Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3086, del 4 giugno 2013
Urbanistica. Insanabilità permanente degli edifici inseriti in una lottizzazione abusiva

La connotazione dell’insanabilità permanente degli edifici facenti parte di una lottizzazione abusiva, è posta dalla legge a tutela della potestà programmatoria del Comune, e serve ad assicurare l'effettivo controllo del territorio da parte della predetta l'Amministrazione titolare della funzione di pianificazione al fine di garantire nel tempo un’ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibili con le esigenze di finanza pubblica e con il vivere civile. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03086/2013REG.PROV.COLL.

N. 07964/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7964 del 2008, proposto da: 
Misciagna Maria, e Dachille Pasquale rappresentati e difesi dall'avv. Felice Eugenio Lorusso, con domicilio eletto presso Eugenio Felice Lorusso in Roma, via Cola di Rienzo 271;;

contro

Comune di Palo del Colle, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Minunno, con domicilio eletto presso Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza 24;

nei confronti di

Pascazio Francesco, Eredi di Lorusso Giovanni;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE III n. 01697/2007, resa tra le parti, concernente ordine sospensione attività di lottizzazione



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Felice Eugenio Lorusso e Giuseppe Minunno;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Il defunto marito dell’odierna ricorrente Giuseppe Sivilli, tra il dicembre 1985 e marzo 1986 aveva realizzato abusivamente numerosi corpi di fabbrica lungo la strada statale n. 96 nel Comune di Palo del Colle, in zona che era tipizzata dal Piano di Fabbricazione come “E1 “Attività primaria- verde agricolo” e quindi destinata all’agricoltura, all’allevamento, alle industrie estrattive, e depositi di carburante.

Per questo il Sivilli era condannato per il reato di lottizzazione abusiva di cui all’articolo 20, lettera c.) della legge n.47 1985.

Successivamente, tra il 1992 del 2000 il Comune rilasciava diversi provvedimenti di concessione in sanatoria, per cui in conseguenza di tale circostanza, il Giudice dell’esecuzione penale aveva restituito agli appellanti la titolarità dei manufatti confiscati.

Oltre 10 anni dopo, insediatosi il Commissario straordinario a seguito dello scioglimento dell’Amministrazione, il Comune aveva annullato in via di autotutela tutte le concessioni in sanatoria già rilasciate, adducendo a fondamento di tale decisione l’insanabilità per legge dei fabbricati perché facenti parte di una lottizzazione abusiva.

Con il presente gravame la proprietaria dei suoli e l’asserito conduttore agricolo degli stessi terreni, impugnano la sentenza del Tar Puglia cui è stato respinto il ricorso diretto avverso la successiva ordinanza ex art. 30 del d.p.r. n. 380/2001 con cui -- sul presupposto per cui i fabbricati oggetto della concessione in sanatoria facevano parte di una lottizzazione abusiva e quindi non potevano essere sanati -- il responsabile del servizio tecnico comunale:

-- ha ordinato la sospensione della lottizzazione e l’acquisizione al patrimonio comunale delle relative opere con riferimento a capannoni indicati con le lettere T,I, L. M ed una tettoia contrassegnata dalla lettera H. insistenti al catasto al foglio 12 particella 13;

-- ha revocato il precedente parere favorevole di sanatoria del 21 giugno 2004 “… a cagione di un errore personale di interpretazione cartografica…”.

L’appello è affidato alla denuncia di sei profili di gravame relativi alla violazione di principi in materia del buon andamento, autotutela e di governo del territorio di cui alla legge 28 febbraio 1985 n. 47; nonché eccesso di potere per difetto di trasparenza e di imparzialità dell’azione amministrativa; degli articoli 7 e ss. della legge n. 241/1990 e dell’articolo 30, settimo comma del d.p.r. n. 380/2001.

Si è ritualmente costituito in giudizio il Comune di Palo del Colle che ha contestato le affermazioni di parte ricorrente e concluso per il rigetto.

Con memoria conclusiva gli appellanti hanno puntualizzato le proprie argomentazioni.

Chiamata all'udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è inammissibile oltre che infondato.

