Cass. Sez. III n. 45982 del 15 dicembre 2021 (CC 12 nov 2021)
Pres. Rosi Est. Scarcella Ric. Maganuco
Urbanistica. Procedura di fiscalizzazione dell’illecito edilizio
La procedura c.d. di fiscalizzazione dell’illecito edilizio di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001 non è applicabile nel caso in cui sia intervenuta condanna per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia. Detta procedura trova infatti applicazione solo in caso di interventi ed opere realizzati in parziale difformità dal titolo abilitativo all'intervento edilizio e di interventi di ristrutturazione eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, i quali, ex lege, devono essere rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso. Se, tuttavia, risulta impossibile demolire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, art. 33 e 34 prevede la facoltà di avvalersi della cosiddetta fiscalizzazione dell'illecito edilizio. L'impossibilità di demolire deve essere fatta valere dall'interessato e accertata dal Comune nella fase successiva all'ingiunzione, ovvero quando si perviene all'emissione dell'ordine di demolizione. La fiscalizzazione dell'illecito edilizio consiste nell'applicare una sanzione pecuniaria: a) per interventi in parziale difformità dal permesso di costruire, su immobili a uso residenziale, pari al doppio del costo di produzione della parte di opera realizzata in difformità dal permesso di costruire (Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, art. 34); b) per interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, su immobili a uso residenziale, pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile (Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, art. 33).
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del Tribunale di Gela, pronunciata il 28 gennaio 2021, è stato dichiarato inammissibile l’incidente di esecuzione proposto avverso l’ingiunzione a demolire emessa dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Gela nei confronti degli odierni ricorrenti Maganuco e Romano.
2. Per migliore intelligibilità dell’impugnazione proposta in questa sede si precisa che il presente giudizio trae origine da una sentenza irrevocabile di condanna del Tribunale di Gela (sent. n. 459/2011) emessa nei confronti di Maganuco Giuseppe e Romano Concetta con la quale è stata, tra l’altro, ordinata la demolizione delle opere abusivamente realizzate dai condannati.
In particolare, gli attuali ricorrenti avevano edificato, in assenza della concessione edilizia, un secondo ed un terzo piano, di 110 mq ciascuno, in sopraelevazione ad un preesistente immobile sito in Gela. Nonostante la perentorietà dell’ordine demolitorio contenuto nella citata sentenza, gli odierni ricorrenti non avevano mai provveduto a dare spontanea esecuzione a quanto statuito dal giudice di merito. A causa di tale inerzia ingiustificata, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gela aveva emesso un provvedimento di ingiunzione a demolire (n. 187/2012 reg. es. Dem.), avverso il quale i condannati avevano proposto incidente di esecuzione.
In tale contesto, la difesa tecnica degli odierni ricorrenti aveva argomentato in ordine all’impossibilità materiale di dare attuazione alla disposta demolizione senza arrecare pregiudizio alla staticità del fabbricato sottostante, per il quale era stata rilasciata una regolare concessione in sanatoria dal Comune di Gela.
Nel dichiarare inammissibile il ricorso proposto nell’interesse dei prevenuti, il Tribunale di Gela, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rilevato l’insussistenza di qualsiasi circostanza in presenza della quale l’ordine di demolizione possa essere revocato o sospeso. Ed invero, ha osservato il G.E., la revoca può essere disposta esclusivamente nei casi in cui il suddetto provvedimento risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi o giurisdizionali resi dell’autorità competente, con i quali sia stato conferito all’immobile una diversa destinazione ovvero si sia provveduto alla sua sanatoria. Quanto allo strumento sospensivo, è necessario che sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che l’autorità amministrativa o giurisdizionale adotti in breve tempo un provvedimento idoneo a porsi in insanabile contrasto con l’ordine di demolizione. Al contrario, non rileva una mera possibilità del tutto ipotetica ovvero la semplice pendenza della procedura amministrativa o giurisdizionale, in difetto di ulteriori concomitanti elementi che consentano di fondare positivamente tale valutazione prognostica. Ne consegue che l’impugnazione avverso l’ingiunzione di demolizione, presentata ai sensi dell’art. 665 c.p.p., deve ritenersi ammissibile soltanto nei casi in cui l’istante rassegni l’esistenza dei suindicati atti amministrativi o giurisdizionali incompatibili resi dalle rispettive autorità competenti. Nel caso di specie, invece, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato come i ricorrenti abbiano sollevato questioni differenti, involgenti valutazioni tecniche non prospettabili in sede esecutiva.
