Cass. Sez. III n. 51044 del 9 novembre 2018 (Cc 3 ott. 2018)
Pres. Sarno Est. Ramacci Ric. Memoli
Urbanistica.Demolizione e ne bis in idem convenzionale

L’imposizione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo non comporta la violazione del principio del "ne bis in idem" convenzionale, come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'Appello di Salerno, quale giudice dell'esecuzione, con ordinanza depositata il 7 giugno 2018 ha rigettato l'istanza proposta da Alfonsina MEMOLI, volta ad ottenere la declaratoria di nullità, in via principale o la revoca o sospensione, in via subordinata, dell'ordine di demolizione impartito con sentenza della medesima Corte del 7 ottobre 1998, divenuta irrevocabile l'11 novembre 1998 e con la quale la predetta era stata condannata per il reato di cui all'art. 20, lett. c) legge 47/85, per aver realizzato, in assenza dei prescritti titoli abilitativi, un manufatto ad uso abitativo in comune di Cava de’ Tirreni.
Avverso tale pronuncia la predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio assoluto di motivazione, rilevando che la Corte territoriale avrebbe omesso ogni pronuncia in ordine alle richieste formulate nel primo motivo proposto con l'incidente di esecuzione ed avente ad oggetto la violazione del principio del ne bis in idem in relazione agli effetti prodotti, nell'ordinamento interno, dalla sentenza della Corte EDU Grande Stevens ed altri c. Italia del 4 marzo 2014.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, lamentando che il giudice dell’esecuzione avrebbe erroneamente ritenuto non suscettibile di prescrizione l'ordine di demolizione sulla base di una acritica adesione ad una concezione formalistica di tale provvedimento, secondo cui lo stesso non può ritenersi una pena nel senso individuato dalla Corte EDU e non sarebbe, quindi, soggetto a prescrizione.

4. Con un terzo motivo di ricorso deduce la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 31 d.P.R. 380\01 n. 380 e la violazione dell'articolo 1, comma 65 della legge regionale della Campania n. 5/2013, mediante la quale assume essere stato ulteriormente rafforzato l'obbligo della pubblica amministrazione di verificare la possibilità di destinare le opere abusive a prevalenti interessi pubblici, con la conseguenza che, una volta dichiarata la prevalenza dell'interesse pubblico alla conservazione dell'immobile acquisito al patrimonio comunale, escludendo, altresì, l'assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici ambientali, in conformità a quanto previsto dal testo unico dell'edilizia e riconosciuta la possibilità che l'immobile sia destinato prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, dovrebbe ritenersi effettivamente verificata una situazione di oggettiva incompatibilità con l'esecuzione dell’ordine giudiziale di demolizione, tale da imporre la revoca dello stesso.

5. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso in quanto generico e aspecifico, oltre che manifestamente infondato.


CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile.

2. Come correttamente osservato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, il ricorso è caratterizzato dalla mera riproposizione delle questioni sollevate nel corso dell’incidente di esecuzione, senza un valido ed effettivo confronto con le argomentazioni sviluppate nel provvedimento impugnato.
Invero, l’ordinanza, adeguandosi alla costante giurisprudenza di questa Corte, ha espressamente escluso la natura penale dell’ordine di demolizione, anche se disposto dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9 d.P.R. 380\01, rendendo così evidente la infondatezza delle questioni oggi riproposte nei primi due motivi di ricorso e precedentemente prospettate nell’incidente di esecuzione.

