Corte App. Lecce sent. 830 del 21 maggio 2007
Pres. Centonze Est. Tronci Ric. PM in proc. Rando
Rifiuti. Classificazione


FATTO E DIRITTO


Tratto a giudizio nella qualità di legale rappresentante della s.r.l. FORMICA Ambiente, onde rispondere del reato previsto e punito dall’art. 51 comma 3 d. l.vo 22/97 perché, essendo la detta società “titolare di un impianto di discarica di tipo 2/B, autorizzata esclusivamente allo smaltimento di rifiuti non pericolosi, nel corso dell’anno 2001 smaltiva illecitamente nel predetto impianto rifiuti pericolosi, in particolare… 2.443.6000 kg. di fanghi prodotti da un impianto di smaltimento di rifiuti industriali gestito dal Consorzio Disinquinamento di Solofra (CO.DI.SO.), consistenti in <> (sottosezione 190200 della sezione 190000 del catalogo) e <> (sottosezione 190800 della sezione 190000) classificati con cod. CER 190811* e 190205*”, RANDO Francesco era mandato assolto dal giudice monocratico presso il Tribunale di Brindisi con ampia formula, perché il fatto non sussiste.
Osservava all’uopo il citato giudice che, nonostante la fattispecie ascritta richiedesse necessariamente il previo accertamento “della natura dei rifiuti smaltiti nel suddetto impianto di discarica ed in particolare la loro natura di rifiuti pericolosi”, nondimeno le incerte risultanze della consulenza tecnica disposta dal P.M. nel corso delle indagini preliminari -svolta su basi esclusivamente documentali senza far luogo ad alcuna “analisi sui campioni di fango prelevabili presso l’impianto CO.DI.SO., ovvero presso le discariche della FORMICA Ambiente, per di più assumendo quale riferimento i codici di cui al nuovo Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER), entrato in vigore in epoca successiva ai fatti per cui è processo- e, comunque, le convincenti argomentazioni di segno contrario sviluppate dal consulente della difesa non avevano consentito di fornire una risposta chiara ed esauriente al quesito, così come sopra individuato, imponendo pertanto la soluzione assolutoria adottata.

Avverso detta pronuncia il P.G. in sede interponeva tempestiva e rituale impugnazione, denunciando l’inesattezza del percorso argomentativo sviluppato dal primo giudice e ribadendo la correttezza dell’iter seguito dal consulente della Pubblica Accusa, sulla scorta delle cui conclusioni reiterava la richiesta di condanna dell’imputato, già avanzata all’esito del primo grado di giudizio dal P.M. d’udienza.
In tal senso rassegnava le proprie conclusioni al termine della discussione del gravame, salva l’intervenuta prescrizione, mentre la difesa dell’imputato insisteva per la conferma della pronuncia di prime cure ovvero, al più, per la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non prima di aver eccepito l’inammissibilità (per tardività) della proposta impugnazione, in conformità al tenore della memoria all’uopo depositata.

Detta eccezione, da cui doverosamente occorre prendere le mosse in ragione della sua portata potenzialmente assorbente, è senz’altra destituita di fondamento e va pertanto disattesa.
Invero, la questione sollevata dalla difesa del RANDO traeva spunto dalla denuncia del difetto in atti della prova attestante l’esatta epoca di comunicazione alla Procura Generale della sentenza del giudice di primo grado -asseritamente indicata nel 17.05.2005- in funzione della corretta determinazione della data iniziale di decorrenza del termine d’impugnazione previsto dalla legge; nonché dalla denuncia ulteriore dell’assenza della prova del deposito dell’atto di appello, peraltro, alla luce del timbro della segreteria del Tribunale di Brindisi presente, apparentemente avvenuta ben oltre il termine massimo consentito, ove pure il dies a quo fosse stato quello di cui sopra.
Tanto premesso, gli atti all’uopo oggi ritualmente prodotti dal P.G. valgono a fugare le perplessità difensive, fornendo dimostrazione inoppugnabile sia della comunicazione della sentenza di primo grado in data 17.05.2005, sia dell’avvenuta formalizzazione dell’atto di appello a mezzo raccomandata assicurata spedita l’01.07.2005, ultimo dei 45 giorni utili consentiti dal codice di rito, essendosi qui in presenza di sentenza la cui motivazione è stata oggetto di successiva stesura, ai sensi dell’art. 544 lett.c ) del codice di rito.

