TAR Veneto, Sez. III, n. 863, del 18 giugno 2014
Rifiuti.Legittimità restrizioni alla facoltà di apportare modifiche agli impianti esistenti per il trattamento dei rifiuti

L’introduzione di restrizioni alla facoltà di apportare modifiche agli impianti esistenti, limitandole agli interventi necessari a mantenerne la funzione in atto appare conforme al principio giurisprudenziale secondo cui deve ritenersi ammissibile una disciplina che produce effetti conformativi per il futuro. In tal modo non vengono infatti messi in discussione né l’intangibilità delle attività e delle opere poste in essere in conformità della disciplina previgente che mantengono la loro precedente e legittima destinazione, né il correlato principio che la cessazione di attività in essere può essere disposta solo sulla base di atti a contenuto espropriativo, e si incentiva al contempo la delocalizzazione di un impianto, la cui presenza è giudicata incompatibile con la tutela di interessi pubblici ritenuti prevalenti. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00863/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01479/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1479 del 2013, proposto da: 
Amia Verona Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Biondaro e Giorgio Pinello, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Venezia, San Polo, 3080/L;

contro

Provincia di Verona, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giancarlo Biancardi, Isabella Sorio e Antonio Sartori, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Venezia - Mestre, Calle del Sale, 33;

per l'annullamento

- della deliberazione della Giunta Provinciale n. 123 del 27/6/2013;

- del verbale n. 341/2013 della Commissione Provinciale VIA;

- della relazione del gruppo di lavoro allegata al verbale stesso;

- della richiesta di parere all'Osservatorio rifiuti dell'Agenzia Regionale per la protezione dell'ambiente inoltrata ai sensi dell'art. 16, comma 2, della L.R.V. n. 11/2010 con nota del 30/7/2013 prot. 75344 che, fra l'altro, sospende i termini per l'approvazione del progetto.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Verona;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2014 il dott. Stefano Mielli e uditi per le parti i difensori L. Biondaro per la parte ricorrente e A. Sartori per la provincia di Verona;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La Società ricorrente svolge il servizio di igiene urbana nel Comune di Verona provvedendo alla raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed al trattamento dei rifiuti speciali assimilati.

A tal fine dal 1983 opera con un impianto per il trattamento ed il recupero dei rifiuti nel territorio del Comune di Verona in via Avesani 31.

Il 24 marzo 2010 la ricorrente ha presentato un progetto finalizzato sia a ricomprendere in un’unica autorizzazione i precedenti tre titoli autorizzativi in forza dei quali operava, sia ad ampliare la tipologia di rifiuti gestiti mediante l’introduzione di nuovi codici CER, sia infine a modificare gli spazi interni e gli stoccaggi, aumentandoli da 1727 a 2542 tonnellate, innovando le tecnologie utilizzate.

In un primo momento la commissione provinciale VIA il 6 agosto 2010 aveva espresso parere favorevole al progetto.

Successivamente il procedimento amministrativo è rimasto sospeso, senza l’assunzione di iniziative della parte ricorrente per riattivarlo.

Il 22 gennaio 2013, su sollecitazione dell’Amministrazione provinciale, la parte ricorrente ha confermato la volontà di proseguire nell’iter di approvazione del progetto.

La commissione provinciale per la valutazione di impatto ambientale mutando il precedente orientamento che aveva giudicato l’intervento ammissibile nella sua interezza, ha ritenuto di confermare il parere favorevole per quanto riguarda sia l’accorpamento delle tre diverse autorizzazioni, sia la realizzazione della raccolta delle acque interne, che la realizzazione delle tettoie relative alla copertura dei rifiuti già autorizzati, contenuti in container.

Ha invece riesaminato il precedente pronunciamento formulando infine un parere negativo per quanto riguarda l’inserimento di nuovi codici CER e l’aumento della capacità di stoccaggio, ritenendo che tali interventi siano equiparabili ad un nuovo impianto, ed in quanto tali ricadano nel divieto di realizzazione di nuovi impianti previsto dall’articolo 49 delle norme tecniche di attuazione del Piano d’area Quadrante Europa.

La parte ricorrente prosegue esponendo che in data 31 luglio 2013, le è pervenuta copia della nota prot. n. 7344 del 30 luglio 2013, con la quale la Provincia ha chiesto all’Osservatorio rifiuti dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale chiarimenti in merito all’applicazione alla fattispecie dell’art. 16, comma 2, della legge regionale 16 febbraio 2011, n. 10, che sospende i procedimenti amministrativi in corso relativi a nuovi impianti di smaltimento o recupero di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, nelle more dell’approvazione del piano regionale per la gestione dei rifiuti speciali.

La deliberazione di approvazione parziale del progetto, il parere della commissione provinciale per la valutazione di impatto ambientale e la richiesta del parere all’Osservatorio regionale dei rifiuti, sono impugnati con il ricorso in epigrafe per le seguenti censure:

I) violazione dell’art. 49 del Piano d’area Quadrante Europa ed erroneità, in quanto tale disposizione si applica solamente ai nuovi impianti e non agli impianti, come quello in esame, già esistenti, rispetto ai quali non sono vietate modifiche anche in ampliamento e senza limiti quantitativi, e perché in ogni caso devono ritenersi comunque assentibili gli ampliamenti i quali, come nel caso di specie, comportino miglioramenti ambientali;

II) violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, perché il progetto comporta un potenziamento della capacità di stoccaggio e l’aggiunta di alcune tipologie di rifiuti da trattare, e gli interventi di ampliamento di impianti esistenti in termini di potenzialità, superficie o modifiche gestionali, ai sensi della deliberazione della Giunta regionale n. 1210 del 23 marzo 2010, applicativa dell’art. 16 della legge regionale 16 febbraio 2010, n. 11, non rientrano nella nozione di “nuovi impianti”;

III) contraddittorietà, violazione del principio di buona fede e disparità di trattamento in quanto sono state autorizzate analoghe modifiche all’impianto gestito dalla ditta SEV;

IV) violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto non vi è stata motivazione in ordine all’interesse pubblico con riguardo alla riformulazione del parere precedentemente reso nel 2010;

V) incongruità, illogicità ed erroneità della motivazione per la mancata considerazione che l’inserimento di nuovi codici CER è la conseguenza dell’ampliamento della raccolta differenziata di rifiuti urbani nel Comune di Verona, mentre l’aumento della capacità di stoccaggio ha un impatto sostanzialmente trascurabile, perché la potenzialità dell’impianto rimane invariata;

VI) quanto alla richiesta di parere all’Osservatorio rifiuti dell’Arpav, violazione dell’art. 16, comma 2, della legge regionale 16 febbraio 2010, n. 11, e della deliberazione della Giunta regionale n. 1210 del 23 marzo 2010, perché, come affermato dall’Osservatorio con nota prot. n. 14379/RD2 del 17 settembre 2013, la sospensione dei procedimenti relativi all’approvazione dei progetti di trattamento dei rifiuti previsti da quella norma non si applica alla fattispecie all’esame.

Si è costituita in giudizio la Provincia di Verona replicando alle censure proposte e concludendo per la reiezione del ricorso.

Alla pubblica udienza del 22 maggio 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Con il primo motivo la parte ricorrente sostiene che la disciplina restrittiva dell’art. 49 del Piano d’area Quadrante Europa non è applicabile alla fattispecie in esame con una pluralità di argomentazioni.

In primo luogo afferma che i divieti di localizzazione contenuti in tale norma si riferiscono espressamente solo ai nuovi impianti, e pertanto non possono essere estesi alle modifiche di impianti esistenti, da ritenersi ammessi senza limitazioni quantitative, e che in senso contrario non può essere invocata la circostanza che l’art. 208 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152 sottoponga il progetto alla medesima procedura prevista per i nuovi impianti, dato che la modifica di un impianto esistente costituisce una fattispecie distinta dal nuovo impianto.

Questo ordine di idee non può essere condiviso.

Per quanto concerne gli impianti di trattamento dei rifiuti l’art. 49 del piano d’area, mediante apposite direttive, fissa degli obiettivi che devono essere raggiunti in sede di pianificazione provinciale e comunale, demandando agli enti locali di indicare i criteri o gli ambiti per la loro localizzazione e rilocalizzazione.

Con prescrizioni e vincoli immediatamente precettivi dispone inoltre che “nuovi impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti non possono essere ubicati in fregio e all’interno: a) degli ambiti di interesse naturalistico - ambientale; b) delle zone archeologiche; c) delle aree di risorgiva e dei punti di presa dell’acqua potabile; d) dell’ambito prioritario della protezione del suolo” facendo salvo “in ogni caso quanto già autorizzato alla data di adozione del presente piano” e con l’ulteriore specificazione che “eventuali ampliamenti delle discariche esistenti devono essere motivati e realizzati in modo tale che la sistemazione finale comporti un miglioramento significativo dell’ambiente circostante”.

Nel caso all’esame l’impianto ricade all’interno dell’ambito di protezione del suolo.

Si tratta di un ambito territoriale per il quale l’art. 51 del piano d’area pone forme particolari di tutela finalizzate ad evitare modificazioni della giacitura dei terreni e delle caratteristiche fisiche dei suoli e la loro impermeabilizzazione, a facilitare l’infiltrazione delle acque superficiali garantendone la massima permeabilità, e per le quali sono vietati l’impermeabilizzazione di estese superfici e l’uso, in linea di massima, di fitofarmaci e diserbanti nella manutenzione del verde, mentre sono consentiti lavori di miglioria fondiaria a condizione del rispetto delle suddette finalità.

Poste tali premesse, ed in mancanza di una definizione normativa di “nuovo impianto”, il Collegio ritiene condivisibili le conclusioni cui è giunta la Provincia circa la necessità di utilizzare un criterio di carattere sostanzialistico nel definire la tipologia di interventi che ricadono nel divieto.

Infatti tale criterio è quello che risulta coerente con le finalità di tutela dell’ambito di protezione del suolo dato che le modifiche agli impianti esistenti possono essere talmente importanti da costituire un nuovo progetto, e per la loro natura, dimensione o ubicazione, possono risultare idonei a produrre un impatto sull' ambiente del tutto equivalente ad un nuovo impianto, e sarebbe contrario agli obiettivi del piano sottrarre dal suo campo di applicazione queste modifiche.

Peraltro nella materia ambientale, per non frustrare il raggiungimento degli obiettivi di tutela, di norma le modifiche sostanziali ad un impianto sono equiparate ad un nuovo impianto.

Rispetto all’ordinamento comunitario, ad esempio, si è ritenuto in via interpretativa che la procedura di valutazione di impatto ambientale dovesse essere svolta anche rispetto a modifiche di opere esistenti, nonostante l’allegato II della direttiva 85/337 CEE nel testo originario non si riferisse esplicitamente anche alle modifiche dei progetti ivi elencati (cfr. CGCE sentenza resa nella causa C – 72/95 del 24 ottobre 1996).

La normativa nazionale all’art. 208 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, assoggetta alle procedure per nuovi impianti le varianti sostanziali in corso d'opera o di esercizio che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata, e all’art. 5 definisce come modifica sostanziale di un progetto, di un’opera o di un impianto “la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l'autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente”.

Allo stesso modo anche la legislazione regionale ricorre ad un criterio di carattere sostanzialistico quando, all’art. 23, comma 6, della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3, assoggetta alla procedura prevista per nuovi impianti le varianti sostanziali in corso di esercizio che comportino modifiche per cui gli impianti non siano più conformi all’autorizzazione rilasciata, con la sola esclusione delle varianti che non riguardino il processo tecnologico e non comportino modifiche ai quantitativi di rifiuti recuperati o smaltiti.

Pertanto, poiché manca una definizione normativa di “nuovo impianto” o di “modifica di un impianto esistente” nel piano d’area, appare corretta l’interpretazione che ricorre al criterio sistematico e teleologico, secondo la quale restano assoggettate alla disciplina prevista per nuovi impianti, anche le modifiche di impianti esistenti che per la loro natura, dimensione o ubicazione producano effetti sull'ambiente equivalenti a quelli di un nuovo impianto, dato che altrimenti un qualsiasi impianto potrebbe, di modifica in modifica, espandersi senza limiti, vanificando la portata precettiva e le finalità di salvaguardia della norma del piano d’area.

1.2 In senso contrario non possono essere valorizzate le considerazioni svolte dalla parte ricorrente circa l’erroneità di un esito interpretativo il cui effetto le impedirebbe di realizzare interventi di sviluppo ed ampliamento della propria attività, da ritenersi connaturati ad ogni attività di impresa.

Infatti l’introduzione di restrizioni alla facoltà di apportare modifiche agli impianti esistenti, limitandole agli interventi necessari a mantenerne la funzione in atto (ed in effetti la Provincia ha autorizzato, non ritenendole incompatibili con l’art. 49 del piano, l’accorpamento delle tre diverse autorizzazioni, la realizzazione della raccolta e della gestione delle acque interne, e la realizzazione delle tettoie relative alla copertura dei rifiuti già autorizzati, contenuti in container), appare conforme al principio giurisprudenziale secondo cui deve ritenersi ammissibile una disciplina che produce effetti conformativi per il futuro.

In tal modo non vengono infatti messi in discussione né l’intangibilità delle attività e delle opere poste in essere in conformità della disciplina previgente che mantengono la loro precedente e legittima destinazione, né il correlato principio che la cessazione di attività in essere può essere disposta solo sulla base di atti a contenuto espropriativo (con riferimento alla disciplina urbanistica, ex pluribus, cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3429), e si incentiva al contempo la delocalizzazione di un impianto, la cui presenza è giudicata incompatibile con la tutela di interessi pubblici ritenuti prevalenti.

1.3 Con una seconda censura, riproposta anche nel quinto motivo sotto il profilo dell’erroneità e dell’illogicità della motivazione, la parte ricorrente afferma che le modifiche proposte non hanno in realtà carattere sostanziale.

La tesi non può essere accolta, in quanto le modifiche implicano innovazioni del processo tecnologico, il trattamento di nuovi rifiuti mediante l’introduzione di nuovi codici CER, ed un aumento della capacità di stoccaggio di circa il 50%, e ciò corrisponde alle caratteristiche proprie delle modifiche sostanziali in base alle norme sopra richiamate, senza che siano riscontrabili profili di illogicità.

Anche tali censure, contenute nell’ambito del primo e del quinto motivo, devono pertanto essere respinte.

1.4 Con un’ulteriore prospettazione formulata in via subordinata, la parte ricorrente afferma che le modifiche proposte, quand’anche sostanziali ed assoggettabili al divieto previsto per nuovi impianti, dovrebbero ritenersi ammissibili, in applicazione analogica di quanto previsto dall’ultima parte dell’art. 49 del piano d’area Quadrante Europa per l’ampliamento delle discariche, perché comportano un miglioramento ambientale, attestato anche nei pareri della commissione provinciale per la valutazione di impatto ambientale, nelle modalità di raccolta e trattamento dei rifiuti solidi urbani del Comune di Verona.

Con il secondo motivo sostiene che la Provincia è incorsa in un difetto di motivazione e di istruttoria nel non rilevare che dovrebbe trovare applicazione analogica quanto previsto dall’art. 16 della legge regionale 16 febbraio 2010, n. 11, e dalla deliberazione della giunta regionale applicativa di tale norma n. 1210 del 23 marzo 2010, con riguardo alla disciplina applicabile nelle more dell’approvazione del piano regionale di gestione dei rifiuti speciali, circa l’impossibilità di assoggettare alle limitazioni sopravvenute gli impianti preesistenti.

Tali assunti non sono condivisibili, perché si tratta in entrambi i casi di norme speciali, insuscettibili di applicazione analogica, dettate l’una per le discariche, e l’altra per la gestione dei rifiuti speciali, non estensibili all’impianto gestito dalla parte ricorrente che è di trattamento di rifiuti urbani, ed è assoggettato ad una diversa disciplina, come affermato dallo stesso Osservatorio regionale rifiuti dell’Arpav con nota prot. 97211 del 17 settembre 2013, proprio al fine di argomentare l’estraneità dell’impianto della parte ricorrente alla disciplina prevista dall’art. 16 della legge regionale 16 febbraio 2010, n. 11 (cfr. doc. 21 depositato in giudizio dalla parte ricorrente).

