Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4851, del 30 settembre 2013
Urbanistica.Intervento edilizio di restauro e risanamento conservativo

Affinché un intervento edilizio possa essere qualificato come restauro e risanamento conservativo occorre che siano rispettati gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio senza modifiche dell’identità, della struttura e della fisionomia dello stesso, né ampliamento dei volumi e delle superfici , essendo esso diretto alla mera conservazione, mediante consolidamento , ripristino o rinnovo degli elementi costitutivi, dell’organismo edilizio esistente, ed alla restituzione della sua funzionalità. L’aumento di superficie o di volumetria comporta, al contrario, una trasformazione dell’edificio che necessita di permesso di costruire. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 04851/2013REG.PROV.COLL.

N. 02235/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2235 del 2012, proposto da: 
Gian Michele Calvi e Carla Marcella Casati, rappresentati e difesi dagli avv. Stefano Nespor e Maria Stefania Masini, con domicilio eletto presso Studio D'Amelio Sciacca & Associati in Roma, via della Vite, 7;

contro

Comune Di Pavia, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso Giuseppe Franco Ferrari in Roma, via di Ripetta, 142;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 02192/2011, resa tra le parti, concernente illegittimità d.i.a. per realizzazione di opere e risarcimento danni



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune Di Pavia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2013 il Cons. Francesca Quadri e uditi per le parti gli avvocati Maria Stefania Masini e Andrea Reggio d'Aci su delega dell'avvocato Giuseppe Franco Ferrari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso e successivi motivi aggiunti, i ricorrenti hanno impugnato il provvedimento inibitorio in relazione alla dichiarazione di inizio di attività per la realizzazione del restauro del complesso monumentale denominato “ex chiesa della Mostiola e resti di torre romanica” ed il successivo provvedimento confermativo dell’inibizione di attività edilizia oggetto di d.i.a..

A sostegno delle impugnazioni, hanno lamentato violazione delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Pavia, degli articoli 1 e 4 della legge regionale della Lombardia n. 39/2004 ed eccesso di potere sotto vari profili sintomatici, sostenendo che le opere non comporterebbero aumento di superficie, ma sarebbero finalizzate a ripristinare l’originaria struttura dell’edificio, che presenterebbe indizi, sotto il profilo architettonico, dell’esistenza di solai divisori in piani , col tempo andati in rovina, ed un portico chiuso. Hanno inoltre domandato il risarcimento del danno da ritardo ed il ristoro del pregiudizio subito per effetto dell’illegittimità degli atti impugnati.

Il Tar ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti, sul rilievo che gli elementi addotti (originaria esistenza di aperture perimetrali, successivamente chiuse, presenza di ganci nel muro, presenza di travi) non fossero sufficienti a dimostrare le risultanze catastali, poste a base della determinazione del Comune, evidenzianti la presenza del solo piano terreno e dell’apertura del portico, così escludendo la natura dell’intervento edilizio come restauro e risanamento conservativo. Il giudice di primo grado ha altresì escluso che il provvedimento della soprintendenza per i beni archeologici autorizzativo di scavi potesse considerarsi alla stregua di un parere favorevole alla realizzazione delle opere oggetto di d.i.a. ed, infine, ha considerato il muro di confine in contrasto, per le sue dimensioni, con quanto previsto dalle norme urbanistiche comunali. Ha , inoltre, respinto la domanda risarcitoria, compresa quella fondata sul ritardo con cui l’amministrazione avrebbe provveduto a dare esecuzione alla propria ordinanza cautelare.

Hanno proposto appello, per la riforma in parte qua della sentenza, gli interessati, adducendo l’ eccesso di potere giurisdizionale per travisamento dei fatti, illogicità e contraddittorietà manifeste, difetto di istruttoria e di motivazione; violazione per errata interpretazione degli artt. 22 e 23 DPR n. 380/2001 e dell’art. 42 della L.R. n. 12/2005. Il Tar non avrebbe tenuto in debita considerazione tutti gli elementi materiali e visibili a dimostrazione della preesistenza di solai divisori e della chiusura del portico, tra i quali la Relazione storica, dai quali si desumerebbe l’assenza di aumento di volumetria e di superficie, essendo il progetto finalizzato al recupero dell’edificio storico- artistico e alla conservazione della sua funzionalità. Hanno altresì riproposto la domanda di risarcimento del danno sia per il ritardo delle determinazioni del Comune a seguito dell’ordinanza cautelare del primo giudice, sia per il danno morale, sia per il mancato completamento delle opere, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Si è costituito in resistenza il Comune di Pavia, chiedendo la conferma della decisione di primo grado.

In vista dell’udienza di discussione, le parti hanno presentato memorie ed all’udienza del 25 giugno 2013 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Va, preliminarmente, dato atto che l’appello non investe il capo della sentenza riguardante la realizzazione della serra bio-climatica in aderenza al muro di confine, avendovi formalmente rinunciato gli interessati.

2. In relazione agli interventi sui resti della torre romanica e sull’edificio attiguo di proprietà degli appellanti, l’atto inibitorio dell’attività di recupero abitativo ed il successivo provvedimento confermativo, emesso a seguito di ordinanza cautelare del Tar, giudicati legittimi dal Tar, sono motivati principalmente sulla circostanza che l’intervento, prevedendo la realizzazione all’interno della torre di due solai intermedi, il primo posto a circa ml 2,60 di altezza, in appoggio alle fondazioni della torre, il secondo a ml 6,00 di altezza, e la chiusura del portico, comporterebbe un aumento di superficie lorda di pavimento e di volumetria e si configurerebbe come intervento di ampliamento, non consentito ai sensi dell’art 12 e dell’art. 3 par. 1.3 e 4 delle NTA al PRG.

