Cass. Sez. III n.39602 del 28 ottobre 2024 (CC 3 ott 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Romano
Urbanistica.Condono edilizio e limiti cubatura
Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di settecentocinquanta metri cubi attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso
RITENUTO IN FATTO
1. Romano Vincenza, Romano Giuseppina, Romano Giovanna e Romano Virginia, eredi di Romano Orazio, ricorrono congiuntamente, con atto a firma del comune difensore, per l’annullamento dell’ordinanza del 23 aprile 2024 della Corte di appello di Napoli che, pronunciando in sede esecutiva, ha rigettato la richiesta di revoca dell’ingiunzione a demolire emessa dal Pubblico ministero in esecuzione della sentenza del 18 novembre 1997 della medesima Corte di appello che aveva irrevocabilmente condannato Orazio Romano e Carmela Esposito alla pena ritenuta di giustizia e contestualmente ordinato la demolizione di un manufatto esteso 170 mq. composto da piano terra, primo piano e secondo piano.
1.1. Con il primo motivo deducono l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 39 legge n. 724 del 1994.
Sostengono, al riguardo, la propria legittimazione e il proprio interesse a chiedere la sanatoria speciale, ognuna per la propria porzione di immobile, siccome destinatarie, sin dalla realizzazione dell’unico fabbricato, degli appartamenti in vista dei quali il de cuius aveva provveduto alla costruzione, non avendo rilevanza alcuna la circostanza che vi abbiano trasferito la residenza in epoca successiva.
1.2. Con il secondo motivo deducono il legittimo rilascio delle concessioni in sanatoria e lamentano il vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica sul punto nonché il travisamento dei certificati di residenza storici allegati alla domanda introduttiva dai quali risulta che Virginia e Giovanna Romano avevano trasferito la residenza negli immobili in epoca immediatamente successiva alla presentazione delle rispettive domande di condono.
1.3. Con il terzo motivo deducono la violazione del diritto all’abitazione e del principio di proporzionalità quale conseguenza della inosservanza o erronea applicazione degli artt. 2 Cost. e 8 CEDU e il vizio di motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica sul punto.
Osservano, al riguardo, che l’immobile insiste all’interno di un quartiere completamente urbanizzato e circondato da numerose altre abitazioni, così che la sua demolizione non potrà arrecare alcun concreto beneficio al territorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. I ricorsi sono inammissibili.
3. Non è in contestazione che: a) il manufatto da demolire era stato realizzato da Romano Orazio ed Esposito Carmelina su terreno di loro proprietà e sviluppava una volumetria complessiva di oltre 1710 mc; b) in relazione ad esso erano state presentate cinque istanze di condono da parte delle figlie della coppia e da Romano Alfredo, all’epoca non titolari di alcun diritto reale sull’immobile (i genitori delle odierne ricorrenti, peraltro, erano ancora in vita); c) il permesso rilasciato a Romano Vincenza riguarda due locali commerciali situati al piano terra che sviluppano una volumetria complessiva di 580 mc.; d) il permesso rilasciato a Romano Giuseppina riguarda l’appartamento posto al primo piano, interno 1 (mc. 275); e) il permesso rilasciato a Romano Alfredo riguarda l’appartamento posto al primo piano, interno 2 (mc. 275) e l’androne al primo piano; f) il permesso rilasciato a Romano Giovanna riguarda l’appartamento posto al secondo piano, interno 3 (mc. 275); g) il permesso rilasciato a Romano Virginia riguarda l’appartamento posto al secondo piano, interno 4 (mc. 275).
3.1. La Corte di appello sostiene che Romano Virginia e Romano Giovanna hanno trasferito la residenza negli appartamenti oggetto di condono in data, rispettivamente, 28 giugno 2013 (Virginia) e 28 settembre 2005 (Giovanna). Le altre porzioni dell’immobile non risultano occupate, afferma sempre la Corte di appello.
3.2. Le ricorrenti deducono il travisamento dei certificati catastali sul punto ma, in disparte la violazione dell’onere di autosufficienza del ricorso (i certificati “travisati” non sono stati allegati al libello difensivo), la deduzione non è decisiva.
