Cass. Sez. III n. 49594 del 16 dicembre 2015 (Cc 27 ott 2015)
Presidente: Franco Estensore: Scarcella Imputato: Ferrara
Urbanistica.Porticato coperto

Deve considerarsi soggetto a permesso di costruire l'intervento consistente nella chiusura di un porticato aperto e nella realizzazione di camere indipendenti, con bagni e mutamento di destinazione d'uso, in quanto i porticati coperti costituiscono organismi edilizi, avuto riguardo non solo alla loro autonoma utilizzabilità, ma anche al fatto che essi realizzano un vero e proprio corpo di fabbrica, avente incidenza concreta e ben visibile sulla fisionomia dell'immobile, di cui vengono ad essere mutati il volume complessivo e l'aspetto esteriore.

 RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 27/04/2015, depositata in data 29/04/2015, il tribunale del riesame di SALERNO rigettava l'istanza presentata nell'interesse di FERRARA PIO, n.q. di legale rappresentante della società "Capo d'Orso", confermando il decreto di sequestro preventivo emesso in data 27/03/2015 dal GIP presso il medesimo tribunale avente ad oggetto un immobile ubicato in (OMISSIS), zona sottoposta a vincolo ambientale e al particolare interesse pubblico nonchè soggetta a speciale protezione dell'autorità, immobile in relazione al quale erano state eseguite in assenza di p.d.c. e delle prescritte autorizzazioni le opere meglio descritte nel provvedimento impugnato (consistenti, in estrema sintesi, nella trasformazione di un portico aperto situato al p.t., mediante chiusura del porticato e realizzazione all'interno di 3 camere indipendenti con relativi bagni, con conseguente cambio di destinazione d'uso, residenziale abitativo, funzionale alla struttura alberghiera, con ingombro complessivo di mq. 104; corridoio di mq. 13,65 ricavato al lato monte dell'immobile con due ingressi completi di infissi; parziale svuotamento dell'ultima macera posta a monte della proprietà, di complessivi mq. 48), procedendosi in particolare per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), e per il delitto paesaggistico di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, nonchè per la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p., avendo alterato con tali interventi le bellezze naturali dei luoghi soggetti a speciale protezione dell'autorità.

2. Ha proposto ricorso FERRARA PIO a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando l'ordinanza predetta con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con tale motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all'art. 321 c.p.p., D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149 e art. 181, comma 1 bis, 6 e D.P.R. n. 380 del 2001, 44, lett. c), e art. 734 c.p., e correlato vizio motivazionale di travisamento dei fatti.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza, contestando, anzitutto, il disposto sequestro dell'area di mq. 48 che sarebbe illegittimo difettando il fumus dei reati ipotizzati, atteso che - si sostiene - per eseguire gli interventi di manutenzione che quelli inerenti l'attività agro-silvo-pastorale, non è necessario nè il p.d.c. nè l'autorizzazione paesaggistica, trattandosi di attività edilizia libera, con conseguente violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149, (sul punto la motivazione del tribunale, secondo cui i lavori eseguiti non sarebbero stati riconducibili a nessuna di dette attività, tenuto conto della struttura alberghiera-residenziale della struttura, con conseguente modifica dell'assetto e dell'euritmia dei luoghi, sarebbe erronea ed illogica, non tenendo conto che la struttura è inserita in area circondata dal verde, non potendosi quindi affermare che la movimentazione del terreno di una macera fosse sicuramente finalizzata alla realizzazione di un'opera edile e non rientrare piuttosto nell'ordinaria pratica agricola, tantopiù che il circostanza terreno sarebbe stato oggetto di lavori per il migliore utilizzo agricolo dopo decenni di abbandono, sicchè non potrebbe ritenersi sussistere alcun reato ove i lavori proseguissero per valorizzare i luoghi sotto il profilo agricolo). Quanto, poi, agli interventi edilizi eseguiti sul manufatto, sostiene il ricorrente che avendo già l'immobile prima del sequestro una sua configurazione piano-volumetrica identificabile, l'indagato si sarebbe limitato a chiudere i varchi e a creare due accessi nella parte posteriore, dovendosi peraltro considerare che i lavori erano ultimati al momento del sequestro; censurabile è l'affermazione del tribunale del riesame secondo cui sarebbe presente il periculum di aggravamento dei reati, in quanto l'uso delle opere abusive avrebbe aumentato la ricettività della struttura alberghiera con realizzazione di nuove camere e bagni, con conseguenti ricadute sull'aggravio del carico urbanistico e dell'equilibrio paesaggistico, con creazione di nuova volumetria e superfici abitabili significative, donde detti interventi non potrebbero considerarsi neutri sotto i profili urbanistico-paesaggistico; in particolare, il ricorrente contesta: a) che ci si trovi in presenza di una struttura alberghiera, ma di modestissima attività ricettiva che consterebbe di 6 camere complessivamente, alcune delle quali adibite ad abitazione dell'indagato e dunque non adibite ad attività ricettiva; b) che il carico di una struttura ricettiva non sarebbe dato dalle dimensioni ma dall'utilizzo effettivo che ne viene fatto che dipende dall'afflusso della clientela, sicchè non è detto che a fronte di un modesto incremento della ricettività, corrisponda un incremento dell'utilizzazione; c) che già prima dell'intervento il manufatto aveva una destinazione residenziale ed extralberghiera, per cui nella chiusura del porticato non potrebbe asserirsi che siasi verificato un mutamento di destinazione; d) che, infine, l'aggravio del carico urbanistico in presenza di un ipotetico incremento insediativo, per giunta temporaneo, non potrebbe ragionevolmente ipotizzarsi nè incidere sull'equilibrio paesaggistico. Conclusivamente, difetterebbe il periculum in mora essendo l'immobile da tempo ultimato, utilizzato ed abitato dall'indagato, dal nucleo familiare e da turisti, donde non sussisterebbero i presupposti per adottare la misura cautelare reale; infine, il tribunale avrebbe apoditticamente ritenuto sussistere il periculum in mora, non avendo esplicitato in che modo l'incremento della superficie di un immobile, già legittimamente adibito ad attività abitativa e di affittacamere, possa creare pericolo conseguente all'uso dell'opera, al carico urbanistico ed all'interesse del territorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.

4. Occorre premettere che, nel caso in esame, le censure avverso il provvedimento impugnato sono esperibili nei ristretti limiti indicati dall'art. 325 c.p.p. che, com'è noto prevede che "Contro le ordinanze emesse a norma degli artt. 322 bis e 324, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge".

L'art. 325 c.p.p., comma 1, dunque, prevede che il ricorso in cassazione avvenga per violazione di legge. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall'art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l'illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (v., tra le tante: Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009 - dep. 20/02/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).

5. Il controllo della Corte di Cassazione è, dunque, limitato ai soli profili della violazione di legge. La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 - dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 - dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840). La delibazione non può estendersi neppure all'elemento psicologico del reato e alla ricostruzione in concreto delle possibili e prevedibili modalità con le quali la condotta contestata si sarebbe dovuta manifestare; in altri termini, quindi, non è possibile che il controllo di cassazione si traduca in un controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito dell'impugnazione.

Ciò, peraltro, non significa che il giudice debba acriticamente recepire esclusivamente la tesi accusatoria senza svolgere alcun'altra attività. Alla Corte di Cassazione è, infatti, attribuito, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell'ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. L'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.

Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (per tutti: Sez. U, n. 23 del 20/11/1996 - dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657).

E, in tale contesto, la più recente giurisprudenza di legittimità, ha precisato che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benchè gli sia precluso l'accertamento del merito dell'azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del "fumus" del reato ipotizzato, con riferimento anche all'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purchè di immediato rilievo (v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014 - dep. 11/04/2014, Di Salvo, Rv.259337).

6. Così definito il perimetro del sindacato di questa Corte in materia di provvedimenti di cautela reale, è dunque evidente come, nel caso in esame, non sia possibile da parte del Collegio esercitare il sindacato richiesto dalla ricorrente avverso l'impugnata ordinanza.

Ed infatti, le censure della difesa, più che prospettare un vizio di "violazione di legge" inteso nei limiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità, si risolvono in una critica, ancorchè ragionata, al procedimento valutativo attraverso il quale il tribunale del riesame ha ritenuto come - rebus sic stantibus - non sussistessero elementi sufficienti per poter ritenere ictu oculi sussistente mancante non solo il fumus (contestato dal ricorrente con particolare riferimento all'area di mq. 48), ma anche il periculum in mora, avendo motivato i giudici della cautela reale le ragioni della necessità di mantenere il vincolo per evitare che la libera disponibilità dell'immobile e delle opere eseguite aggravasse le conseguenze dei reati ipotizzati.

Come emerge dalla lettura dell'impugnata ordinanza, il tribunale del riesame ha evidenziato come, anzitutto, in relazione alla chiusura del portico al p.t., si è verificato un cambio di destinazione d'uso con la chiusura di tutte le aperture a mezzo di infissi e della trasformazione della destinazione ad uso residenziale a seguito della realizzazione al suo interno di 3 camere indipendenti con relativi servizi igienici, aumentando quindi la ricettività della struttura alberghiera. Quanto, poi, all'intervento edilizio riguardante il parziale svuotamento dell'ultima macera posta a monte della proprietà, il tribunale ha escluso la natura di intervento di manutenzione ordinaria o la sua riconducibilità ad attività agro- silvo-pastorale, tenuto conto della struttura alberghiera- residenziale della struttura cui è connessa l'area oggetto del parziale svuotamento, in ogni caso comportante una modifica dell'assetto e della euritmia dei luoghi necessitante comunque dell'autorizzazione paesaggistica.

6.1. Orbene, quanto alla chiusura del porticato, non v'è dubbio in ordine alla configurabilità del fumus, posto che non possono non considerarsi organismi edilizi, infatti, i porticati coperti, non solo in relazione alla loro autonoma utilizzabilità, ma anche in considerazione del fatto che realizzano un vero e proprio corpo di fabbrica, avente incidenza concreta e ben visibile sulla fisionomia dell'immobile, di cui vengono ad essere mutati il volume complessivo e l'aspetto esteriore (Sez. 3, n. 7613 del 06/05/1994 - dep. 06/07/1994, Petrillo, Rv. 198409; Sez. 3, n. 8521 del 17/03/2000 - dep. 27/07/2000, Capone, Rv. 217363). Perdono quindi di spessore argomentativo le doglianze difensive che, in realtà, si sostanziano in censure di fatto e vieppiù generiche, in quanto non tengono conto delle argomentazioni sviluppate dall'ordinanza impugnata, perdipiù contraddittorie (laddove, ad esempio, il ricorrente sostiene che ci si troverebbe di fronte ad una modesta attività ricettiva composta da sei camere, di cui alcune adibite anche ad abitazione familiare, dimenticando che proprio con la chiusura del porticato sono state ricavate ben tre nuove camere, dunque sostanzialmente raddoppiando la ricettività potenziale della struttura, essendo sufficiente - si noti - al fine di valutare la sussistenza del periculum l'aggravio anche solo potenziale del carico urbanistico derivante dall'illegittimo mutamento di destinazione d'uso, chiaramente riguardante la chiusura del portico a prescindere dalla destinazione residenziale del manufatto, non potendo dubitarsi, da un lato, che anche in tal caso l'opera comporti una ben definita occupazione dello spazio aereo con aumento di superficie e creazione di nuovi volumi e dall'altro, che detta chiusura costituisce mutamento di destinazione d'uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di costruire, atteso che la variazione avviene tra categorie non omogenee, certamente - infine - non potendosi legare la sussistenza del periculum alla variabile rappresentata dall'afflusso della clientela).

Quanto, poi, all'intervento di parziale svuotamento dell'ultima macera, le censure del ricorrente circa la mancanza di elementi certi che comprovino la finalizzazione ad intervento edilizio non colgono nel segno, laddove si consideri che il sequestro preventivo deve essere disposto a prescindere dallo stadio di attuazione delle condotte illecite, in quanto deve essere riconosciuta priorità all'esigenza di impedire che le conseguenze dannose per il bene protetto dalla norma siano protratte o aggravate (Sez. 3, n. 42976 del 16/10/2007 - dep. 21/11/2007, Josef, Rv. 238062). Nella specie, peraltro, le deduzioni difensive volte a sostenere che si fosse trattato di opere di manutenzione ordinaria frutto di esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale si articolano su argomentazioni fattuali sottratte, com'è noto, alla valutazione di questa Corte di legittimità.

7. A fronte di tale quadro, infine, quanto alla questione del periculum, lo sviluppo contenutistico dell'impugnazione cautelare di legittimità come proposta dal ricorrente investe all'evidenza il percorso logico motivazionale, piuttosto che un errore di diritto, con cui i giudici della cautela hanno ritenuto che gli elementi in atti non consentissero di ritenere insussistenti le esigenze cautelari.

Ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte hanno definitivamente risolto la questione della applicabilità del sequestro preventivo all'immobile ultimato riconoscendo la validità dell'orientamento che ne riteneva l'ammissibilità.

In tale decisione si afferma che il giudice di merito deve valutare attentamente e, conseguentemente, motivare, la sussistenza del pericolo derivante dalla libera disponibilità del bene pertinente al reato, considerando, in particolare, "la reale compromissione degli interessi attinenti al territorio ed ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell'indagato o di terzi possa implicare una effettiva ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività".

A titolo di esempio, con specifico riferimento all'incidenza sul carico urbanistico, si aggiunge che la delibazione in fatto sotto tale profilo deve essere effettuata considerando la consistenza reale e l'intensità del pregiudizio temuto, tenendo conto della situazione esistente al momento dell'adozione della misura.

8. Sulla nozione di "carico urbanistico", peraltro, vengono fornite puntuali indicazioni, osservando, testualmente, che "(...)questa nozione deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (Opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards urbanistici di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (L. n. 47 del 1985, art. 26 e L. n. 493 del 1993, art. 4 comma 7) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell'immobile;

e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (L. n. 47 del 1985, art. 10 e L. n. 493 del 1993, art. 4)".

Sulla scia di tali condivisibili rilievi, altre decisioni successive hanno ulteriormente delineato i termini della questione, richiamando l'attenzione sulla circostanza che il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato, anche relativamente al carico urbanistico, deve presentare il requisito della concretezza, in ordine alla sussistenza del quale deve essere fornita dal giudice adeguata motivazione (Sez. 3, n. 4745, 30 gennaio 2008; conf. Sez. 6, n. 21734, 29 maggio 2008; Sez. 2, n. 17170, 5 maggio 2010) e chiarendo che, a tal fine, l'abuso va considerato unitariamente (Sez. 3, n. 28479, 10 luglio 2009; Sez. 3, n. 18899, 9 maggio 2008).

L'aggravamento del carico urbanistico è stato riconosciuto anche con riferimento alle ipotesi di realizzazione di opere interne comportanti il mutamento della originaria destinazione d'uso di un edificio (Sez. 3, n. 22866, 13 giugno 2007; conf. Sez. 4, n. 34976, 28 settembre 2010). Nelle menzionate pronunce vengono, inoltre, indicate ipotesi specifiche di incidenza dei singoli interventi sul carico urbanistico, richiamando, ad esempio, il contenuto della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies come modificato dalle L. n. 122 del 1989 e L. n. 246 del 2005 che richiede, per le nuove costruzioni ed anche per le aree di pertinenza delle costruzioni stesse, la esistenza di appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione (Sez. 3 n. 28479/09, cit.); la rilevanza di nuove costruzioni in termini di esigenze di trasporto, smaltimento rifiuti, viabilità etc. (Sez. 3 n.22866/07, cit.); l'ulteriore domanda di strutture ed opere collettive, sia in relazione alle prescritte dotazioni minime di spazi pubblici per abitante nella zona urbanistica interessata (Sez. 3, n. 34142, 23 settembre 2005).

9. La menzionata giurisprudenza, che il Collegio condivide e dalla quale non intende discostarsi, ha dunque chiaramente individuato entro quale ambito può procedersi ad una corretta valutazione dei presupposti per l'applicazione del sequestro preventivo con riferimento all'aggravio del carico urbanistico. Ciò posto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, tale verifica era stata correttamente operata dal G.I.P., il quale aveva adeguatamente considerato la consistenza delle opere eseguite e la concreta rilevanza delle stesse. Invero, la semplice descrizione degli interventi riportata nello stesso ricorso (trasformazione di un portico aperto situato al p.t., mediante chiusura del porticato e realizzazione all'interno di 3 camere indipendenti con relativi bagni, con conseguente cambio di destinazione d'uso, residenziale abitativo, funzionale alla struttura alberghiera, con ingombro complessivo di mq. 104; corridoio di mq. 13,65 ricavato al lato monte dell'immobile con due ingressi completi di infissi; parziale svuotamento dell'ultima macera posta a monte della proprietà, di complessivi mq. 48) chiarisce che si tratta di interventi destinati ad incrementare la ricettività (in misura pari al doppio di quella esistente, con la creazione di tre camere ex novo ricavate dalla chiusura del porticato sulle sei complessive) della struttura già destinata ad uso residenziale, con conseguenze incremento soprattutto volumetrico ed evidente incidenza e compromissione dell'assetto imposto al territorio attraverso la pianificazione ed anche all'aspetto paesaggistico.