Ed infatti, ha aggiunto il G.E., alla luce del chiaro disposto di cui all’art. 41 DPR 380/2001, in caso di mancato avvio delle procedure di demolizione entro il termine di centottanta giorni dall’accertamento dell’abuso, la competenza in merito ad ogni questione di natura tecnica e progettuale viene attribuita all’ufficio del Prefetto. Pertanto, il Tribunale di Gela, valorizzando il quadro normativo esistente, ha ritenuto che ogni valutazione circa l’eseguibilità dell’ordine di demolizione non deve - e non può - essere prospettata in sede esecutiva, bensì dinnanzi alle indicate autorità amministrative (ovvero Comune e Prefettura). Quest’ultime, nell’ambito delle proprie competenze, ben potranno accertare se la necessaria attività di demolizione possa o meno determinare un indebolimento della struttura portate dell’intero immobile, con conseguente riduzione della stabilità del fabbricato sottostante.
3. Avverso l’ordinanza i ricorrenti hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo del comune difensore di fiducia, articolando due motivi.
3.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge ex art. 606, co. 1 lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 666 c.p.p. e 41 DPR 380/2001.
In sintesi, con tale motivo, la difesa censura le argomentazioni con cui il Tribunale di Gela ha ritenuto di non poter affrontare le questioni prospettate con l’istanza sollevata nell’interesse dei ricorrenti, rilevando come ogni valutazione tecnica circa l’eseguibilità dell’ordine di demolizione dovesse essere sottoposta al vaglio dell’autorità amministrativa competente.
In particolare, il giudice dell’esecuzione non avrebbe potuto limitarsi a declinare le proprie attribuzioni in favore della pubblica amministrazione, bensì avrebbe dovuto ugualmente considerare ed individuare gli atti incompatibili con l’attuazione dell’ordine di demolizione. In ogni caso, le questioni prospettate dagli odierni ricorrenti avrebbero dovuto indurre il Tribunale di Gela a sospendere l’ordine di demolizione in attesa delle valutazioni dell’autorità competente, ovvero ad operare in conformità a quanto previsto dall’art. 666 co. 5 c.p.p., richiedendo tutti i documenti e le informazioni necessarie ai fini del decidere.
3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge ex art. 606 co. 1 lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 666 c.p.p. e 8 CEDU per il mancato rispetto del principio di proporzionalità.
In sintesi, con tale motivo, la difesa censura l’ordinanza impugnata nella parte in cui non si preoccupa di verificare se dall’esecuzione dell’ordine di demolizione possa derivare un nocumento alle esigenze abitative degli odierni ricorrenti. Ed invero, l’ordine di demolizione riguarda il secondo ed il terzo piano di un edificio già preesistente, per il quale non è stata prevista alcuna demolizione in quanto lo stesso risulta dotato del relativo titolo abilitativo.
Ebbene, considerato che tale immobile costituisce per gli istanti la loro abitazione principale, la demolizione non può eseguirsi qualora possano verificarsi degli effetti negativi volti ad incidere sul diritto di abitazione degli stessi, così come garantito e tutelato ai sensi dell’art. 8 CEDU. Ed infatti, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Strasburgo nel caso Ivanova e Cherchezov c. Bulgaria, la tutela del diritto all’abitazione deve essere apprestata anche in forma indiretta, trattandosi di un interesse destinato a prevalere su ogni altra esigenza di carattere generale. Pertanto, il giudice dell’esecuzione, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 666 c.p.p., avrebbe dovuto adeguatamente verificare se dall’ordine di demolizione potessero derivare danni gravi ed irreversibili alla parte di immobile preesistente, costituente l’unica abitazione per gli attuali ricorrenti, e, in caso di esito positivo, annullare o sospendere l’ingiunzione in questione.
4. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta datata 23.09.2021, ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso presentato nell’interesse degli attuali ricorrenti.
