Cass. Sez. III n. 18522 del 2 maggio 2018 (Ud 11 gen 2018)
Presidente: Ramacci Estensore: Liberati Imputato: Trincavelli
Rumore.Illecito amministrativo e illecito penale

La configurabilità dell’illecito amministrativo di cui all’art. 10 l. 26 ottobre 1995 n. 447, alla luce della autorizzazione amministrativa rilasciata a diffondere musica all’esterno di un locale, va esclusa quando vi è  il superamento delle normali modalità di esercizio e la conseguente configurabilità del reato di cui al primo comma dell’art. 659 cod. pen. in caso di idoneità a disturbare un numero indeterminato di persone

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 aprile 2017 il Tribunale di Sondrio ha condannato Edoardo Trincavelli alla pena di euro 300,00 di ammenda, in relazione al reato di cui all’art. 659 cod. pen. (ascrittogli perché, abusando ripetutamente di strumenti sonori, all’interno e all’esterno del locale denominato Bollicine, in Comune di Madesimo, disturbava il riposo e le occupazioni delle persone).

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione dell’art. 659 cod. pen., richiamando il consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo cui, per la configurabilità del reato di cui all’art. 659 cod. pen., è necessario che i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate dalla disposizione superino la normale tollerabilità e abbiano, anche in relazione alla loro intensità, l’attitudine a propagarsi e a disturbare un numero indeterminato di persone; poiché nel caso in esame soltanto una ristretta cerchia di persone aveva descritto la sussistenza del rumore, doveva essere esclusa la sussistenza del reato.
2.2. Con un secondo, collegato, motivo ha denunciato l’insufficienza della motivazione riguardo alla idoneità dei rumori a disturbare un numero indeterminato di persone, sia per la apoditticità della relativa affermazione contenuta nella sentenza, sia per la mancata considerazione di quanto riferito dai testimoni della difesa, che avevano escluso il carattere fastidioso o molesto della musica proveniente dal locale dell’imputato.
2.3. Con un terzo motivo ha denunciato violazione dell’art. 10 l. 26 ottobre 1995 n. 447, per non essere stato adeguatamente considerato il rilascio a favore del ricorrente della autorizzazione amministrativa a tenere aperto il proprio locale in ora notturna e ad utilizzare strumenti musicali e di diffusione sonora, giacché ciò avrebbe dovuto indurre a qualificare l’attività svolta dal ricorrente come mestiere rumoroso, con la conseguente configurabilità dell’illecito amministrativo di cui all’art. 10 citato, anziché del reato di cui all’art. 659 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, essendo entrambi volti a censurare l’affermazione del Tribunale circa la diffusività dei rumori provenienti dal locale dell’imputato e la loro idoneità a disturbare il riposto e le occupazioni di un numero indeterminato di persone, tendono, in realtà, attraverso la deduzione di violazioni di legge e di vizi della motivazione, a conseguire una rivisitazione degli elementi di fatto a disposizione, che sono, invece, stati considerati in modo logico dal Tribunale, cosicché non ne è consentita una rivalutazione nel giudizio di legittimità.
Alla Corte di cassazione è, infatti, preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014,  C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Mnervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nel caso in esame il Tribunale di Sondrio ha ritenuto configurabile la contravvenzione contestata all’imputato sulla base di quanto riferito dai denuncianti, firmatari di un esposto al Sindaco di Madesimo, a proposito della sistematica e prolungata propagazione di musica a volume elevato dall’impianto di amplificazione installato all’esterno del locale dell’imputato, della conseguente difficoltà di riposare e di dormire, della necessità di chiudere gli infissi per attenuare il rumore, della impossibilità di utilizzare i balconi per leggere o riposare, ritenendo ininfluente quanto riferito dai testimoni della difesa, circa l’assenza di disturbo e la tollerabilità del volume della misura, alla luce di quanto riferito da un gruppo di persone riguardo alla verificazione di un disturbo al loro riposo e alle loro occupazioni.
Mediante il primo e il secondo motivo di ricorso l’imputato ha proposto una non consentita rivisitazione di tale accertamento, che è stato illustrato con motivazione che non è manifestamente illogica, essendo stati indicati gli elementi sulla base dei quali è stato ritenuto sussistente il disturbo delle occupazioni e del riposo di un numero indeterminato di persone e irrilevante quanto riferito dai testimoni della difesa.
In particolare il ricorrente ha affermato che le emissioni sonore provenienti dall’impianto di amplificazione dell’imputato erano inidonee a disturbare un numero indeterminato di persone, perché avevano arrecato disturbo solo ai denuncianti, costituenti una ristretta cerchia di persone, evidenziando le dichiarazioni di segno contrario dei testimoni indicati dalla difesa e la contraddittorietà di quelle dei testi a carico: si tratta di doglianze non consentite nel giudizio di legittimità, perché sono volte a rivalutare gli elementi a disposizione, onde escludere il disturbo alle occupazioni e al riposo di un numero indeterminato di persone, elementi che sono, invece, stati considerati in modo logico dal Tribunale, che ha sottolineato la rilevanza di quanto riferito dai denuncianti (traendone il disturbo al riposto e alle occupazioni di un gruppo non esiguo di persone) e la non decisività di quanto dichiarato dai testi della difesa (alla luce di quanto deposto dai testi a carico), con la conseguente inammissibilità delle doglianze formulate con il primo e il secondo motivo di ricorso.

3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, perché con esso il ricorrente ha prospettato la configurabilità dell’illecito amministrativo di cui all’art. 10 l. 26 ottobre 1995 n. 447, alla luce della autorizzazione amministrativa rilasciatagli a diffondere musica all’esterno del suo locale, non essendo stato considerato il superamento delle normali modalità di esercizio, conseguente a quanto riferito dai denuncianti circa il disturbo loro cagionato dalla musica proveniente dall’impianto di amplificazione installato dall’imputato all’esterno del suo locale (cfr. Sez. 3, n. 5735 del 21/01/2015, Giuffré, Rv. 261885; conf. Sez. 3, n. 8351 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Calvarese, Rv. 262510), e la conseguente configurabilità del reato di cui al primo comma dell’art. 659 cod. pen.

4. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, essendo stato affidato a doglianze non consentire nel giudizio di legittimità e manifestamente infondate.
L’inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza impugnata, giacché detta inammissibilità impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale di impugnazione innanzi al giudice di legittimità, e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266; conformi, Sez. un., 2/3/2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28/2/2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11/1/2018