10. Sul punto non rileva nè la circostanza che sia stata presentata istanza di p.d.c. in sanatoria (posto che la presentazione della domanda di condono edilizio ovvero il deposito dell'istanza di accertamento di conformità non impediscono all'autorità giudiziaria il compimento di atti urgenti, qual è il sequestro preventivo, sia perchè la predetta misura cautelare reale ha il solo scopo di lasciare inalterata la situazione ovvero impedire la prosecuzione dell'opera abusivamente realizzata, sia perchè ai fini dell'estinzione del reato è necessaria una formale dichiarazione: Sez. 3, n. 32201 del 28/06/2007 - dep. 07/08/2007, Boccia, Rv.237218), nè il successivo utilizzo dell'immobile ai fini abitativi, laddove si consideri che il sequestro è stato disposto sia per la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), che per la violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis.
Quanto poi, al requisito del periculum nei reati paesaggistici, va qui ricordato come questa Corte ebbe ad affermare in una remota ma sempre attuale decisione - estensibile, con gli opportuni adattamenti esegetici, anche alla materia dell'ambiente e del paesaggio - che in tema di reati edilizi o urbanistici, la valutazione che, al fine di disporre il sequestro preventivo di manufatto abusivo, il giudice di merito ha il dovere di compiere in ordine al pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, va diretta in particolare ad accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto (anche con riferimento ad eventuali interventi di competenza della p.a. in relazione a costruzioni non assistite da concessione edilizia, ma tuttavia conformi agli strumenti urbanistici) ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell'offensività (Sez. U, n. 12878 del 29/01/2003 - dep. 20/03/2003, P.M.in proc. Innocenti, Rv. 223722). Sul punto deve, in particolare osservarsi che, pur essendo permanente il reato previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, (Sez. 3, n. 24690 del 18/02/2015 - dep. 11/06/2015, Mancini, Rv. 263926), così come il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. c), e che detta permanenza cessa con l'ultimazione dei lavori, nella fattispecie in esame il giudice ha ritenuto che l'utilizzo del bene potesse incidere sul bene ambiente, in quanto l'utilizzazione di quest'ultimo ha comportato un protrarsi dell'aggravio ambientale tenuto conto del maggior "consumo del territorio" derivante dall'ampliamento della ricettività della struttura e dalla correlata e maggiore presenza di ospiti e veicoli in un'area, non si dimentichi, sottoposta a vincolo ambientale e di particolare interesse pubblico nonchè soggetta a speciale protezione dell'autorità. Tanto premesso, non può certamente ritenersi inadeguata nè apparente, ai fini che qui rilevano agli effetti dell'art. 325 c.p.p., la motivazione sul punto fornita dal tribunale del riesame che, proprio all'esito di una valutazione "in concreto" sull'eventuale ulteriore pregiudizio all'ambiente ed all'ecosistema, discendente dall'uso delle opere abusive (nella specie, ad uso residenziale - alberghiero di un preesistente porticato aperto e di un corridoio di accesso costruito ex novo), ha ritenuto sussistere il periculum. Si legge, in particolare nell'impugnata ordinanza, che le opere realizzate a (OMISSIS), in zona sottoposta a speciale protezione dell'autorità, al di fuori di ogni controllo preventivo ed autorizzatorio delle autorità preposte, hanno portato alla creazione di nuova volumetria abitativa/residenziale, con aumento significativo della ricettività della struttura alberghiera (comportando quindi in loco maggiore affluenza di persone, traffico veicolare, produzione di rifiuti), con un'incidenza non certo neutra o insignificante sulla consistenza del paesaggio e sull'equilibrio ambientale, nella sua più ampia accezione. Ed invero, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico - ambientale, nonchè sottoposta a speciale protezione dell'autorità, qual è il sito nel comune di (OMISSIS), le opere in contestazione e l'uso delle stesse concorrono a modificare - come evidenziato dai giudici del riesame - l'assetto ambientale e del territorio ad incidere in maniera non insignificante sull'equilibrio paesaggistico, considerato che la ratio dell'apposizione dei vincoli e della "speciale protezione" di una zona risiede proprio nell'impedire situazioni di degrado o di ulteriore degrado ambientale, e comunque, nel preservare l'integrità di luoghi particolarmente ameni che hanno determinate conformazioni da non compromettere.

11. Il ricorso dev'essere, conclusivamente, rigettato. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il nella sede della S.C. di Cassazione, il 27 ottobre 2015.