In particolare, il PG rileva come l’ordinanza impugnata sia esente dai vizi denunziati in quanto il giudice dell’esecuzione legittimamente non ha ritenuto di sospendere l’esecuzione del provvedimento demolitorio, non essendo stata fornita in tal sede alcuna prova circa la pendenza di procedure amministrative dalle quali sarebbero potuti derivare atti incompatibili con la demolizione stessa.
Quanto all’asserita lesione dell’esigenze abitative degli istanti, si evidenzia come la parte dell’immobile adibito ad abitazione primaria dei ricorrenti non risulta in alcun modo coinvolto dalla demolizione e, pertanto, ancora ulteriormente abitabile.
5. Con memoria difensiva depositata il 27 ottobre 2021, la difesa ha reiterato la richiesta di annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Gela e, al riguardo, rassegna un ulteriore motivo di ricorso.
In particolare, gli istanti argomentano l’asserita violazione dell’art. 8 CEDU perpetrata dal giudice dell’esecuzione anche sotto il diverso profilo del diritto alla salute. Ed invero, alla luce del principio di proporzionalità tra l’abuso edilizio e gli interessi generali della comunità al rispetto delle norme, l’autorità giudiziaria, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, deve esaminare anche le condizioni di salute del ricorrente.
Nel caso di specie, l’età avanzata degli istanti, unitamente alle loro precarie condizioni di salute, assumerebbe rilievo in relazione alla impossibilità per i predetti di spostarsi in un’altra abitazione nel caso in cui dalla demolizione dovessero derivare dei danni strutturali alla propria attuale abitazione. Ed infatti, l’ordinanza di demolizione interessa il secondo ed il terzo piano di uno stesso fabbricato, con la sussistenza di un concreto pericolo che dalla demolizione possano derivare dei danni ai piani inferiori, realizzati con regolare permesso.
La difesa, inoltre, precisa come il solaio di copertura del primo piano dell’edificio - ove i ricorrenti hanno l’abitazione principale - presenta già delle lesioni da cui potrebbero conseguentemente derivare dei possibili cedimenti. Tanto premesso, il Tribunale di Gela avrebbe dovuto tenere in debita considerazione la possibilità che la demolizione dei fabbricati abusivi potesse provocare dei danni strutturali ai fabbricati inferiori e, soprattutto, al piano destinato a civile abitazione degli anziani ricorrenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il congiunto ricorso è infondato.
2. Il primo motivo è, nel suo complesso, infondato, dovendosi tuttavia rettificare in diritto la motivazione dell'ordinanza impugnata.
3. Giova rammentare che, nell’ambito dei reati edilizi, il provvedimento di revoca o di sospensione dell'ordine di demolizione (e anche di rimessione in pristino), può essere disposto dal giudice dell'esecuzione previo accertamento di una situazione con esso incompatibile, quale la presentazione di un’istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna (ex multis, Cass. pen., Sez. III, sent. n. 9145/2015). Ed invero, a fronte di un’istanza di sospensione dell’ordine di demolizione, è onere del giudice dell'esecuzione investito della questione di esaminare con attenzione i possibili esiti ed i tempi di definizione della procedura. In particolare, egli è tenuto ad accertare il possibile risultato dell'istanza e se esistano cause ostative al suo accoglimento nonché, in caso di insussistenza di tali condizioni ostative, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso, in quanto la tutela del territorio non può essere rinviata definitivamente (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 47263/2014; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 11149/2011; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 38997/2007). Pertanto, il giudice dell’esecuzione avrà l’obbligo di revocare l’ordine di demolizione del manufatto abusivo soltanto nel caso in cui sopravvengano atti amministrativi che risultino con esso del tutto incompatibili (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 55028/2018; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 25212/2012; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 24273/2010).
4. Nel caso di specie, il Tribunale di Gela, correttamente uniformandosi ai richiamati principi di diritto, ha posto in evidenza l’insussistenza di elementi di fatto che consentissero di ritenere prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo potesse essere adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento tale da porsi in insanabile contrasto con il suddetto ordine di demolizione. Ed invero, il ricorso presentato avverso l’ingiunzione di demolizione ai sensi dell’art. 665 c.p.p. deve ritenersi ammissibile esclusivamente nel caso in cui l’istante evidenzi l’esistenza dei suindicati atti amministrativi.
5. Sul punto, tuttavia, il G.E. ha erroneamente richiamato il disposto dell’art. 41 T.U. Edilizia ritenendo che ogni valutazione di carattere tecnico in ordine all’eseguibilità dell’ordine di demolizione dovesse essere prospettata dinnanzi alle competenti autorità amministrative (Comune e Prefettura), le quali avrebbero dovuto accertare se la necessaria attività di demolizione dell’opera abusiva potesse determinare o meno un inevitabile indebolimento della struttura portante dell’intero immobile, con conseguente riduzione dell’indice di sicurezza e stabilità del fabbricato.
Trattasi di disposizione che, infatti, trova applicazione nei casi in cui l’ordine di demolizione sia stato impartito dall’autorità amministrativa e non dal P.M. mediante la notifica dell’ingiunzione a demolire, come avvenuto nel caso di specie.
Ed invero, pacifico è nella giurisprudenza di questa Corte, dopo l’autorevole arresto delle Sezioni Unite, che l'ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell'art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa (Nell'affermare detto principio la Corte ha precisato che ai sensi dell'art. 655 cod. proc. pen. l'organo promotore dell'esecuzione è il pubblico ministero il quale, ove il condannato non ottemperi all'ingiunzione a demolire, è tenuto ad investire, per la fissazione delle modalità di esecuzione, il giudice dell'esecuzione, la cui cancelleria è preposta, inoltre, al recupero delle spese del procedimento esecutivo ai sensi dell'art. 181 disp. att. cod. proc. pen.: Sez. U, n. 15 del 19/06/1996 - dep. 24/07/1996, P.M. in proc. Monterisi, Rv. 205336 – 01).
6. Ciò premesso, tuttavia, nonostante l’erronea declaratoria di inammissibilità del giudice dell’esecuzione, l’istanza difensiva non avrebbe potuto essere accolta, non versandosi, nel caso in esame, nelle condizioni previste ex lege per attivare la procedura c.d. di fiscalizzazione dell’illecito edilizio di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Trattasi di procedura, infatti, non applicabile nel caso in esame, in cui i ricorrenti sono stati irrevocabilmente condannati per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia. Diversamente, la procedura di “fiscalizzazione” trova applicazione solo in caso di interventi ed opere realizzati in parziale difformità dal titolo abilitativo all'intervento edilizio e di interventi di ristrutturazione eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, i quali, ex lege, devono essere rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso. Se, tuttavia, risulta impossibile demolire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, art. 33 e 34 prevede la facoltà di avvalersi della cosiddetta fiscalizzazione dell'illecito edilizio. L'impossibilità di demolire deve essere fatta valere dall'interessato e accertata dal Comune nella fase successiva all'ingiunzione, ovvero quando si perviene all'emissione dell'ordine di demolizione. La fiscalizzazione dell'illecito edilizio consiste nell'applicare una sanzione pecuniaria: a) per interventi in parziale difformità dal permesso di costruire, su immobili a uso residenziale, pari al doppio del costo di produzione della parte di opera realizzata in difformità dal permesso di costruire (Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, art. 34); b) per interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, su immobili a uso residenziale, pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile (Decreto del Presidente della Repubblica 06/06/2001, n. 380, art. 33).
Diversamente, si ribadisce, nel caso in esame la predetta procedura non poteva trovare applicazione non versandosi in alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 33 e 34, TU Edilizia, ipotesi in presenza delle quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è ravvisabile l’obbligo per il giudice dell’esecuzione di procedere alla valutazione sulla possibilità di non eseguire la demolizione qualora possa derivarne pregiudizio per la porzione di fabbricato non abusiva, valutazione che può essere sindacata in sede di legittimità solo attraverso il vizio motivazionale (v., tra le tante: Sez. 3, n. 19090 del 13/02/2013 - dep. 03/05/2013, Rv. 255891 – 01, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il diniego di sospensione dell'ordine di demolizione da parte del giudice dell'esecuzione che aveva escluso ogni pregiudizio per la staticità dell'edificio regolarmente costruito).
7. In difetto di qualsiasi allegazione volta ad attestare l’esistenza di una situazione incompatibile con l’impugnato ordine di demolizione, il Tribunale di Gela ha dunque correttamente, seppure per ragioni giuridiche diverse, dichiarato l’inammissibilità dell’incidente di esecuzione proposto nell’interesse degli odierni ricorrenti, correzione cui può pervenire direttamente questa Corte in presenza di un errore di diritto nella motivazione ex art. 619, c.p.p.
8. Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato e non merita accoglimento per le ragioni che seguono.
9. Al riguardo, giova rilevare come le censure dei ricorrenti si articolino intorno ad un concetto - la proporzionalità - che la giurisprudenza interna, prima, e quella convenzionale, poi, hanno individuato come rilevante nella tematica della demolizione degli illeciti edilizi, quale punto di equilibrio tra la legittima pretesa dell'ordinamento di rimuovere ciò che ha stabilmente leso l’interesse tutelato, e la rilevanza che determinate condizioni oggettive o soggettive possono assumere in senso contrario.
Ebbene, a seguito dell’elaborazione giurisprudenziale convenzionale formatasi sul punto (Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria; Corte EDU, 04/08/2020, Kaminskas c. Lituania), la giurisprudenza di legittimità ha, in più occasioni, ribadito che l'obbligo di osservare il principio di proporzionalità nell'attuazione dell'ordine di demolizione di un immobile illegalmente edificato, ed adibito ad abituale abitazione di una persona, costituisce un principio rispondente all'orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte di Strasburgo (ex multis, Cass. pen., Sez. III, sent. n. 423/2020).
10. Tuttavia, in primo luogo, il principio appena invocato assume rilievo soltanto quando viene in gioco il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di una persona, di cui all'art. 8 della CEDU, e non anche quando viene opposto esclusivamente il diritto alla tutela della proprietà, garantito dall'art. 1 del Protocollo n. 1 annesso alla Convenzione. Ne consegue che l'esigenza di assicurare il rispetto del principio di proporzionalità, quando attiene ad un manufatto illegalmente edificato, è configurabile esclusivamente in relazione all'immobile destinato ad abituale abitazione di una persona.
In secondo luogo, il principio di proporzionalità possiede un profilo procedurale (quale diritto a ricevere un attento esame delle proprie ragioni da parte di un organo giudiziario indipendente) ed un profilo sostanziale. In particolare, ai fini della valutazione del rispetto del principio di proporzionalità, rilievo centrale assumono, da un lato, l'eventuale consapevolezza della violazione della legge nello svolgimento dell'attività edificatoria da parte dell'interessato, stante l'esigenza di evitare di incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, e, dall'altro, i tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l'attivazione del procedimento di esecuzione, al fine di consentire all'interessato di "legalizzare" - ove possibile - la situazione, e di trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative. Inoltre, ai fini del giudizio circa il rispetto del principio suindicato, sono sicuramente rilevanti le condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito dell'interessato.
Tali circostanze, però, non risultano mai essere considerate, di per sé sole, risolutive, o perché valutate congiuntamente ai tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l'attivazione del procedimento di esecuzione, o perché esplicitamente ritenute recessive in caso di consapevolezza dell'illegalità dell’edificazione al momento del compimento di tale attività e di concessione di adeguati periodi di tempo per consentire - come già richiamato - la regolarizzazione della situazione ovvero per trovare una soluzione alle esigenze abitative.
11. In ogni caso, occorre precisare che il diritto all’abitazione, riconducibile agli artt. 2 e 3 Cost. ed all’art. 8 CEDU, non risulta tutelato in termini assoluti, ma è contemperato con altri valori di pari rango costituzionale che giustificano - secondo i criteri della necessità, sufficienza e proporzionalità - l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo, sempre che tale provvedimento si riveli proporzionato rispetto allo scopo che la normativa edilizia intende perseguire, rappresentato dal ripristino dello status preesistente del territorio (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 48021/2019).
Pertanto, ben può essere riferita anche alla fase esecutiva l'affermazione della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 2280/2017), espressa rispetto alla fase di cognizione, secondo cui, in tema di abusivismo edilizio, non è configurabile l'esimente dello stato di necessità in quanto, pur essendo ipotizzabile un danno grave alla persona in cui rientri anche il danno al diritto all'abitazione, difetta in ogni caso il requisito dell'inevitabilità del pericolo. Tale perentoria affermazione si giustifica considerando che di regola il pericolo di restare senza abitazione è evitabile, sussistendo la possibilità concreta di soddisfare il suddetto bisogno attraverso i meccanismi di mercato e dello Stato sociale. Del resto, l'attività edificatoria non è vietata in modo assoluto, ma è consentita nei limiti imposti dalla legge a tutela di beni di rilevanza collettiva, quali il territorio, l'ambiente ed il paesaggio. Di conseguenza, se il suolo è edificabile, le disagiate condizioni economiche non impediscono al cittadino di chiedere il permesso di costruire, mentre, se il suolo non è edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 35919/2008).