___ 1.§ E’ in primis inammissibile perché tutte le censure non sono affatto dirette a censurare la sentenza, ma si limitano a riproporre le medesime doglianze del ricorso introduttivo.

Ai sensi dell'art. 101, c.p.a. l' appello -- atto preordinato non alla semplice revisione della pronuncia del primo giudice, ma alla ripetizione del processo -- infatti deve contenere la contestazione delle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado, e non limitarsi alla mera riproposizione delle argomentazioni già svolte nel ricorso di primo grado.

Nell'attuale sistema di giustizia amministrativa, il giudizio di appello non è un “iudicium novum”, per cui la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso l’enunciazione di specifici motivi diretti ad incrinare il fondamento logico-giuridico della sentenza (cfr. infra multa: Consiglio Stato sez. IV 09 ottobre 2010 n. 7384; idem sez. IV 27 Dicembre 2011 n.6863; idem sez. IV 13 Luglio 2011 n.4240; idem sez. V 30 novembre 2012 n. 6116; idem sez. III 13 settembre 2012 n. 4877; idem sez. V 06 settembre 2012 n. 4717; idem sez. VI 15 maggio 2012 n. 2772).

Di qui l’inammissibilità dei motivi di cui sopra.

___ 2.§ Si deve ricordare che la Sezione, nella medesima Camera di consiglio, ha respinto gli altri gravami proposti sulla medesima vicenda dalla ricorrente Misciagna, concludendo per la legittimità degli annullamenti in autotutela delle concessioni in sanatoria, le quali costituivano l’immediato presupposto logico e giuridico dei provvedimenti per cui è causa.

Per ragioni di giustizia sostanziale si deve anche rilevare che l’appello risulta comunque infondato.

___ 2.1. Gli appellanti, con una prima rubrica, deducono l’erroneità delle motivazioni del provvedimento ex art. 30 del D.P.R. n. 280/2001: i provvedimenti del Giudice dell’Esecuzione penale del Tribunale di Bari ord. del 6 giugno 2002 e del 27 gennaio 2003 che avevano disposto la restituzione, costituirebbero un “giudicato penale” idoneo a fare stato quanto all’accertamento della non-sussistenza nella fattispecie di lottizzazione abusiva.

Tutti i manufatti sarebbero dunque stati regolarmente assentiti dall’amministrazione per cui la realizzazione nel tempo da parte dei diversi fabbricati abusivi non sarebbe stata idonea ad accertare la sussistenza di una lottizzazione abusiva dato che essi non sarebbero stati in grado di stravolgere l’assetto del territorio condizionando la riserva pubblica di programmazione territoriale. I manufatti occuperebbero una superficie minima dei terreni e comunque l’area sarebbe stata interessata da altri numerosi immobili destinati all’attività artigianali e commerciali, su aree che avevano di fatto ricevuto da parte dell’autorità comunale una destinazione artigianale industriale.

L’assunto va respinto .

L’ordinanza del Giudice dell’esecuzione del tribunale di Bari nelle ordinanze di restituzione dei beni confiscati e di cancellazione della trascrizione della confisca nei confronti del Comune di Palo del Colle, non aveva un carattere propriamente decisorio, ma era stata emanata solamente in conseguenza del rilascio della concessione in sanatoria, per cui il venir meno in autotutela della stessa faceva venir meno il relativo loro presupposto.

In ogni caso non potevano formare “giudicato penale” idoneo a far stato tra le parti ed a precludere i provvedimenti di autotutela.

La motivazione degli atti impugnati in primo grado è congrua ed logica, anche solo con riferimento all’indubbia sussistenza di una lottizzazione abusiva, la quale nel caso di specie è stata ampiamente documentata nelle relazioni della Polizia Municipale del 24.6.2002 e del 6.7.2004, che ricostruivano la realizzazione progressiva tra il 1985 ed il 2002 di ben 15 fabbricati artigianali oltre ad un piazzale di 8000 mt., recinzioni, muri di cinta, strada ecc., la cui valutazione complessiva era tale da rendere evidente l’insuscettibilità delle opere di essere oggetto della sanatoria.

La connotazione dell’insanabilità permanente della lottizzazione è posta dalla legge a tutela della potestà programmatoria del Comune e serve ad assicurare l'effettivo controllo del territorio da parte della predetta l'Amministrazione titolare della funzione di pianificazione al fine di garantire nel tempo un’ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibili con le esigenze di finanza pubblica e con il vivere civile (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 07 giugno 2012 n. 3381).

In relazione alla totale abusività della loro realizzazione non è poi vero che i capannoni sarebbero stati sostanzialmente legittimi, perché avrebbero rispettato gli indici ed i parametri di riferimento della Zona di interventi introdotti, successivamente agli abusi, con le varianti al Regolamento edilizio di cui alla delibera del consiglio comunale n. 132/75 e n. 15/1989 con cui la stessa amministrazione aveva elevato l’indice di fabbricabilità per realizzare “capannoni e manufatti connessi con l’agricoltura” .

A parte che non è stata fornita (nemmeno in questa sede) alcuna prova dell’assunto per cui i capannoni avrebbero realmente rispettato i nuovi indici di fabbricabilità, la notevole entità lottizzatoria degli abusi precedentemente realizzati faceva sì che la successiva modifica dell’indice fondiario risultasse essere una sopravvenienza giuridicamente irrilevante.

Gli appellanti peraltro non forniscono neanche riscontri della destinazione ad attività connessi con l’agricoltura delle costruzioni: al contrario, salvo forse per un frantoio e una vendita trattori, per tutti gli altri casi si tratta di utilizzi a fini artigianali e/o commerciali del tutto differenti (es. ditta di trasporti, officina di un fabbro, una tipografia, gabinetto fotografico, ditta di produzione di sacchi in PVC, negozio di divani, e di strumenti musicali, ecc.: cfr. allegato alla nota della Polizia Municipale del 6.7.2004).

Per questo, è infondata sia l’affermazione per cui nel caso non vi sarebbe stato alcuno stravolgimento del territorio in quanto i manufatti occuperebbero superficie minima dei relativi lotti e sia che il complesso degli interventi abusivi sarebbe stato compatibile con la regolamentazione prevista in zona agricola.

L’esame “ictu oculi” della cartina allegata al provvedimento, ed il riscontro con le mappe satellitari statunitensi, generalmente accessibili a tutti via web, dimostrano invece che vi è stata una pesante “trasformazione urbanistico edilizia dei terreni in totale spregio alle prescrizioni urbanistiche”.

Del tutto inconferente sul piano giuridico è poi l’affermazione per cui la lottizzazione abusiva sarebbe immediatamente adiacenti ad una zona che “di fatto” avrebbe già avuto la qualificazione artigianale - industriale come provato dall’apposizione dei cartelli di “Zona industriale”.

Al contrario in sede di P.U.G. (Piano Urbanistico Generale) il Comune aveva tipizzata l’area come “D4 strutture produttive non autorizzate” ed all’art. 51 delle N.T.A. aveva previsto che, in caso di contenzioso sfavorevole agli abusivisti, l’area D4 sarebbe ex sé stata “riclassificata con la normativa indicata nelle presenti Norme per le Zone agricole di tipo E1” (come risulta meglio evidente in sede rigetto dell’appello n. 7966/2008 dei medesimi appellanti, avverso il relativo provvedimento).

Le asserite zonizzazioni “di fatto” dell’area non possono poi assumono alcun rilievo legale.

Privi di effetti ai fini della pretesa illegittimità degli atti di autotutela appaiono poi i rilievi per cui, al momento del rilascio delle sanatorie, il comune sarebbe stato ben consapevole della circostanza che nella zona erano stati realizzati altri manufatti e della condanna del dante causa di ricorrenti per reato di lottizzazione abusiva. Al riguardo se è vero che i provvedimenti di autotutela erano stati originati da comportamenti illeciti di alcuni impiegati del Comune in pregio alla legge ed alle sentenze del giudice penale è altrettanto vero che, con l’arrivo del Commissario Straordinario, gli appellanti avevano probabilmente perso quelle aderenze e quelle vischiosità che nel periodo delle sanatorie avevano determinato la supina adesione del Comune a tutte le relative istanze.

___2.2. Parimenti inconsistente è il secondo motivo con cui si lamenta che l’Amministrazione aveva assentito altre concessioni in sanatoria per attività agricole/produttive sulle aree adiacenti, per cui con disparità di trattamento ed il Comune avrebbe trattato differentemente le medesime situazioni.

Inoltre nel PUG sopravvenuto si sarebbe definitivamente impresso all’area destinazioni del tutto “omogenee” a quelle dei terreni della ricorrente Misciagna. Erroneamente il TAR avrebbe perciò affermato la natura vincolata dell’attività di repressione degli abusi edilizi.

Come dimostrerebbe il rigetto del Piano di recupero richiesto dai ricorrenti, il Comune avrebbe in sostanza intenzionalmente agito con un atteggiamento ostile nei riguardi dei soli appellanti del tutto contraddittorio mentre sarebbe stato tollerante con altri.

L’assunto va respinto.

Nel caso di edifici abusivamente insistenti nella medesima zona che sarebbero stati condonati nonostante in contrasto con un preciso e inderogabile divieto, l’eventuale illegittimità del condono non può essere invocata per sostenere l'illegittimità del successivo corretto esercizio del medesimo potere (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 27 marzo 2012 n. 1813; Consiglio Stato sez. IV 15 settembre 1998 n. 1163; Consiglio Stato sez. IV 07 aprile 2008 n. 1482).

Qui non risulta affatto dimostrata l'assoluta identità di situazioni denunciate in quanto anche la prossimità di un’area ad un’altra non esclude una differente zonizzazione urbanistica tra due zone confinanti.

La prossimità di un abuso ad una zona ove sono consentiti insediamenti di analoga natura non costituisce affatto elemento di legittimità dello stesso.

___2.3. Per ragioni di economia espositiva possono essere esaminati congiuntamente il terzo ed il quarto motivo.

___2.3.1 Con la terza rubrica si lamenta la violazione dell’art. 7 della L. n.241/1990 per l’omissione di una comunicazione di avvio del procedimento, specifica di lottizzazione abusiva. A tal fine non sarebbe stata utile la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento delle concessioni in sanatoria che sarebbe stato un procedimento autonomo e distinto da quello di cui all’articolo 30 del d.p.r. 380/2001. La comunicazione andava effettuata per tutti procedimenti destinati a sfociare in provvedimenti diversi.

___ 2.3.2. Con la quarta rubrica si lamenta che la comunicazione di avvio del procedimento, nonché il definitivo provvedimento di annullamento non sarebbero stati notificati alla sig.ra Maria Misciagna né quale comproprietaria con il marito dei beni oggetto di causa, e né in qualità di contitolare della concessione edilizia annullata, ma solo in qualità di erede avente causa di Giuseppe Sivilli, è dunque soltanto in relazione al 50% della proprietà. Inoltre non sarebbe stata notificata agli altri eredi.

___ 2.3.3. Entrambe le censure vanno respinte.

L'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale alle esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del soggetto nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere, in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento.

Come la Sezione ha più volte avuto modi di sottolineare, le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente. Pertanto quando l'interessato sia venuto a conoscenza dell'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti, si deve dare prevalenza ai principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa. Quello che rileva procedimentalmente è che la comunicazione di avvio di cui all’art. 7, L. 7 agosto 1990 n. 241 vi sia stata concretamente effettuata al destinatario (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 16 Mar 2012 n. 1497; Consiglio di Stato sez. IV 18 Aprile 2012 n. 2286 ; Consiglio di Stato sez. IV 17 settembre 2012 n. 4925, Consiglio di Stato sez. IV 15 dicembre 2011 n. 6618; ecc.).

Nel caso in esame la Sig. Maria Misciagna aveva ricevuto l’avviso, ed aveva avuto la possibilità di partecipare al procedimento, sia qualità di erede che di contitolare delle concessioni in sanatoria annullate.

Al riguardo esattamente il TAR annota che l’Amministrazione aveva instaurato con gli interessati un puntuale contraddittorio, nel corso del quale erano state rappresentate tutte le ragioni che evidenziano il contrasto dell’invasivo intervento edilizio con la disciplina urbanistica dell’area (note dei difensori firmate anche dai ricorrenti del 2.12.2003 e del 24.12.2003 e la risposta del Comune con nota in data 11.3.2004 prot. 18433 - 19509/2003).

In definitiva dunque tale formalità non vizia gli atti impugnati in quanto lo scopo, cui tende la comunicazione di avvio, era stato comunque raggiunto in concreto.

___2.4. Devono poi essere confutati unitariamente il quinto ed il sesto motivo di gravame.

___2.4.1. Con il quinto motivo si assume l’illegittimità del provvedimento perché sarebbe stato violato l’art. 30 del d.p.r. 380/2001 che consentirebbe l’adozione di sanzioni solo immediatamente al primo accertamento. Invece gli atti impugnati farebbero riferimento ad una relazione del Comando vigili urbani del 30 maggio 2002, mentre il primo accertamento in loco da parte della polizia municipale risaliva al lontano 1986.

Illegittimamente il Comune ha poi ritenuto di dover esercitare il potere di quell’articolo 30 del d.p.r. 380/2001 in violazione del principio “nè bis in idem”. La sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale non avrebbe potuto essere applicata, dato che il giudice penale aveva revocato la misura per effetto dei provvedimenti in sanatoria rilasciati dal comune, con ordinanze pienamente efficaci.

___2.4.2. Con il sesto motivo si lamenta la violazione della sequenza procedimentale di cui al cit. art. 30 del d.p.r. n.380 in quanto sarebbe mancato sia l’accertamento che una motivazione.

Inoltre nella specie la nota del responsabile sarebbe stata firmata da un soggetto incompetente quale il responsabile del Servizio Contenzioso non avrebbe integrato i presupposti richiesti dall’articolo 30 del d.p.r. n. 380/2001. L’ordinanza sarebbe anche carente in generale e comunque successivamente alla sentenza erano stati rilasciati in precedenza le concessioni in sanatoria il cui illegittimo annullamento era stato oggetto si separati gravami.

____ 2.4.3. L’assunto, sulla scia di quanto si diceva, va complessivamente respinto.

A parte la ricordata assenza di un termine normativamente imposto per l’autotutela, il riferimento all’applicazione delle sanzioni in prossimità del “primo accertamento” è posta solamente a presidio della tempestività dell’intervento sanzionatorio della P.A. e non è affatto una norma in favore degli abusivisti.

Erroneamente gli appellanti assumono che la sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale di quell’articolo 30 del d.p.r. 380/2001 non avrebbe potuto essere applicata anche in tempi successivi.

Il momento rilevante per l’applicazione dell’articolo 30, 7° co. del d.p.r. 380/2001 era quello in cui in cui erano stati adottati i provvedimenti di auto-annullamento delle concessioni in sanatoria, in conseguenza dei quali si era automaticamente riattualizzato l’interesse pubblico alla rimozione della situazione illegittima.

L’atto di accertamento era dunque procedimentalmente idoneo a giustificare il provvedimento, in quanto risulta ritualmente firmato dal Dirigente competente ed era altresì motivato con le relazioni della Polizia Municipale che individuavano con grande precisione i beni abusivi.

Le motivazioni del Comune nei successivi atti di autotutela dei provvedimenti in sanatoria erano state fondatamente affidate alla riscontrata inesistenza dei presupposti per far luogo alla sanatoria in relazione alla tassatività della disposizione concernente l’insanabilità della pletora di costruzione abusive realizzate.

____ 3.§ In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

Le spese secondo le regole generali di cui all’art. 26 del c.p.a. seguono la soccombenza e sono liquidate a favore del Comune di Palo del Colle in € 5.000,00 oltre ad IVA e CPA a carico degli appellanti in solido.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

___1. Respinge l'appello, come in epigrafe proposto.

___ 2. Condanna gli appellanti in solido al pagamento, a favore del Comune di Palo del Colle, delle spese degli appelli di cui sopra che vengono omnicomprensivamente liquidate in € 5.000,00 oltre ad IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

Oberdan Forlenza, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)