Consiglio di Stato Sez. IV n. 4345 del 25 giugno 2019
Urbanistica.Contenuto e limiti della pianificazione del territorio

Il disegno urbanistico definito da uno strumento di pianificazione generale costituisce estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità, giacché rispecchia delle scelte riguardanti non solo l’organizzazione del territorio, ma il quadro assai più vasto delle opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico Le scelte urbanistiche configurano dunque valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo i casi in cui siano inficiate da errori di fatto, violazioni procedurali, illogicità abnormi o siano confliggenti con particolari situazioni che abbiano dato luogo ad aspettative qualificate

Pubblicato il 25/06/2019

N. 04345/2019REG.PROV.COLL.

N. 03450/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3450 del 2016, proposto dalla società
LM s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Capria e Teodora Marocco, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;

contro

Comune di Monopoli, in persona del legale Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lorenzo Dibello, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Maria Rosaria Neri in Roma, largo Somalia, 53;
Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Anna Bucci, con domicilio eletto presso la sede di rappresentanza della Regione Puglia in Roma, via Barberini, 36;

nei confronti

Città Metropolitana di Bari, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, sezione terza, n. 1556 del 3 dicembre 2015, resa tra le parti, concernente l’approvazione del PUG di Monopoli.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Monopoli e della Regione Puglia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2019 il consigliere Nicola D'Angelo e uditi, per l’appellante, l’avvocato Teodora Marocco, per il Comune appellato, l’avvocato Lorenzo Dibello e, per la Regione Puglia, l’avvocato Gaglia Stivali, per delega dell’avocato Anna Bucci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La LM s.r.l. ha impugnato dinanzi al Tar per la Puglia, sede di Bari, la delibera del Consiglio comunale n. 68/2010 con la quale il Comune di Monopoli ha approvato in via definitiva il PUG.

2. In particolare, in qualità di proprietaria delle particelle n. 7 e n. 589, censite nel catasto di Monopoli al foglio 19, ha contestato la nuova destinazione urbanistica impressa alle stesse aree “contesti urbani per servizi di nuovo impianto” ed il loro assoggettamento al regime di cui all’art. 27/P delle NTA.

3. Tale disciplina individua una superficie compensativa minima pari al 70% della superficie totale da cedere al Comune che, secondo la società ricorrente, determinerebbe un onere considerevole peraltro in assenza di indennizzo ed una disparità di trattamento con altre aree destinate a “contesti urbani residenziali di nuovo impianto”.

4. La società ricorrente ha anche censurato il mancato adeguamento del PUG alle osservazioni presentate in fase di elaborazione del piano ed accolte con deliberazione del Consiglio comunale n. 51/2009 (dimensionamento più contenuto dei comparti).

5. Il Tar di Bari, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso.

6. Contro la predetta sentenza ha quindi proposto appello la società LM, prospettando i seguenti motivi di gravame.

6.1. Error in iudicando. Violazione dei principi di ragionevolezza e logicità. Ingiustificata disparità di trattamento. Violazione dei principi di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa. Difetto di motivazione. Travisamento dei presupposti e dei fatti.

6.1.1. La sentenza impugnata è erronea laddove ha respinto il primo motivo di ricorso relativo alla illogicità della destinazione impressa all’area diversa da quella residenziale. La scelta di tale destinazione risulterebbe irrazionale ed immotivata tenuto conto della circostanza che la medesima area è collocata in un contesto uniforme a vocazione residenziale di recente costruzione (con la conseguenza che gli interventi edilizi devono ritenersi realizzati in conformità dei livelli di standard urbanistici di cui al DM n. 1444/1968).

6.2. Error in iudicando. Violazione dei principi di ragionevolezza e logicità. Ingiustificata disparità di trattamento. Violazione dei principi di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa. Difetto di motivazione. Travisamento dei presupposti e dei fatti.

6.2.1. La società appellante lamenta una disparità di trattamento rispetto alle aree vicine ed in particolare con quellle di proprietà comunale. Il Tar erroneamente ha ritenuto ragionevole la diversa disciplina e per il Comune anche in ragione della natura pubblica dei beni. Nessuna giustificazione sulla base del profilo soggettivo del proprietario sarebbe invece idonea a legittimare un diverso assetto urbanistico.

6.3. Error in iudicando. Travisamento della normativa applicabile e dei presupposti. Violazione e falsa applicazione dell’art. 14 della legge regionale della Puglia n. 20/2001. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 3, del DL n. 70/2011, convertito nella legge n. 106/2011.

