Consiglio di Stato Sez. IV n. 5204 del 13 novembre 2017
Urbanistica.Valutazione globale delle difformità dal permesso di costruire

Non si può aderire all’impostazione che parcellizza le singole difformità, per concludere che ognuna di esse rappresenta una difformità solo parziale dell’immobile assentito rispetto a quello realizzato. Non ogni difformità tra progettato e realizzato può essere valutata come difformità totale, ma che occorre operare una valutazione complessiva.

Pubblicato il 13/11/2017

N. 05204/2017REG.PROV.COLL.

N. 03810/2011 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3810 del 2011, proposto da:
Maria Antonia Talia, rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Marelli, Giovanni Delucca, con domicilio eletto presso lo studio Maurizio Cecconi in Roma, via Ugo De Carolis, n. 34 B;
Bruno Talia, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Panuccio, Giovanni Delucca, Alessandro Marelli, con domicilio eletto presso lo studio Maurizio Cecconi in Roma, via Ugo De Carolis, n. 34 B;

contro

Francesca Celentano, rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Carnuccio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Ottaviano, n. 32;

nei confronti di

Comune di Samo, in persona del legale Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Gaetano Callipo, con domicilio eletto presso lo studio Alessandro Fusco in Roma, via Crescenzio, n. 58;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA, n. 930/2010, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Francesca Celentano e di Comune di Samo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2017 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati A. Marelli, F. Carnuccio, G. Callipo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, l’odierna appellata invocava l’annullamento del provvedimento del Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Samo dell’8 aprile 2009 (prot. 1268) a mezzo del quale - con riferimento alla statuizione contenuta nella sentenza n. 694/2008 del TAR Calabria, Sez. di Reggio Cal., con la quale si ordinava al Comune di Samo di adottare le misure sanzionatorie previste dalla legge in relazione agli abusi edilizi perpetrati da Talia Bruno e Talia Maria Antonia – era concesso al sig. Talia Bruno “permesso di costruire in sanatoria n. 12” (ai sensi dell’art. 34, comma 2, del DPR 6.6.2001 n. 380).

2. Il giudice di prime cure accoglieva il ricorso, rilevando che lo stesso TAR con sentenza n. 300/2007 aveva ordinato al Comune di Samo di provvedere sulla denuncia di abusi edilizi presentata dallo stesso ricorrente e che con successiva sentenza n. 694/08 veniva annullato il provvedimento dell’amministrazione comunale, che aveva escluso l’applicazione di sanzioni edilizie, ritenendo che non fossero stati consumati abusi edilizi. All’indomani della stessa pronuncia il Comune di Samo adottava provvedimento di concessione in sanatoria ex art. art. 34 d.p.r. 380/01, ritenendo cioè:

- gli interventi eseguiti in parziale difformità dalla concessione edilizia 1/98;

- che le opere eseguite in difformità non possano essere rimosse o demolite senza pregiudizio della restante parte dell’edificio realizzato in conformità alla concessione.

Il primo giudice, però, rilevata la difformità totale dell’edificio realizzato da quello assentito, escludeva la presenza dei presupposti richiesti dal citato art. 34 per adottare il provvedimento impugnato ed annullava il provvedimento impugnato.

3. Avverso la pronuncia citata in epigrafe propone appello l’originario controinteressato, lamentando che:

a) Il TAR avrebbe errato nell’affermare la difformità totale dell’edificio realizzato rispetto al progetto assentito con concessione n. 1/98 in relazione alla differente esecuzione delle seguenti opere edilizie: I) difformità della posizione dei balconi (per altezza e profondità); II) diversa elevazione della falda dell’ultimo piano (tanto che il sottotetto è stato trasformato in piano abitabile con creazione di un ulteriore balcone); III) diversa distanza rispetto alle costruzioni vicine. Ciò in quanto l’immobile in questione manterrebbe intatte le pregresse distanze tra i fabbricati frontistanti, e rispetterebbe il dimensionamento progettualmente assentito.

Il prospetto grafico allegato alla VTU dell’Arch. Massimo, avrebbe evidenziato che il fabbricato dell’appellante, a causa di un errore di esecuzione, sarebbe stato traslato, esteso ed avvicinato, rispetto all’originario progetto, al frontistante fabbricato di proprietà Celentano di circa 30 cm.

Si tratterebbe di un evidente e limitato errore verificatosi in sede di misurazione ed esecuzione dell’intervento edilizio, cui non potrebbe essere attribuita alcuna rilevanza sotto il profilo urbanistico-edilizio, non apportando alcuna consistente modifica plano-volumetrica rispetto al progetto approvato. Ciò determinerebbe solo una parziale difformità rispetto al progetto assentito;

b) Sarebbe erronea l‘affermazione del TAR secondo la quale la variazione dell’inclinazione di porzione della falda del tetto dell’immobile non sarebbe sanabile previa irrogazione della sanzione pecuniaria, ma andrebbe assoggettata a misure repressive perché, in difformità totale al progetto assentito, in quanto tramite tale variazione gli appellanti avrebbero inteso trasformare un sottotetto in un piano abitabile.

In particolare secondo l’appellante l’intervento edilizio in contestazione avrebbe riguardato, unicamente, una limitata parte dell’unità immobiliare posta al terzo piano fuori terra, e precisamente gli ambienti sottostanti la falda del tetto prospiciente la via La Verde. L’attività edilizia censurata atterrebbe alla variazione della falda del tetto prospiciente la via La Verde, senza variazione rispetto al progetto originario degli ambienti interni e senza ampliamento volumetrico rilevante dal punto di vista urbanistico. Sin dall’inizio, infatti, la concessione edilizia n. 1/98 avrebbe assentito non un sottotetto (volume tecnico), ma un piano-mansarda dotato di tutti gli standards qualitativi e strutturali indispensabili ad un eventuale destinazione ad uso abitativo. Inoltre, la comparazione, effettuata in sede di VTU, tra il progetto assentito dal Comune con concessione edilizia n.1/98 ed il rilievo della situazione di fatto esistente ha messo in luce, in modo inconfutabile, che la tale difformità parziale non ha inciso in modo determinante e consistente sull’altezza complessiva della porzione dell’unità immobiliare, né avrebbe comportato la realizzazione di un nuovo e non previsto ultimo piano. Pertanto, in nessun caso potrebbe parlarsi di difformità totale;

c) La presenza di un piano mansardato (terzo p.f.t.) dotato di tutti i requisiti tecnico-costruttivi indispensabili all’abitabilità, (presenti sin dal progetto originariamente assentito), escluderebbe che il terzo piano fuori terra del fabbricato dell’appellante potesse essere qualificato, sin dall’origine, quale sottotetto non abitabile, e smentirebbe l’assunto del Tribunale, secondo cui il successivo intervento edilizio, di variazione dell’altezza della falda del tetto, avrebbe comportato una illegittima realizzazione di un ultimo piano abitabile, trattandosi di opere edilizie, in realtà, ininfluenti sulla originaria destinazione d’uso, ma volte a garantire un miglior uso funzionale dell’unità in questione. Detto intervento edilizio si sarebbe reso indispensabile sia per alcune variazioni apportate riguardanti le dimensioni dei pilastri e lo spostamento di alcune travi portanti; sia per un migliore riassetto funzionale e architettonico del terzo piano f.t.;

d) La l.r. n. 19/2002, consentirebbe mediante presentazione di semplice Dia, il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, mediante trasformazione dei volumi al piano sottotetto, in deroga agli strumenti urbanisti. Pertanto, dovrebbe concludersi che le denunziate difformità non potrebbero, comunque, essere sanzionate con la grave misura dell’ordine di demolizione, ma soltanto con l’applicazione di una sanzione pecuniaria, trattandosi di lavori certamente assentibili ed eseguibili con D.I.A. , secondo le previsioni di cui all’art. 22 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001 e successive modificazioni;

e) Il Tribunale avrebbe erroneamente affermato l’esistenza di una totale difformità in relazione al modesto e lieve ampliamento del balcone al terzo piano fuori terra, trattandosi di difformità parziale anche in ragione della sua modesta entità.

4. Costituitesi in giudizio l’amministrazione comunale e l’originario ricorrente chiedono il rigetto dell’appello.

Quest’ultimo, in particolare evidenzia che la legge regionale Calabria n. 19 del 2002 (art. 49), che prevede il recupero ai fini abitativi dei sottotetti già esistenti, troverebbe applicazione solamente con riferimento ai sottotetti preesistenti ricadenti in Zona A, e non anche a quelli ubicati in Zona B, come nella fattispecie.

Inoltre, gli interventi e le opere edilizie dirette al recupero del sottotetto “devono avvenire senza alcuna modificazione delle linee di colmo e di gronda e senza alterazione delle originarie pendenze delle falde di copertura …”; condizione che non sarebbe stata osservata dagli appellanti. Ciò senza dire che resterebbe violata la disposizione di cui all’art. 9, d.m. 1444/68, poiché non risulterebbe osservata la distanza di 10 mt., poiché l’ultimo piano sarebbe posto alla distanza di soli mt. 4,36 dalla frontistante parete finestrata dell’appellata. Da ultimo, l’appellata ripropone i motivi non esaminati dal primo giudice.

5. Nelle successive difese l’appellante comunica di aver proposto ricorso avverso l’ordinanza di demolizione n. 2 del 9 agosto 2012 alla quale sarebbe seguita altra ordinanza di demolizione n. 1/2014 e di avere gravato anche la revoca della licenza commerciale n. 3/2014, che aveva comportato la chiusura dell’esercizio commerciale ubicato al piano terra dell’immobile in questione. Del pari, l’appellante sostiene che un proprio tecnico di fiducia avrebbe accertato che per un’erronea impostazione da parte del VTU del disegno sarebbe risultato uno spostamento di 30 cm. dell’opera realizzata rispetto a quella progettata. Ulteriore errore nella relazione del VTU riguarderebbe la distanza minima ortogonale tra i due edifici. Lo stesso appellante fa presente che a carico dell’appellata vi sarebbe un procedimento penale pendente per abusi edilizi.

6. Con apposita memoria l’appellata eccepisce la parziale novità dei motivi trattati dall’appellante nella propria memoria specie per ciò che concerne il riferimento alla perizia giurata depositata dall’originario controinteressato. Inoltre, fa presente che la sentenza n. 694/2008 del TAR per la Calabria Sezione staccata di Reggio Calabria, conterebbe l’accertamento fattuale dell’abuso posto in essere dall’appellante, oramai non contestabile perché oggetto di pronuncia passata in giudicato.

7. Preliminarmente, occorre chiarire che il thema decidendi dell’odierno giudizio viene delimitato dal solo atto d’appello ed, eventualmente, in caso di fondatezza dello stesso dai motivi, assorbiti in primo grado, tempestivamente riproposti in seconde cure.

Pertanto, le censure proposte con semplice memoria non possono essere esaminate, in special modo quella che contesta i presunti errori nei quali sarebbe incorso il VTU nel redigere la detta relazione. Deve, infatti, al riguardo rilevarsi che la perizia giurata depositata in seconde cure risulta violativa del cd, divieto dei nova in appello, atteso che trattasi di documento probatorio che ben poteva essere depositato già in prime cure. Inoltre deve rilevarsi come la statuizione contenuta nella sentenza di primo grado relativa allo scostamento rispetto all’elaborato progettuale della realizzazione dell’edificio di 30 cm, non risultando tempestivamente contestata con l’atto di gravame risulta aver acquisito la forza del giudicato e non può essere efficacemente contestata con le successive memorie.

8. L’appello nel merito è infondato e non può essere accolto. Le distinte censure possono essere trattate unitariamente, atteso che tutte sono tese a dimostrare che non sussiste una totale difformità dell’opera realizzata rispetto a quella assentita. Al riguardo, occorre rammentare che Il D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) distingue, ai fini sanzionatori, gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, dagli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la cui disciplina sanzionatoria è recata dall'art. 34. Per i primi, è prescritta la demolizione delle opere abusive; mentre solo per i secondi, la legge prevede la demolizione, a meno che, non potendo avvenite la demolizione senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, debba essere applicata una sanzione pecuniaria (Cons. St., Sez. VI, 8 febbraio 2016, n. 507).

Quanto alla nozione di totale difformità deve convenirsi con quanto affermato dalla Cassazione penale (Cass. pen., Sez. III, 18 giugno 2014, n. 40541), nel senso che si considera in "totale difformità" l'intervento che, sulla base di una comparazione unitaria e sintetica fra l'organismo programmato e quello che è stato realizzato con l'attività costruttiva, risulti integralmente diverso da quello assentito per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche, di utilizzazione o di ubicazione, mentre, invece, in "parziale difformità" l'intervento che, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, all'esito di una valutazione analitica delle singole difformità risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle previste a livello progettuale.

Non si può, quindi, aderire all’impostazione proposta nel presente gravame, che parcellizza le singole difformità, per concludere che ognuna di esse rappresenta una difformità solo parziale dell’immobile assentito rispetto a quello realizzato.

La giurisprudenza di questo Consiglio ha, infatti, chiarito che non ogni difformità tra progettato e realizzato può essere valutata come difformità totale, ma che occorre operare una valutazione complessiva. Nella fattispecie, risultano condivisibili le conclusioni alle quali è giunto il primo giudice, dal momento che: I) l’atto di appello non contesta che il fabbricato dell’appellante, a causa di un errore di esecuzione, sarebbe stato traslato, esteso ed avvicinato, rispetto all’originario progetto, al frontistante fabbricato di proprietà Celentano di circa 30 cm.; II) la variazione dell’inclinazione di porzione della falda non può essere autonomamente valutata ai fini del giudizio di totale difformità dell’opera, né rileva la questione in ordine alla natura di piano mansarda o sottotetto dell’ultimo piano, atteso che anche questa violazione comporta che il detto edificio si presenti con sagoma e volumetria completamente diversa da quella assentita. Del pari, irrilevante sarebbe il richiamo alla disciplina contenuta nella l.r. n. 19/2002, anche in ragione del fatto che la stessa non risulta applicabile nella zona all’interno della quale ricade l’immobile dell’appellante; III) l’ampliamento del balcone al terzo piano fuori terra rappresenta un ulteriore elemento dal quale si desume la complessiva totale difformità dell’immobile realizzato rispetto a quello assentito che impedisce la possibilità di disporre la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria.

9. L’appello in esame deve, quindi, essere respinto. Le spese, che seguono la soccombenza, sono poste a carico dell’appellante e liquidate in favore dell’appellata Francesca Celentano; vanno, invece, compensate tra le altre parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna gli appellanti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge, in favore di Francesca Celentano. Spese compensate tra le altre parti del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Troiano, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore

Carlo Schilardi, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Luigi Massimiliano Tarantino        Paolo Troiano