Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 905, del 13 febbraio 2013
Urbanistica.Altezza minima dei locali adibiti ad abitazione

L’art. 1 comma 1 del d.m. 5 luglio 1975 “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione”, ha fissato l’altezza minima dei locali adibiti ad abitazione, senza alcuna distinzione, in ml. 2,70, consentendo di derogarvi, con altezza minima pari a ml. 2,40, soltanto per “…per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00905/2013REG.PROV.COLL.

N. 00935/2005 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 935 del 2005, proposto da: 
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro-tempore, già rappresentato e difeso dagli avv.ti Edoardo Barone e Giuseppe Tarallo per mandato in calce all’appello, nonché dagli avv.ti Giuseppe Dardo, Anna Pulcini, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Giacomo Pizza, Barbara Accattatis Chalons d’Oranges, Bruno Ricci, A. Ivana Furnari, Gabriele Romano e Eleonora Carpentieri, dell’Avvocatura comunale, e con gli stessi elettivamente domiciliato in Roma, al corso Vittorio Emanuele II, n. 18, presso lo studio Grez & Associati, per mandato a margine di atto di costituzione di nuovi difensori;

contro

Mario Sgambati, rappresentato e difeso dall’avv. Domenico Nuzzo e con questi elettivamente domiciliato in Roma, alla via C. Mirabello n. 26, presso lo studio dell’avv. Pasquale Iannuccilli, per mandato a margine del controricorso;

per la riforma

della sentenza in forma semplificata del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione IV, n. 15559 del 23 dicembre 2003, resa tra le parti, con cui, in accoglimento del ricorso in primo grado n. 4560/1998, è stata annullata l’ordinanza n. 2093 dell’8 gennaio 1998, recante ingiunzione di demolizione di opere edilizie, con compensazione delle spese del giudizio di primo grado



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2013 il Cons. Leonardo Spagnoletti e udito l’avv. Gabriele Pafundi, per delega dell’avv. delega di Bruno Ricci, per il Comune appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Mario Sgambato, proprietario di immobile a uso abitativo in Napoli, alla via Chiaia n. 37 presentava in data 29 maggio 1996 denuncia d’inizio attività per interventi di risanamento conservativo, tra cui la realizzazione di un soppalco ad uso deposito.

Con l’ordinanza n. 2093 dell’8 gennaio 1998 veniva ingiunta la sospensione delle opere e la riduzione in pristino.

Con il ricorso in primo grado n. 4560/1998, l’interessato ha impugnato il provvedimento sanzionatorio, deducendone l’illegittimità per violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere sul rilievo che la realizzazione del soppalco ad uso deposito, di superficie pari ad appena mq. 10, ad altezza di ml. 2,60 dal pavimento e con altezza pari a ml. 2,00 dal solaio di copertura, integrava opera soggetta a semplice d.i.a. ex art. 4 comma 7 della legge n. 493/1993, ed era pienamente conforme al regolamento edilizio comunale.

Con la sentenza in forma semplificata in epigrafe meglio specificata, il ricorso è stato accolto, ritenendo che il manufatto edilizio rientrasse nell’ambito tipologico delle opere interne ex artt. 9 e 26 della legge n. 47/1985, quindi non assoggettato a concessione edilizia ma a denunzia d’inizio di attività ex lege n. 662/1996 e all’art. 38 del R.E.C., e fosse pienamente conforme all’art. 16 del medesimo regolamento edilizio, che ammetteva per i ripostigli altezza interna minima di ml. 2,40 e per i depositi anche inferiore e sino al limite di ml. 1,80.

Con appello notificato il 18 gennaio 2005 e depositato il 3 febbraio 2005, Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro-tempore, ha impugnato la sentenza deducendone l’erroneità, senza rubricazione di motivi, sul rilievo che, in effetti, ai sensi dell’art. 15 del regolamento edilizio l’esecuzione di soppalchi a uso deposito è ammessa solo se l’altezza utile dei locali sottostanti non sia inferiore a quella fissata dalla legge per vani abitativi e vani accessori, come prevista dall’art. 43 comma 2 della legge n. 478/1978, che a sua volta per gli ambienti abitativi fissa altezza minima di ml. 2,70, come già fissata dall’art. 1 del d.m. 5 luglio 1975, come modificato dal d.m. 9 giugno 1999; nel caso di specie mentre il soppalco avrebbe altezza pari a ml. 2,00 -superiore a quella massima consentita di ml. 1,80- il vano cucina sottostante avrebbe altezza pari a ml. 2,60, inferiore a quella minima prescritta; peraltro trattandosi di “nuovo vano” occorreva concessione edilizia.

Costituitosi in giudizio, l’appellato, col controricorso, ha dedotto l’infondatezza dell’appello, evidenziando come all’opera, realizzata nel 1996, in epoca anteriore alla pubblicazione del regolamento edilizio approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 104 del 28 aprile 1998, sia applicabile non già l’art. 15 comma 4 invocato dal Comune appellante, sebbene l’art. 16 del previgente regolamento edilizio, richiamato nella sentenza gravata, che vietava la realizzazione di soppalchi di altezza interna inferiore a ml. 1,80, nonché per gli altri vani, altezza minima di ml. 2,40.

All’udienza pubblica del 12 febbraio 2013 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

L’appello in epigrafe è fondato e deve essere accolto, onde in riforma della sentenza impugnata deve essere rigettato il ricorso proposto in primo grado.

Anche seguendo la prospettazione dell’appellato, secondo la quale, nel caso di specie, doveva trovare applicazione l’art. 16 del regolamento edilizio vigente alla data di presentazione della denuncia d’inizio attività (29 maggio 1996) -con divieto realizzazione di soppalchi con altezze interne inferiori a ml. 1,80 e con altezza interna minima dei vani non inferiore a ml. 2,40-, nondimeno l’art. 43 comma 2 lettera b) della legge 5 agosto 1978, n. 457 (recante “Norme per l'edilizia residenziale”), prescriveva “altezze nette degli ambienti abitativi e dei vani accessori delle abitazioni, misurate tra pavimento e soffitto...non inferiori a metri 2,70 per gli ambienti abitativi, e metri 2,40 per i vani accessori”, ammettendo deroga soltanto per “…eventuali inferiori altezze previste da vigenti regolamenti edilizi”, e quindi salvaguardando soltanto le prescrizioni anteriori alla sua entrata in vigore.

Peraltro, l’art. 1 comma 1 del d.m. 5 luglio 1975 (recante “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione”) ha fissato l’altezza minima dei locali adibiti ad abitazione, senza alcuna distinzione, in ml. 2,70, consentendo di derogarvi, con altezza minima pari a ml. 2,40, soltanto per “…per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli”.

Nel caso di specie è incontestato che l’altezza del vano sottostante il soppalco, a seguito della realizzazione del medesimo, è pari a ml. 2,60 e quindi inferiore a quella minima prescritta pari a ml. 2,70.

Ne consegue che l’intervento edilizio, indipendentemente dal regime autorizzativo (ossia se assoggettato a d.i.a. o a concessione edilizia), non poteva essere comunque realizzato perché in contrasto con disposizioni legislative e regolamentari statali prevalenti sulle disposizioni di regolamento edilizio invocate dall’appellato.

3.) In conclusione l’appello in epigrafe deve essere accolto e in riforma della sentenza gravata deve essere rigettato il ricorso proposto in primo grado.

4.) Sussistono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese e onorari del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione IV) così provvede sull’appello in epigrafe n.r. 935/2005:

1) Accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sezione IV, n. 15559 del 23 dicembre 2003, rigetta il ricorso proposto in primo grado;

2) Dichiara compensate per intero tra le parti le spese e onorari del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente FF

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)