6.3.1. Nel secondo motivo del ricorso introduttivo è stata censurata la previsione contenuta nell’art. 27.04 bis delle NTA di una cessione obbligatoria e gratuita a favore del Comune di un’area pari al 70% della superficie totale. Tale previsione, secondo l’appellante, si discosterebbe dalla funzione propria della perequazione urbanistica.

6.3.2. La cessione del 70% della superficie totale dovrebbe poi essere finalizzata solo alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, ma non per l’edilizia sociale ammessa solo nei contesti urbani residenziali di nuovo impianto (art. 8/P NTA).

6.3.3. La cessione prevista comunque non realizza una perequazione tra i diversi proprietari interessati alla pianificazione urbanistica, quanto piuttosto tende a conseguire finalità redistributive tra gli stessi proprietari e l’Amministrazione. Ciò determinerebbe una compressione del diritto di proprietà in assenza di un supporto normativo di rango primario.

6.3.4. Il Tar avrebbe erroneamente ritenuto che la suddetta previsione fosse in linea con la legge regionale n. 20/2001 e con l’art. 5 del DL n. 70/2011, norme che, a parere del ricorrente, sarebbero inconferenti nel caso di specie.

6.4. Error in iudicando. Travisamento della normativa applicabile. Violazione degli artt. 23 e 42 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione della legge n. 1150/1942.

6.4.1. Il Tar ha ritenuto erroneamente che fosse legittimo il potere conformativo del territorio esercitato dal Comune ai sensi della legge n. 1150/1942. Il giudice di primo grado non ha affatto tenuto conto degli ingenti obblighi posti in capo al ricorrente in violazione dell’art. 42 della Costituzione.

6.5. Error in iudicando. Travisamento della normativa applicabile e dei presupposti sotto diverso profilo.

6.5.1. Le previsioni del PUG, secondo l’appellante, sarebbero esorbitanti il potere conformativo del Comune anche con riferimento alle misure perequative imposte, misure che nella sostanza determinerebbero una forzosa ablazione della proprietà.

6.6. Omessa pronuncia. Violazione dell’art.28 della legge n. 1150/1942. Violazione del DM 2 aprile 1968, n. 1444. Difetto di motivazione.

6.6.1. Il Tar non avrebbe considerato il prospettato vizio di motivazione e di violazione dell’art.28 della legge n. 1150/1942 e del DM n. 1444/1968. Secondo la società appellante, la disciplina impugnata non poteva essere ricondotta ai suddetti parametri normativi.

6.6.2. La superficie da cedere ai sensi dell’art. 27/P, per poi essere utilizzata per la realizzazione di standard urbanistici, avrebbe un’entità tale da porsi in contrasto con le specifiche previsione del DM n. 1444/1968 (in particolare, con l’art. 5 sull’obbligo del proprietario di cedere 0,8 mq per ogni metro quadrato). Tale incremento rispetto a quello normativamente previsto non sarebbe stato comunque motivato dal Comune.

7. Il comune di Monopoli si è costituito in giudizio il 14 giugno 2016, chiedendo il rigetto dell’appello, ed ha depositato ulteriori documenti e scritti difensivi, per ultimo una memoria di replica il 20 marzo 2019.

8. La regione Puglia si è costituita in giudizio il 24 giugno 2016, chiedendo anch’essa il rigetto del ricorso, ed ha depositato una memoria l’11 gennaio 2019.

9. La società appellante ha depositato ulteriori documenti e memorie, per ultimo una replica il 21 marzo 2019.

10. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica dell’11 aprile 2019.

11. L’appello non è fondato.

12. La società appellante, proprietaria nel comune di Monopoli di un’area ricompresa dal PUG, approvato con delibera del Consiglio comunale n. 68/2010, nell’ambito di un “contesto urbano per servizi di nuovo impianto”, ha censurato la disciplina dettata per tale zona dall’art. 27/P delle NTA che ha previsto una superficie compensativa minima pari al 70% della superficie totale da cedere al Comune.

12.1.In particolare, secondo la società ricorrente, la disposizione contestata determinerebbe un onere considerevole, peraltro in assenza di indennizzo, ed una disparità di trattamento con altre aree destinate a “contesti urbani residenziali di nuovo impianto”. Nel ricorso di primo grado, ha anche censurato il mancato adeguamento del PUG alle osservazioni presentate in fase di elaborazione del piano ed accolte con deliberazione del Consiglio comunale n. 51/2009 (dimensionamento più contenuto dei comparti).

12.2. Il Tar di Bari ha respinto il ricorso, ritenendo non irragionevoli e comunque legittime le scelte operate da Comune in sede di pianificazione.

13. La società LM ha quindi proposto appello avverso i capi della sentenza relativi alla scelta del Comune di destinare l’area a “contesto urbano per servizi di nuovo impianto” e alle misure compensative previste.

14. Con un primo profilo di censure, l’appellante ha quindi prospettato l’erroneità della sentenza impugnata che non avrebbe considerato la mancanza di una idonea motivazione nella scelta urbanistica disciplinata dal citato art. 27/P (in particolare con riferimento all’imposizione di un’ingente superficie compensativa), peraltro affetta da una disparità di trattamento con le aree vicine a destinazione residenziale ed in particolare con quelle di proprietà del Comune.

14.1. La tesi della società appellante non può essere condivisa. La giurisprudenza del Consiglio di Stato è da tempo costante nel ritenere che l’onere di motivazione che deve essere assolto dall’Amministrazione in sede di pianificazione del territorio sia di carattere generale e pertanto possa essere soddisfatto attraverso l’indicazione dei criteri sottesi alle scelte compiute (nel caso di specie nella relazione di accompagnamento del PUG - cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2016 n. 2221).

14.2. Il disegno urbanistico definito da uno strumento di pianificazione generale costituisce infatti estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità, giacché rispecchia delle scelte riguardanti non solo l’organizzazione del territorio, ma il quadro assai più vasto delle opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico (cfr. Cons Stato, sez. IV, 1 agosto 2018, n. 4734).

14.3. Le scelte urbanistiche configurano dunque valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo i casi in cui siano inficiate da errori di fatto, violazioni procedurali, illogicità abnormi o siano confliggenti con particolari situazioni che abbiano dato luogo ad aspettative qualificate (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821; sez. IV, 16 aprile 2014, n. 1871).

14.4. Nel caso di specie, non sembra potersi rinvenire un onere di motivazione rafforzata, tenuto conto che l’appellante non aveva un’aspettativa qualificata. Tale forma di aspettativa si ha infatti nei casi di superamento degli standard minimi, della presenza di una convenzione di lottizzazione o di un accordo equivalente, valido ed efficace, della presenza di pronunce di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento, passate in giudicato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821; sez. IV, 3 novembre 2008, n. 5478).

14.5. Non appare poi fondata la lamentata disparità di trattamento. Come rilevato dal Tar sulla base delle cartografie depositate in giudizio, le aree limitrofe sono quasi integralmente edificate e carenti di aree destinate a soddisfare gli standard a servizio. La scelta comprendere l’area della società appellante nei “contesti urbani per servizi di nuovo impianto” (area già destinata dal previgente strumento urbanistico a servizi pubblici e successivamente divenuta “zona bianca”, per decadenza del vincolo e assoggettata, con il nuovo strumento urbanistico, a previsione, comunque, migliorativa) è stata dunque funzionale a garantire “al centro urbano abitato (in cui ricadono le particelle in esame) zone da destinare a servizi, sulle quali, peraltro, non sussisteva alcuna qualificata aspettativa, in virtù della deteriore pregressa tipizzazione”.

14.6. In sostanza, per le altre aree vicine, essendo già state edificate prima della approvazione del PUG (per questo consolidate) non era ammissibile alcuna diversa destinazione, mentre quelle della società ricorrente erano destinate a servizi pubblici dal previgente strumento urbanistico.

14.7. Né tale disparità emerge con riferimento alle aree comunali cui è stata assegnata destinazione residenziale, posto che tale miglioramento ha l’effetto non di avvantaggiare qualcuno, ma di aumentare un beneficio per la collettività.

14.8. In definitiva, la società ricorrente non era titolare di alcuna aspettativa qualificata circa una vocazione edificatoria del suolo, tanto meno di tipo residenziale, in relazione alla quale il Comune, nelle sue scelte di pianificazione, avesse un obbligo di motivazione rafforzata.

14.9. Per inciso, quanto alla circostanza che il Tar avrebbe erroneamente ritenuto che la previsione dell’art. 27/P delle NTA fosse in linea con la legge regionale n. 20/2001 e con l’art. 5 del DL n. 70/2011, va rilevato che nessun riferimento alle predette disposizioni è contenuto nella sentenza impugnata.

15. La società appellante con un secondo profilo di censure ha poi contestato le disposizioni di cui all’art. 27.04 bis delle NTA relative all’obbligo di cessione del 70% di superficie totale al Comune. Il modello perequativo previsto si discosterebbe dalle finalità dell’istituto perché favorirebbe l’Amministrazione attraverso meccanismo cessione obbligatoria.

15.1. Anche in questo caso non può essere condivisa la prospettazione di parte appellante. Negli ultimi anni vi è stata una sempre maggiore diffusione delle tecniche perequative, ciò al fine di evitare, da un lato, che le scelte relative alla edificabilità dei suoli creassero eccessive sperequazioni tra classi di proprietari, dall’altro, che i Comuni dovessero sostenere ingenti carichi finanziari per poter disporre delle aree necessarie alla realizzazione dei servizi.

15.2. Nel caso della cessione compensativa, in particolare, si prevede la corresponsione di un corrispettivo, costituito da diritti edificatori, per la cessione di un’area. In assenza di una disciplina nazionale che delineasse dei punti fermi in materia di perequazione, è toccato allora al giudice amministrativo porre una linea di discrimine tra opzioni legittime e soluzioni prive di sostegno giuridico.

15.3. Sul punto, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittime le disposizioni di un PRG in base alle quali il proprietario avrebbe potuto acquisire una quota aggiuntiva di superficie edificabile, qualora ne avesse messo a disposizione del Comune una quota maggioritaria. In sostanza, ha ritenuto che tali previsioni, alla luce del potere di conformazione del territorio di cui è titolare l’Amministrazione, giusto l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza 179/1999, fosse coerente con l’esigenza di soddisfacimento di finalità di pubblico interesse, soprattutto qualora, nell’individuazione delle aree in cui i meccanismi perequativi avrebbero dovuto dispiegare i propri effetti, il PRG avesse confermato gli indici di fabbricabilità previsti dagli strumenti urbanistici previgenti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n.4545).

15.4. Ed ancora, è stata ritenuta legittima anche la disposizione sulla cessione in ipotesi contenuta nelle NTA, rilevando come non possa qualificarsi in termini di ablazione dello ius aedificandi una normativa che imponga al privato di cedere una quota, seppur considerevole, dell’area di sua proprietà, qualora la volumetria edificabile venga calcolata sull’intero lotto. Ciò consente, secondo la giurisprudenza amministrativa, di trasferire la capacità edificatoria del lotto originario nell’area in cui sarà realizzata la costruzione effettiva, senza dar luogo ad espropriazione alcuna. Il privato infatti può godere della vocazione edificatoria dell’area, imponendo lo strumento urbanistico solo un mutamento del luogo in cui tale vocazione potrà trovare estrinsecazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 gennaio 2010, n. 216).

15.5. Nel caso di specie, dunque, la superficie compensativa minima pari al 70% della superficie totale, prevista per realizzare opere di urbanizzazione primaria e secondaria, non può ritenersi sbilanciata e non può considerarsi come una limitazione del diritto proprietà.

15.6. In particolare, la previsione di cui all’art. 27.04 bis delle NTA, che individua una superficie compensativa minima pari al 70% della superficie totale va coordinata con l’art 3/P e l’art. 8/P delle NTA che precisano che tale superficie di cessione obbligatoria è utilizzata per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria (ai sensi dell’art. 8/P le finalità di edilizia residenziale sociale sono realizzabili nei contesti urbani residenziali integrati di nuovo impianto).

15.7. Sussiste dunque un interesse pubblico alla conformazione della proprietà, senza che ciò possa essere intrepretato come l’esercizio di un potere ablatorio da parte dell’Amministrazione (cfr. Corte Costituzionale, n.179 del 1999; Cons Stato, sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5667).

15.8. Non può infine essere condiviso il lamentato contrasto della previsione sulla cessione obbligatoria con le disposizioni di cui al DM n. 1444/1968. Tali previsioni, anche per quel che riguarda le ipotesi di cessione (cfr, art. 5), hanno natura di limiti inderogabili al di sotto dei quali le prescrizioni regolamentari dei Comuni non possono scendere. E’ quindi possibile che l’Amministrazione comunale, nell’esercizio dei propri poteri pianificatori, possa derogarli in senso ampliativo (cfr. Cass. civile, sez. II, 7 giugno 2006, n.13338), non costituendo tale ipotesi neppure un automatico sovradimensionamento degli standard urbanistici. Le aree destinate ad ospitare attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale sono, infatti, genericamente destinate a tale scopo (in questo senso va anche considerata la precisazione contenuta nella relazione al PUG - pag. 23: “poiché gli ambiti di trasformazione soggetti a Perequazione urbanistica comprendono sia la parte destinata ai nuovi insediamenti, sia quella di cessione per usi pubblici e sociali, essi riguarderanno superfici molto estese e di conseguenza gli indici attribuiti saranno sensibilmente più contenuti di quelli tradizionalmente usati, anche nell'esperienza del prg vigente, ovviamente per evitare sovradimensionamenti inutili ed eccessivi”).

16. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.

17. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in euro 1000,00(mille/00) in favore del Comune di Monopoli ed in euro 1000,00(mille/00) in favore della Regione Puglia, oltre agli altri oneri previsti dalla legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere, Estensore

Silvia Martino, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere