Consiglio di Stato Sez. II n. 8637 del 20/dicembre/2019
Urbanistica.Ordinanza di demolizione e motivazione

Se il decorso del tempo non può incidere sull'ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito attraverso l'adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata: in tale evenienza - infatti - è del tutto congruo che l'ordine di demolizione sia adeguatamente motivato con il mero richiamo al comprovato carattere abusivo dell'intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, per contro applicabili nel diverso ambito dell'autotutela decisoria


Pubblicato il 20/12/2019

N. 08637/2019REG.PROV.COLL.

N. 06506/2011 REG.RIC.

N. 06509/2011 REG.RIC.

N. 06512/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sui seguenti ricorsi in appello:
1) numero di registro generale 6506 del 2011, proposto dal signor Ubaldo Ronchi, con la costituzione in giudizio dei signori Annunziata Pierina Leoncini, Alessandro Ronchi e Roberta Ronchi, quali eredi del signor Ubaldo Ronchi, rappresentati e difesi dagli avvocati Marcello Molé e Luigi Piscitelli, con domicilio eletto presso l’avv. Marcello Molé in Roma, via Nicolò Porpora, 16,

contro

il Comune di Varazze, non costituito in giudizio;


2) numero di registro generale 6509 del 2011, proposto dal signor Ubaldo Ronchi, con la costituzione in giudizio dei signori Annunziata Pierina Leoncini, Alessandro Ronchi e Roberta Ronchi, quali eredi del signor Ubaldo Ronchi, rappresentati e difesi dagli avvocati Marcello Molé e Luigi Piscitelli, con domicilio eletto presso l’avv. Marcello Molé in Roma, via Nicolò Porpora, 16,

contro

il Comune di Varazze, non costituito in giudizio;


3) numero di registro generale 6512 del 2011, proposto dal signor Ubaldo Ronchi, con la costituzione in giudizio dei signori Annunziata Pierina Leoncini, Alessandro Ronchi e Roberta Ronchi, quali eredi del signor Ubaldo Ronchi, rappresentati e difesi dagli avvocati Marcello Molé e Luigi Piscitelli, con domicilio eletto presso l’avv. Marcello Molé in Roma, via Nicolò Porpora, 16,

contro

il Comune di Varazze, non costituito in giudizio;

per la riforma

quanto al ricorso n. 6506 del 2011:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 665/2011, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento di demolizione dell’11 febbraio 1997;

quanto al ricorso n. 6509 del 2011:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 664/2011, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento di demolizione del 2010 e del presupposto diniego di condono del 2003;

quanto al ricorso n. 6512 del 2011:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 668/2011, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento del 7 ottobre 1997 di diniego della domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 5 novembre 2019, il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte appellante l’avvocato Marcello Molè;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

A seguito di un sopralluogo eseguito il 18 gennaio 1997, l’11 febbraio 1997 il Comune di Varazze ingiungeva la demolizione dei manufatti realizzati abusivamente sull’area distinta a catasto al foglio 48, mappale 63, soggetta a vincolo paesaggistico, posto con D.M. 12 novembre 1976, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e, ai sensi della legge 8 agosto 1985, n. 431, in quanto realizzate ad una distanza dalla linea di battigia del mare inferiore ai trecento metri; in particolare si trattava della realizzazione di un manufatto in legno ad uso deposito materiali, un prefabbricato adibito a servizio igienico, un prefabbricato ad uso tinello e angolo cottura di preingresso alla roulotte, realizzati in assenza di titolo edilizio e su area del PRG, F3, “realizzazione di un sistema balneare pubblico” con vincolo decaduto e disciplinata dagli articoli 1 e 2 della legge regionale 10 novembre 1992, n. 30, per cui, nel caso di vincoli decaduti, non erano comunque consentite nuove costruzioni.