Pertanto anche tali censure contenute nell’ambito del primo e del secondo motivo devono essere respinte.

2. Con il terzo motivo la parte ricorrente lamenta la disparità di trattamento rispetto all’autorizzazione rilasciata alla ditta SEV nel febbraio 2010, avente ad oggetto modifiche corrispondenti a quelle da lei richieste, con riguardo ad un impianto ubicato anch’esso nell’ambito prioritario di protezione del suolo.

La doglianza deve essere respinta, perché una tale censura presuppone un’identità di situazioni non ravvisabile nel caso di specie, dato che l’autorizzazione all’impianto cui fa riferimento la parte ricorrente è stata rilasciata da altro Ente, la Regione e non la Provincia (la Provincia ha rilasciato solamente l’autorizzazione all’esercizio), e nel caso all’esame gli atti impugnati danno conto delle ragioni per le quali la Provincia, discostandosi dal proprio precedente orientamento espresso nel 2010 anche con riguardo al progetto dalla stessa presentato, ha ritenuto, con una corretta interpretazione, che modifiche come quelle proposte rientrano nel divieto previsto dall’art. 49 del piano d’area Quadrate Europa, e la disparità di trattamento non può essere invocata per rendere legittimo ciò che non lo è.

3. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 21 quinquies e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto, rispetto alla riformulazione del parere precedentemente reso nel 2010, non vi è stata motivazione in ordine all’interesse pubblico.

La doglianza non può essere accolta, in quanto gli atti impugnati danno sufficientemente conto delle ragioni che hanno indotto la Provincia ad adottare una opzione interpretativa diversa da quella espressa nel 2010, e un tale mutamento non necessitava di una comparazione con gli interessi del privato, dato che questi non si sono consolidati.

Infatti, non essendosi concluso il procedimento del 2010 per l’inerzia della parte ricorrente, attestata dal verbale della commissione provinciale per la valutazione di impatto ambientale del 17 maggio 2013, l’esercizio dell’autotutela ha riguardato una fase endoprocedimentale, e non può fondatamente affermarsi che la Provincia non abbia tenuto conto degli interessati.

4. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità della richiesta di parere all’osservatorio regionale dei rifiuti circa l’applicabilità o meno alla fattispecie della procedura prevista dall’art. 16, comma 2, della legge regionale 16 febbraio 2010, n. 11, e dalla deliberazione della Giunta regionale n. 1210 del 23 marzo 2010.

La censura è inammissibile per carenza di interesse, in quanto già al momento della proposizione del ricorso, l’Osservatorio con nota prot. n. 14379/RD2 del 17 settembre 2013, aveva risposto nel senso della non applicabilità della normativa sopra citata, e pertanto non è prospettabile alcuna lesività dalla richiesta di approfondimento istruttorio formulata dalla Provincia.

Parimenti inammissibile, come eccepito dalla Provincia, è l’ulteriore censura, secondo la quale dato che, in base all’art. 208 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, l’approvazione dei progetti di gestione dei rifiuti costituisce, ove occorre, variante agli strumenti urbanistici vigenti, devono ritenersi ipso iure derogate le prescrizioni e i vincoli previsti dall’art. 49 del piano d’area Quadrante Europa, perché proposta dalla ricorrente per la prima volta nella memoria del 18 aprile 2014.

Per completezza va soggiunto che la doglianza è anche infondata nel merito, in quanto il piano d’area è un piano territoriale, equiparato al PTRC, con valenza sovracomunale, il cui contenuto tipico impedisce che possa essere ricondotto alla nozione di piano urbanistico, che ha una valenza comunale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 12 dicembre 2007, n. 3963).

In definitiva il ricorso deve essere in parte respinto, ed in parte dichiarato inammissibile.

La novità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione delle spese tra le parti del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, III Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo respinge, ed in parte dichiara inammissibile nel senso precisato in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Di Nunzio, Presidente

Riccardo Savoia, Consigliere

Stefano Mielli, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/06/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)