Gli appellanti sostengono l’avvenuta dimostrazione della preesistenza dei solai e della chiusura, documentati dai rilievi fotografici e dalla relazione storica depositata in atti, confortati dall’acquisizione delle autorizzazioni delle competenti soprintendenze, asserendo che il Comune non avrebbe assolto l’onere di dimostrare che l’intervento non potesse connotarsi come restauro conservativo.

3. I motivi, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

4. La pretesa degli appellanti che l’intervento edilizio progettato si configuri in termini di restauro e risanamento conservativo in quanto ripristinatorio dell’antico stato della torre e del portico non può, invero, trovare accoglimento.

Affinché un intervento edilizio possa essere qualificato come restauro e risanamento conservativo occorre che siano rispettati gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio senza modifiche dell’identità, della struttura e della fisionomia dello stesso, né ampliamento dei volumi e delle superfici , essendo esso diretto alla mera conservazione, mediante consolidamento , ripristino o rinnovo degli elementi costitutivi, dell’organismo edilizio esistente, ed alla restituzione della sua funzionalità. L’aumento di superficie o di volumetria comporta, al contrario, una trasformazione dell’edificio che necessita di permesso di costruire (Cons. St. Sez. V, 2.2.2010, n. 431; Sez. IV, 21.5.2004, n. 3295).

Conformi a tali principi sono le norme tecniche di attuazione del P.R.G. del Comune di Pavia, che definiscono come opere di risanamento conservativo quelle finalizzate alla conservazione degli organismi edilizi, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali che li caratterizzano.

Ne consegue che la suddivisione della torre in più piani, con destinazione residenziale, e la chiusura del portico comportano, come in effetti riconosciuto dal Tar, un aumento della superficie utile e di volume, con conseguente esclusione della possibilità di qualificare l’intervento alla stregua di un mero recupero conservativo, soggetto a d.i.a..

Invero, va condiviso quanto affermato dal primo giudice circa l’insufficienza della documentazione allegata alla d.i.a. a dimostrazione della preesistenza dei piani e della chiusura del portico, mentre è da respingere l’argomento con cui gli appellanti sostengono che sarebbe stato onere del Comune dimostrare che l’organismo edilizio non presentasse più piani.

5. Sotto il primo profilo, l’esistenza di ganci in ferro nei muri e di finestre all’interno della torre, risultanti dalla documentazione fotografica, non può considerarsi alla stregua di documentazione di resti di solai orizzontali, mentre la ricostruzione operata nella relazione storica allegata alla d.i.a., secondo cui vi sarebbero stati un piano superiore all’interno della torre e l’occlusione delle arcate del loggiato del chiostro, non corrisponde ad un’attestazione tecnica, ma costituisce un’ ipotesi ricostruttiva sulla preesistenza di strutture integralmente distrutte.

Trattasi, dunque, di elementi - rispetto ai quali non assume decisiva rilevanza l’ulteriore presenza di un pianerottolo, di cardini e di alcune travi – soggetti, come riconosciuto dagli stessi appellanti, ad una valutazione tecnico - discrezionale sulle vestigia e sulle parti di esse soggette all’intervento da parte dell’amministrazione comunale , che , salvo il caso di evidente incoerenza od irragionevolezza o arbitrio o chiaro travisamento dei fatti ictu oculi rilevabile – nella specie non risultante – è sottratta al sindacato del giudice amministrativo (ex multis, Cons. St.. Sez. III, 14.6.2013, n. 3321; Sez. VI, 12.4.2013, n. 2004).

Peraltro, i pareri della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Comune di Milano e della Soprintendenza per i beni archeologici allegati alla d.i.a. attestano, rispettivamente, la compatibilità dell’intervento con le esigenze di tutela del complesso architettonico sottoposto a vincolo e la necessità di un’indagine archeologica preventiva, mentre non si pronunziano – essendo tale profilo di competenza esclusiva comunale – circa gli aspetti urbanistico – edilizi dell’intervento, in particolare circa l’ampliamento della superficie utile dell’immobile discendente dal progetto.

6. Sotto il secondo profilo, assumono rilievo ai fini della completezza della valutazione compiuta dal Comune - sul quale non incombe la prova contraria sulla consistenza dell’immobile in epoca remota, ma solo l’obbligo di motivazione completa ed esaustiva del provvedimento inibitorio - le risultanze catastali, dalle quali emerge l’esistenza di un unico piano terreno, circostanza non idoneamente smentita dalla documentazione esibita dai ricorrenti, sulla cui insufficienza si sostanzia la determinazione comunale.

7. Considerazioni non dissimili valgono anche per la presunta originaria chiusura del portico che, in mancanza di elementi dimostrativi, è stata dal Comune considerata alla stregua di un aumento di volumetria.

8. Dall’infondatezza dell’appello in ordine alla legittimità dei provvedimenti impugnati discende anche la conferma della sentenza di primo grado nella parte in cui è rigettata la domanda di risarcimento del danno.

Nessun pregiudizio, invero, può essere lamentato in carenza di accertamento della spettanza del bene della vita, nella specie consistente nella realizzazione dei progettati interventi edilizi attraverso la denuncia di inizio di attività in luogo del permesso di costruire, non essendo neanche risarcibile il danno da ritardo provvedi mentale c.d. mero (Cons. St. Sez. V, 3.5.2012, n. 2535; Sez. IV, 4.5.2011, n. 2675).

9. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

10. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.



P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l 'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado.

Condanna gli appellanti alla rifusione in favore del Comune di Pavia delle spese di giudizio, liquidate in euro 3.000,00 (tremila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

Marzio Branca, Presidente FF

Fabio Taormina, Consigliere

Francesca Quadri, Consigliere, Estensore

Umberto Realfonzo, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)