Venendo ora al merito della vicenda, assolutamente pacifica è la circostanza dell’avvenuto smaltimento, nella discarica gestita dalla società al tempo rappresentata dall’odierno imputato, del consistente quantitativo di fanghi riportato nel capo d’accusa, tutti prodotti e provenienti dall’impianto di Solofra, di talché la questione controversa -come già segnalato dal giudice di prima istanza- verte sulla corretta qualificazione dei rifiuti in questione.
A tale proposito, è subito da dirsi che l’accertamento svolto dal consulente della Pubblica Accusa -officiato dal P.M. di Avellino, innanzi al quale si era inizialmente radicato l’intero procedimento, avente appunto ad oggetto i fanghi prodotti presso l’impianto di Solofra, da qualificarsi come “impianto di smaltimento di rifiuti industriali prodotti da terzi”- si segnala per la peculiare accuratezza e meticolosità dell’indagine effettuata, che ha quindi consentito di fornire una risposta sicuramente approfondita e tranquillizzante al quesito formulato, in relazione alla natura dei fanghi presi in esame ed alla conseguente classificazione, premessa indispensabile per l’accertamento del carattere di pericolosità o meno degli stessi.
In ordine al primo punto, è stato così acclarato che i fanghi provenienti dal più volte citato impianto (donde venivano poi trasportati a varie discariche di tipo 2/B, fra cui quella gestita dalla società rappresentata dall’odierno imputato), in quanto frutto della lavorazione di “reflui collettati mediante fognatura” e di “reflui conferiti mediante autobotti”, presentano diversa tipologia, all’uopo distinguendosi tra essi: “materiale derivante dalle operazioni di grigliatura; fango prodotto nel dissabbiatore e nel disoleatore; fanghi prodotti nella fase di sedimentazione…; fango biologico derivante dalla fase di trattamento biologico”.
Sulla scorta di tale premessa è stata quindi eseguita la classificazione dei fanghi medesimi, ancora una volta tenendo conto, quale discrimine, dell’entrata in vigore del nuovo CER.
Più precisamente, ha rilevato il consulente che, “relativamente alla classificazione vigente prima dell’01.01.2002, tali rifiuti sono da comprendere tutti nella sezione del catalogo 19 00 00 – rifiuti da impianti di trattamento rifiuti, impianti di trattamento acque reflue fuori sito e industrie dell’acqua” e, segnatamente, nelle sottosezioni 19 02 00 e 19 08 00, dovendo infine essere ascritti “alle seguenti categorie:
- 19 08 01: mondiglia – rientrano tra questi i rifiuti prodotti nelle operazioni di grigliatura;
- 19 08 02: rifiuti di dissabbiamento – rientrano tra questi i materiali derivanti dal dissabbiatore-disoleatore;
- 19 08 05: fanghi di trattamento delle acque reflue industriali non specificate altrimenti – tra questi possono essere compresi i fanghi derivanti dal trattamento biologico;
- 19 02 01: fanghi di idrossidi di metalli ed altri fanghi da trattamento di precipitazione compresi nella sezione 19 02 00… – tra questi rifiuti sono da comprendere i fanghi prodotti nei trattamenti chimico-fisici effettuati nelle fasi di precipitazione delle <> nella fase di neutralizzazione con soda nel processo di chiariflocculazione”.
Avuto riguardo alla classificazione successiva all’01.01.2002 -ha quindi proseguito il consulente del P.M.- i rifiuti medesimi “debbono continuare ad essere compresi nella sezione del catalogo 19 00 00”, sottosezioni 19 02 00 e 19 08 00, essendo quindi “da riferire alle seguenti categorie:
- 19 08 01: vaglio – rientrano tra questi (i) rifiuti prodotti nelle operazioni di grigliatura;
- 19 08 02: rifiuti dell’eliminazione della sabbia – rientrano tra questi i materiali derivanti dal dissabbiatore-disoleatore;
- 19 08 11*: fanghi prodotti dal trattamento biologico delle acque reflue industriali non specificate altrimenti, contenenti sostanze pericolose, nei quali possono essere compresi i fanghi derivanti dal trattamento biologico nel caso che questi non siano stati caratterizzati in modo esaustivo, così come previsto dalla normativa, come nel caso specifico;
- 19 02 05*: fanghi prodotti da trattamenti chimico-fisici, contenenti sostanze pericolose, compresi nella sezione 19 02 00… – tra questi rifiuti sono da comprendere i fanghi prodotti nei trattamenti chimico-fisici effettuati nelle fasi di precipitazione delle <> nella fase di neutralizzazione con soda e nel processo di chiariflocculazione”.
La conclusione finale è stata quindi nel segno della pericolosità di larga parte dei rifiuti per cui è processo, tenuto conto che, alla stregua della classificazione vigente all’epoca dei fatti, “poiché la categoria di rifiuti 19 02 01 è compresa tra quelli elencati nell’allegato D al D. Lgs. 22/97, essi erano da classificarsi come pericolosi”; allo stesso modo in cui, in conformità a quanto previsto dalla decisione 2001/118/CE e dunque dal nuovo CER, i rifiuti contraddistinti dai codici 19 08 11* e 19 02 05* “sono tutti da classificare come rifiuti pericolosi”. Laddove la discarica gestita dalla FORMICA Ambiente, al pari delle altre destinatarie dei fanghi provenienti dall’impianto di Solofra, non era autorizzata “a ricevere rifiuti classificati come pericolosi”, dovendosi considerare sicuramente errati i codici assegnati ai fanghi oggetto delle operazioni di trasporto e smaltimento presso la discarica medesima.

