Cass. Sez. III n. 30062 del 23 luglio 2024 (UP 12 giu 2024)
Pres. Ramacci Rel. Galanti Ric. Pettinaroli
Rifiuti.Deposito temporaneo 

Solo l’osservanza di «tutte» le condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo – e quindi anche lo smaltimento con cadenza almeno annuale - solleva il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione, tranne quelli di tenuta dei registri di carico e scarico e per il divieto di miscelazione previsto dall'art. 187, mentre, in difetto di tali condizioni - la sussistenza delle quali deve essere dimostrata dall'interessato, trattandosi di norma di favore l'attività posta in essere deve qualificarsi come gestione non autorizzata, penalmente sanzionabile, o abbandono.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa in data 20/06/2023, il Tribunale di Novara condannava Davide Pettinaroli in relazione ai reati di cui agli articoli 279 e 256, comma 2, lettere a) e b), d. lgs. 152/2006 (commesso il 23/09/2021), alla pena di euro 2.500 di ammenda.

2. Avverso la sentenza ricorre per cassazione l’imputato.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., per erronea applicazione degli  articoli 269 e 279 del d.lgs. n. 152/2006, in relazione al concetto di autorizzazione alle emissioni in atmosfera nonché per la mancanza della motivazione nella parte in cui il Tribunale di Novara sostiene la riconducibilità del fatto ascritto all'imputato nell'alveo della condotta dell'esercizio di uno stabilimento che genera emissioni diffuse nell'atmosfera in assenza dell'autorizzazione; deduce che nel 2009, quando ebbe a rilevare l’azienda, tale autorizzazione non era prevista ed è diventata necessaria solo nel 2017.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per l'erronea applicazione dell'art. 42 c.p., nell'aver affermato la penale responsabilità del ricorrente (che in ipotesi avrebbe esercitato uno stabilimento inquinante in assenza dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera) nonostante tale condotta contestata sia stata posta in essere in assenza del necessario elemento psicologico nonché per la totale mancanza della motivazione rispetto a tale elemento del reato.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e lett. e), cod. proc. pen. per l'erronea applicazione del D.lgs. 03/04/2006, n. 152, articoli 183, lett. bb) e 185-bis, in relazione al concetto di «deposito temporaneo di rifiuti» nonché per la mancanza della motivazione nella parte in cui in Tribunale di Novara sostiene la riconducibilità del fatto ascritto all'imputato nell'alveo del «deposito incontrollato di rifiuti». 
Sottolinea il ricorrente che nulla dice la sentenza impugnata in relazione alla provenienza, alle modalità di accantonamento e alla durata temporale della loro collocazione, elementi che, se effettuati e valutati, avrebbero consentito di collocare la condotta nell’alveo dell’articolo 185-bis d.lgs. 152/2006.
2.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. per l'erronea applicazione dell'art. 42 cod. pen., nell'aver affermato la penale responsabilità del ricorrente (che in ipotesi avrebbe realizzato un deposito incontrollato di rifiuti nel cortile della propria impresa) nonostante la condotta contestata sia stata attuata in assenza del necessario elemento psicologico nonché per la mancanza della motivazione rispetto a tale elemento del reato. Non è stato svolto alcun accertamento sulla norma di condotta che il ricorrente avrebbe violato, condannando il ricorrente per una mera responsabilità “di posizione”.

CONSIDERATO IN DIRITTO 
 
1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza della Corte, che il Collegio condivide e ribadisce, la contravvenzione di cui all’art. 279, comma 1, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha natura di reato permanente, la cui consumazione perdura fino al rilascio della prescritta autorizzazione. La norma è, infatti, finalizzata alla tutela della qualità dell’aria, e l’autorizzazione costituisce il mezzo di controllo preventivo sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e l’adozione di appropriate misure di prevenzione dell’inquinamento atmosferico, per cui il reato permane fino a quando il competente ente territoriale non abbia effettuato tale controllo (Sez. 3, n. 37566 del 20 luglio 2021, Felletti, n.m.; Sez.3, n.12921 del 20/02/2008, Rv.239352 - 01; Sez.3, n.22018 del 13/04/2010, Rv.247279 - 01).
Non vi è quindi dubbio che, almeno dal 2017 (come confermato dallo stesso ricorrente) e fino al 23 settembre 2021 (epoca della contestazione), la società gestita dal ricorrente avrebbe avuto l’obbligo di munirsi di autorizzazione, come in effetti ha proceduto a fare dopo l’accertamento del reato.
La doglianza è pertanto manifestamente infondata in quanto omette di considerare la pacifica natura permanente del reato.
Essa è inoltre inammissibile per genericità.
Ed infatti, il dato relativo alla potenza nominale dell’impianto termico, non dedotto nel giudizio di primo grado, viene introdotto nel solo giudizio di legittimità ed affermato in modo apodittico, con conseguente genericità del ricorso sul punto.

3. Il secondo motivo è del pari manifestamente infondato.
Il ricorrente deduce l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ossia, per quanto ai presenti fini rileva, della colpa, di fatto ventilando la sussistenza dell’ignorantia legis come scusante.
Tale assunto non può essere condiviso. 
Ed infatti questa Corte (Sez. 3, 03/12/2020, dep. 2021, n.1131, Rizzo, n.m.), ha precisato che l’«inevitabilità» dell’ignoranza della legge «per il comune cittadino è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994 – dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885). Di conseguenza, chi svolge una data attività commerciale è gravato dell’obbligo di acquisire informazioni circa la specifica normativa applicabile in quel settore, sicché, qualora de-duca la propria buona fede, non può limitarsi ad affermare di ignorare le previsioni di detta normativa – errore che non scusa perché cade sul precetto – ma deve dimostrare di aver compiuto tutto quanto poteva per osservare la disposizione violata».
Ciò che si vuole in sostanza ribadire è che le attività di impresa, avendo natura professionale, presuppongono la conoscenza della normativa di settore (o implicano, almeno, l’obbligo di un’adeguata informazione, anche mediante l’utilizzo di esperti di settore). 
Pertanto, l’«errore scusabile» non può fondarsi sulle difficoltà interpretative della legge o sulle modificazioni occorse nel tempo alla normativa di settore.
Nel caso di specie non vi è dubbio che il ricorrente, che esercita attività commerciale almeno dal 2009, fosse tenuto ad un obbligo di conoscenza della normativa concernente le autorizzazioni ambientali, che ha invece colposamente ignorato o dolosamente violato.
Il ricorso non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio ribadisce, omettendo di addurre qualsiasi elemento di novità, risultando di tal guisa manifestamente infondato.

4. Il terzo motivo, con cui si invoca la disciplina del deposito temporaneo in luogo di quello incontrollato, è inammissibile.
Questa Corte, anche di recente (Sez. 3, n. 20841 del 09/05/2024, Michelini, n.m.), ha avuto modo di precisare che il «deposito temporaneo prima della raccolta» (art. 183, lett. bb, d.lgs. 152/2006), è «il raggruppamento dei rifiuti ai fini del trasporto degli stessi in un impianto di recupero e/o smaltimento, effettuato, prima della raccolta ai sensi dell'articolo 185-bis».
Esso è estraneo al perimetro della «gestione» dei rifiuti che, ai sensi della lettera n), concerne «la raccolta, il trasporto, il recupero, compresa la cernita, e lo smaltimento dei rifiuti, compresi la supervisione di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento, nonché le operazioni effettuate in qualità di commerciante o intermediari) e prodromico allo svolgimento delle relative attività».  
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha precisato (cause riunite C-175/98 e C-177/98, del 5 ottobre 1999, proc. pen. a carico di Paolo Lirussi e Francesca Bizzaro, par. 48 ss.) che, in quanto deroga a norme che mirano a conseguire obiettivi di una fondamentale rilevanza, quali la protezione dell'ambiente e della salute, la nozione di «deposito temporaneo» deve interpretarsi in modo restrittivo e deve rispettare l'art. 4, primo comma, della direttiva 75/442, la quale prevede che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente.
In tal senso, è stato introdotto l’articolo 185-bis del Testo Unico, il quale stabilisce che esso deve essere effettuato nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti (da intendersi quale l'intera area in cui si svolge l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci);
b) esclusivamente per i rifiuti soggetti a responsabilità estesa del produttore, anche di tipo volontario, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita;
c) per i rifiuti da costruzione e demolizione, nonché per le filiere di rifiuti per le quali vi sia una specifica disposizione di legge, il deposito preliminare alla raccolta può essere effettuato presso le aree di pertinenza dei punti di vendita dei relativi prodotti.
Esso è, inoltre, effettuato alle seguenti condizioni:
a) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, sono depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
b) i rifiuti sono raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
c) i rifiuti sono raggruppati per categorie omogenee, nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
d) nel rispetto delle norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose.
Ove effettuato alle condizioni di cui sopra, il deposito temporaneo non necessita di autorizzazione da parte dell'autorità competente.
La giurisprudenza ha chiarito (da ultimo: Sez. 3, n. 20841 del  09/05/2024, Michelini, n.m.; Sez. 3, n. 16183 del 28/02/2013, Lazzi, n.m.) che solo l’osservanza di «tutte» le condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo – e quindi anche lo smaltimento con cadenza almeno annuale - solleva il produttore dagli obblighi previsti dal regime autorizzatorio delle attività di gestione, tranne quelli di tenuta dei registri di carico e scarico e per il divieto di miscelazione previsto dall'art. 187, mentre, in difetto di tali condizioni - la sussistenza delle quali deve essere dimostrata dall'interessato, trattandosi di norma di favore (Sez. 3 n. 15680, 23 aprile 2010; Sez. 3 n. 30647, 15 giugno 2004; Sez. 3 n. 21587, 17 marzo 2004) - l'attività posta in essere deve qualificarsi come gestione non autorizzata, penalmente sanzionabile, o abbandono.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non era pertanto onere del giudicante motivare sulla insussistenza delle condizioni legittimanti l’utilizzo della normativa sul deposito temporaneo, bensì dell’imputato dimostrarne la sussistenza, posto che su egli gravava l’onere di dimostrare l’avvenuta ottemperanza a tutti i presupposti affinché ricorra il deposito temporaneo. 
Ed infatti, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha precisato che in tutti i casi di norme aventi natura eccezionale e derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria in tema di rifiuti, «l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge deve essere assolto da colui che ne richiede l’applicazione (Sez. 3, n. 38950 del 26/06/2017, Roncada, n.m.; Sez. 3, n. 56066 del 19/09/2017, Sacco, Rv. 272428 – 01; Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336 – 01; Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129 – 01; Sez. 3, n. 17453 del 17/04/2012, Busè, Rv. 252385 - 01; Sez. 3, n. 16727 del 13/04/2011, Spinello, n.m.; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504 - 01).
Tale giurisprudenza è una applicazione dell’indirizzo consolidato secondo cui il principio di inversione dell’onere della prova «specificamente riferito al deposito tem­poraneo, è peraltro applicabile in tutti i casi in cui venga invocata, in tema di rifiuti, l’applicazione di disposizioni di favore che derogano ai principi generali» (v. Sez. 3, n. 20410 del 08/02/2018, Boccaccio, Rv. 273221 - 01). 
In tal senso, già Sez. 3, sentenza n. 47262 dell’8/09/2016, Marinelli, n.m., aveva precisato che il principio dell’inversione dell’onere della prova corri­sponde ad un «principio generale già applicato in giurisprudenza: in tema di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall’art. 182, comma 6-bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 152/2006 (cfr. Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Ca­stellano), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, prevista dall’art. 258, comma 15, del d. lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone)». 
Il principio è stato successivamente ribadito anche da Sez. 3, n. 3598 del 23/10/2018, dep. 2019, Fortuna, n.m., e (in tema di End of Waste) Sez. 3, n. 27148 del 17/05/2023, Burato, Rv. 284735 - 01.
Analogamente, manifestamente infondata è la censura che, sia pure in modo non del tutto chiaro, contesterebbe la natura di «rifiuti» dei materiali rinvenuti.
Sul punto, correttamente la sentenza impugnata ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 3299 del 19/07/2017, dep. 2018, Masi, n.m.; Sez. 3, n. 48316 del 11/10/2016, Lombardo, n.m.) secondo cui «la qualifica di rifiuto (art. 183 del d.lgs. 152/2006) deve essere dedotta da dati obiettivi, non dalla scelta personale del detentore che decide che quel bene non gli è più di nessuna utilità. Sono elementi obiettivi, ad esempio, l’oggettività dei materiali in questione, la loro eterogeneità, non rispondente a ragionevoli criteri merceologici, e le condizioni in cui gli stessi sono detenuti, così come le circostanze e le modalità con le quali l’originario produttore se ne era disfatto. Non rileva, poi, il fatto che un bene sia ancora cedibile a titolo oneroso, poiché tale evenienza non esclude comunque la natura di rifiuto» evidenziando, con valutazione in punto di fatto, insindacabile in sede di legittimità, che le obbiettive modalità di derelizione dei materiali fosse compatibile solo con la disciplina dei rifiuti. 
Il ricorso, sotto entrambi i profili di censura, è pertanto manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato alla luce delle considerazioni svolte in riferimento al secondo motivo, che si richiamano.
Nel caso di specie, posta l’indubbia natura di rifiuti dei materiali in oggetto, nonché l’indimostrata sussistenza delle condizioni per applicare la normativa sul deposito temporaneo, costituiva preciso dovere dell’imputato istituire i registri di carico e scarico dei rifiuti e tracciare ogni loro movimentazione, adempimenti, entrambi, che la sentenza espressamente esclude, i quali comprovano la sussistenza di profili di colpa ed escludono qualsiasi ipotesi di culpa in re ipsa o di responsabilità da posizione.
Il motivo è quindi manifestamente infondato.

6. Il Collegio evidenzia, peraltro, come il trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice sia stato particolarmente benevolo. 
Ed infatti, all’imputato era contestato l’abbandono incontrollato di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi.
Orbene, l’articolo 256, comma 2, d. lgs. 152/2006, richiama quoad poenam il comma 1, il quale, nel caso di gestione illecita di rifiuti (in tutto o in parte) pericolosi, prevede la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, laddove nel caso in esame il giudice ha applicato la sola pena pecuniaria.

7. Il ricorso, in conclusione, non può che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.

P.Q.M. 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/06/2024.