Consiglio di Stato, Sez. VI  n. 735 del 23 febbraio 2015
Urbanistica. Valutazione globale dell'abuso

Ai fini dell'inquadramento di un determinato intervento nelle varie categorie edilizie, l'oggetto della valutazione deve riguardare l'organismo edilizio nella sua globalità e nell'integrazione di tutte le sue parti, tutte le volte che per effetto di vari interventi emerga la novità dell'organismo realizzato rispetto a quello assentito.

 

N. 00735/2016REG.PROV.COLL.

N. 03750/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 3750 del 2015, proposto da
Raffaele Greco, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Greco ed Emilio Paolo Sandulli, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, Via della Frezza, 59;

contro

Comune di Battipaglia, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Lullo, con domicilio eletto presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA -SEZ. STACCATA DI SALERNO -SEZIONE II, n. 1685/2014, resa tra le parti, concernente diniego di sanatoria di opere edilizie;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Battipaglia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del 21 gennaio 2016 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Sandulli e Lullo;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. ;

Ritenuto di poter definire il giudizio con sentenza in forma semplificata con motivazione abbreviata, compatibilmente con le particolarità della controversia;

Premesso in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

Con ricorso e atti di motivi aggiunti il signor Raffaele Greco ha impugnato, davanti al Tribunale amministrativo regionale della Campania –Salerno, anzitutto il provvedimento prot. n. 57596 del 27 agosto 2009, con il quale il dirigente del Settore Governo del Territorio e Ambiente ha respinto l’istanza di condono edilizio presentata dal Greco, nel dicembre del 2004, in relazione al disposto di cui all’art. 32, comma 27, lett. d) del d. l. n. 269 del 2003, convertito con modifiche dalla l. n. 326 del 2003, per avere realizzato, in “totale difformità” dalla concessione edilizia n. 140/2006 dell’8 ottobre 1996, assentita per la realizzazione di una tettoia aperta su tre lati per ricovero attrezzi, un fabbricato per civile abitazione. La sanatoria era stata domandata per il “cambio di destinazione d’uso” da tettoia aperta per ricovero attrezzi a fabbricato per civile abitazione, adibito a residenza del ricorrente e della sua famiglia, con struttura in cemento armato e sovrastante copertura con travi in legno sormontata da tegole di argilla, per una superficie utile di circa 114 mq. e un volume di circa 486 mc. , in località Tufariello (trasformazione avvenuta, stando a quanto si afferma in atti, in data successiva al rilascio della concessione edilizia del 1996 per la pertinenza agricola).

Il Comune, precisato che il fabbricato ricade (in zona E –Agricola e) in area soggetta a vincolo paesaggistico, poiché dichiarata di notevole interesse pubblico giusta d. m. 22 luglio 1968 –dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona costiera di Battipaglia, ha respinto la domanda posto che il terzo condono (quello del 2003) non si applica ai manufatti in contrasto con la vigente disciplina urbanistica, e trova applicazione alle sole tipologie di “abusi minori”, previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo; interventi tra i quali non rientrano quelli che comportano incrementi di superficie e di volume.

L’intervento edilizio compiuto va qualificato, a tutti gli effetti, come “nuova costruzione” in zona vincolata, non conforme alla strumentazione urbanistica vigente e non rientrante nelle tipologie degli “abusi minori”.

Il Greco ha quindi contestato:

-il provvedimento comunale n. 42236 del 31 maggio 2013, d’ingiunzione a demolire il manufatto e a ripristinare lo stato dei luoghi, e

- il diniego di applicazione al caso in esame della disciplina di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, concernente “interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire”.

Con la sentenza impugnata, pronunciata nella resistenza del Comune, il giudice di primo grado ha respinto il ricorso con condanna del ricorrente alle spese.

Il Tar ha osservato, in particolare, per quanto qui più rileva, che:

-la giurisprudenza interpreta l’art. 32, comma 27/d) del d. l. n. 269 del 2003, conv. dalla l. n. 326 del 2003, nel senso che la sanatoria, ivi prevista, delle opere abusive, è consentita soltanto ove ricorrano in modo congiunto le due condizioni date dal fatto che l’opera sia stata realizzata prima dell’imposizione del vincolo paesaggistico e l’intervento edilizio sia conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Nella specie il Comune ha opposto al Greco, tra l’altro, la non conformità dell’opera eseguita rispetto alla strumentazione urbanistica vigente; né sono emersi in giudizio elementi atti a comprovare la conformità dell’opera rispetto alle norme e alle prescrizioni urbanistiche;

-l’intervento oggetto della domanda di sanatoria ha comportato la realizzazione di una vera e propria nuova edificazione, non potendo condividersi l’assunto del ricorrente per cui la chiusura della tettoia e la sua trasformazione in abitazione civile costituirebbero un semplice cambio di destinazione d’uso: si tratta invece di un manufatto nuovo, distinto e autonomo rispetto alla tettoia assentita in origine;

-nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico sono suscettibili di sanatoria, in base al su citato art. 32, comma 27/d), soltanto gli abusi c. d. “minori”, vale a dire quelli che abbiano a oggetto attività di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, e per i quali andrebbe in ogni caso richiesta la conformità agli strumenti urbanistici, conclusione questa avvalorata dalla formulazione dell’art. 32, comma 26, del citato d. l. n. 269/2003, norma diretta in modo inequivoco a escludere la possibilità di sanare gli abusi maggiori nelle zone sottoposte a vincolo. L’intervento realizzato dal Greco non è comunque riconducibile alla categoria degli “abusi minori”;

-non occorreva alcun parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, né si poteva formare alcun silenzio assenso sull’istanza di sanatoria presentata dal privato, posto che la soggezione dell’immobile a vincoli, imposti a tutela di particolari interessi e legislativamente qualificati come ostativi alla sanabilità delle opere, determinava di per sè l’inutilità dell’assunzione dei pareri dell’Autorità preposta alla tutela dei vincoli stessi, costituendo, l’assoggettamento a un vincolo istituito prima della realizzazione dell’opera, circostanza preclusiva della sanatoria.

2. Il Greco ha proposto appello deducendo in particolare che: il vincolo paesaggistico imposto sull’area ha natura relativa e non assoluta, sicchè la sanatoria non è preclusa; il Comune ha errato nell’avere ritenuto che l’abuso sia stato eseguito in area soggetta a vincolo paesaggistico assoluto; il contrasto con le norme urbanistiche e con le prescrizioni degli strumenti urbanistici non risulta minimamente specificato nel diniego di sanatoria, dato che non viene individuata la norma regolamentare comunale o comunque la previsione urbanistica che sancirebbe la non conformità dell’abuso –consistente, s’insiste, in un mero cambio di destinazione d’uso da tettoia per ricovero attrezzi a fabbricato per civile abitazione- rispetto alla strumentazione urbanistica vigente. Anzi, si sostiene, in positivo, che l’opera eseguita sarebbe conforme agli strumenti urbanistici e alle prescrizioni urbanistiche comunali che consentivano, e consentono tuttora, la realizzazione in zona agricola di piccoli fabbricati con destinazione abitativa. In particolare, col conforto del parere favorevole della Soprintendenza sarebbe permessa l’edificazione, all’interno di un’area di circa 10.000 mq. complessivi, di almeno un fabbricato a uso residenziale di consistenza sufficiente per consentire l’insediamento di un nucleo familiare; la tettoia destinata a pertinenza agricola risulta regolarmente assentita con concessione edilizia rilasciata nell’ottobre del 1996, e munita del parere favorevole dato dalla Soprintendenza nel luglio del 1996; viene in questione soltanto un cambio di destinazione d’uso da tettoia ad abitazione; non vi è alcun incremento di superficie; sagoma e altezza del manufatto risultano inalterate; istruttoria e motivazione del diniego di sanatoria sono insufficienti; non è vero che sono condonabili solo abusi edilizi minori; la disposizione applicabile alla fattispecie non va individuata nell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, ma nell’art. 33 del decreto medesimo, poiché la trasformazione e il cambio di destinazione d’uso dell’originaria pertinenza agricola in abitazione sono il risultato di un’attività edilizia di ristrutturazione, sicché la misura sanzionatoria applicabile non è la demolizione e la riduzione in pristino ma, non essendo il ripristino dello stato dei luoghi possibile senza compromettere la statica e la sicurezza strutturale della costruzione preesistente, è la sanzione pecuniaria di cui al secondo comma dell’art. 33; manca il “motivato accertamento” di cui al primo periodo del comma 2 dell’art. 33.

L’Amministrazione si è costituita per resistere.

3. L’appello è infondato e va respinto, con le integrazioni e le precisazioni motivazionali che seguiranno.

3.1. In via preliminare va rilevato in punto di fatto che ai fini dell'inquadramento di un determinato intervento nelle varie categorie edilizie, l'oggetto della valutazione deve riguardare l'organismo edilizio nella sua globalità e nell'integrazione di tutte le sue parti, tutte le volte che per effetto di vari interventi emerga la novità dell'organismo realizzato rispetto a quello assentito.

Nel caso in esame, la struttura realizzata in seguito alla concessione edilizia accordata nel 1996 per “tettoia aperta per ricovero attrezzi” si presentava diversa, e in misura assai significativa, anzi, totalmente difforme, rispetto a quanto, appunto, assentito con il titolo edilizio del 1996.

Per effetto dell’intervento in relazione al quale è stata presentata l’istanza di condono nel dicembre del 2004 hanno avuto luogo un incremento sia della superficie, per circa 114 mq. , e sia della volumetria, per circa 486 mc. .

In modo corretto, dunque, nel diniego di sanatoria impugnato in primo grado, si fa riferimento a una “nuova costruzione” non potendosi in modo evidente rientrare nella categoria edilizia della ristrutturazione, ex art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380/2001, anche ai fini dell’applicazione della misura sanzionatoria pecuniaria di cui all’art. 33, comma 2, del decreto stesso.

3.2. In secondo luogo, con riguardo in modo specifico all’ambito di applicazione dell’art. 32, comma 27, lett. d) del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, pare il caso di rammentare che, in base a un orientamento giurisprudenziale ormai stratificato, dal quale questo Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi (v. Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 2015, n. 5315, IV, 17 settembre 2013, n. 4587, 6 luglio 2012, n. 3969, 19 maggio 2010, n. 3074, 10 agosto 2007, n. 4396; v. anche Corte costituzionale n. 290 del 2009, p. 4.), il combinato disposto dell'art. 32 della l. 28 febbraio 1985 n. 47 e dell'art. 32, comma 27, lett. d), del citato d. l. n. 269 del 2003 comporta che un abuso –e, in particolare, un’opera comportante nuova superficie e volumetria, realizzata in area assoggettata a vincolo paesaggistico risalente a data anteriore alla esecuzione dell’opera stessa, e non conforme alla vigente strumentazione urbanistica- commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, sia esso di natura relativa, o assoluta, non può essere condonato quando ricorrono, contemporaneamente:

a) l'imposizione del vincolo di inedificabilità relativa prima della esecuzione delle opere;

b) la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio;

c) la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

L’esclusione dalla sanatoria –come del resto correttamente rileva lo stesso appellante, mediante il richiamo puntuale a diverse sentenze di questo Consiglio di Stato- è cioè subordinata a due condizioni, costituite, a) dal fatto che il vincolo sia stato istituto prima dell'esecuzione delle opere abusive, e b) dal fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Ciò posto, va ribadito che nell’interpretazione della normativa relativa al c. d. “terzo condono edilizio” (cfr. art. 32 del d. l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003),diversamente da quanto sostiene il Greco, si prescinde dalla natura, assoluta o relativa, del vincolo (sulla questione si fa rinvio a C. cost. n. 290 del 2009, p. 4. , cit.); vincolo paesaggistico che nel caso qui in esame risale a un’epoca anteriore alla realizzazione dell’abuso (si tratta, come detto, del d. m. 22 luglio 1968).

Sotto un diverso profilo, però, e si passa così, nella prospettazione dell’appellante, sottolineata anche nel corso della discussione nella camera di consiglio del 21 gennaio 2016, al “punto essenziale della questione”, che riguarda “la verifica della conformità delle opere alla disciplina urbanistica comunale” (si veda il primo motivo d’appello, da pag. 15 dell’atto d’appello), vero è che il contrasto con le norme urbanistiche e con le prescrizioni degli strumenti urbanistici non risulta puntualizzato nel diniego di sanatoria, dato che il provvedimento impugnato in primo grado non individua la norma regolamentare o comunque la prescrizione urbanistica idonea ad avvalorare la non conformità dell’abuso rispetto alla strumentazione urbanistica vigente.

E’ vero cioè che il diniego del 2009 si limita a fare riferimento, in maniera generica e senza alcuna specificazione, a una “nuova costruzione” situata in zona vincolata e “non conforme alla strumentazione urbanistica vigente”.

Tuttavia, rammentato che quando più motivazioni sorreggono autonomamente un provvedimento amministrativo, il venire meno di una di esse non determina l’illegittimità dell’atto se un’altra giustificazione sia in via autonoma idonea a sorreggerlo, va rimarcato che, come in sentenza non si è mancato di osservare, il diniego di sanatoria si fondava anche sul rilievo, di per sé autosufficiente, per cui nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico possono beneficiare della sanatoria edilizia soltanto gli abusi c. d. “minori”, di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 al d. l. n. 269/2003, conv. nella l. n. 326/2003, ossia gli interventi di restauro e di risanamento conservativo, e di manutenzione straordinaria, ma non le fattispecie, come quella in esame, di “nuova costruzione” : conf. Cass. pen. , nn. 14747/2012, 16471/2010, 35322/2007 e 12577/2005.

Da una parte, la circostanza relativa alla condonabilità, in zona vincolata, solo degli abusi minori, risulta puntualmente segnalata nel diniego di condono impugnato in primo grado laddove il Comune afferma che l’intervento compiuto non rientra certamente nelle tipologie degli “abusi minori” trattandosi d’intervento innovativo, con incremento di superficie e di volume, al quale è pertanto preclusa la sanatoria.

E tale circostanza appare idonea di per sé a sorreggere il diniego di sanatoria.

D’altra parte, bene la sentenza appellata ha osservato che “nelle zone vincolate … devono ritenersi condonabili soltanto gli abusi c.d. “minori”, vale a dire quelli che abbiano ad oggetto attività di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, e per i quali sarebbe in ogni caso richiesta la conformità agli strumenti urbanistici. Tale conclusione, infatti, oltre a essere stata ribadita anche dalla giurisprudenza di legittimità … e dalla giurisprudenza amministrativa … risulta avvalorata dalla formulazione testuale dell’art. 32 comma 26 della legge 326 del 2003 ed anche dalla ratio legis della norma, desumibile dal D.L. 269/2003, convertito nella legge n. 326, inequivocabilmente diretta ad escludere la possibilità di sanare gli abusi maggiori nelle zone sottoposte a vincolo…” .

Di qui l’irrilevanza del profilo di censura d’appello incentrato sulla mancata individuazione da parte del Comune della prescrizione regolamentare o urbanistica comunale che “certificherebbe” la non conformità dell’intervento; e l’irrilevanza della puntualizzazione operata, “in positivo”, dall’appellante, per la quale nella zona agricola de qua sarebbe permesso edificare, all’interno di un’area di almeno 10.000 mq. , almeno un fabbricato a uso residenziale avente consistente sufficiente per l’insediamento di un nucleo familiare (puntualizzazione che, peraltro, non trova riscontro negli atti di causa).

Quanto ai rimanenti profili di censura:

-in modo corretto ha trovato applicazione nella specie l’art. 31 (interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire o in totale difformità), e non l’art. 33 (interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità) del d.P.R. n. 380 del 2001;

-l’ingiunzione di demolizione è tutt’altro che immotivata o inficiata da un’istruttoria insufficiente.

In conclusione, l’appello va respinto e la sentenza confermata.

Nelle oggettive singolarità della vicenda trattata, tuttavia, il collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c. , eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente decidendo sul ricorso in appello lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Spese del grado di giudizio compensate.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 21 gennaio e del 18 febbraio 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Francesco Mele, Consigliere

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/02/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)