3.3. È necessario, in primo luogo, ricordare che legittimato a chiedere il permesso in sanatoria ai sensi degli artt. 39, legge n. 724 del 1994, e 31, commi primo e terzo, legge n. 47 del 1985, è il proprietario nonché «ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria».
3.4. Tale interesse deve essere giuridicamente qualificato e non di fatto.
3.5. Si è così ritenuto legittimato a presentare domanda di condono l’autore dell’abuso (Cons. St., Sez. 6, n. 3587 del 07/04/2023; Cons. St., Sez. VI, n. 7061 del 16/11/2020), il promissario acquirente dell’immobile in virtù di un contratto preliminare stipulato con il proprietario autore dell’abuso (Cons. St., Sez. IV, n. 6545 del 27/10/2009; nel caso di specie, in virtù del contratto preliminare, il richiedente era stato immesso nel possesso dell’immobile da anni), ma non chi non ha alcuna relazione qualificata con il bene.
3.6. Del resto, l’art. 31, commi primo e terzo, legge n. 47 del 1985 attribuiscono la legittimazione a presentare domanda di sanatoria al proprietario e a coloro che ai sensi dell’odierno art. 11 d.P.R. n. 380 del 2001, hanno titolo per chiedere il permesso di costruire.
3.7. La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell'immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall'art. 11, co. 1, D.P.R. n. 380/2001), e che tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell'area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario. Il Comune, pertanto, prima di rilasciare il titolo, ha l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria (Cons. St., Sez. II, n. 7523 dell’11/09/2024; Cons. St., Sez. IV, n. 1827 del 15/03/2022; Cons. St., Sez. VI, n. 3048 del 22/05/2018; nel senso della necessità di una relazione qualificata con il bene si è espressa anche Sez. U, civ., n. 23317 del 04/11/2009, Rv. 609701 - 01).
3.8. E’ stato altresì precisato che, in sede di procedimento per rilascio di titolo edilizio in sanatoria, deve formare oggetto di valutazione, da parte del Comune, la sussistenza di tutti i presupposti cui la legge condiziona il suddetto rilascio e, fra essi, anche la circostanza che l'istanza di sanatoria provenga da un soggetto qualificabile come proprietario dell'edificio oggetto degli interventi della cui sanatoria giuridica si tratti e che abbia l'intera proprietà del bene, e non solo una parte o quota di esso. Non può invece riconoscersi la legittimazione al semplice proprietario pro-quota ovvero al comproprietario di un immobile, atteso che il contegno tenuto da quest'ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento; di conseguenza, in caso di pluralità di proprietari del medesimo immobile, la domanda di rilascio di titolo edilizio, sia esso o non titolo in sanatoria di interventi già realizzati, deve necessariamente provenire congiuntamente da tutti i soggetti con un diritto di proprietà sull'immobile, potendosi ritenere legittimato alla presentazione della domanda il singolo comproprietario solo ed esclusivamente nel caso in cui la situazione di fatto esistente sul bene consenta di supporre l'esistenza di una sorta di cd. pactum fiduciae intercorrente tra i vari comproprietari (Cons. St., Sez. 2, n. 1766 del 12/03/2020; Cons. St., Sez. 6, n. 1563 del 16/02/2024).
3.9. Hanno titolo a richiedere il permesso di costruire tutti coloro che dimostrino di trovarsi con il bene in una relazione qualificata, non necessariamente connessa ad un diritto reale ma derivante anche da rapporto giuridico ad effetti obbligatori. Secondo un'elencazione indicativa e non esaustiva, possono richiedere il rilascio del titolo, oltre al proprietario, i soggetti titolari rispetto al bene di rapporti di natura reale o meramente obbligatoria: l'usufruttuario; il titolare di un diritto di comodato; il titolare di un contratto di leasing (Cons. St., Sez. 6 n. 1563 del 2024, cit.; Cons. St., Sez. 6, n. 527 del 16/01/2024; Cons. St., Sez. IV, n. 4287 del 30/07/2012).
3.10. Nel caso di specie, le istanze di rilascio di permesso in sanatoria sono state presentate da persone che non avevano alcun rapporto qualificato con l’immobile, occupato - peraltro - solo da due di esse e solo dopo la presentazione delle istanze, in assenza di un diritto reale o anche solo obbligatorio.
3.11. Non viene in rilievo nemmeno il diritto di uso (art. 1021 cod. civ.) o il diritto di abitazione (art. 1022 cod. civ.) che devono oltretutto essere attribuiti con contratto avente necessariamente forma scritta, richiesta ad substantiam dall’art. 1350 n. 4 cod. civ., né un diritto di locazione, nessuno di questi nemmeno dedotti.
3.12. Nessuno degli istanti era proprietario dell’immobile sicché non erano legittimati a presentare nemmeno distinte domande per la sanatoria di distinte porzioni del fabbricato.
4. La Corte di appello ha così fatto buon governo dell’insegnamento costante della Corte di cassazione secondo il quale, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di settecentocinquanta metri cubi attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280 - 01; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2014, dep. 2014, Cantiello, Rv. 259292 - 01; Sez. 3, n. 20161 del 19/05/2005, Merra, Rv. 231643 - 01; Sez. 3, n. 8584 del 26/04/1999, La Mantia, Rv. 214280 - 01).
4.1. Nel caso di specie, oggetto materiale della condotta (e dell’ordine di demolizione impartito dal Giudice) è un immobile unico, di proprietà dei genitori delle ricorrenti in vita al momento della presentazione delle istanze di permesso di costruire in sanatoria.
4.2. Le figlie, come detto, avevano chiesto il rilascio della concessione in sanatoria ognuna per una propria porzione ma né all’epoca, né oggi spiegano in base a quale titolo abbiano chiesto (ed ottenuto) i singoli permessi. Le ricorrenti sono sul punto generiche ed eludono la questione principale sull’interesse qualificato a chiedere la sanatoria di singole porzioni degli immobili che si sono auto-attribuite di fatto. Di certo non potevano essere considerate “aventi causa”, tantomeno eredi, posto che, come si è più volte detto, le istanze di sanatoria erano state presentate quando i genitori erano ancora in vita. Sotto altro profilo, l’interesse che legittima il terzo a chiedere il rilascio del permesso non può essere, come detto, un interesse di fatto ma solo un interesse giuridicamente qualificato, che tragga alimento cioè da una situazione giuridica attiva riconosciuta come tale dall’ordinamento.
4.3. La circostanza che il loro padre aveva costruito l’immobile per destinarlo a loro è questione irrilevante, non essendo stata veicolata questa “volontà” in alcun atto giuridico, non avendo essa assunto alcuna forma esteriore oggettivamente riconoscibile e non essendo stata palesata nemmeno con il consenso espresso alla presentazione delle singole domande.
4.4. In conclusione: a) le ricorrenti non erano legittimate alla presentazione delle domande; b) si è trattato, in ogni caso, di una fraudolenta elusione del limite volumetrico di settecentocinquanta metri cubi che osta alla sanabilità dell’opera nel suo complesso.
5. La violazione del diritto all’abitazione è mal posta, non rilevando a tal fine la circostanza che l’immobile insista in un’area completamente urbanizzata. Le ricorrenti confondono il diritto (personale) all’abitazione con la tutt’affatto diversa questione della persistente violazione degli interessi di natura urbanistica gravanti sull’area di sedime.
5.1. Va allora ricordato che l'ordine di demolizione dell'opera abusiva, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere reale a contenuto ripristinatorio, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell'erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall'ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Curcio, Rv. 265193 - 01; Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 801 del 02/12/2010, dep. 2011, Giustino, Rv. 249129 - 01; Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403 - 01; Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 244612 - 01).
5.2. È stato precisato che: a) l’operatività dell’ordine di demolizione non può essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile, con la sola conseguenza che l'acquirente potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione (Sez. 3. n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175 - 01); b) l'ordine di demolizione del manufatto abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 244612 - 01); c) l’esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito dal giudice a seguito dell'accertata violazione di norme urbanistiche non è esclusa dall'alienazione del manufatto a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo, atteso che l'esistenza del manufatto abusivo continua ad arrecare pregiudizio all’ambiente (Sez. 3, n. 22853 del 29/03/2007, Coluzzi, Rv. 236880 - 01, che ha ribadito che il terzo acquirente dell'immobile potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione; nello stesso senso, Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Cannova, Rv. 277266 - 01).
5.3. Ciò sul rilievo che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito dal giudice ai sensi dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 con la sentenza di condanna per il reato di costruzione abusiva, ha natura amministrativa, tant’è che non si estingue per il decorso del tempo ex art. 173 cod. pen., atteso che quest'ultima disposizione si riferisce esclusivamente alle sole pene principali (così già Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573; più recentemente, nello stesso senso, Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Mercurio, Rv. 250336; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736). Tale orientamento è stato ribadito in considerazione del fatto che le caratteristiche dell'ordine di demolizione escludono la sua riconducibilità anche alla nozione convenzionale di "pena" come elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU (così, Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540; nello stesso senso, Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, Cerra Srl, Rv. 275850 - 02).
5.4. Il Collegio condivide e fa proprie, sul punto, le articolate considerazioni sviluppate, con il supporto di ampia giurisprudenza anche amministrativa, nella motivazione della sentenza Sez. 3, Delorier, cit., non mancando di rimarcare, in questa sede, la decisiva osservazione che l'ordine demolitorio, diversamente dalla pena, oltre che per il decorso del tempo non si estingue nemmeno per morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza (Sez. 3, n. 3861 del 18/1/2011, Baldinucci, Rv. 249317; Sez. 3, n. 3720 del 24/11/1999 - dep. 2000, Barbadoro, Rv. 215601), ma si trasmette, come detto, agli eredi del responsabile (v., ad es., Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 3206 del 30/05/2011) e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (v., ad es., Cons. St., Sez. 4, n.2266 del 12/04/2011; Cons. St., Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008).
5.5. Peraltro, già con sentenza Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti e altri, Rv. 245918, questa Corte, in base alle argomentazioni sviluppate dalla stessa Corte EDU (con le sentenze in essa richiamate), aveva chiaramente affermato che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una “pena” nemmeno ai sensi dell'art. 7 della Convenzione E.D.U., perché essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge. Si osservava, inoltre, che la sentenza, nel mentre ha ritenuto ingiustificata rispetto allo scopo perseguito dalla norma, ossia mettere i terreni interessati in una situazione di conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche, la confisca (anche di terreni non edificati) in assenza di qualsiasi risarcimento, ha invece espressamente ritenuto giustificato e conforme anche alle norme CEDU un ordine di demolizione delle opere abusive incompatibili con le disposizioni degli strumenti urbanistici eventualmente accompagnato da una dichiarazione di inefficacia dei titoli abilitativi illegittimi. La Corte EDU non solo non esclude un sequestro o un ordine di demolizione dell'opera contrastante con le norme urbanistiche nei confronti di chiunque ne sia in possesso, anche qualora si tratti di terzo acquirente estraneo al reato, ma ritiene che una tale sanzione ripristinatoria può considerarsi giustificata rispetto allo scopo perseguito dalle norme interne di assicurare una ordinata programmazione e gestione degli interventi edilizi e non contrastante con le norme della Convenzione.
5.6. Va inoltre ribadito, richiamando quanto sul punto già affermato dalla citata Sez. 3, Delorier, che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, «esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez.3, n. 37906 del 22/5/2012, Mascia ed altro, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511 ed altre prec. conf. Ma si vedano anche Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monterisi, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659)» (così in motivazione), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost., ord. 33 del 18/1/1990; Corte Cost., ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/08/1990, Di Gennaro, Rv. 185699).
5.7. Dunque, l'esecuzione dell'ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell'accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso dall'alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se - come detto - intervenuta anteriormente all'ordine medesimo (Sez. 3, n. 45848 del 2019, Cannova, cit.; Sez. 3, n. 16035 del 2014, cit., Attardi).
5.8. Tali considerazioni trovano oggi ulteriore conferma nella sentenza della Corte EDU, Sez. 1, n. 35780/18, Longo c/Italia, del 27 agosto 2024, che ha ancora una volta escluso la natura di punizione o pena, ai sensi dell’art. 7, § 1 della Convenzione EDU, dell’ordine di demolizione, aggiungendo che la qualificazione dell'ordine di demolizione come misura riparatoria non comporta alcuna violazione del diritto a un giusto processo, anche se emanato dal giudice penale, né del diritto di proprietà, non potendosi fare affidamento su un immobile abusivo.
6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa delle ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 03/10/2024.