In considerazione di ciò, la giurisprudenza di legittimità ha precisato come non sia legittimo invocare un assoluto diritto alla casa (che avrebbe un carattere così ampio ed assorbente da superare sempre e comunque - vanificandola del tutto - ogni prescrizione amministrativa o penale in punto di edificabilità dei suoli e tutela del territorio), così come un generico diritto ad una vita sana o, ancor più in astratto, un diritto alla vita privata e familiare. Ed invero, l'ordinamento non intende violare in astratto il diritto individuale di un soggetto a vivere nel proprio domicilio legittimo, bensì intende affermare in concreto il diritto collettivo a rimuovere la lesione di un bene (del pari) costituzionalmente tutelato, eliminando le conseguenze dell'abuso riscontrato e così ripristinando quell'equilibrio già sopra richiamato (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 24882/2018).
12. Tanto premesso in termini generali, nel caso in esame occorre rilevare come non sussista alcuna lesione del diritto all’abitazione facente capo agli odierni ricorrenti. In particolare, le opere abusivamente realizzate - e, conseguentemente, oggetto del provvedimento di demolizione - consistono in un secondo ed un terzo piano eretti in sopraelevazione ad un altro immobile, chiaramente abitato, e non coinvolto in alcun modo dalla demolizione.
Pertanto, il primo piano dell’edificio in questione risulta ancora ulteriormente abitabile, con conseguente concreta possibilità degli istanti di ivi continuare a soddisfare le proprie primarie esigenze abitative.
13. Quanto poi alle doglianze introdotte con il motivo aggiunto, le stesse sono parimenti prive di pregio.
L’ulteriore censura, sollevata con la memoria integrativa, prospetta infatti doglianze sostanzialmente sovrapponibili al secondo motivo di ricorso.
Al riguardo, occorre rilevare come anche l'esame delle condizioni di salute degli istanti confluisce nel giudizio da compiersi circa l'invocato requisito della proporzionalità, che il giudice dell'esecuzione ha il dovere di valutare, nel rispetto di alcuni precisi criteri guida. Ed invero, il principio di proporzionalità impone una valutazione, caso per caso, della demolizione e se la stessa risulti giustificata in relazione alle ragioni di natura personale, economica, familiare e di salute prospettate dal destinatario dell'ordine. Di conseguenza, il giudice dell'esecuzione deve stabilire, con analisi in fatto, valutazione di merito ed adeguata motivazione, se l'interesse dello Stato alla demolizione risulti proporzionato rispetto allo scopo ed alla stessa natura dell'intervento edilizio, se di necessità (come nel caso di esigenze abitative primarie non altrimenti fronteggiabili) ovvero per speculazione.
14. Tuttavia, giova precisare come la lesione denunziata dagli odierni istanti non possa configurarsi - nemmeno in astratto - nel caso di specie.
Ebbene, occorre nuovamente ribadire come la parte dell’immobile adibito ad abitazione primaria dei ricorrenti non risulta in alcun modo coinvolto nell’opera di demolizione e, pertanto, ancora ulteriormente abitabile nel medesimo stato in cui si trova attualmente. Ed infatti, l’oggetto dell’ordinanza demolitoria è espressamente limitato ai soli fabbricati sopraelevati rispetto al primo piano dell’edificio, con conseguente estraneità dell’abitazione degli istanti dall’intervento da eseguirsi.
15. Quanto ad eventuali questioni tecniche e/o progettuali relative alle modalità di esecuzione dell’ingiunzione a demolire, prospettate nel motivo, si tratta di censure comportanti apprezzamenti di fatto che, proprio perché tali, sfuggono alla cognizione di questa Corte, con la conseguenza che le stesse sono da ritenersi inammissibili.
16. A norma dell’art. 616, cod. proc. pen., a seguito del rigetto del congiunto ricorso, i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 12 novembre 2021