Avverso tale provvedimento veniva proposto davanti al Tribunale amministrativo regionale della Liguria il ricorso n. 805 del 1997 formulando i seguenti motivi:

- violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241;

- incompetenza dell’assessore all’adozione del provvedimento di demolizione;

- violazione dell’art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, trattandosi di opere non stabilmente infisse al suolo.

In tale giudizio è stata pronunciata la sospensione cautelare del provvedimento di demolizione con ordinanze del 29 maggio e del 16 ottobre 1997.

Successivamente, il ricorso è stato respinto con la sentenza n. 665 del 22 aprile 2011, sulla base della natura vincolata dei provvedimenti repressivi in materia edilizia e ritenendo sussistente la competenza dell’assessore, in quanto la competenza dei dirigenti sarebbe stata stabilita solo successivamente con l’art. 2 della legge n. 191 del 1998.

Peraltro, il 15 settembre 1997, era stata presentata al Comune istanza di sanatoria, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, respinta dal Comune con provvedimento dell’8 ottobre 1997, sulla base della avvenuta presentazione della domanda successivamente al termine di novanta giorni previsto per la demolizione.

Avverso tale provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria è stato proposto al Tribunale amministrativo regionale della Liguria il ricorso n. 1918 del 1997 formulando i seguenti motivi:

- violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985; difetto dei presupposti, di istruttoria e di motivazione, con cui si contestava la natura decadenziale del termine previsto dall’art. 13 L. n. 47/1985 per la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità; si deduceva, inoltre, che la sospensione cautelare della demolizione avrebbe fatto venire meno il presupposto costituito dal provvedimento di demolizione;

- violazione degli artt. 7 e seguenti della legge n. 241/1990 per la mancata partecipazione al procedimento.

Anche tale ricorso è stato respinto con sentenza n. 668 del 22 aprile 2011, ritenuta la natura perentoria del termine per la presentazione dell’istanza di sanatoria ex art. 13 L. 47/1985 ed escludendo l’applicazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, trattandosi di procedimento ad istanza di parte; il giudice di primo grado ha poi escluso la rilevanza della sospensione cautelare del provvedimento di demolizione, attenendo tale sospensione all’efficacia e alla possibilità di esecuzione della stessa e non alla sua legittimità.

Nel frattempo, peraltro, il 17 luglio 2004 erano state proposte per i tre manufatti tre domande di condono, ai sensi della legge 24 novembre 2003, n. 326, respinte dal Comune con provvedimenti del 2 luglio 2009 (notificati il 17 luglio 2009), sulla base della non ammissibilità del condono per le opere in questione; tali provvedimenti non sono stati impugnati nel termine di sessanta giorni dalla notifica.

A seguito del diniego di condono, ai sensi della legge n. 326 del 2003, il Comune di Varazze ha adottato, a seguito di un nuovo sopralluogo eseguito il 6 febbraio 2010, un nuovo provvedimento di demolizione l’8 aprile 2010, a firma del Dirigente del IV Settore – Area Edilizia Privata, basato sull’intervenuto diniego di condono, relativo ai medesimi manufatti già oggetto del provvedimento di demolizione del 1997: prefabbricato ad uso servizio igienico esterno; prefabbricato in lamiera utilizzato a tinello e angolo cottura collegato con porta interna ad una roulotte; manufatto con struttura in legno ad uso ripostiglio per deposito materiali.

Sia il provvedimento di demolizione dell’8 aprile 2010 che i dinieghi di condono del 2 luglio 2009 sono stati impugnati con ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Liguria n. 553 del 2010, notificato il 15 giugno 2009, chiedendo altresì la rimessione in termini per la impugnazione dei provvedimenti di diniego di condono. Negli atti di gravame è stato ancora dedotto che l’ordine di demolizione del 1997 era stato sospeso dal Tribunale amministrativo in via cautelare e che comunque era pendente il giudizio avverso l’accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985; nonché il difetto di motivazione e la violazione di legge per la mancata indicazione dell’area da acquisire; avverso i dinieghi di condono si è sostenuto che le opere erano state realizzate nel 1982, prima del vincolo paesaggistico derivante dalla approvazione della legge n. 431 del 1985.