Tanto premesso, è di tutta evidenza come il ragionamento svolto dal primo giudice non possa assolutamente essere condiviso: invero, esso non dà conto, in punto di fatto, dell’esatto espletamento dell’incarico da parte del consulente del P.M. e degli esatti termini delle risposte ai quesiti dallo stesso formulati, per l’effetto inficiando anche la linearità delle argomentazioni in punto di diritto.
A tale ultimo riguardo, occorre premettere che, laddove il d.p.r. 915/82 si rifaceva alla distinzione fra rifiuti tossici e nocivi, facendo discendere detta classificazione pressoché esclusivamente dalla composizione chimica dei rifiuti medesimi e dal superamento o meno della concentrazione limite, per effetto dell’entrata in vigore del decreto legislativo 22/97 è stata introdotta la partizione fra rifiuti pericolosi e non, individuando nella loro provenienza il criterio di classificazione, con l’ulteriore e basilare puntualizzazione che, in tal modo, la valutazione di pericolosità non è stata rimessa all’analisi dello specifico rifiuto, da esplicarsi in relazione al singolo caso, bensì è stata compiuta dal legislatore una volta per tutte, sulla scorta dell’elencazione cui ha riguardo l’art. 7 comma 4 del citato decreto, che definisce appunto come pericolosi “i rifiuti non domestici precisati nell’elenco di cui all’allegato D”, in tal modo introducendo nell’ordinamento, alla stregua di siffatta testuale e perentoria definizione, una presunzione assoluta, come tale non suscettibile di essere superata da prove contrarie di sorta, attraverso l’eventuale effettuazione di analisi, così come la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di chiarire (cfr. Cass. Sez. 3, ud. 30.05.2002, sent. n. 32143/2002, ric. PARODI).
L’entrata in vigore del nuovo Catalogo Europeo dei Rifiuti di cui alla decisione 2001/118/CE, a far tempo dall’1 gennaio 2002, ha solo in parte modificato il quadro normativo precedente.
In proposito, deve infatti ritenersi, in linea con le puntuali osservazioni contenute nell’atto di appello, che, mentre per la gran parte dei rifiuti elencati la loro classificazione come “pericolosi” continua a discendere, tout court, dall’origine degli stessi -vale a dire, dal ciclo produttivo da cui scaturiscono- per un numero limitato di essi, in quanto contemplati in “voci speculari” o “voci specchio” -a significare la loro previsione sia nel novero dei rifiuti pericolosi, che di quelli non pericolosi- la loro classificazione discende dal superamento o meno della concentrazione limite delle sostanze pericolose in essi presenti. Fermo restando -e la precisazione non è di poco conto- che, in considerazione del fatto che “la classificazione di un rifiuto identificato da una <> e la conseguente attribuzione del codice sono effettuate dal produttore/detentore del rifiuto” -come previsto da apposita direttiva del Ministero dell’Ambiente, conformemente a quanto statuito dalla più volte citata decisione della Commissione C.E. 2001/118/CE- spetta a costui l’onere di analizzare il rifiuto in funzione dell’attribuzione del corretto codice, con l’ulteriore, necessitato corollario che “solo in presenza di analisi certe e complete, che identifichino tutte le componenti del rifiuto e le relative quantità, senza che ne residuino di non individuate, il rifiuto stesso potrà entrare nella voce a specchio, residuale, non pericolosa” (così, esattamente, l’atto d’impugnazione del P.G.).
Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, è agevole cogliere l’assoluta linearità e correttezza del modus procedendi del consulente nominato dal P.M. della Procura presso il Tribunale di Avellino, il quale, in prima battuta, ha assunto quale parametro di riferimento la classificazione derivante dall’originaria formulazione dell’allegato D, di cui all’art. 7 d. l.vo 22/97; quindi, si è doverosamente posto il problema delle implicazioni derivanti dall’entrata in vigore del CER, onde verificare se rifiuti in precedenza classificati come pericolosi potessero aver perso siffatta connotazione per effetto delle novità apportate dal nuovo Catalogo Europeo dei Rifiuti, giungendo ad escludere siffatta eventualità, in primo luogo per via della persistente valenza, per quelli che qui interessano, del criterio della mera provenienza da un determinato ciclo produttivo e, secondariamente e comunque, in ragione della parzialità delle analisi in atti, effettuate “ai fini di una caratterizzazione e non di una classificazione” e perciò giudicate “incomplete”, atteso che “i parametri ricercati erano pochissimi e facevano riferimento a qualche milligrammo per chilogrammo”, sì che “rimaneva scoperta sia la conoscenza qualitativa di questo fango in generale, sia la percentuale totale che rimaneva” (cfr. esame consulente dott. SANNA, verb. ud. 09.12.2004, pagg. 12 – 16).

