Cass. Sez. III n. 51013 del 29 dicembre 2015 (Ud 5 nov 2015)
Pres. Fiale Est. Ramacci Ric. Carratù ed altro
Urbanistica.Inammissibilità della sanatoria condizionata

Deve escludersi la possibilità della cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono, poiché tali provvedimenti devono ritenersi illegittimi, in quanto l'articolo 36 d.P.R. 380\01 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad un'attività vincolata della P.A., consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale


RITENUTO IN FATTO


1. La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 22/10/2013 ha riformato la decisione emessa in data 17/5/2012 dal Tribunale di Salerno – Sezione Distaccata di Mercato San Severino, ha riqualificato l'originaria imputazione di cui al capo A) della rubrica quale contravvenzione di cui all'art. 44, lett. b) d.P.R. 380\01, in luogo della contestata lottizzazione abusiva ed ha rideterminato la pena originariamente inflitta ad Antonia CARRATÙ ed Alfredo GALLIANO, imputati in concorso tra loro, quali comproprietari committenti, anche degli ulteriori reati di cui agli artt. 64, 65, 71, 72, 93, 95 d.P.R. 380\01, per la realizzazione, in zona sismica, classificata «E1 agricola semplice», di un immobile suddiviso in più unità immobiliari destinate a civili abitazioni (acc. 2/4/2009).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il loro difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un unico motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente valutato la segnalata ingerenza del Pubblico Ministero procedente nella procedura di rilascio di un permesso di costruire in sanatoria  per le opere realizzate e che avrebbe impedito di portare a loro conoscenza le condizioni cui il rilascio del titolo sarebbe stato sottoposto.
Per tali ragioni sarebbe stata richiesta la parziale rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, erroneamente negata dalla Corte di appello, al fine di escutere nuovamente i funzionari comunali che nulla avevano riferito circa l'intervento del Pubblico Ministero.
Aggiungono che la sentenza impugnata presenterebbe una motivazione carente circa la ritenuta responsabilità di Alfredo GALLIANO ed in ordine all'elemento psicologico del reato rispetto ad entrambi gli imputati.
Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
In data 22/10/2015 la difesa ha presentato memoria con la quale chiede il rinvio dell'odierna udienza al fine di poter procedere all'espletamento dei lavori cui l'amministrazione comunale di Mercato San Severino avrebbe subordinato il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, permesso che verrebbe successivamente prodotto a questa Corte.         





CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è inammissibile.
Va preliminarmente rilevato che l'istanza di rinvio non è stata accolta in quanto, riferendosi ad una sanatoria «condizionata», di cui si dirà in seguito, non appare giustificata.

2. Ciò premesso, risulta pacificamente accertato in fatto dai giudici del merito che gli imputati avevano realizzato, in assenza di permesso costruire, stante la decadenza di una concessione edilizia in variante per la costruzione di un fabbricato rurale, un immobile suddiviso in più unità destinate ad abitazione. Il tutto in violazione anche delle disposizioni per le costruzioni in zone sismiche e di quelle sulle opere in conglomerato cementizio.
Lamentano i ricorrenti che l'intervento del Pubblico Ministero procedente presso l'ufficio tecnico comunale avrebbe sostanzialmente impedito il rilascio di una sanatoria per la quale i responsabili del suddetto ufficio, di cui veniva richiesta nuovamente l'escussione, avevano già espresso parere favorevole.
Detto parere, sempre secondo i ricorrenti, prevedeva l'adempimento di particolari condizioni alle quali essi avrebbero certamente provveduto se ne fossero stati messi a conoscenza, conseguendo, così, il titolo sanante.
L'assunto è manifestamente infondato.

3. Risulta dalla sentenza impugnata e se ne trae conferma dalla documentazione allegata in copia al ricorso, che il Pubblico Ministero, rinvenuto negli atti del procedimento, perché inviato in copia alla Procura, il parere espresso ai fini della sanatoria, aveva segnalato al dirigente dello Sportello Unico del Comune di Mercato San Severino la impossibilità del rilascio di una sanatoria sottoposta a condizioni e lo aveva invitato ad ingiungere ai responsabili la demolizione o la riduzione in pristino delle «parti dell'immobile che si ritengono non sanabili opere da realizzare, in concreto, previa autorizzazione di questa Autorità Giudiziaria».
Tale comunicazione è senz'altro fondata su un presupposto corretto (la impossibilità di sottoporre la sanatoria a condizioni) ma giunge a conclusioni errate laddove, nell'intimare al destinatario di porre in essere la procedura demolitoria imposta dalla legge, ne limita sostanzialmente l'esecuzione alle sole opere non sanabili.
È infatti indubbio che le opere abusive devono essere unitariamente considerate nel loro complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i singoli componenti, la cui eliminazione potrebbe consentire di ricondurre l'immobile ad una conformità con lo strumento urbanistico e la disciplina edilizia che prima non aveva.
In altre parole, l'immobile realizzato è interamente abusivo e non poteva ritenersi in alcun modo sanabile stante l'evidente contrasto con lo strumento urbanistico.
Neppure la riconduzione a conformità mediante l'eliminazione di alcune parti o, come indicato nel parere dell'amministrazione comunale, la modifica della destinazione d'uso previa demolizione e la riduzione del numero dei piani avrebbero potuto determinare effetti sananti.

4. Invero, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, deve escludersi la possibilità della cosiddetta sanatoria condizionata, caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati alla esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono, poiché tali provvedimenti  devono ritenersi illegittimi, in quanto l’articolo 36 d.P.R.  380\01 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati e stabilisce come la doppia conformità debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Inoltre, il rilascio del provvedimento consegue ad un'attività vincolata della P.A., consistente nell'applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all'Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale (v. Sez. 3, n. 7405 del 15/1/2015, Bonarota, Rv. 262422; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973; Sez. 3, n. 19587 del 27/4/2011, Montini e altro, Rv. 250477; Sez. 3 n. 23726 del 24/2/2009, Peoloso, non massimata; Sez. 3, n. 41567 del 4/10/2007, P.M. in proc. Rubechi e altro, Rv. 238020;  Sez. 3, n. 48499 del 13/11/2003, P.M. in proc. Dall'Oro, Rv. 226897 ed altre prec. conf.).  
Tali principi, pienamente condivisi dal Collegio, devono pertanto essere ribaditi.

5. Va ulteriormente precisato che la comunicazione del Pubblico Ministero, diversamente da quanto ipotizzato dai ricorrenti, non può definirsi quale ingerenza nei confronti dell'autorità amministrativa, atteso che il parere era stato formalmente trasmesso alla Procura della Repubblica per conoscenza, avviando così una doverosa interlocuzione nel corso della quale il Pubblico Ministero procedente ha ritenuto di evidenziare, al responsabile del procedimento, l'inevitabile illegittimità di un titolo abilitativo eventualmente emesso sulla base di un parere fondato su presupposti palesemente errati.  
Per tali ragioni la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è stata correttamente ritenuta superflua dalla Corte territoriale.

6. La sentenza impugnata risulta parimenti corretta ed adeguatamente motivata laddove giustifica la responsabilità di Alfredo GALLIANO sulla base del fatto che lo stesso era il richiedente dell'originaria concessione edilizia, proprietario dell'area ove insiste l'abuso edilizio, era presente, unitamente alla figlia, all'atto del sopralluogo dal quale è poi scaturito il processo ed aveva delegato la moglie alla presentazione della domanda di sanatoria.
Si tratta, come è evidente, di un complesso di elementi che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto significativi ai fini dell'accertamento della responsabilità del proprietario (o comproprietario) dell'area ove insistono gli abusi edilizi nel caso in cui non sia anche formalmente il committente delle opere.  
Tali elementi sono stati infatti individuati nella piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest");  nei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario, nell'eventuale presenza "in loco" del proprietario dell’area durante l'effettuazione dei lavori; nello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; nella richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; nel particolare regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari; nella fruizione dell'opera secondo le norme civilistiche dell'accessione ed in tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa. Grava inoltre sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (così Sez. 3 n. 35907 del 29/05/2008, Calicchia, non massimata, che riporta anche gran parte degli esempi sopra indicati e ampi richiami a precedenti pronunce. Conf.  Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625; Sez. 3, n. 25669 del 30/5/2012, Zeno, Rv. 253065).
Successivamente, si è ulteriormente precisato che ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato urbanistico occorre escludere l'interesse o il suo consenso alla commissione dell'abuso edilizio ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione (Sez. 3, n. 33540 del 19/6/2012, Grilli, Rv. 253169 ).
Di alcuni tra gli elementi appena indicati la Corte del merito ha, come si è detto, correttamente tratto la convinzione della penale responsabilità del ricorrente.

7. Per ciò che concerne, infine, l'elemento soggettivo del reato, va rilevato che si versa in ipotesi di reati contravvenzionali, configurabili anche a titolo di mera colpa, ravvisabile anche in tutti i casi di negligente acquisizione di adeguate informazioni sulla disciplina applicabile alla tipologia di intervento edilizio che l’agente ha intenzione di realizzare.
Nella fattispecie, la consapevolezza, in capo agli imputati, della illiceità degli interventi eseguiti risulta evidente dalla presentazione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria e una tale evidenza non richiedeva certo una specifica motivazione da parte dei giudici del merito.

8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 5.11.2015