Cass. Sez. III n. 7127 del 1 marzo 2022 (CC 19 gen 2022)
Pres. Ramacci Est. Gai  Ric. Palamaro
Urbanistica.Procedura di demolizione e principio di proporzionalità

L'esigenza di assicurare il rispetto del principio di proporzionalità, quando attiene ad un manufatto illegalmente edificato, è configurabile esclusivamente in relazione all'immobile destinato ad abituale abitazione di una persona. In secondo luogo, ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, un rilievo centrale assumono, da un lato, l'eventuale consapevolezza della violazione della legge nello svolgimento dell'attività edificatoria da parte dell'interessato, stante l'esigenza di evitare di incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente e, dall'altro, i tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l'attivazione del procedimento di esecuzione, per consentire all'interessato di "legalizzare", se possibile, la situazione, e di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative. Inoltre, ai fini del giudizio circa il rispetto del principio di proporzionalità, sono sicuramente rilevanti le condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito dei dell'interessato; queste condizioni, però, non risultano mai essere considerate, di per sé sole, risolutive, o perché valutate congiuntamente ai tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l'attivazione del procedimento di esecuzione o perché esplicitamente ritenute recessive in caso di consapevolezza dell'illegalità della edificazione al momento del compimento di tale attività e di concessione di adeguati periodi di tempo per consentire la regolarizzazione, se possibile, della situazione, e per trovare una soluzione alle esigenze abitative. Pertanto, per quanto non sufficienti per evitare la demolizione della propria abitazione, le condizioni personali dell'interessato non possono essere ignorate dal giudicante ma, al contrario, soppesate e devono trovare sede nella motivazione del suo provvedere.


RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza, il Tribunale di Napoli, sez. dist. di Ischia ha respinto l’istanza di revoca, avanzata da Palamaro Roberto, dell’ordine di demolizione impartito con la sentenza del medesimo Tribunale, in data 08/07/1998, relativo al manufatto abusivo di mq.90 costruito sul suo fondo.
Il Tribunale, a fondamento della sua decisione, ha premesso che con sentenza emessa ex art. 444 cod.proc.pen., dell’08/07/1998, il Tribunale di Napoli, sez. dist. di Ischia, aveva disposto la demolizione delle opere abusivamente realizzate, consistenti in un manufatto di circa mq.90, in zona sottoposta a vincolo paesistico. Ha rilevato che l’imputato aveva ottenuto il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria, in accoglimento di istanza di condono dal medesimo presentata ai sensi della legge n. 724 del 1994, ma che il provvedimento in sanatoria non era legittimo in quanto mancante del requisito del presupposto temporale dell’ultimazione dei lavori al 31/12/1993, e ciò in quanto la costruzione a rustico del manufatto abusivo, considerato nella sua interezza e considerata la prosecuzione dei lavori accertata in data 17/02/1994, in violazione dei sigilli, e la realizzazione di ulteriori due corpi fabbrica, al 28/07/1998, con il completamento del fabbricato e il suo arredamento, era successiva al 31/12/1993.
Ha aggiunto che tale situazione fattuale non era stata presa in considerazione nel permesso a costruire in sanatoria e che per effetto dell’attività criminosa protrattasi nel tempo, essendo stati costruiti due corpi fabbrica in adiacenza al primo manufatto, la condotta di prosecuzione dei lavori iniziati in precedenza doveva riferirsi ad un'unica costruzione abusiva iniziata nel 1993, posto che la permanenza del reato edilizio cessa con l’ultimazione delle opere e che nella sentenza del Pretore era stata prevista unicamente la demolizione dell’originario manufatto abusivo di mq. 90, perché non ancora realizzata la restante parte dell’abuso, ma che l’ordine di demolizione doveva estendersi all’intero manufatto come realizzato al momento della cessazione dell’attività illecita. Stante il principio secondo cui il carattere abusivo delle prime opere si riverbera sulle successive che ripetono dell’abusività delle prime, ha argomentato che anche a queste doveva essere esteso l’ordine di demolizione. Parimenti, l’ingiunzione a demolire emessa dalla Procura della Repubblica, doveva riferirsi all’intera opera abusiva realizzata nella sua interezza dovendosi ritenere illegittimo il permesso a costruire in sanatoria rilasciato dal Comune di Ischia, tenuto conto che non è ammissibile la sanatoria frazionata che costruisce un mero espediente per superare il dato temporale. Infine, non era invocabile l’art. 45 comma 5 della legge n. 47 del 1985.
