Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4392, del 21 settembre 2015
Urbanistica.Annullamento d’ufficio di uno strumento pianificatorio.

L’annullamento d’ufficio di uno strumento pianificatorio, che non abbia avuto attuazione, non necessita di un'espressa e specifica motivazione in ordine alla sussistenza del pubblico interesse al ritiro, configurandosi questo nel superiore interesse della collettività a che la pianificazione avvenga nel rispetto della normativa urbanistica. Né tale interesse va comparato con quello del privato alla conservazione dello strumento urbanistico, avendo il secondo, nella descritta situazione, sempre carattere recessivo rispetto al primo, stante la preminente esigenza che lo sfruttamento del territorio avvenga secondo canoni legali. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04392/2015REG.PROV.COLL.

N. 05295/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5295 del 2013, proposto da: 
Societa' Acquarama s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Marzia Eoli e Danilo Buongiorno, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Adriano Tortora in Roma, via Cicerone n. 49; 

contro

Comune di Cellatica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Aldo Travi, Cesare Trebeschi, Carlo Zorat e Ilaria Romagnoli, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Livio Andronico, n. 24; 
Provincia di Brescia, non costituita in giudizio; 

nei confronti di

Luigi Ogna, Maurizio Ogna, Sabrina Ogna, Giovanni Tonoli, Paolina Tonoli, Umbertina Tonoli, Angela Ceretti e Felice Uberti, non costituiti in giudizio; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lombardia – Brescia, Sez. I, n. 4/2013, resa tra le parti, concernente annullamento in autotutela del programma integrato di intervento di sviluppo del parco urbano proposto dall’appellante e mancata approvazione dell’adottato piano di governo del territorio.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Cellatica.

Viste le memorie difensive.

Visti tutti gli atti della causa.

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Danilo Buongiorno, Marzia Eoli e Ilaria Romagnoli.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

La Acquarama s.r.l. ha presentato al Comune di Cellatica una proposta di Programma Integrato d’Intervento (P.I.I.), in variante al vigente piano regolatore generale (P.R.G.), per la realizzazione di un parco urbano integrato con attrezzature sportive e residenziali su una vasta superficie, pari a 196.000 mq.

La proposta prevedeva, tra l’altro, il riconoscimento, in favore della Acquarama s.r.l., di una volumetria edificabile pari a mc 53.630,00, su una superficie territoriale individuata di mq 58.000.

Poiché l’area interessata dalla proposta non era tutta di proprietà della proponente, il Sindaco di Cellatica, con raccomandate del 25/2/2009, ha invitato, ex artt. 27, comma 5, L . n. 166/2002, nonché 7 e 11, DPR n. 327/2001, i sig.ri Luigi, Maurizio e Sabrina Ogna, Giovanni, Paolina e Umbertina Tonoli, Felice Uberti e Angela Ceretti, proprietari di aree ricomprese nel perimetro del P.I.I., ad aderire al consorzio per l’attuazione del medesimo strumento urbanistico.

Il P.I.I. è stato, poi, rispettivamente adottato e approvato con delibere del Consiglio Comunale n. 27/2/2009 n. 6 e 28/5/2009 n. 24.

In precedenza il Comune aveva avviato, con delibera della Giunta Municipale 8/5/2008 n. 60, il procedimento di valutazione ambientale strategica (V.A.S.) del nuovo piano di governo del territorio (P.G.T.), ed aveva approvato, con delibera consiliare 30/5/2008 n. 10, il documento preliminare di piano diretto ad individuare gli obiettivi strategici della pianificazione territoriale stabilendo di assegnare al detto documento preliminare la funzione di documento di inquadramento ai sensi dell’art. 25 della L.R. 11/3/2005 n. 12.

Con delibera n. 2 del 15/1/2009, il Consiglio Comunale aveva, inoltre, adottato il P.G.T., includendo le aree interessate dalla proposta di P.I.I. avanzata dall’Acquarama s.r.l., nell’ambito di trasformazione AT n. 2, suddiviso, a sua volta, in due sub ambiti: il sub ambito A (con una superficie 138.000 mq), destinato prevalentemente a servizi pubblici o di interesse pubblico; il sub ambito B (con superficie di 58.000 mq), destinato prevalentemente alla funzione residenziale, con l’assegnazione di una capacità edificatoria pari a mc 53.360.

Svoltesi le elezioni comunali e mutata la maggioranza, il Comune ha deciso di avviare il procedimento di riesame del P.I.I., dandone comunicazione alla società Acquarama.

Dopodichè, con delibera n. 23.1 del 30/9/2009, il Consiglio Comunale ha disposto l’annullamento d’ufficio del P.I.I., siccome ritenuto inficiato dai seguenti vizi:

a) difformità, sotto plurimi profili, dai contenuti del documento di inquadramento approvato con delibera consiliare 30/5/2008 n. 10;

b) mancanza della V.A.S.;

c) carenza degli standard;

d) violazione del combinato disposto degli artt. 27 della L. n. 166/2002 e 12 della L.R. 12/2005;

e) violazione dell’art. 38 del D. Lgs. n. 267/2000 ed eccesso di potere per sviamento e travisamento “anche in relazione alla mancata scadenza del termine di 90 giorni di cui all’art. 27 della legge 166/2002, che hanno portato a giustificare l’applicazione dell’art. 38 del T.U.E.L.”.

Il medesimo organo con deliberazione n. 10.1 del 7/8/2009, aveva, frattanto, deciso di non procedere all’approvazione del P.G.T. e di riavviare una nuova procedura di revisione e approvazione dello stesso.

Ritenendo le deliberazioni 23.1/2009 e 10.1/2009, nonché la delibera consiliare 12.1 del 7/8/2009, recante indirizzi per l’avvio del menzionato procedimento di annullamento d’ufficio, illegittime, l’Acquarama s.r.l. le ha impugnate davanti al TAR Lombardia, Sezione di Brescia, il quale con sentenza 9/1/2013 n. 4, ha respinto il ricorso.

Avverso la detta sentenza, ritenuta ingiusta ed erronea, la società Acquarama ha proposto appello, chiedendone la riforma.

Con memoria datata 2/3/2015 l’appellante ha, inoltre, ulteriormente argomentato e illustrato le proprie tesi difensive.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale intimata, depositando memoria con cui si è opposta all’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 14/7/2015, la causa, su richiesta delle parti, è definitivamente passata in decisione.

DIRITTO

In via pregiudiziale il Collegio rileva che, nel processo amministrativo, ai sensi dell’art. 101, comma 1, c.p.a., la mera riproposizione delle doglianze dedotte davanti al T.A.R. è consentita solo laddove il giudice di prime cure non abbia esaminato i motivi o lo abbia fatto con argomenti palesemente non pertinenti o generici.

I motivi puntualmente disattesi dal giudice di prime cure devono, invece, essere contesati con specifiche censure contro la sentenza, atteso che l’appello non si configura come un iudicium novum sulla controversia portata all’esame del primo giudice, ma ha ad oggetto le critiche rivolte al decisum di quest’ultimo (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 31/7/2014 n. 4042; Sez. V, 27/3/2015 n. 1614).

Alla luce dell’illustrato principio di diritto, possono, in questa sede, essere esaminate solo le specifiche censure che l’appellante ha rivolto contro l’impugnata sentenza, illustrate nel ricorso in appello a partire da pag. 36, tralasciando, siccome inammissibili, i motivi prospettati in primo grado e pedissequamente riproposti nelle pagine precedenti, che la medesima appellante ha, poi, sinteticamente richiamato nella memoria difensiva datata 2/3/2015.

Così delimitato l’ambito del presente giudizio, può procedersi ad affrontare le questione poste con l’appello.

Con un primo motivo di gravame l’appellante censura l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto le doglianze con cui era stata lamentata l’insussistenza di un interesse pubblico all’annullamento d’ufficio, la sottovalutazione dell’interesse privato sacrificato dall’esercizio del potere di autotutela e lo sviato utilizzo del potere di annullamento in luogo di quello di revoca.

A dire della società Acquarama la reiezione delle dette doglianze non sarebbe assistita da adeguata motivazione.

Il motivo non merita accoglimento.

Occorre preliminarmente rilevare che la censura di difetto di motivazione della sentenza è resa inammissibile dall'effetto devolutivo dell'appello.

In secondo grado, infatti, il giudice è chiamato a valutare tutte le domande, integrando - ove necessario - le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (cfr, fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 5/2/2015 n. 562, Sez. VI, 14/4/2015 n. 1915, 5/3/2013 n. 1315 e 24/2/2009, n. 1081, Sez. V, 13/2/2009, n. 824).

Può procedersi, quindi, all’esame della questione sostanziale posta dall’appellante.

In termini generali occorre precisare che l’annullamento d’ufficio di uno strumento pianificatorio, che non abbia avuto attuazione, non necessita di un'espressa e specifica motivazione in ordine alla sussistenza del pubblico interesse al ritiro, configurandosi questo nel superiore interesse della collettività a che la pianificazione avvenga nel rispetto della normativa urbanistica (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21/6/2001 n. 3334).

Né tale interesse va comparato con quello del privato alla conservazione dello strumento urbanistico, avendo il secondo, nella descritta situazione, sempre carattere recessivo rispetto al primo, stante la preminente esigenza che lo sfruttamento del territorio avvenga secondo canoni legali.

Nel caso di specie, il P.I.I., approvato con delibera consiliare 28/5/2009 n. 24, è stato annullato con deliberazione 30/9/2009 n. 23.1, prima che venisse stipulata la prescritta convenzione urbanistica e prima che il medesimo strumento potesse avere attuazione.

Nel descritto contesto alla società Acquarama, non può riconoscersi alcun affidamento qualificato alla conservazione del P.I.I., che imponesse una qualche comparazione del proprio interesse con quello pubblico al ritiro.

Neppure può ritenersi sussistente il dedotto vizio di sviamento di potere.

Al riguardo è sufficiente rilevare che in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, affinché la censura di sviamento di potere possa ritenersi fondata occorre che gli elementi emersi rivelino in modo indubbio il dissimulato scopo dell'atto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27/4/2005 n. 1947; Sez. V, 13/2/1993 n. 245), condizione questa, che nella specie, non si rinviene.

L’appellante censura, quindi, l’impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto le doglianze dirette contro gli specifici ed autonomi vizi di legittimità posti a fondamento del disposto annullamento d’ufficio del P.I.I.

Al riguardo giova puntualizzare che anche la sussistenza di uno solo dei vizi riscontrati dal comune di Cellatica, sarebbe stata di per sé sola sufficiente a sorreggere l’avversato provvedimento di ritiro.

Orbene, il giudice di prime cure ha, tra l’altro, respinto le doglianze con cui la società Acquarama aveva contestato l’atto di riesame nella parte in cui si basava sulla ritenuta mancanza di V.A.S. e sull’asserita insufficienza degli standard.

Con riguardo al primo profilo il T.A.R. ha ritenuto:

a) che la V.A.S. costituendo un elemento del P.G.T., avrebbe potuto acquisire efficacia solo con l’approvazione di quest’ultimo, la quale è invece mancata;

b) che nella deliberazione di adozione del P.I.I. non era contenuto alcun riferimento alla V.A.S. del P.G.T. in corso di formazione;

c) che, in base alla normativa regionale, la V.A.S. – sino all’approvazione del P.G.T. - è richiesta anche in relazione ai P.I.I. che introducono varianti al P.R.G.

L’appellante deduce che la sentenza gravata sarebbe erronea in quanto la V.A.S., perfezionatasi in relazione al documento di piano del P.G.T. adottato (alle cui prescrizioni era conforme il P.I.I.), per la sua natura di atto valutativo e non prescrittivo, sarebbe idonea a produrre i propri effetti indipendentemente dal fatto che acquisti efficacia l’atto a cui accede.

La tesi non convince.

Ai sensi dell’art. 4, comma 3, del D. Lgs. 3/4/2006, n. 152, la V.A.S. si estrinseca in un giudizio circa la compatibilità di piani e programmi con i profili dell’ambiente ivi specificati, assicurando che le previsioni dei medesimi siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile.

Gli apprezzamenti dei vari profili, che ne costituiscono l’essenza, si formano sul piano o programma preso in esame, con l’inevitabile conseguenza che se questo, per qualche ragione, cade o, come nella fattispecie, non viene ad esistenza, perché non si completa il suo iter formativo, cessano anche gli effetti della valutazione sul medesimo compiuta.

Nel caso di specie, il P.G.T. sul cui documento di piano era intervenuta la V.A.S., non si è perfezionato, essendone mancata l’approvazione. Conseguentemente, giusta quanto sopra rilevato, non può predicarsi la sopravvivenza degli effetti della V.A.S.

Come correttamente rilevato dall’intimata amministrazione comunale, il P.I.I. per cui è causa non era, dunque, sorretto da alcuna V.A.S., a nulla rilevando che il medesimo fosse conforme alle previsioni del documento di piano - sottoposto a V.A.S. - di un P.G.T. rimasto inefficace.

Con riguardo alla rilevata insufficienza degli standard, il giudice di prime cure ha rigettato gli argomenti della ricorrente, osservando che “comunque l’erronea indicazione (da parte della proponente) delle strade tra gli standard ha determinato un travisamento in sede di adozione e approvazione del P.I.I. (il falso presupposto di una dotazione di standard maggiore della realtà)”.

L’appellante oppone che siffatta motivazione sarebbe incongrua, in quanto, in sede di autotutela, l’amministrazione ha rilevato, quale vizio di legittimità del P.I.I., non già la mera prospettazione di una dotazione di standard maggiore della realtà, bensì una sostanziale carenza di aree standard, che però nella realtà non esiste.

Infatti, la convenzione attuativa del P.I.I. impegnava la società Acquarama a cedere gratuitamente al Comune aree da destinare a standard in misura largamente superiore a quella stimata come proporzionata (mq. 16.080) al nuovo carico insediativo secondo i parametri del P.R.G. vigente e del P.G.T. adottato. L’art. 11, comma 5, invero, impegnava l’odierna appellante a cedere al Comune di Cellatica aree di sua proprietà all’interno del parco urbano per un totale di mq 37.080, comprensive di quelle da destinare a standard.

Era, quindi, prevista una cessione gratuita di aree in misura più che doppia rispetto al dovuto, con la conseguenza che l’erronea indicazione fra gli standard di alcune aree da destinare a strade era del tutto ininfluente e inidonea a viziare il P.I.I. Del resto, sostiene l’appellante, richiamandosi a un orientamento del TAR Lombardia, allo scopo di valutare l’idoneità complessiva degli standard, assumerebbe rilievo centrale la convenzione attuativa del P.I.I..

La censura non merita accoglimento.

 

Come correttamente rilevato nel ricorso in appello, il vizio che, con riferimento al profilo in parola, ha indotto l’intimata amministrazione comunale ad annullare il P.I.I., si sostanzia nella ravvisata insufficienza delle aree da destinare a standard urbanistici quantificate nel progetto di P.I.I., e non già, come ritenuto dal giudice di prime cure, in un travisamento circa la proposta di una dotazione di spazi per standard maggiore di quella normativamente occorrente.

Il T.A.R., avrebbe, quindi, dovuto appurare la sussistenza o meno della rilavata insufficienza delle aree per standard.

Tale verifica, non compiuta in primo grado, va condotta, coerentemente alla censura dedotta, in questa sede.

Orbene, dagli atti progettuali del P.I.I. per cui è causa, atti a cui occorre fare esclusivo riferimento per stabilire il rispetto della detta dotazione minima, risulta che le aree da destinare a standard erano pari a mq 17.057,77 comprensivi di mq 13.953,17 per strade e marciapiedi (si veda tavola A -11 del progetto “Planimetria generale con indicazione degli standard urbanistici”, relazione al detto progetto, pag 11, nonché art. 8 della bozza della convenzione urbanistica che avrebbe dovuto far seguito all’approvazione del P.I.I.).

Tuttavia, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del D.M. 2/4/1968, n. 1444, dal conteggio delle aree da adibire a standard, devono essere esclusi gli “spazi destinati alle sedi viarie”.

Eliminando dalle aree che la società Acquarama ha previsto di destinare a standard, quelle per sedi viarie, residua una superficie di appena mq 3.104,60 (17,057,77 – 13.953,17) per effettivi standard. Misura, comunque, insufficiente, qualunque sia il criterio di computo da utilizzare per la quantificazione della dotazione minima, come emerge dai non contestati calcoli effettuati dall’intimato Comune, nella memoria difensiva datata 10/3/2015.

Sostiene l’appellante di essersi in realtà impegnata a cedere aree per standard in misura ben superiore a quella minima richiesta, anche scomputando quelle destinate a sedi viarie, come emergerebbe dall’art. 11, comma 5, della bozza di convenzione accessoria al P.I.I. annullato.

Tale clausola, infatti, prevede che la “proponente dovrà mettere a disposizione gratuitamente al comune le aree di sua proprietà all’interno del parco urbano per un totale indicativo di (mq) 37.080 comprensive delle aree da cedere a standard”.

La tesi difensiva dell’istante non può essere condivisa.

Ed invero, le dette aree, ulteriori rispetto a quelle dichiaratamente da adibire a standard, sono comunque, prive di destinazione specifica, e ciò non consente di computarle tra quelle espressamente vincolate all’allocazione delle prescritte dotazioni minime.

Alla luce delle considerazioni svolte, il P.I.I. approvato con la delibera consiliare 28/5/2009 n. 24, risultava viziato quantomeno sotto i due profili poc’anzi evidenziati, per cui correttamente l’amministrazione di Cellatica, ne ha disposto l’annullamento d’ufficio.

Con riguardo all’avversato provvedimento di autotutela l’impugnata sentenza, seppur correggendone parzialmente la motivazione, secondo quanto sopra specificato, va, quindi, confermata.

Il conseguente consolidarsi del provvedimento di ritiro gravato in primo grado, priva l’appellante di un interesse differenziato e qualificato all’impugnazione della delibera 7/8/2009 n. 10.1, con cui il Consiglio Comunale di Cellatica ha deciso di non procedere all’approvazione definitiva del P.G.T., rendendo, in relazione a tale atto, inammissibile il ricorso al T.A.R..

L’appello va, in definitiva, respinto.

Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Spese ed onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’intimata amministrazione comunale, liquidandole forfettariamente in complessivi € 4.000/00 (quattromila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/09/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)