Con la sentenza n. 664 del 22 aprile 2011 è stato respinto anche tale ricorso, per la infondatezza delle censure relative alla sospensione della precedente demolizione e alla pendenza del giudizio avverso il diniego di accertamento di conformità, in quanto procedimenti ormai superati dalla presentazione delle domande di condono; è stata esclusa la violazione di legge per difetto di motivazione, essendo il provvedimento di demolizione dell’8 aprile 2010 sufficientemente motivato con il riferimento al diniego di condono e alla natura abusiva delle opere; è stata richiamata la giurisprudenza sulla irrilevanza nel provvedimento di demolizione dell’ indicazione dell’area da acquisire; è stata respinta la domanda di rimessione in termini per l’impugnazione del diniego di condono, dichiarata irricevibile.

Avverso tali sentenze sono stati proposti gli appelli indicati in epigrafe formulando rispettivamente i seguenti motivi di appello:

- avverso la sentenza n. 665 del 2011 sono state riproposte le censure del ricorso di primo grado per la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e la incompetenza dell’Assessore ad adottare il provvedimento di demolizione

- avverso la sentenza n. 668 del 2011 è stata riproposta la censura relativa alla violazione dell’art. 13 delle legge n. 47 del 1985, contestando la natura perentoria del termine per la presentazione della istanza di sanatoria; nonché la censura relativa alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990;

- avverso la sentenza n. 664 del 2011 è stata dedotta la erroneità della sentenza per non avere considerato la sospensione cautelare del provvedimento di demolizione del 1997 e la pendenza del giudizio avverso il diniego di sanatoria del 1997; nonché il difetto di motivazione circa la attualità dell’interesse pubblico alla demolizione in relazione al tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso risalente agli anni ’80; inoltre, la violazione della legge regionale n. 16 del 2008 per la mancata indicazione dell’area da acquisire; infine è stata censurata la violazione dell’art. 37 del codice del processo amministrativo per la mancata rimessione in termini e sono state riproposte le questioni relative alla illegittimità del diniego di condono per la realizzazione delle opere prima della apposizione del vincolo.

A seguito della camera di consiglio del 4 ottobre 2011, con ordinanze cautelari n. 4373 del 2011 e n. 4374 del 2011 sono state sospese rispettivamente le sentenze n. 665 del 2011 e n. 664 del 2011 sulla base della irreparabilità del danno derivante dalla esecuzione delle sentenze.

Con atto depositato in giudizio l’11 aprile 2019 in ognuno dei giudizi si sono costituiti gli eredi del signor Ronchi.

Nella memoria depositata il 4 ottobre 2019 hanno insistito per l’accoglimento dei gravami.

All’udienza pubblica del 5 novembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

La presente vicenda riguarda la realizzazione di opere in assenza di titolo edilizio su una area vincolata, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, con D.M. 12 novembre 1976, sottoposta a vincolo paesaggistico di inedificabilità, ai sensi della legge 8 agosto 1985, n, 431.

Rispetto a tali opere sono intervenuti nel corso degli anni due provvedimenti di demolizione, uno l’11 febbraio 1997, l’altro l’8 aprile 2010; e due richieste di sanatoria, una presentata il 15 settembre 1997, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 28 febbraio 1985; l’altra, in base alla disciplina del condono, ai sensi della legge 24 novembre 2003, n. 326, di conversione del d.l. 30 settembre 2003, n. 269.

La domanda di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, è stata respinta dal Comune, che la ha considerata presentata tardivamente; le domande di condono, ai sensi della legge n. 326 del 2003, sono state respinte, trattandosi di tipologia di opere per cui non è ammessa la sanatoria, ai sensi dell’art. 32, comma 26, della legge n. 326 del 2003.

A seguito dei dinieghi di condono è stato adottato un nuovo ordine di demolizione.

I vari provvedimenti sono stati impugnati con distinti ricorsi secondo quando indicato nella ricostruzione in fatto.

Ritiene il Collegio di dovere procedere alla riunione dei ricorsi, trattandosi di impugnazioni connesse sia soggettivamente che oggettivamente, riguardando le medesime opere edilizie.

In via preliminare, deve essere dichiarata la improcedibilità dell’appello proposto avverso il provvedimento di demolizione del 1997.

In primo luogo, sotto la vigenza dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, la costante giurisprudenza riteneva che la presentazione della domanda di accertamento di conformità, impedisse l’esecuzione dell’ingiunzione, imponendo al Comune il previo esame della domanda di sanatoria, con la necessità, in caso di rigetto della stessa, dell’adozione di una nuova misura demolitoria, con la conseguente improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso proposto avverso la ordinanza di demolizione o della sua inammissibilità in caso di ricorso proposto dopo la presentazione della domanda di sanatoria (Cons. Stato, Sez.VI, 12 novembre 2008, n. 5646; Sez. IV, 12 maggio 2010, n. 2844).

In ogni caso, la giurisprudenza, anche attualmente, è costante nel ritenere che la presentazione della domanda di condono, ai sensi delle leggi speciali di sanatoria, n. 47 del 1985, n. 724 del 1994 e n. 326 del 2003, comporti l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse delle impugnazioni proposte avverso l’ordine di demolizione, venendo meno l’interesse a contestare i pregressi provvedimenti repressivi, in quanto il sopraggiunto provvedimento di diniego del condono comporta il dovere per il Comune di emettere una nuova ordinanza di demolizione con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi (Cons. Stato, Sez. II, 27 settembre 2019, n. 6464; Sez. IV, 21 ottobre 2013, n. 5090 e 16 settembre 2011, n. 5228; Sez. V, 28 luglio 2014, n. 3990 e 23 giugno 2014, n. 3143; Sez.VI, 2 maggio 2018).

Applicando tali consolidati orientamenti giurisprudenziali al caso di specie, ne deriva che non sussiste alcun interesse a contestare il provvedimento di demolizione dell’11 febbraio 1997, avendo questo perso efficacia, al momento della presentazione della istanza di accertamento di conformità il 15 settembre 1997, o comunque delle domande di condono, il 17 luglio 2004.

La lesione alla sfera giuridica della parte appellante, allo stato, deriva, quindi, unicamente dal provvedimento di demolizione dell’8 aprile 2010, successivo ai dinieghi di condono.

Ritiene il Collegio che, anche rispetto al ricorso proposto avverso il provvedimento dell’8 ottobre 1997, di diniego dell’accertamento di conformità, sia venuto meno l’interesse, essendo comunque anch’esso stato superato dalla successiva presentazione della domanda di condono, ai sensi della legge n. 326 del 2003 e dal diniego della stessa.

Il procedimento di condono, infatti, anche nella forma limitata consentita dalla legge n. 326 del 2003, ha, comunque, un ambito più ampio di quello previsto per l’accertamento di conformità, che richiede, appunto, la doppia conformità urbanistica dell’opera da sanare, il cui vizio deve essere dunque costituito solo dalla avvenuta realizzazione in mancanza del titolo edilizio.

I presupposti dei due procedimenti di sanatoria - quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica - sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che il condono edilizio, comporta il superamento della violazione “sostanziale” costituita dalla realizzazione senza titolo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche; l’accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 (e attualmente, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), solo la sanatoria della violazione “formale” dovuta alla realizzazione dell’opera senza preventivo titolo abilitativo ma in conformità agli strumenti urbanistici (Cons. Stato, Sez. IV, 16 giugno 2017, n. 2955; Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6035).

Pertanto la presentazione della domanda di sanatoria, ai sensi della legge n. 326 del 2003, ha fatto comunque venire meno l’interesse alla decisione della impugnazione relativa all’accertamento di conformità avendo questo un ambito più ristretto rispetto alla disciplina di condono.

Nel caso di specie, peraltro, in base a quanto risulta dagli atti di causa (verbale di sopralluogo del l8 gennaio 1997 e provvedimento di demolizione dell’11 febbraio 1997) non sussisteva la conformità urbanistica delle opere, trattandosi di area sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta in base alla legge n. 431 del 1985 – essendo manufatti realizzate nel limite di trecento metri dalla linea del mare - e comunque non essendo consentite nuove costruzioni in base alle norme del PRG e agli articoli art. 1 e 2 della legge regionale n. 30 del 1992, che nelle zone con vincolo decaduto consentivano solo gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e di restauro e di risanamento conservativo, con esclusione quindi delle nuove costruzioni.

Pertanto, la domanda di accertamento di conformità, anche superata la questione della tardività della sua presentazione, non sarebbe stata comunque accoglibile, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, alla data di adozione del provvedimento l’8 ottobre 1997.

In ogni caso, del tutto infondato è il motivo di appello relativo alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, in quanto per costante giurisprudenza, la comunicazione di avvio non si applica ai procedimenti ad istanza di parte (Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2016, n. 4508; id, 5 febbraio 2015, n. 554). Inoltre, la costante giurisprudenza di questo Consiglio esclude la comunicazione di avvio del procedimento per i procedimenti finalizzati alla sanatoria degli abusi edilizi, in quanto avviati su istanza di parte (Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2012, n. 3969; id.,18 settembre 2012, n. 4945; id., 5 maggio 2017, n. 2065).

Né, nel caso di specie, era dovuta la comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, successivamente alla data di adozione del provvedimento l’8 ottobre 1997.

L’appello proposto avverso la sentenza n. 668 del 2011 deve, dunque, comunque ritenersi infondato.

Deve, quindi, procedersi all’esame dell’appello proposto avverso la sentenza n. 664 del 2011, che ha respinto il ricorso proposto avverso l’ordine di demolizione dell’8 aprile 2010 e dichiarato la tardività delle censure proposte avverso il diniego di condono.

Anche tale appello è infondato.

In primo luogo, è evidente l’assoluta irrilevanza nella presente vicenda della avvenuta pronuncia della ordinanza cautelare nel giudizio R.G. n. 1918 del 1997 proposto al Tribunale amministrativo regionale della Liguria avverso il provvedimento di demolizione dell’11 febbraio 1997.

Come sopra evidenziato, la precedente ordinanza di demolizione dell’11 febbraio 1997 aveva addirittura perso efficacia, non potendo più essere legittimamente eseguita dall’Amministrazione, già con la presentazione della domanda di accertamento di conformità e in ogni caso con la presentazione delle domande di condono.

Il provvedimento di demolizione adottato l’8 aprile 2010, a seguito del diniego di condono, è, quindi, del tutto autonomo da quello del 1997 e basato su autonomi presupposti.

Con ulteriore motivo di appello, si sostiene il difetto di motivazione del provvedimento di demolizione, in relazione al tempo trascorso dall’abuso; sul punto, la giurisprudenza è ormai consolidata, a partire dall’Adunanza plenaria n. 9 del 2017 nel ritenere la irrilevanza del tempo trascorso rispetto alla legittimità dell’ordine di demolizione.

Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e mai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, che impongono la rimozione dell’abuso (Adunanza plenaria n. 9 del 2017; Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2019, n. 5121).

Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata: in tale evenienza - infatti - è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato con il mero richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, per contro applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria (Cons. Stato, Sez. II, 13 giugno 2019, n. 3969).

Nel caso di specie, quindi, il provvedimento di demolizione dell’8 aprile 2010 si deve ritenere sufficientemente motivato con il richiamo agli intervenuti dinieghi di condono e, pertanto, alla natura abusiva delle opere realizzate.

Con ulteriore motivo di appello viene riproposta la censura del ricorso di primo grado relativa alla illegittimità del provvedimento di demolizione per la mancata indicazione dell’area da acquisire.

Ritiene il Collegio di aderire alla costante giurisprudenza per cui la indicazione dell’area da acquisire non costituisce un elemento di legittimità del provvedimento di demolizione, mentre tale indicazione deve essere necessariamente contenuta solo nel successivo atto di acquisizione. Nell’ingiunzione di demolizione di una costruzione abusiva è necessaria e sufficiente l’analitica descrizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, ogni altra indicazione esulando dal contenuto tipico del provvedimento, non occorrendo in particolare anche la descrizione precisa della superficie occupata e dell’area di sedime che dovrebbe essere confiscata in caso di mancata spontanea esecuzione, elementi che , invece, sono necessariamente afferenti alla successiva ordinanza di gratuita acquisizione al patrimonio comunale (Cons. Stato, Sez. IV, 11 dicembre 2017, n. 5788; Sez. V, 7 luglio 2014, n. 3438).

Anche tale motivo di appello è dunque infondato.

Ritiene, poi, il Collegio di esaminare nel merito anche i motivi di appello relativi alla legittimità dei provvedimenti di diniego di condono del 2 luglio 2009, pur impugnati tardivamente solo unitamente al provvedimento di demolizione dell’8 aprile 2010, in relazione alla manifesta infondatezza degli stessi, prescindendo, quindi, dal formale esame della domanda di remissione in termini.

Come è noto, ai sensi dell’art. 32, comma 26, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, “sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47”.

Da tale previsione normativa deriva che per quanto riguarda il cd. terzo condono, il suo oggetto sia circoscritto nelle aree vincolate solo alle tipologie 4, 5, 6 indicate nell’allegato A della legge (opere di restauro e risanamento conservativo e opere di manutenzione straordinaria realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume).

La sussistenza del vincolo impedisce, quindi, anche in astratto la possibilità del condono in caso di nuove costruzioni realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e in caso di ristrutturazione edilizia (tipologie 1, 2, 3).

In base alla legge n. 326 del 2003, quindi, il condono edilizio di opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato; ciò anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Non possono, dunque, essere sanate quelle opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa (Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2016, n. 1664; id., 17 marzo 2016, n. 1898; id., 2 agosto 2016, n. 3487; Sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; id., 27 aprile 2017, n. 1935; id., 16 agosto 2017, n. 4007).

Nel caso di specie, sono, quindi, irrilevanti le argomentazioni dell’appellante relative alla realizzazione delle opere prima dell’apposizione del vincolo di inedificabilità, ai sensi della legge n. 431 del 1985.

In primo luogo, l’area era già interessata da un vincolo paesaggistico, ai sensi della legge n. 1497 del 1939 posto con D.M. 12 novembre 1976, prima, quindi, della realizzazione delle opere, che nelle domande di condono vengono indicate come realizzate nel 1982.

In ogni caso, la presenza del vincolo, come correttamente ritenuto dal Comune nei provvedimenti di diniego, impedisce l’ammissibilità del condono per le nuove costruzioni.

I dinieghi di condono sono quindi legittimi e non necessitavano di alcuna ulteriore specifica motivazione, trattandosi di domanda di condono presentata per opere di tipologia 1, per cui la legge n. 326 del 2003 non ammetteva il condono nelle aree vincolate.

La motivazione del provvedimento dava quindi sufficientemente conto delle ragioni giuridiche e dei presupposti di fatto dello stesso anche con il solo richiamo alla legge n. 326 del 2003.

In conclusione, l’appello R.G. n. 6506 del 2011 deve essere dichiarato improcedibile per carenza di interesse; gli appelli R.G. n. 6509 del 2011 e 6512 del 2011 devono essere respinti.

In considerazione della mancata costituzione in giudizio del Comune appellato, non si procede alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li riunisce, respinge gli appelli R.G. n. 6509 del 2011 e 6512 del 2011; dichiara improcedibile l’appello R.G. n. 6506 del 2011.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Fulvio Rocco, Consigliere

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Giovanni Orsini, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore