Cass. Sez. III n. 17483 del 9 giugno 2020 (UP 14 feb 2020)
Pres. Sarno Est. Cerroni Ric. Brancia
Rumore.Disturbo arrecato in ambito condominiale

Ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen., non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 febbraio 2019 il Tribunale di Perugia ha condannato Ercole Francesco Brancia alla pena, sospesa, di euro 309 di ammenda, con condanna al risarcimento del danno da determinarsi in separata sede e al pagamento delle liquidate spese processuali in favore della parte civile Maria Grazia Caldarelli, per il reato di cui all’art. 659 cod. pen. quanto al periodo dal mese di febbraio 2014 al 7 febbraio 2015.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha eccepito che all’epoca della riconosciuta responsabilità non era più il legale rappresentante della s.r.l. Sfera, che aveva in gestione l’esercizio pubblico, ed in ragione di ciò avrebbe dovuto pronunciarsi sentenza di piena assoluzione, e non di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non solo per il periodo successivo al mese di febbraio 2014 ma anche per il periodo precedente, ossia dal 15 aprile 2013, data di cessazione dalla carica, al febbraio 2014.
2.2. Col secondo motivo, lamentando violazione di legge e vizio motivazionale, il ricorrente ha osservato che il preteso disturbo della pubblica quiete aveva trovato conforto nella deposizione di una sola persona, costituita parte civile. Né era stata operata alcuna verifica circa la lesione del bene giuridico tutelato, mentre la stessa parte civile nulla aveva prodotto, quanto alle affermate ulteriori segnalazioni che avrebbero comprovato l’effettivo disturbo generalizzato. Laddove l’unica cliente escussa del bar aveva escluso l’esistenza di rumori, per la cui esistenza il provvedimento impugnato si era rimesso alla valutazione ed alla personale opinione delle persone offese, mentre le relazioni tecniche risalivano al lontano mese di novembre 2012.
2.3. Col terzo motivo infine è stato osservato che molte delle emissioni non giungevano dall’esercizio pubblico bensì dagli avventori del bar ma anche delle ulteriori attività commerciali aperte in ora serale e notturna. Né la sentenza aveva compiuto alcun concreto riferimento agli elementi che avrebbero ricondotto il vociare alle responsabilità propria ed esclusiva degli avventori del bar in questione, dal momento che, tra l’altro, gli accertamenti erano stati compiuti da un immobile collocato al lato opposto della piazza, e che in ogni caso alcunché era riferibile ad un presunto omesso controllo del responsabile dell’esercizio nei confronti dei clienti collocatisi all’esterno del locale.
3. La parte civile dimetteva memoria, rilevando la continuazione dell’attività di gestione in capo al ricorrente, amministratore anche della nuova società cui faceva riferimento l’esercizio commerciale.
4. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è inammissibile.
5.1. In relazione al primo motivo di censura, al di là delle evoluzioni societarie di cui in realtà vi è trattazione – nel non ammissibile tentativo di porre a contatto questa Corte di legittimità col materiale istruttorio – solamente nel ricorso e nella memoria di conclusioni dimessa dalla parte civile, non vi è contestazione di sorta (trattandosi tra l’altro di questione di fatto, cfr. ad es. Sez. 5, n. 35249 del 03/04/2013, Stefanini e altro, Rv. 255767) circa il ruolo dell’odierno ricorrente quale gestore dell’esercizio commerciale in Perugia, dal quale si sarebbero propagati nel tempo rumori e schiamazzi lesivi della pubblica quiete. Né vi è specifica e puntuale censura in ordine al fatto che la questione sia stata – in tesi - inutilmente sollevata nel giudizio di merito, tanto più che, come si evince dalla lettura del provvedimento, nel corso del giudizio è stata in ogni caso espressamente operata una modificazione dell’imputazione in relazione alla durata della condotta e quindi alla cornice temporale di riferimento.    
5.2. Per quanto riguarda il secondo profilo di impugnazione, vero è che, in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete (in specie l’intensità delle emissioni sonore era stata ricostruita mediante la deposizione dei testimoni, i quali avevano riferito di non riuscire a seguire i programmi televisivi)(Sez. 3, n. 11031 del 05/02/2015, Montoli e altro, Rv. 263433).  
5.2.1. Ciò posto, il ricorso per vero non appare tuttavia confrontarsi adeguatamente col percorso motivazionale della sentenza impugnata, la quale in effetti ha dato certamente atto del contenuto della deposizione della parte civile e del genero della medesima persona offesa, ma al contempo ha richiamato gli ulteriori elementi a riscontro delle doglianze dei diretti interessati, sia avuto riguardo alle deposizioni di testi estranei che – soprattutto – agli esiti degli accertamenti tecnici (ancorché risalenti al 2012, ma ai quali il provvedimento impugnato ha attribuito non illogicamente perlomeno rilievo indiziario anche per il periodo successivo di pari contestazione), i quali avevano annotato un elevatissimo valore differenziale, al di fuori di ogni limite consentito, tra le emissioni acustiche ad esercizio in funzione rispetto alle emissioni ad esercizio chiuso.
In esito a ciò, e nel dare atto altresì della deposizione della teste che ricordava che all’interno del locale era possibile comunque intrattenere una conversazione, la sentenza ha ravvisato l’esistenza della fattispecie contravvenzionale, laddove per vero non risulta accertato il disturbo alla sola odierna parte civile, attesa in proposito la convergenza delle versioni dei testi esaminati, i quali – ancorché estranei al nucleo familiare della persona offesa – hanno riferito di “musica assordante” e di “eccessiva intensità” delle emissioni sonore.
In particolare, una delle testi era anche residente nel medesimo immobile all’interno del quale risiedeva la persona offesa.
Al riguardo, infatti, ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen., non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che i rumori siano idonei ad arrecare disturbo ad un gruppo indeterminato di persone, anche se raccolte in un ambito ristretto, come un condominio (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273216).
5.3. Del pari, quanto al terzo profilo di censura, il provvedimento impugnato ha inteso riferire gli esiti della prova testimoniale tanto del tecnico della prevenzione, che aveva eseguito gli accertamenti acustici per conto dell’Arpa Umbria (dei quali è stato altresì fatto corretto uso indiziario, v. supra), quanto del dirigente preposto al medesimo servizio (tra l’altro presente ai rilevamenti), secondo cui la concausa preponderante delle emissioni sonore era concordemente riferibile agli schiamazzi degli avventori del locale.
In proposito, è nozione comune che, in tema di prova testimoniale, il divieto di apprezzamenti personali non opera qualora il testimone sia persona particolarmente qualificata che riferisca su fatti caduti sotto la sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attività giacché, in tal caso, l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto (Sez. 2, n. 4128 del 09/10/2019, dep. 2020, Cunsolo, Rv. 278086; Sez. 3, n. 29891 del 13/05/2015, Diouf, Rv. 264444).
5.3.1. Ciò ricordato, questa Corte ha già osservato che risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, poiché al gestore è imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica (Sez. F, n. 34283 del 28/07/2015, Gallo, Rv. 264501).
D’altronde, al riguardo, è stata la stessa persona offesa, la cui credibilità ha ricevuto pieno riscontro dal complesso degli elementi istruttori, a dare conto delle ripetute inutili segnalazioni all’autorità comunale ed alle Forze di polizia.
Né, per vero, sono stati mai allegate modifiche nel tempo (fatta salva la limitazione temporale di cui alla modifica della contestazione) della situazione siccome emergente dall’istruttoria.
Il ricorrente in definitiva ha inteso contrastare nel merito le risultanze istruttorie siccome evidenziate dal provvedimento impugnato, omettendo in definitiva di confrontarsi con l’iter argomentativo e tentando di ridiscutere in sede di legittimità le acquisizioni probatorie del giudizio di merito.  
5. L’impugnazione, complessivamente intesa, si pone pertanto al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità, con la conseguente inammissibilità del ricorso.
5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.
Così deciso in Roma il 14/02/2020