemente nota sentenza del Consiglio di Stato del febbraio 2018.
Tra entusiasti (ministro ambiente), soddisfatti (Confindustria&c) e insoddisfatti (Utilitalia, FISE Assoambiente e FISE Unicircular, Edo Ronchi ed il sottoscritto), se ne sono già lette e dette di tutti i colori.
 Che tra gli entusiasti ci sia il Ministro dell’Ambiente mi sembra normale, ma che tra i soddisfatti ci siano quelli la cui attività nella corretta gestione dei rifiuti continuerà ad essere parzialmente paralizzata mi suona strano, a meno che non si sia letto con attenzione non solo il resto della norma, ma anche quello della Sentenza della Corte di Giustizia UE del 28 marzo (che ammette chiaramente la possibilità di “decisioni affidate a casi individuali”, specificando inoltre che la normativa nazionale non potrà comunque mai costituire “un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi della direttiva 2008/98, come l’incentivazione ad applicare la gerarchia dei rifiuti prevista dall’articolo 4, o al recupero dei rifiuti e all’utilizzazione dei materiali di recupero per preservare le risorse naturali e consentire l’attuazione di un’economia circolare”) e dell’art. 6 della Dir. 98/2008 come modificato dalla Dir. 851/2018, nel testo che dovremo recepire entro un anno.
Beh, che siano soddisfatti i produttori (Confindustria) e non i gestori di rifiuti la dice lunga sulla poca lungimiranza e consapevolezza in materia, ma attenzione! Cari produttori ricordatevi che a loro dovrete comunque affidare prima o poi i vostri rifiuti – con l’obbligo di verifica delle loro autorizzazioni (cassazione penale docet!) -, e che la responsabilità per la corretta classificazione è vostra! Ci avete pensato?
 Tutto ciò premesso andiamo ad analizzare freddamente, in una sorta di verifica analitica operativa, il nuovo testo del comma 3 dell’art. 184 ter T.U.A. (con annessa traduzione):
 
    1. “Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269.”
Traduzione: Alle autorizzazioni alla gestione rifiuti in procedura semplificata si applicano i soliti criteri (grazie, lo sapevamo già);
 
    2. “Le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III-bis della parte seconda del presente decreto per il recupero dei rifiuti sono concesse dalle autorità competenti sulla base dei criteri indicati nell’allegato 1, suballegato 1, al citato decreto 5 febbraio 1998, nell’allegato 1, suballegato 1, al citato regolamento di cui al decreto 12 giugno 2002, n. 161, e nell’allegato 1 al citato regolamento di cui al decreto 17 novembre 2005, n. 269, per i parametri ivi indicati relativi a tipologia, provenienza e caratteristiche dei rifiuti, attività di recupero e caratteristiche di quanto ottenuto da tale attività.
Traduzione: alle autorizzazioni alla gestione rifiuti in procedura ordinaria (e AIA) si applicano gli stessi anacronistici criteri della semplificata (apperò!): ovvero criteri di 20 anni fa, anacronistici, non aggiornati e persino sottoposi più volte a feroci critiche dalle stessa UE.
 
    3. ”Tali autorizzazioni individuano le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei princìpi di cui all’articolo 178 del presente decreto per quanto riguarda le quantità di rifiuti ammissibili nell’impianto e da sottoporre alle operazioni di recupero.”
Traduzione: Le Regioni/Province possono solo intervenire sulle quantità (!) Rammento che tra i principii del 178 TUA c’è anche quello della “fattibilità tecnica ed economica”.
 
    4. “Con decreto non avente natura regolamentare del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare possono essere emanate linee guida per l’uniforme applicazione della presente disposizione sul territorio nazionale, con particolare riferimento alle verifiche sui rifiuti in ingresso nell’impianto in cui si svolgono tali operazioni e ai controlli da effettuare sugli oggetti e sulle sostanze che ne costituiscono il risultato, e tenendo comunque conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti nell’ambiente e sulla salute umana.”
Traduzione: a sua discrezione il Min. Amb. potrà emanare un DM che potrebbe (più vago di così!) contenere linee guida inutili per “l’uniforme applicazione” (visto che si tratta già di Dm nazionali), prevedendo attività di verifica e controllo sui rifiuti in entrata e sul prodotto in uscita dal processo (già del resto descritti nei DM citati), tenendo conto “dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti nell’ambiente e sulla salute”. Vorrei solo rammentare che i veri ecocriminali sono quelli che non hanno mai richiesto – e mai richiederanno – alcuna autorizzazione!!! E’ chiaro questo? Siamo tutti d’accordo?

    5. “Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al precedente periodo, i titolari delle autorizzazioni rilasciate successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione presentano alle autorità competenti apposita istanza di aggiornamento ai criteri generali definiti dalle linee guida.”
Traduzione: Innanzitutto “pare” di dedurre dal testo – ma con un certo margine di incertezza che sarebbe indispensabile colmare al più presto - che almeno le autorizzazioni attuali siano da ritenersi ancora valide sino alla naturale scadenza (se così non fosse “salterebbe” di colpo tutto il sistema della gestione rifiuti: altro che Roma “discarica a cielo aperto”!), e che entro un anno dall’entrata in vigore del DM che “forse potrà” essere emanato (!) i titolari delle autorizzazioni nuove (post 18 giugno 2019) dovranno chiedere l’aggiornamento delle loro autorizzazioni! Auguri!
 
Conclusioni: visto che in un anno e mezzo dalla sciagurata sentenza del Consiglio di Stato (attenzione: dal valore giuridico assai inferiore alla sentenza della Corte di giustizia UE ed alla stessa Direttiva 2018/851/UE) è andato in G.U. solo pochi giorni fa il DM 62/2019 sui pannolini (v. mio editoriale), dubito fortemente non solo che l’aggiornamento del DM 5 febbraio 1998, ma specialmente la realizzazione degli altri centinaia (migliaia?) di DM nazionali EoW one to one, possano vedere la luce entro qualche decina di anni. In ogni caso ci sarà – per fortuna – sempre qualche ingenuo incosciente che – rischiando – crederà che “Circular economy” vuol dire non sprecare materie prime, e cercherà ingenuamente di trasformare rifiuti in un prodotto utile, commercializzabile e sul mercato che però 20 anni fa non era ne’ previsto, ne’ prevedibile. Che sciocco!
Concordo perfettamente con quanto scrive Jacopo Giliberto sul “Sole” del 6 luglio: “Il riciclo dei rifiuti si blocca per la nuovissima ed improbabile norma end-of-waste che riporta il riciclo alle tecnologie di 20 anni fa e paralizza l’ambiente e mette le imprese nelle mani di burocrati con il terrore di firmare qualsiasi permesso e di ricattatori della denuncia”. Già.
A proposito rammento le “vere” – uniche - condizioni del 184 ter: “a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”).
 
Soluzioni? Entro un anno dobbiamo recepire la Direttiva 2018/851/UE. Se una buona volta la recepiamo – e presto - nel testo ufficiale senza inventarci cose strane ed inapplicabili (es. l’attuale definizione di “produttore”), forse possiamo sperare che questo patchwork potrà durare al massimo un anno, come del resto auspica lo stesso ex ministro Edo Ronchi, che – tra l’altro – in un recente, condivisibile commento, scrive così: “Per superare questa situazione ed eliminare il pasticcio combinato al Senato basterebbe, come insieme ad un vasto schieramento andiamo sostenendo da mesi, recepire con urgenza l’art. 6 della nuova Direttiva 2018/851 che prevede condizioni e criteri specifici, unitari e validi per tutto il territorio nazionale, che consentirebbero di superare la sentenza del Consiglio di Stato e di affidare alle Regioni, in mancanza di decreti nazionali e di regolamenti europei , la possibilità di autorizzare, caso per caso, attività di riciclo completo, con la cessazione della qualifica di rifiuto del prodotto ottenuto.”

Incrementiamo le attività di verifica e controllo su tutte le autorizzazioni rilasciate e su tutti gli impianti, creiamo una banca dati nazionale di tutte le autorizzazioni “caso per caso”, ma consentiamo di lavorare (e di autorizzare) senza terrore a chi “realmente” è in grado di provare a tecnici competenti di aver contribuito a raggiungere il primo, vero obiettivo della corretta gestione dei rifiuti: la corretta gestione delle risorse.
Se ogni residuo è un rifiuto (e non sottoprodotto), ogni rifiuto è pericoloso, ogni gestore è un pericoloso delinquente ed ogni attività di recupero è paralizzata, l’unica soluzione è lo smaltimento, possibilmente non abusivo. Gomorra ringrazia.