Cass. Sez. III n. 11402 del 8 marzo 2013 (Ud. 22 gen. 2013)
Pres. Lombardi Est. Orilia Ric. Di Mariano
Urbanistica. Violazione di sigilli e aggravante della qualità di custode

In tema di violazione di sigilli la circostanza aggravante della qualità di custode, di cui al comma secondo dell'art. 349 cod. pen., può comunicarsi ai concorrenti che siano a conoscenza o ignorino colpevolmente tale qualità, non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 20.2.2012 la Corte d'Appello di Palermo - per quanto ancora interessa - ha confermato il giudizio di colpevolezza emesso dal locale Tribunale nei confronti di D.M.F. per concorso con il coniuge M.A. nel reato di violazione di sigilli aggravata e continuata (artt. 81 cpv. 110 e 59 c.p., art. 61 c.p., n. 2, e art. 349 c.p., comma 2).

La Corte di merito ha ritenuto che la comproprietà dell'immobile, il rapporto di coniugio e di convivenza e la presenza dell'imputato al momento della apposizione dei sigilli costituivano elementi sufficienti per ritenere il concorso nel reato e la conoscenza, da parte del D.M. della qualità di custode rivestita dalla M..

2. Il D.M., tramite il difensore, ricorre per cassazione deducendo due censure:

2.1 Con un primo motivo denunzia la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b ed e, in relazione agli artt. 110 e 349 c.p., e artt. 192 e 605 c.p.p., addebitando in sostanza alla Corte di avere fondato l'affermazione di responsabilità sulla base di una mera condotta omissiva e connivente (cioè sulla contitolarità dell'appartamento, e sull'esistenza del rapporto di coniugio con il custode) senza che fosse stato provato un contributo materiale e psicologico finalizzato ad agevolare la commissione del reato, non potendo considerarsi sufficiente l'affermazione secondo cui l'imputato, contitolare dell'appartamento in ristrutturazione, era a conoscenza del comportamento antidoverso del proprio coniuge convivente anche in ragione della comunione di vita e del comune contributo ai bisogni della famiglia indotti dal matrimonio. In tal modo, secondo il ricorrente, la Corte siciliana ha omesso di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato, non potendosi considerare l'accertamento della colpevolezza quale corollario logico dell'accertamento del legame familiare col custode del bene sequestrato o immediata conseguenza della qualità di comproprietario. Ancora rimprovera alla Corte di merito di non avere considerato il mancato rinvenimento dell'imputato sul posto, il fatto che egli non risiedesse in prossimità del luogo del reato e l'insussistenza di qualsiasi riscontro probatorio circa il ruolo da lui rivestito nella vicenda.

2.2 Con un secondo motivo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b ed e, in relazione agli artt. 59 e 110, art. 349, comma rimproverando alla Corte siciliana di avere. esteso nei suoi confronti l'aggravante di cui all'art. 349 c.p., comma 2, in difetto dei presupposti di legge: osserva infatti che non vi era la prova della effettiva conoscenza da parte dell'imputato di conferimento alla moglie dell'incarico di custode.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile sotto entrambi i profili.

Il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; Cass. 6.6.06 n. 23528). L'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794).

In tema di violazione di sigilli, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la circostanza aggravante della qualità di custode, di cui all'art. 349 c.p., comma 2, può comunicarsi ai concorrenti che siano a conoscenza o ignorino colpevolmente tale qualità, non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono (tra le varie, cfr. Cass. sez. 3 sentenza n. 5029 del 18.10.2011 Ud. Dep. 9.2.2012 Rv. 252086; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 35550 del 20/05/2010 Ud. dep. 04/10/2010 Rv. 248365; Sez. 3, Sentenza n. 35500 del 30/05/2003 Ud. dep. 16/09/2003 Rv. 225878).

Ciò premesso, entrambi i motivi si risolvono in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità;

essi sono comunque manifestamente infondati avendo i giudici del merito fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulla responsabilità dell'imputato in ordine al concorso nel reato di violazione dei sigilli e alla conoscenza (o comunque alla colpevole ignoranza) della aggravante rappresentata dalla qualità di custode, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, osservando in particolare non solo che l'imputato era presente al momento dell'apposizione dei sigilli e della nomina del custode, ma anche che egli era il coniuge convivente e il comproprietario dell'immobile insieme alla moglie (come tale a conoscenza degli eventi rilevanti per il regime patrimoniale delle cose comuni e presumibile assuntore, insieme alla moglie, degli oneri finanziari connessi alla prosecuzione dei lavori nonchè unico soggetto, insieme al coniuge, ad avere interesse all'incremento del bene).

In definitiva, l'impugnata sentenza si fonda su un percorso argomentativo assolutamente privo di salti logici nonchè giuridicamente corretto, e quindi insindacabile in questa sede.

Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 c.p.p., nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2013