Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2254, del 23 aprile 2013
Urbanistica.La destinazione di PRG a “verde pubblico attrezzato” ha di regola natura conformativa

La destinazione “verde pubblico attrezzato” ha di regola natura conformativa, dovendo però verificarsi caso per caso, alla stregua della concreta disciplina urbanistica posta dallo strumento generale, se questa comporti la preclusione pressoché totale di ogni attività edilizia, con conseguente svuotamento sostanziale del diritto di proprietà: solo in tale ultima ipotesi potendosene ritenere il carattere espropriativo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)



N. 02254/2013REG.PROV.COLL.

N. 02070/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 2070 del 2005, proposto dal signor Antonio LANZILOTTO, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Orlandini, con domicilio eletto presso l’avv. Giovanni Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento, 11,

contro

- il COMUNE DI SANTA CESAREA TERME, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Gabriella De Giorgi Cezzi, con domicilio eletto presso l’avv. Marco Gardin in Roma, via L. Mantegazza, 24; 
- i signori Salvatore GRECO, Cleonice DE PASCALIS, Maria Rita GUACCI e Annamaria GUACCI, non costituiti;

per la riforma,

previa sospensione dell’efficacia esecutiva,

della sentenza nr. 8394/04 del T.A.R. della Puglia, Sezione di Lecce, depositata il 2 dicembre 2004 e notificata il 22 dicembre 2004, con cui è stato respinto il ricorso nr. 3013/02 proposto dal signor Antonio Lanzilotto per l’annullamento del provvedimento nr. 3312 del 18 luglio 2002, con il quale il responsabile del servizio presso l’U.T.C. di Santa Cesarea Terme ha respinto l’istanza di concessione edilizia presentata dal signor Lanzilotto in data 28 maggio 2002, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale e, in particolare, dell’art. 33 delle N.T.A. del P.R.G. e per il risarcimento dei conseguenti danni.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Cesarea Terme;

Vista la memoria prodotta dall’appellante in data 16 gennaio 2013 a sostegno delle proprie difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2013, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Adriano Tolomeo, su delega dell’avv. Orlandini, per l’appellante e l’avv. De Giorgi Cezzi per il Comune;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Il signor Antonio Lanzilotto ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale la Sezione di Lecce del T.A.R. della Puglia ha respinto il ricorso da lui proposto avverso il diniego opposto dal Comune di Santa Cesarea Terme ad un’istanza di concessione edilizia intesa alla realizzazione di una villetta unifamiliare su un suolo di sua proprietà.

A sostegno dell’appello, egli ha dedotto l’erroneità della predetta sentenza:

- laddove ha ritenuto ancora operante sull’area in questione la destinazione a “verde pubblico attrezzato” impressa da un previgente Piano particolareggiato, ormai scaduto per decorso del termine decennale di durata, assumendo che detta destinazione sarebbe stata “recepita” nel vigente P.R.G. comunale;

- laddove ha escluso, in ogni caso, che detta destinazione fosse decaduta per decorso del termine quinquennale di durata del vincolo, assumendo la natura conformativa e non espropriativa di quest’ultimo;

- laddove ha omesso di esaminare, conseguentemente, la questione se l’intervenuta decadenza del vincolo comportasse o meno, come ritenuto dal Comune, l’assoggettamento dell’area alla disciplina delle “zone bianche” di cui all’art. 4 della legge 28 gennaio 1977, nr. 10;

- laddove ha altresì omesso di pronunciarsi sulla domanda afferente all’inerzia serbata dall’Amministrazione a fronte della richiesta di riqualificazione dell’area interessata dal vincolo decaduto.

Si è costituito il Comune di Santa Cesarea Terme, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso originario per difetto di interesse, e nel merito argomentando nel senso dell’infondatezza del gravame e chiedendone la reiezione.

Alla camera di consiglio del 26 aprile 2005, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.

All’udienza del 19 febbraio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’odierno appellante, signor Antonio Lanzilotto, è proprietario di un suolo sito nel territorio del Comune di Santa Cesarea Terme, già tipizzato a “verde pubblico attrezzato” nel Piano particolareggiato approvato con delibera di Giunta Regionale nr. 13588 del 23 dicembre 1982, di poi inserito nel comparto 9S del vigente P.R.G. comunale, con destinazione a zona B3 di completamento a carattere residenziale e disciplina edificatoria posta dall’art. 33 delle N.T.A., che rinviava al pregresso P.P.

Nel maggio del 2002, sul presupposto dell’ormai intervenuta scadenza dei vincoli insistenti sul suolo de quo, il sig. Lanzilotto ha presentato istanza di concessione edilizia per la realizzazione di un villino unifamiliare con un piano fuori terra ed un piano parzialmente interrato, che è stata però respinta sul rilievo dell’incompatibilità dell’intervento con la destinazione a verde pubblico attrezzato.

Avverso tale diniego l’istante ha proposto ricorso giurisdizionale, che il T.A.R. della Puglia ha però respinto con la sentenza oggetto dell’impugnazione oggi all’esame della Sezione.

2. In via preliminare, occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse sollevata dall’Amministrazione comunale, che non appare meritevole di positiva delibazione.

In estrema sintesi si assume che, avendo i proprietari delle aree ricomprese nel comparto edificato senza ottemperare all’obbligo di cedere al Comune le aree necessarie per le urbanizzazioni primarie, il suolo in proprietà del ricorrente sarebbe divenuto privo di ogni potenzialità edificatoria, essendo stato esaurito l’indice di edificabilità previsto dagli strumenti urbanistici vigenti (e non potendo tenersi conto, ai fini del computo della volumetria edificabile, dei suoli che – appunto – avrebbero dovuto essere ceduti al Comune per le urbanizzazioni).

