TAR Piemonte Sez. I sent. 1747 del 9 aprile 2010
Rifiuti. Attività di messa in riserva di rifiuti non pericolosi e attestazione della compatibilità urbanistica

Anche se l’autorizzazione per attività di messa in riserva di rifiuti non pericolosi viene rilasciata nell’ambito di un procedimento semplificato che consente all’interessato di rivolgersi direttamente alla Provincia, autocertificando una serie di requisiti (quali appunto la compatibilità urbanistica), ciò non di meno la semplificazione non può significare esenzione dell’interessato dal rispetto della normativa che sotto più profili, tra cui certamente quello urbanistico, può interferire con l’esercizio dell’attività. Ne consegue che correttamente viene richiesto, nel contesto dell’unitario procedimento, di attestare anche la compatibilità urbanistica.

N. 01747/2010 REG.SEN.
N. 00873/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 873 del 2009, proposto da:
Aldisi-Noleggiami S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv.to Alessandra Carozzo, con domicilio eletto presso l’avv.to Alessandra Carozzo in Torino, via Amedeo Avogadro, 26;


contro


Provincia di Torino, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Silvana Gallo, Anna Lisa Di Cuia, con domicilio eletto presso l’avv.to Silvana Gallo in Torino, corso Inghilterra, 7/9;
Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Donatella Spinelli, con domicilio eletto presso la medesima in Torino, Comune - via Corte D'Appello, 16;

per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,

della determinazione del Dirigente del Servizio Gestione Rifiuti e Bonifiche del 3/7/2009, prot. n. 136-27119/2009, notificata in data 11/7/2009, con cui si vieta la prosecuzione dell'attività di recupero di rifiuti non pericolosi ai sensi dell'art. 11 del regolamento;

di tutti gli atti presupposti, consequenziali, o comunque connessi con quello impugnato, con particolare riferimento alla nota in data 19/2/2009 prot. n. 766 del Settore Coordinamento Interventi Convenzionati e Vigilanza Edilizia del Comune di Torino ed alla nota, non conosciuta, n. 2079 del 3/6/2009 del medesimo settore;

nonché per l'annullamento e/o la disapplicazione del regolamento approvato con deliberazione Cons. Provinciale 20/11/2001 prot. n. 220732/2001.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Torino e del Comune di Torino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 marzo 2010 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


Parte ricorrente ha adito l’intestato TAR deducendo di svolgere attività di commercio all’ingrosso e dettaglio di materiali e articoli per l’edilizia, ferramenta, idraulica, sanitari e loro componenti, nonché materiali ferrosi e per l’edilizia civile e industriale; ha dedotto di svolgere inoltre per conto proprio o di terzi attività di autotrasporto e noleggio impianti, attrezzature, macchinari nonché messa in riserva di rifiuti non pericolosi. Le suddette attività sono svolte nella sede di via Pianezza n. 311 delle tre società Aldisi s.p.a., Aldisi Ecologia s.r.l. e Aldisi Noleggiami s.r.l..

In data 12.6.2003 la Aldisi s.p.a. presentava comunicazione di inizio attività di messa in riserva a recupero di rifiuti non pericolosi ai sensi del d.lgs. n. 22/97; in data 13.2.2008 presentava comunicazione di rinnovo ai sensi dell’art. 216 del d.lgs. n. 152/2006, venendo anche iscritta nel registro provinciale delle imprese che effettuano attività di recupero con iscrizione poi volturata a favore della Aldisi noleggiami s.r.l. a seguito di affitto di ramo d’azienda. Il dirigente del settore coordinamento interventi convenzionati e vigilanza del Comune di Torino trasmetteva alla Provincia nota prot. n. 766 del 19.2.2009 a seguito della quale venivano avviati tre procedimenti, uno da parte della Provincia, conclusosi con il provvedimento impugnato, e due da parte del Comune di Torino conclusosi con ordinanza di demolizione sospesa dal TAR con ordinanza n. 431/09. Tutti i procedimenti assumono che l’area adibita dalla società alla contestata attività non avrebbe destinazione produttiva ma residenziale, ragione per cui la Aldisi avrebbe in modo non veritiero dichiarato il rispetto delle norme urbanistiche ed edilizie nelle autorizzazioni ex art. 33 del d.lgs. 22/97 e sanitaria e conseguentemente non avrebbe neppure potuto realizzare opere edilizie destinate all’attività in contestazione. Con nota n. 225889 del 16.3.2009 la Provincia comunicava avvio del procedimento volto alla pronuncia di divieto di prosecuzione dell’attività per comunicazione non corrispondente al vero rispetto alla compatibilità dell’attività produttiva con la destinazione residenziale dell’area. La ricorrente contestava una destinazione produttiva “legittimamente in atto” ai sensi dell’art. 8 punto 10 delle NUEA. La Provincia chiedeva ulteriori chiarimenti al Comune, che ribadiva la propria tesi, sicchè veniva notificato divieto di prosecuzione dell’attività.

Lamenta parte ricorrente la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22/97 ed ai principi generali da detta legge desumibili nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 5,6,7,8,11 del regolamento 20/11/2001 della Provincia di Torino. La ricorrente svolge attività di recupero rifiuti non pericolosi in forza di autorizzazione ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 22/97. La ricorrente aveva documentato il rispetto delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche stabilite dall’art. 31 co 1,2,3 del d.lgs. n. 22/97. Con nota in data 11.8.2003 la Provincia aveva chiesto integrazioni documentali tra cui il certificato comunale attestante la compatibilità urbanistica dell’area con l’attività di recupero dei rifiuti, documentazione regolarmente trasmessa, sicchè in data 14.10.2003 la Provincia aveva trasmesso l’esito positivo dell’istruttoria. Veniva successivamente intrapreso un procedimento di rinnovo dell’autorizzazione nel cui contesto veniva anche depositata una relazione tecnica attestante che l’attività non costituiva pericolo per la salute né recava pregiudizio all’ambiente e rispettava le prescrizioni di cui all’art. 216 del d.lgs. 152/2006. Tra i documenti prodotti ai fini dell’istruttoria si annovera altresì il certificato di compatibilità urbanistica per attività di recupero rifiuti rilasciato dal Comune di Torino in data 15.7.2003. In sostanza da una parte il Comune ha attestato la contestata compatibilità urbanistica e dall’altra il regolamento provinciale disciplinante l’istruttoria prevede che la Provincia verifichi, a sua volta, anche la compatibilità urbanistica. Non essendo mutati i presupposti di fatto e di diritto dal 2003, momento di prima autorizzazione dell’attività, non potevano dirsi sussistere neppure i presupposti per vietarne la prosecuzione.

Lamenta inoltre parte ricorrente la violazione dell’art. 33 del d.lgs. n. 22/97, con particolare riferimento ai commi 1 e 4, nonché l’illegittimità dell’art. 5 co. 1 e 11 co. 5 del regolamento 20/12/2001 della Provincia di Torino per contrasto con gli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22/97 e per violazione dell’art. 118 della Costituzione.

L’art. 11 del regolamento commina la sanzione del divieto di prosecuzione dell’attività in caso di mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di legge, tutte rispettate nell’esercizio dell’attività; identica sanzione è comminata per l’invio di comunicazioni non corrispondenti al vero in quanto contenenti dichiarazioni mendaci o false; non risponderebbe al vero la dichiarata compatibilità urbanistica dell’area con l’attività svolta.

Ai sensi dell’art. 8 delle NUEA punto 10 la destinazione d’uso di un immobile esistente è quella legittimamente in atto in quanto risultante da concessioni e autorizzazioni rilasciate in applicazione di disposizioni di legge. La ricorrente gode di autorizzazione sanitaria del 16.10.1994, autorizzazione ax art. 33 del d.lgs. n. 22/97 del 12.6.2003 ed iscrizione all’albo autotrasportatori per conto terzi della Provincia di Torino del 3.2.2005, nonchè iscrizione all’albo gestori ambientali del 23.1.2008. La destinazione d’uso di un’immobile è, secondo le NTA, quella legittimamente in essere e il PRG qualifica attività produttiva l’attività di deposito al coperto e all’aperto; vi è poi l’ulteriore possibilità di svolgimento di attività accessorie strettamente necessarie allo svolgimento di attività produttive o commerciali. In definitiva la destinazione dell’area deve intendersi quella legittimamente in atto e tutta l’area occupata dalla Aldisi s.p.a. è destinata ad attività produttiva; in nessun caso infine si può imputare alla società una falsa dichiarazione se si considera che la società si è limitata a dichiarare quanto risultava dal certificato di compatibilità urbanistica rilasciato dal Comune di Torino.

In ogni caso la mancanza di compatibilità urbanistica non integra violazione degli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22/97, che non richiedono il suddetto requisito; appare quindi altresì illegittimo il regolamento della Provincia di Torino nella parte in cui introduce un requisito non previsto dalle norme.

La Provincia ha infine violato l’art. 33 del d.lgs. n. 22/97 nella parte in cui impone, prima dell’emissione di un provvedimento inibitorio, di invitare l’interessato a conformare l’attività alla normativa vigente.

Lamenta infine l’eccesso di potere per insussistenza ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto nonché travisamento di fatti e insufficienza e carenza di istruttoria nonché la violazione di legge con riferimento all’art. 33 del d.lgs. n. 22/97 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990. LA Provincia ha adottato una misura repressiva prevista per altre tipologie di violazioni modificando così in sede applicativa la gradazione degli interventi repressivi prefissati dal legislatore; l’atto repressivo deve chiaramente esprimere: la violazione contestata, la sua sussumibilità in una delle categorie individuate dalla legge e quindi la concreta applicabilità al caso di specie della sanzione.

Si costituiva la Provincia di Torino deducendo che, in data 12.6.2003 la Società Supertrasporti Commerce di Aldisi Roberto Giuseppe & C. s.n.c. (divenuta successivamente Gruppo Supertrasporti Aldisi s.p.a.) presentava comunicazione ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. 22/97 per attività di messa in riserva e recupero rifiuti non pericolosi presso la sede di via Pianezza. Nella comunicazione si dichiarava la compatibilità urbanistica dell’attività con le previsioni del PRG; la comunicazione indicava una quantità annua di rifiuti movimentati inferiore a 3000,00 T. ed una superficie impegnata per la messa in riserva di circa 900 mq. Su 3000 mq. complessivi di estensione dell’impianto. A completamento della comunicazione perveniva alla Provincia, in data 30.7.2003 “attestazione di compatibilità urbanistica per attività recupero rifiuti rilasciata dal Comune il 15.7.2003. In data 14.10.2003 la Provincia comunicava all’interessata e, per conoscenza, al Comune di Torino e all’A.R.P.A. l’iscrizione della ditta nel registro provinciale delle imprese che effettuano attività di recupero rifiuti. In data 29.2.2008 veniva formulata istanza di rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività; la società ribadiva la conformità dell’impianto alle norme urbanistiche riservandosi di produrre la certificazione comunale. La nuova comunicazione indicava tuttavia un sensibile incremento annuo di rifiuti movimentati (superiore o uguale a 15.000 t. e inferiore a 60.000 t) ma rispetto alla precedente comunicazione del 2003 indicava una netta contrazione dell’area impegnata per la messa in riserva (circa 350 mq); l’impianto risulta infatti oggi utilizzato per un amplissimo campo di settori; in data 2.3.2009 si prendeva altresì atto della variazione di titolarità della comunicazione ai fini dell’iscrizione nel registro provinciale, senza modificazione dell’attività dichiarata.

Nel corso delle verifiche d’ufficio perveniva alla Provincia la nota del Comune di Torino prot. 766/2009 del 19.2.2009 nella quale, quanto alla compatibilità urbanistica, si precisava che l’area è destinata a verde privato con preesistenze edilizie, attività residenziale, attività commerciali al dettaglio, attività di ristorazione e pubblici esercizi, attività artigianali di servizio, nonché destinazioni accessorie e uffici connessi alle attività commerciali; precisava il Comune che l’attività di recupero e gestione rifiuti, configurandosi come produttiva, non era compresa tra quelle accessorie ammesse.

All’esito di tale comunicazione la Provincia, con nota in data 16.2.2009, avviava procedimento volto al divieto di prosecuzione dell’attività, essendo emerso il difetto di compatibilità urbanistica e l’impossibilità di qualificare l’attività comunicata come meramente accessoria; la ricorrente osservava la legittimità della destinazione produttiva alla luce delle licenze, concessioni e autorizzazioni già rilasciate a suo favore; la Provincia trasmetteva le osservazioni al Comune il quale con nota del 3.6.2009 confermava quanto in precedenza comunicato, ribadendo l’assenza di compatibilità urbanistica dell’area . In attuazione degli artt. 5 e 11 del regolamento la Provincia inibiva l’attività.

L’attuale d.lgs. 152/06 assegna in via ordinaria e continuativa poteri di verifica e controllo in materia alle Province; le norme applicabili sono gli artt. 214-216 del d.lgs. medesimo. La Provincia si è dotata di specifico regolamento in cui sono definiti i presupposti essenziali per il ricorso alle procedure semplificate prevedendo tra l’altro, allo scopo di coordinare le proprie competenze in materia ambientale con quelle in materia urbanistica spettanti ad altri enti, che sussistesse la compatibilità urbanistica dell’impianto certificata dal Comune; il medesimo regolamento prevede che la Provincia inibisca l’attività qualora le dichiarazioni rese dall’interessato al fine del rilascio del provvedimento non risultino conformi al vero. In sede di rinnovo dell’autorizzazione la ricorrente non produceva la certificazione urbanistica di compatibilità, limitandosi ad auto dichiararla; solo in un secondo momento emergeva la non corrispondenza a realtà della autocertificazione. D’altro canto la compatibilità urbanistica è pacificamente un requisito indefettibile anche per un impianto di smaltimento rifiuti. Infine la Provincia rispettava l’onere di attivare la partecipazione procedimentale né è dato comprendere come la ricorrente avrebbe potuto conformare la propria attività dal punto di vista urbanistico.

Si costituiva altresì il Comune di Torino deducendo che la ricorrente invoca la compatibilità urbanistica dell’attività alla luce degli artt. 3 ed 8 della NTA del PRG i quali contemplano per l’area in questione destinazione residenziale e commerciale nonché attività legittimamente in atto. Sostiene la ricorrente che, svolgendo la medesima una attività debitamente autorizzata sin dal 2003, la stessa sarebbe “legittimamente in atto”; tuttavia ai sensi dell’art. 7 della l.r. n. 19/1999 la destinazione d’uso in atto dell’immobile è quella stabilita dal titolo edilizio o, in assenza di tale titolo, dalla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento. Nelle richieste di titoli edilizi formulate dalla ricorrente l’attività di deposito, residuale rispetto alle plurime attività commerciali, non compare in alcun modo.

L’istanza cautelare veniva rigettata con ordinanza n. 671/09 di questo TAR e l’ordinanza veniva confermata dall’ordinanza Cds n. 5328/2009.

Ai fini dell’udienza di merito parte ricorrente deduceva che l’attività di messa in riserva e recupero materiali inerti non pericolosi si inserisce nella vasta catena di attività commerciali facenti capo alla ricorrente; l’attività di trasporto, recupero e deposito temporaneo di materiali inerti è dunque accessoria a quella commerciale. La Provincia ha richiesto quale requisito autorizzatorio la compatibilità urbanistica non prescritta dalla legge; inoltre le NTA ammettono le destinazioni d’uso accessorie alle attività principali; in ogni caso anche in sede di rinnovo dell’autorizzazione, richiesta nel 2008, la destinazione urbanistica d’area rimaneva quella già attestata dal Comune nel 2003.

D’altro canto errerebbe il Comune nell’affermare che anche le possibili destinazioni accessorie secondo le NUEA non potrebbero essere produttive, quale si qualifica il deposito della ricorrente. Infatti le NUEA ammettono destinazioni accessorie purchè nel limite del 25% delle SLP.

Infine nulla è cambiato sul piano urbanistico del 2003, quando veniva rilasciata debita autorizzazione, al 2008 quando viceversa la medesima veniva negata con una sorta di reinterpretazione postuma dell’attestazione di compatibilità urbanistica rilasciata nel 2003.

Conclusivamente la Provincia avrebbe errato sia nel ritenere insussistente la compatibilità urbanistica dell’area con l’attività autorizzanda; sia nell’adeguarsi alla tesi del Comune senza idonea ed autonoma istruttoria e comunque in assenza di formale annullamento dell’attestazione di compatibilità urbanistica già rilasciata dal Comune nel 2003, sia sviando il proprio potere dalle finalità che gli sono proprie poiché la competenza provinciale in materia afferisce esclusivamente alla tutela della salute e dell’ambiente.

Con memoria in data 12.2.2010 il Comune ribadiva quanto segue: l’attestazione rilasciata nel 2003 si limitava ad elencare la normativa del PRG rilevante in materia e precisare la legittimità dell’attività qualora rispondente al dettato di suddette normative; per altro la contestazione attiene non la legittimità dell’attività svolta dal 2003 bensì la legittimazione a proseguirla giusta istanza del 2008 successiva alla scadenza del primo titolo autorizzatorio, dato che ex se legittimava il rinnovo delle verifiche; quanto alla possibilità di svolgere in loco attività accessorie rispetto a quelle legittimamente esercitabili l’art. 3 punto 7 della NTA limita dette attività accessorie non solo dal punto di vista quantitativo (25% di quelle principali esistenti o in progetto) ma anche qualitativo individuandole nella residenza del custode ovvero in attività commerciali, mentre la contestata attività rientra tra quelle produttive.

Con memoria in data 26.2.2010 la Provincia ribadiva la bontà del proprio operato evidenziando altresì come l’attività dichiarata in sede di istanza di rinnovo dell’autorizzazione fosse sensibilmente diversa da quella originariamente vagliata nel 2003; in ogni caso le procedure semplificate di autorizzazione di cui al d.lgs. n. 152/2006 esonerano l’operatore dal procurarsi un previo titolo autorizzatorio espresso ma non dall’osservanza della disciplina di settore sicchè legittimamente la provincia aveva esteso l’istruttoria alla compatibilità urbanistica. Nel complesso la misura repressiva adottata ha costituito doverosa conseguenza degli esiti dell’ istruttoria condotta.

Chiedeva pertanto respingersi il ricorso.

La causa è stata discussa e decisa all’udienza dell’11.3.2010.


DIRITTO


Deve ribadirsi il rigetto della domanda già pronunciato nei due gradi di giudizio cautelare.

Come evidenziato dal giudice d’appello nell’ordinanza cautelare preliminarmente si osserva che pare irrilevante stabilire la correttezza o meno dell’autorizzazione rilasciata nel 2003 a seguito di produzione attestazione di compatibilità urbanistica (il cui significato è per altro equivoco dal tenore letterale del documento in atti sub. doc. 5 ter di parte ricorrente). Pacificamente l’attività svolta è soggetta ad autorizzazione che soggiace ad un termine di scadenza, sicchè nel 2008 si è resa necessaria la richiesta di rinnovazione della medesima; è evidente come le competenti amministrazioni possano, in sede di rinnovo, nuovamente verificare la sussistenza dei prescritti presupposti di legge in capo all’istante. Sostiene parte ricorrente che nulla sarebbe mutato dal 2003 al 2008 dal punto di vista urbanistico; ora se è certamente vero che la disciplina urbanistica applicabile all’area non risulta mutata è per contro certamente mutata l’attività di cui si richiede l’autorizzazione. Come infatti evidenziato dalle amministrazioni resistenti nel 2003 la ricorrente aveva rappresentato di movimentare meno di 3000 t annue di rifiuti in un’area di circa 3000 mq di estensione complessiva; nel 2008 la ricorrente dichiara di voler movimentare una quantità di rifiuti superiore o uguale a 15000 t in un’area di 359 mq. E’ evidente il sostanziale mutamento dell’impatto dell’attività svolta che rende superfluo accertare se in capo alla ricorrente possa dirsi sussistere dal 2003 il “legittimo” esercizio dell’attività dalla medesima all’epoca dichiarata e ciò appunto perché l’attività dichiarata in sede di rinnovo dell’autorizzazione è sostanzialmente diversa da quella precedentemente portata all’attenzione dell’amministrazione. In definitiva, anche immutata la disciplina urbanistica, non può ignorarsi che è mutata l’attività autorizzanda.

Conseguentemente la ricorrente non può invocare la legittima preesistenza dell’attività.

E’ pacifico tra le parti l’attività autorizzanda (di messa in riserva e recupero rifiuti non pericolosi) si classifica secondo le NEUA del PRGG “attività produttiva” come tale non ammessa nell’area ove si trova la società ricorrente. Quest’ultima invoca tuttavia l’art. 3 punto 7 delle NEUA del PRGG il quale tuttavia così recita: “Sono ammesse, entro il limite del 25% della S.L.P. esistente o in progetto destinazioni accessorie strettamente necessarie allo svolgimento dell’attività principale e integrate nell’unità produttiva stessa quali residenza del custode e/o titolare, attività commerciali di cui ai punti 4A1a (esercizi di vicinato), 4A1b1 (medie strutture di vendita), 4A2 (attività per la ristorazione e pubblici esercizi), 4A3 (attività artigianali di servizio), 4B (attività per il commercio all’ingrosso) nei limiti e nel rispetto di quanto disposto nell’allegato C e uffici.” (cfr. doc. 4 del Comune resistente).Come correttamente evidenziato dal Comune pertanto la individuazione delle attività “accessorie” possibili non è solo limitata quantitativamente ma anche qualitativamente e non consente pertanto di qualificare accessoria rispetto ad una destinazione residenziale/commerciale una destinazione produttiva.

Ne consegue che, come evidenziato dalle amministrazioni resistenti nel corso dell’istruttoria procedimentale, manca la compatibilità urbanistica dell’attività della società ricorrente ai fini del rilascio della autorizzazione.

Da ultimo la ricorrente sostiene che, in ogni caso, il provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività adottato dalla Provincia sarebbe illegittimo in quanto non spetterebbe a tale ultima amministrazione richiedere la compatibilità urbanistica dell’attività.

La provincia ha correttamente negato l’autorizzazione ai sensi dell’art. 11 del regolamento adottato con deliberazione del consiglio provinciale n. 220732 del 20.12.2001 perché la società ricorrente autocertificava la sussistenza della compatibilità urbanistica al momento della presentazione dell’istanza salvo poi non essere in grado di produrre il certificato di compatibilità urbanistica appunto perché il Comune ha contestato la sussistenza di tale compatibilità.

Sotto questo profilo è dunque pacifico che la ricorrente ha attestato la sussistenza di un requisito insussistente tentando di documentarlo con una attestazione rilasciata nel 2003 e che, come evidente e come già illustrato, non poteva essere idonea a comprovare la compatibilità urbanistica della diversa attività dichiarata nel 2008.

Infine contesta parte ricorrente l’illegittimità non solo dell’inibitoria ma dello stesso regolamento provinciale che impone di verificare, nell’ambito del procedimento autorizzatorio, anche la compatibilità urbanistica dell’attività svolta. La censura non si ritiene condivisibile; se pure infatti l’autorizzazione viene rilasciata nell’ambito di un procedimento semplificato che consente all’interessato di rivolgersi direttamente alla Provincia, autocertificando una serie di requisiti (quali appunto la compatibilità urbanistica), ciò non di meno la semplificazione non può significare esenzione dell’interessato dal rispetto della normativa che sotto più profili, tra cui certamente quello urbanistico, può interferire con l’esercizio dell’attività. Ne consegue che correttamente viene richiesto, nel contesto dell’unitario procedimento, di attestare anche la compatibilità urbanistica.

La domanda non può dunque trovare accoglimento.

La complessità della vicenda unitamente all’equivoco che può essere stato indotto dalla formulazione del primo certificato di compatibilità urbanistica rilasciato nel 2003 giustificano la compensazione delle spese di lite.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – sezione prima –

Respinge il ricorso.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 11 marzo 2010 con l'intervento dei Magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Presidente FF
Richard Goso, Primo Referendario
Paola Malanetto, Referendario, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/04/2010