La difesa dell’imputato, pur non ponendo in discussione l’incontestabile esattezza del “criterio della provenienza” introdotto dal d. l.vo 22/97 e vigente all’epoca dei fatti per cui è processo, con carattere di assolutezza, ha nondimeno sostenuto che al tempo “faceva eccezione il <>, già in precedenza previsto dalla Delibera Interministeriale del 1984 (Tab. 1.1, 1.2 e 1.3), per la classificazione dei rifiuti da smaltire in discarica, in virtù della norma transitoria dettata dall’art. 57 comma 1 d. lgs. n. 22/97… in attesa dell’adozione delle specifiche nuove norme tecniche…. Criterio analitico che, peraltro, è tuttora vigente, per lo smaltimento in discarica, anche a seguito dell’entrata in vigore della specifica normativa sulle discariche di cui al d. l.gs. n. 36/2003, in virtù delle numerose proroghe del regime transitorio di cui all’art. 17, commi 2 e 6, che tengono ferma l’applicazione della citata Delibera Interministeriale del 1984 proprio in relazione alle condizioni e limiti di accettabilità dei rifiuti in discarica…”.
L’assunto non pare minimamente condivisibile e va pertanto disatteso.
La disposizione transitoria invocata nell’interesse del RANDO così testualmente dispone:
“Le norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle specifiche norme adottate in attuazione del presente decreto”.
Ebbene, pare alla Corte che il tenore della disposizione in questione non legittimi affatto la lettura che di essa ha proposto la difesa dell’appellato: ciò perché la temporanea salvezza delle disposizioni pregresse è chiaramente circoscritta alle sole che involgono i criteri tecnici di gestione della discarica, senza minimamente incidere sulla nozione di “rifiuto” dettata dal decreto 22/97, di attuazione -è bene ricordarlo- delle direttive CEE 91/156 sui rifiuti e 91/689 sui rifiuti pericolosi, oltre che di quella 94/62 sugli imballaggi e sui rifiuti degli imballaggi. A significare, cioè, la patente ed inaccettabile contraddittorietà, anche da un punto di vista logico, di un provvedimento legislativo che -secondo l’esegesi che qui si contesta- per un verso è emanato per conformare l’ordinamento a risalenti direttive comunitarie e, per altro verso ed al contempo, dilata e differisce la concreta entrata in vigore di quelle stesse norme, senza neppure un concreto parametro di riferimento temporale.
D’altro canto, non è certo casuale che il d. l.vo 36/2003 -esso pure citato dalla difesa- con cui si stabiliscono, appunto, i “requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche”, a prescindere dalla tematica inerente alle proroghe dell’operatività delle discariche già autorizzate in precedenza, rinvia alle definizioni di rifiuti fornite dal decreto 22/97.
Quanto, poi, al tema delle analisi in atti, provenienti dall’A.R.P.A. di Benevento, non hanno pregio le argomentazioni difensive né riguardo alla non consentita applicazione retroattiva della decisione CE 2001/118, né riguardo alla mancata integrazione -in ogni caso- delle analisi medesime ad opera del consulente del P.M., in proposito valendo senz’altro le considerazioni ampiamente svolte in precedenza, cui per brevità si rimanda, onde evitare superflue ripetizioni.

Così dimostrata la valenza penale della condotta posta in essere dal RANDO, nondimeno, essendo la stessa pacificamente cessata con il 2001 -la difesa ha anzi puntualizzato, al riguardo, che, al di là del dato formale, coincidente con la fine dell’anno, lo smaltimento dei fanghi è concretamente terminato con il luglio dello stesso 2001- il contestato reato contravvenzionale non può che essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, stante l’avvenuto decorso del termine massimo di quattro anni e mezzo, quale previsto dall’art. 157 c.p. nella sua previgente formulazione, qui applicabile ai sensi della disposizione transitoria dettata dall’art. 10 della legge 251/2005, per via del carattere più favorevole della norma pregressa.


P.Q.M.

Visto l’art. 605 c.p.p.
In riforma della sentenza del Tribunale di Brindisi in data 04.05.2005 nei confronti di RANDO Francesco, appellata dal P.G. in sede,

DICHIARA

non doversi procedere nei confronti dello menzionato RANDO, perché il reato ascrittogli è estinto per intervenuta prescrizione.
Termine di giorni 60 per il deposito della motivazione.

Lecce, 21.05.2007
Il Presidente
CENTONZE
Il Consigliere est
TRONCI ANDREA