Sul punto, al di là della carenza di idonea dimostrazione dell’assunto di fatto su cui si fonda l’eccezione, è agevole rilevare che, se le cose stessero come oggi sostiene il Comune, non si comprende perché non fosse stata questa la motivazione a base del diniego di concessione edilizia, anziché il rilievo del puro e semplice contrasto con la vigente disciplina urbanistica (e, anzi, a ben vedere attraverso l’eccezione de qua si tende proprio a introdurre un ulteriore argomento a sostegno del diniego censurato, in violazione del divieto di integrazione “postuma” del provvedimento impugnato).

Inoltre, sul piano processuale va ribadito che la legittimazione ad causam e il relativo interesse trovano fondamento nella semplice qualità di proprietario del suolo (circostanza su cui non c’è contestazione), nonché sulla lesività del provvedimento di diniego impugnato quale desumibile dalle ragioni che l’Amministrazione ha posto a base del diniego medesimo: ragioni fra le quali, come detto, non vi era quella dell’ormai intervenuto esaurimento della suscettività edificatoria del suolo.

3. Nel merito, l’appello è comunque infondato e va conseguentemente respinto.

4. Per una corretta ricostruzione della disciplina urbanistica dell’area, che costituisce la questione centrale del presente giudizio, conviene muovere dalla seconda delle doglianze richiamate nella narrativa in fatto: e, cioè, da quella con cui si lamenta la natura espropriativa della destinazione a “verde pubblico attrezzato” impressa dal P.P. del 1982, e quindi la sua decadenza – anche a volerla ritenere recepita dal successivo P.R.G. – per decorso del termine quinquennale di efficacia.

Al riguardo, la più recente giurisprudenza della Sezione è nel senso che la detta destinazione abbia di regola natura conformativa, dovendo però verificarsi caso per caso, alla stregua della concreta disciplina urbanistica posta dallo strumento generale, se questa comporti la preclusione pressoché totale di ogni attività edilizia, con conseguente svuotamento sostanziale del diritto di proprietà: solo in tale ultima ipotesi potendosene ritenere il carattere espropriativo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 novembre 2012, nr. 6094; id., 11 settembre 2012, nr. 4815; id., 16 settembre 2011, nr. 5216).

Tanto premesso, nel caso che qui occupa il “regime” urbanistico del suolo per cui è causa riviene sia dalla disciplina generale dell’art. 33 delle N.T.A., che pone prescrizioni in tema di distanze e piani fuori terra, sia dalla stessa disciplina del P.P., cui il predetto articolo fa rinvio, e che a sua volta non esclude del tutto l’edificazione privata, assoggettandola a limiti e prescrizioni (p.es. lotto minimo di intervento di mq 600); ne discende che, non verificandosi l’anzi detta ipotesi di preclusione assoluta dell’edificazione privata, appare corretto escludere la natura espropriativa della destinazione de qua.

Tale rilievo, oltre a escludere ogni decadenza della prescrizione, svuota di consistenza le ulteriori argomentazioni di parte appellante basate sulle Tavole allegate al P.P.: in particolare, si assume che in esse le altre aree aventi destinazione analoga a quella per cui è causa sarebbero chiaramente indicate come “da espropriare”, e pertanto si attribuisce a un “evidente refuso” l’omissione di tale indicazione anche per la proprietà dell’odierno istante.

In realtà, non occorre ipotizzare alcun refuso se si muove dal punto di vista, sopra esposto, secondo cui la destinazione a verde attrezzato può configurare o non configurare un vincolo espropriativo, a seconda delle concrete prescrizioni poste dalle N.T.A. nei singoli casi: di modo che non costituisce necessariamente un’anomalia il fatto che altre aree, pur formalmente soggette alla medesima destinazione, fossero però interessate anche da vincoli espropriativi.

5. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, emerge con evidenza anche l’infondatezza della prima doglianza, con la quale l’appellante lamenta l’erroneità delle conclusioni raggiunte dal primo giudice in ordine al rapporto tra il P.P. e il successivo P.R.G.: al contrario, la Sezione reputa del tutto condivisibile la costruzione di tale rapporto in termini di rinvio “mobile”, nel senso che lo strumento urbanistico generale – anziché “rinunciare” a normare l’area de qua, facendo richiamo al precedente P.P. esistente su di essa – abbia inteso recepirne le prescrizioni, elevandole al livello della strumentazione urbanistica generale.

E, anzi, proprio in ragione dell’evidenziata natura conformativa delle dette prescrizioni, si comprende il perché queste siano rimaste impermeabili alla decadenza dell’originario P.P. per decorso della sua efficacia decennale: tale scadenza, invero, potrà aver comportato l’estinzione degli eventuali vincoli espropriativi che il P.P. aveva impresso su altre aree (non su quella di che trattasi), ma non ha fatto venir meno la destinazione generale e le connesse regole conformative, per le quali, in considerazione della loro recezione nel P.R.G., deve ritenersi valida la regola dell’efficacia a tempo indeterminato di cui all’art. 11 della legge 17 agosto 1942, nr. 1150.

6. I rilievi che precedono, dando ampiamente conto e ragione del diniego opposto dal Comune alla richiesta di concessione edilizia formulata dall’odierno appellante, risultano assorbenti delle ulteriori questioni sollevate nel gravame qui in esame, essendo evidente da un lato che deve escludersi in radice l’assoggettamento del suolode quo al regime delle “zone bianche”, e dall’altro che non sussiste a carico del Comune alcun obbligo di ritipizzare l’area.

7. Alla soccombenza deve seguire la condanna alle spese del grado, che sono liquidate equitativamente in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Santa Cesarea Terme, di spese e onorari del presente grado del giudizio, che liquida in complessivi euro 3000,00 oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)