Sotto altro profilo, ha poi ritenuto insussistente la violazione del ne bis in idem di fonte convenzionale, stante la natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio dell’ordine di demolizione che produce effetti su colui che è in rapporto con il bene, che neppure si estingue ai sensi dell’art. 173 cod.pen.
Infine, ha ritenuto la proporzionalità della misura ai sensi dell’art. 8 Cedu. tenuto conto del lasso di tempo trascorso dal fatto.

2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe Roberto Palamaro, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 39 e 43 della legge n. 724 del 1993, vizio di motivazione e travisamento del fatto in ordine al requisito temporale. L’ordinanza impugnata sarebbe viziata per travisamento del fatto e della prova là dove avrebbe ritenuto insussistente il requisito temporale dell’ultimazione delle opere entro il 31 dicembre 1993. Tenuto conto che ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47 del 1985, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, nel caso in esame, risulta accertato tale requisito posto che, al 19/02/1994, il fabbricato era risultato completato con il solaio, segno che il manufatto era già stato completato al 31 dicembre 1993 atteso che alla data del 19/02/1994, il solaio risultava già spuntellato e gli ulteriori corpi fabbrica accertati nel 1998 non andavano ad incidere sull’edificio per il quale era stato concesso il permesso a costruire in sanatoria. I modesti ampliamenti realizzati in adiacenza al corpo principale, trattandosi di opere ben definite, successivi alla domanda in sanatoria, non impediscono la definizione dell’istanza di condono che si è conclusa con il rilascio del permesso a costruire in sanatoria n. 47 del 2018.
In ogni caso, sarebbe applicabile il disposto di cui all’art. 43 comma 5, della legge n. 47 del 1985 che prevede la sanatoria delle opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi e giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori necessari alla loro funzionalità, situazione per la quale la mancata ultimazione delle opere nel termine di legge non sarebbe di ostacolo al condono. Il manufatto originario di mq. 90 era stato oggetto di sequestro preventivo, nel novembre 1993, sicchè non si era potuto ultimarlo per effetto del sequestro e l’ultimazione successiva renderebbe applicabile il disposto di cui all’art. 43 cit.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla violazione del principio del ne bis in idem. Dopo ampi richiami alla giurisprudenza della Corte Edu, a partire dalla nota sentenza Grande Stevens e altri c. Italia, argomenta il ricorrente che in suddetta materia, la sanzione rimessa al Comune avrebbe tutti i requisiti per essere qualificata di natura penale, alla stregua del criteri Engel, risultando fin più grave di quella disposta dal giudice ai sensi dell’art. 31, comma 9 della d.P.R., n. 380 del 2001, prevedendo, altresì, che l’autorità amministrativa che constati l’inottemperanza anche l’irrigazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, e l’ordinanza impugnata, confondendo la sanzione amministrativa comunale con quella giudiziale non avrebbe posto la dovuta attenzione sulla duplicazione della misura limitandosi a enunciare principi di diritto del tutto sganciati dal caso concreto.
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge in relazione all’art. 173 cod.pen. e il vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di dichiarazione di estinzione della pena tenuto conto della giurisprudenza sovranazionale secondo cui l’ordine di demolizione per abuso edilizio costituirebbe sanzione penale anche sotto il profilo del lasso di tempo (circa 24 anni) tra il fatto e l’esecuzione e della posizione di legittimo affidamento del ricorrente e violazione del principio della ragionevole durata del processo e del principio di proporzionalità della misura tenuto conto anche delle condizioni individuali del ricorrente, soggetto affetto da patologie).

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è, sotto tutte le prospettazioni difensive, infondato (ed anche in parte inammissibile per la prospettazione di censure meramente ripetitive di quelle già devolute e risolte correttamente dal giudice dell’esecuzione.
La decisione adottata dal Giudice dell’esecuzione è ampiamente motivata ed è conforme a diritto.
5. Il primo motivo di ricorso, in parte inammissibile poiché diretto ad una diversa datazione dell’opera abusiva e del requisito temporale dell’ultimazione delle opere, entro il 31 dicembre 1993, previsto per la sanatoria di cui alla legge n. 724 del 1993, è manifestamente infondato.