3. Va comunque rilevato, quanto al primo motivo di ricorso, che la richiamata sentenza Grande Stevens c. Italia, della Corte EDU ha sostanzialmente affermato il principio il principio secondo il quale il divieto del ne bis in idem può ritenersi violato allorquando, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, sia già stata irrogata all'imputato una sanzione formalmente amministrativa, della quale venga riconosciuta natura "sostanzialmente penale" (Sez. 6, n. 31873 del 9/5/2017, P.G. in proc. Basco, Rv. 270852), escludendo, quindi, la sussistenza di una violazione del principio del "ne bis in idem" convenzionale nel caso in cui uno dei procedimenti in relazione al quale si invoca il principio non abbia natura sostanzialmente penale (Sez. 3, n. 56264 del 18/5/2017, P.G. e altro in proc. Elan e altro, Rv. 272329), nonché la sua deducibilità anche in presenza di una sanzione formalmente amministrativa della quale venga riconosciuta la natura "sostanzialmente penale" quando manchi qualsiasi prova della definitività della irrogazione della sanzione amministrativa medesima (Sez. 3, n. 19334 del 11/2/2015, Andreatta, Rv. 264809; Sez. 3, n. 48591 del 26/4/2016, Pellicani, Rv. 268493).
Quanto affermato dalle richiamate pronunce, nell’ambito di procedimenti aventi ad oggetto materie diverse, ha ripetutamente trovato applicazione in più decisioni di questa Corte relative a procedimenti nei quali l’applicazione della citata pronuncia della Corte EDU era stata invocata con riferimento all’ordine di demolizione di un manufatto abusivo.
E’ stata infatti ritenuta, in primo luogo, rilevante, ai fini della non applicabilità del principio, l’assenza di qualsiasi prova della definitività della irrogazione della sanzione amministrativa (Sez. 3, n. 30206 del 24/5/2017, Gargiulo, non mass.).
Si è poi chiarito che le disposizioni che prevedono la demolizione dell’immobile abusivo non comportano l’applicazione di  due “pene” diverse all'esito di due distinti procedimenti relativi al medesimo fatto, venendo invece applicata la medesima sanzione amministrativa finalizzata al ripristino dell'assetto del territorio, escludendosi così una concorrenza di sanzioni e ricorrendo, invece, un'unica sanzione amministrativa, ancorché irrogabile anche dal giudice penale (Sez. 3, n. 41498 del 7/6/2016, Ferrazzoli ed altri, non mass.; Sez. 3, n. 17246 del 8/3/2017, Marrone, non mass.; Sez. 3, n. 20873 del 10/11/2017, Novi, non mass.; Sez. 3, n. 20874 del 10/11/2017, Crispino, non mass.; Sez. 3, n. 9886 del 7/2/2018, Sollo, non mass.).
Ciò che, tuttavia, rileva in maniera determinante è la natura prettamente amministrativa dell’ordine di demolizione riconosciuta da un consolidato e pluriennale indirizzo giurisprudenziale.
Invero, la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.M. in proc. Delorier, Rv. 265540, cui si rinvia anche per i richiami ai precedenti).

4. Deve conseguentemente affermarsi che l’imposizione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo non comporta la violazione del principio del "ne bis in idem" convenzionale, come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014.

5. L’ulteriore questione della estinzione dell’ordine di demolizione per decorso del tempo, di cui tratta il secondo motivo di ricorso, è stata ripetutamente esclusa, affermandosi che l’ordine impartito dal giudice, che configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non è soggetto alla prescrizione quinquennale stabilita per le sanzioni amministrative dall'art. 28 della l. 689\81, che riguarda le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (Sez. 3, n. 16537 del 18/2/2003, Filippi, Rv. 227176) e, stante la sua natura di sanzione amministrativa, non si estingue neppure per il decorso del tempo ai sensi dell'art. 173 cod. pen. (Sez. 3, n. 36387 del 7/7/2015, Formisano, non ancora massimata; Sez. 3, n. 19742 del 14/4/2011, Mercurio e altro, Rv. 250336; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670), atteso che quest'ultima disposizione si riferisce alle sole pene principali (Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573).
Tali principi sono stati ribaditi anche osservando che, avuto riguardo alle richiamate caratteristiche dell’ordine di demolizione, lo stesso non può ritenersi una «pena» nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è quindi soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen. (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, P.M. in proc. Delorier, Rv. 265540, cit.).
Una successiva pronuncia, nel pervenire alle medesime conclusioni, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, ribadendo che le caratteristiche di detta sanzione amministrativa - che assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso - non consentono di ritenerla "pena" nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una violazione del parametro interposto di cui all'art. 117 Cost. (Sez. 3, n. 41475 del 3/5/2016, Porcu, Rv. 267977).

6. Anche la questione prospettata nel terzo motivo di ricorso è stata oggetto di esame da parte di questa Corte che, in una recente decisione, richiamate precedenti pronunce conformi ed esaminando anche i contenuti della legge regionale menzionata in ricorso, ha affermato che, sottraendo l'opera abusiva al suo normale destino di demolizione previsto per legge, la delibera comunale che dichiara l'esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell'assetto urbanistico violato non può fondarsi su valutazioni di carattere generale o riguardanti genericamente più edifici, ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto, precisamente individuato, dovendosi ulteriormente chiarire come non possano sopperire all’esigenza di una specifica determinazione meri richiami a disposizioni normative, ad altri provvedimenti o a valutazioni di ordine economico, inerenti al costo delle spese di demolizione, in quanto la natura eccezionale della deliberazione richiede che il mantenimento dell’opera abusiva sia giustificato dalla sussistenza di esigenze specifiche, individuate sulla base di dati obiettivi riferiti al singolo caso all’esito di adeguata istruttoria (Sez. 3, n. 38749 del 9/7/2018, Cirillo, non ancora massimata).
Nel caso in esame, peraltro, la ricorrente si è limitata ad un generico richiamo ai principi ritenuti applicabili, senza fornire alcuna indicazione sulla eventuale adozione di specifici provvedimenti relativi all’immobile da demolire.

7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 3/10/2018