Premesso che ai fini della revoca dell'ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono edilizio, il giudice dell'esecuzione deve verificare la legittimità del sopravvenuto atto concessorio, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione, dovendo in particolare verificare la disciplina normativa applicabile, la legittimazione di colui che abbia ottenuto il titolo in sanatoria, la tempestività della domanda, il rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilità dell'opera e, ove l'immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonché la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili, la decisione assunta non è censurabile né sotto il profilo della violazione di legge che per difetto di motivazione.
Il Giudice dell’esecuzione, con motivazione congrua e aderente al dato processuale, ha fatto corretta applicazione dei principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la continuazione dei lavori anche di rifinitura, su immobile non ultimato non può che sostanziarsi in altro se non nella prosecuzione di un'attività vietata, e vista la prosecuzione dei lavori (con la realizzazione, tra l’altro, con violazione di sigilli, di due corpi fabbrica in adiacenza al primo manufatto abusivo di mq.90, per il quale è intervenuta sentenza ex art. 444 cod.proc.pen.), l’intera condotta doveva riferirsi ad un'unica costruzione abusiva, iniziata nel 1993, ma terminata oltre il 31 dicembre 1993 (terminata nel 1998),  posto che la permanenza del reato edilizio cessa con l’ultimazione delle opere e l’ordine di demolizione doveva estendersi all’intero manufatto come realizzato al momento della cessazione dell’attività illecita.
Dal mancato rispetto del termine temporale il Giudice dell’esecuzione ha tratto la conclusione che non era legittima la concessione edilizia in sanatoria, stante la non legittimità di una sanatoria parziale delle opere abusive.
Costituisce, infatti, principio consolidato quello secondo il quale la concessione edilizia in sanatoria, il cui rilascio comporta l’estinzione del reato e la revoca dell’ordine di demolizione, deve avere ad oggetto l’intero immobile edificato in assenza di permesso a costruire.
Si è, in tale ambito, affermato che in tema di reati urbanistici, non è ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria parziale, dovendo l'atto abilitativo postumo contemplare tutti gli interventi eseguiti nella loro integrità (Sez. 3, n. 22256 del 28/04/2016, Rongo, Rv. 267290 – 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260973 – 01). Parimenti, onde evitare elusioni della normativa, come chiarisce il tenore dell’art. 43 cit., è consentita la sanatoria delle sole opere ultimate che possiedono, alla data indicata del 31 dicembre 1993, i requisiti da essa previsti, non essendo consentito intervenire successivamente sugli immobili abusivi per renderli conformi alla disciplina in parola (Sez. 3, n. 43933 del 14/10/2021, Medusa, Rv. 282163 – 01).
Le uniche possibilità di successivo intervento sugli stessi, non incompatibili con la sanatoria, sono quelle previste dall'art. 35, comma 14, legge 47 del 1985 (che disciplina modesti lavori di rifinitura delle opere abusive) e dall'art. 43, quinto comma, della stessa legge, che consente le opere strettamente necessarie a rendere gli edifici funzionali qualora i manufatti non siano stati completati per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali. Entrambe le ipotesi sono state motivatamente escluse dal giudice dell’esecuzione (cfr. pag. 8) in presenza di nuove strutture.

6. Il secondo motivo di ricorso incorre nella censura di inammissibilità per genericità. Al netto dell’excursus della giurisprudenza sovranazionale in tema di ne bis in idem in relazione alla previsione di una sanzione di carattere penale impartita dall’Autorità amministrativa in aggiunta a quella a penale, il motivo è connotato da astrattezza poiché il ricorrente si limita a porre la questione in via meramente teorica sulla sussistenza del doppio binario sanzionatorio conseguente alla duplicazione delle sanzioni in materia di abusi edilizi con la previsione della sanzione demolitoria per lo stesso fatto per il quale è prevista la sanzione penale, senza che, tuttavia, risulti dimostrato che il ricorrente sia stato raggiunto da alcun provvedimento di demolizione definitivo impartito dall’Autorità amministrativa.
La censura è in definitiva priva del requisito di ammissibilità in quanto non assistita da concreto interesse ad impugnare che, a mente dell’art. 568 comma 4 cod.proc.pen. deve assistere, come condizione positiva, ogni impugnazione che deve essere diretta a conseguire un vantaggio concreto derivante dalla decisione giudiziale diretto a rimuovere una statuizione svantaggiosa, per ottenerne una più vantaggiosa, dovendosi escludere la pretesa all’affermazione di un principio giuridico astratto. Conclusione, questa, che preclude in radice anche la disamina della questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod.proc.pen.

7. Il terzo cumulativo motivo di ricorso è inammissibile quanto alla doglianza di violazione di legge in relazione all’art. 173 cod.pen. e al vizio di motivazione sul rigetto della richiesta di estinzione della pena perché contrario all’orientamento consolidato di questa Corte di legittimità.
Non è fondato il motivo in relazione alla dedotta violazione del principio di proporzionalità in relazione all’art. 8 Cedu., alla violazione dell’art. 6 Cedu in relazione anche al lungo lasso di tempo trascorso dal fatto.
7.1. Quanto al primo profilo, in materia di reati concernenti violazioni edilizie, l'ordine di demolizione del manufatto abusivo non è sottoposto alla disciplina della prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, avendo natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalità punitive (Sez. 3, n. 51044 del 03/10/2018, Memoli, Rv. 274128 – 01; Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540). Essa, peraltro, non è neppure soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 28 legge 24 novembre 1981, n. 689, che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 265540; Sez. 3, n. 19742del 14/04/2011, Mercurio, Rv. 250336). La conclusione, del resto, non comporta conseguenze irragionevoli o altrimenti foriere di insinuare dubbi di legittimità costituzionale anche in relazione alla disciplina convenzionale invocata in ricorso, sicché non v'è alcuna ragione di ritenere che si tratti di una lacuna normativa da colmarsi con l'analogica applicazione dell'art. 173 cod. pen. Si è, infatti, affermato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 117 Cost., dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 per mancata previsione di un termine di prescrizione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna, in quanto le caratteristiche di detta sanzione amministrativa - che, come si è già precisato, assolve ad una funzione ripristinatoria del bene leso, configura un obbligo di fare per, ragioni di tutela del
territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che si trova in rapporto con il bene, anche se non è l'autore dell'abuso -
non consentono di ritenerla "pena" nel senso individuato dalla giurisprudenza della
Corte EDU, e, pertanto, è da escludere sia la irragionevolezza della disciplina che
la riguarda rispetto a quella delle sanzioni penali soggette a prescrizione, sia una
violazione del parametro interposto di cui all'art. 117 Cost. (Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, Cerra Srl, Rv. 275850- 02; Sez. 3, n. 41475 del 03/05/2016, Porcu, Rv. 267977).
7.2. Esclusa ogni rilevanza del principio di legittimo affidamento in capo a colui il quale ha realizzato consapevolmente l’abuso edilizio, quanto al diverso profilo del rilievo del tempo trascorso dalla realizzazione della costruzione abusiva rispetto all’ordine di demolizione al fine della valutazione della proporzionalità della sanzione demolitoria e del conseguente rispetto dell’art. 8 Cedu, la giurisprudenza di legittimità ha, in tempi recenti, stabilito alcuni punti fermi sulla scorta di principi espressi dalla Cedu.
Se con la sentenza della Corte Edu Ivanova c. Bulgaria del 21/04/2016, era escluso il diritto assoluto ad occupare l’immobile abusivo solo perché casa famigliare, venendo in rilievo, al contrario, il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un interesse tutelato e al ripristino dell’equilibrio edilizio-urbanistico, l’applicazione del principio di proporzionalità è stato oggetto di una analitica pronuncia (sentenza 04/08/2020, Kaminskas c Lituania) che ne ha delineato i criteri applicativi. In tale decisione si è espressamente escluso che le condizioni personali del destinatario dell’ordine di demolizione possano avere un rilievo determinante per escludere la violazione del diritto del singolo al rispetto del proprio domicilio quando questi abbia consapevolmente costruito l’abitazione in assenza di permesso perché diversamente ragionando si finirebbe per incoraggiare azioni illegali e scapito della tutela del territorio e dell’ambiente e, in secondo luogo, al fine del rispetto del principio di proporzionalità, rilevano anche le garanzie procedurali assicurate e, in particolare, il tempo ragionevole concesso all’interessato per effettuare la demolizione.
Nella giurisprudenza di legittimità si è affermato, in tempi recenti, che l’obbligo di osservare il principio di proporzionalità nel dare attuazione all’ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato ed adibito ad abituale abitazione di una persona, costituisce principio rispondente all'orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte EDU, ed è applicabile da parte del giudice italiano in forza di interpretazione sistematica adeguatrice. Ne consegue che il dovere di valutare il rispetto del principio di proporzionalità nella fase di esecuzione dell'ordine di demolizione di un'abitazione illegalmente edificata, secondo l'orientamento consolidato della Corte EDU, non implica un'assoluta discrezionalità del giudice, ma la necessità di rispettare alcuni precisi criteri guida (Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, Leoni, Rv. 280270 – 01; Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994 – 01; Sez. 3 n. 39167 del 07/09/2021, Negri Sforza, non mass.).
Nelle ultime due pronunce in ordine di tempo (n. 39167/2021 e n. 423/2020) che muovono dagli stessi principi, ma che giungono a diversi epiloghi perchè diversi i casi concreti scrutinati, si osserva che il principio di proporzionalità nell'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile illegalmente costruito assume rilievo secondo l'orientamento consolidato della Corte EDU solo quando viene in gioco il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di una persona, di cui all'art. 8 della CEDU, e non anche quando viene opposto esclusivamente il diritto alla tutela della proprietà, garantito dall'art. 1 del Prot. 1 CEDU (Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria sopra citato; Kaninskas c. Lituania sopra citato, solo in relazione all'art. 8 CEDU).
Quindi, l'esigenza di assicurare il rispetto del principio di proporzionalità, quando attiene ad un manufatto illegalmente edificato, è configurabile esclusivamente in relazione all'immobile destinato ad abituale abitazione di una persona. In secondo luogo, ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, un rilievo centrale assumono, da un lato, l'eventuale consapevolezza della violazione della legge nello svolgimento dell'attività edificatoria da parte dell'interessato, stante l'esigenza di evitare di incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente e, dall'altro, i tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l'attivazione del procedimento di esecuzione, per consentire all'interessato di "legalizzare", se possibile, la situazione, e di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative. Inoltre, ai fini del giudizio circa il rispetto del principio di proporzionalità, sono sicuramente rilevanti le condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito dei dell'interessato; queste condizioni, però, non risultano mai essere considerate, di per sé sole, risolutive, o perché valutate congiuntamente ai tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l'attivazione del procedimento di esecuzione o perché esplicitamente ritenute recessive in caso di consapevolezza dell'illegalità della edificazione al momento del compimento di tale attività e di concessione di adeguati periodi di tempo per consentire la regolarizzazione, se possibile, della situazione, e per trovare una soluzione alle esigenze abitative. Pertanto, per quanto non sufficienti per evitare la demolizione della propria abitazione, le condizioni personali dell'interessato non possono essere ignorate dal giudicante ma, al contrario, soppesate e devono trovare sede nella motivazione del suo provvedere.

8. Nel caso in esame il Giudice dell’esecuzione ha evidenziato che il ricorrente aveva inviato al Comune di Barano d’Ischia istanza urgente di alloggio di edilizia popolare sul rilievo della pendenza dell’esecuzione dell’ordine di demolizione, motivazione che appare congrua e in linea con gli arresti giurisprudenziali sopra richiamati, evidenziando, quale circostanza ulteriore che il ricorrente, che ora allega anche condizioni di salute precarie, ha avuto un congruo tempo per porre rimedio alla situazione giacchè sono decorsi circa ventiquattro anni tra la definitività della decisione giurisdizionale che imponeva l’ordine di demolizione e l’attivazione del procedimento esecutivo. Mette conto rilevare che non si può ignorare, ai fini del rispetto dei principi di matrice convenzionale sopra individuati, che il ricorrente, destinatario dell’ordine di demolizione fin dal 1998, ha usufruito nel corso di tutto il periodo trascorso tra la definitività del procedimento penale che ha disposto la demolizione e, in virtù della presentazione di una domanda di condono in assenza dei requisiti temporali, di un ulteriore periodo di godimento del bene. Non può essere sottaciuto che incombe, in primo luogo, sul destinatario l’obbligo di provvedere spontaneamente alla demolizione dell’opera abusiva e che solo in presenza di inadempienza subentra l’autorità giurisdizionale. Ora, a fronte dell’iniziativa del Pubblico Ministero, seppur a distanza di anni, il destinatario non può dolersi del tempo trascorso nel quale egli ha indebitamente fruito del bene.  

9. Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/01/2022