Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4423, del 28 agosto 2014
Urbanistica.Legittimità ordinanza sospensiva dell’attività estrattiva e del connesso impianto di frantumazione degli inerti

Eventuali titoli edilizi in sanatoria rilasciati dall’autorità comunale (nell’impianto in questione vengono lavorati materiali acquistati presso terzi e che lo stesso è stato sanato dal punto di vista edilizio, nell’ambito di un piano comunale di recupero del sito) non rendono certo illegittimo un ordine di sospensione, una volta accertato il necessario presupposto di detta prosecuzione, così come il fatto che all’interno dell’impianto siano trattati anche materiali non ricavati dalla cava. L’art. 19 c. 2 e 3 della l. reg. n. 54/1985 consente infatti di recuperare gli impianti già utilizzati per le attività (un tempo) pertinenziali a quella estrattiva una volta cessata l’efficacia del titolo autorizzativo, ma non certo, richiamando il permesso di costruire in sanatoria ed il piano di recupero comunale sopra detti, a sanare l’illegittima prosecuzione della medesima attività estrattiva. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04423/2014REG.PROV.COLL.

N. 06049/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 6049 del 2014, proposto da: 
General Sindes s.p.a., rappresentata e difesa dall'avvocato Luigi Ricciardelli, con domicilio eletto presso Renato Pedicini in Roma, via D'Ovidio 83;

contro

Regione Campania, rappresentata e difesa dall'avvocato Rosaria Palma, con domicilio eletto presso l’ufficio di rappresentanza della Regione, in Roma, via Poli 29;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE IV, n. 719/2014, resa tra le parti, concernente un ordine di sospensione dell’attività estrattiva e del connesso impianto di frantumazione degli inerti



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2014 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Ricciardelli e Imparato su delega di Palma;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. La General Sindes s.p.a., proprietaria di un terreno sito in Maddaloni, località San Michele, destinato in parte a sfruttamento di una cava estrattiva ed in parte all’esercizio di attività industriale, in virtù di titoli autorizzativi aventi scadenza al 31 dicembre 2008, impugnava davanti al TAR Campania – sede di Napoli il verbale n. 46 in data 20 ottobre 2010 del Genio Civile della Regione Campania, recante l’ordine di sospensione ad horasdi qualsiasi attività di estrazione di materiale dalla cava e del connesso impianto di frantumazione degli inerti.

2. L’impugnativa veniva respinta dal TAR adito.

Disattendendo gli assunti della società ricorrente, il giudice di primo grado statuiva che il provvedimento impugnato era legittimamente fondato sulla circostanza rilevata dai verbalizzanti, e cioè che durante l’accesso alla cava <<era in corso attività di scavo a mezzo martellone, e che era inoltre in attività anche l’impianto di frantumazione ubicato sul piazzale di cava in assenza di autorizzazione>>; attività a dire del giudice di primo grado svolta in violazione di divieti già comunicati alla società. Il TAR statuiva inoltre che l’impianto di frantumazione nel quale è stata accertata la predetta attività è strettamente pertinenziale alla cava, così come l’attività in esso esercitata, ai sensi dell’art. 5, comma 3, l. reg. n. 54 del 1985 (“Coltivazione di cave e torbiere”). In base a questo rilievo il giudice di primo grado traeva la conseguenza che quest’ultima <<non può non seguire la sorte dell’autorizzazione alla coltivazione della cava>>, ed inoltre che è irrilevante il fatto che per questo sia stata presentata istanza di condono, tanto più alla luce dell’incompatibile destinazione urbanistica dell’area zona E1 (territorio rurale collinare di salvaguardia paesistica).

Il TAR respingeva infine la censura di incompetenza del Genio civile, stante la competenza regionale al rilascio ed alla revoca delle concessioni di utilizzo delle cave, nonché ai relativi atti sanzionatori in materia di utilizzo delle cave.

3. Propone appello la General Sindes, contenente entrambi i motivi di impugnativa già disattesi in primo grado.

Si è costituita in resistenza la Regione Campania.

Nel primo motivo l’appellante reitera l’assunto che l’attività rilevata dai funzionari del Genio civile consiste non già nello scavo di inerti dai fronti di cava, ma nella prosecuzione dell’attività di lavorazione del materiale già estratto. Attività svolta in un impianto, quello di frantumazione, che secondo la General Sindes ha carattere autonomo rispetto alla cava, perché destinato alla lavorazione di materiali acquistati presso terzi, come desumibile dall’autonomia dello stesso anche dal punto di vista edilizio, in quanto oggetto di concessione in sanatoria per l’impianto di frantumazione (concessione n. 1955 del 18 gennaio 2011), nell’ambito di un piano di recupero a fini produttivi in conformità al piano regionale per le attività estrattive (deliberazione della giunta comunale di Maddaloni n. 138 dell’11 ottobre 2011).

Su questo medesimo presupposto ripropone la censura di incompetenza del Genio civile regionale.

4. Si è costituita in resistenza la Regione Campania.

DIRITTO

1. Entrambi i motivi di cui si compone l’appello sono infondati, per cui quest’ultimo deve essere respinto, potendosi dunque prescindere dall’eccezione di inammissibilità del ricorso originario per difetto di interesse, causa la mancata previa impugnazione dei precedenti divieti alla prosecuzione dell’attività di scavo, sollevata dalla Regione Campania.

2. Il Collegio rileva innanzitutto che il sopralluogo all’esito del quale è stato emesso l’ordine di sospensione qui contestato è stato effettuato al precipuo fine di <<verificare attività eventualmente in atto presso la cava>>. Del pari, occorre sottolineare che la General Sindes non contesta in modo sufficientemente specifico quanto accertato dai funzionari del Genio civile verbalizzanti e cioè che al momento dell’accesso alla cava era in luogo un’attività di scavo di inerti dalla cava, così descritta: <<Al momento dell’accertamento erano in corso attività di scavo a mezzo martellone nella porzione inferiore del fronte di cava lato sx guardando. Alla base del fronte erano una pala ed un dumper per la raccolta del materiale di abbattaggio>>.

Vi è sul punto un mero richiamo della General Sindes alle deduzioni dei rappresentanti della ditta presenti al momento dell’accesso dei funzionari del Genio civile, e cioè che il materiale di cava in questione era stato <<già estratto in precedenza>>.

3. Tuttavia, questo assunto, non ulteriormente sviluppato nella presente impugnativa, appare del tutto inverosimile, se si considera che le operazioni autorizzate di abbattimento del fronte avrebbero dovuto cessare entro il 31 dicembre 2008. Posto dunque che l’accesso è avvenuto il 20 ottobre 2010, si dovrebbe ipotizzare che per circa due anni il materiale in questione sia rimasto giacente ai piedi del fronte di cava e che per una incredibile coincidenza i funzionari del Genio civile hanno effettuato il sopralluogo proprio nel giorno in cui è iniziata la rimozione di detto materiale, al fine dell’impiego dello stesso nell’impianto di frantumazione.

4. Pertanto, una volta confermata la circostanza della prosecuzione dell’attività di scavo, la stessa si rivela decisiva per ritenere infondata innanzitutto la censura di incompetenza relativa.

Dalla medesima circostanza, oltre che dalla sopra detta finalità di polizia mineraria da cui scaturisce il sopralluogo, si evince infatti che il provvedimento di sospensione impugnato attiene all’attività di gestione della cava, di pacifica competenza regionale, ed in particolare all’ottemperanza dei precedenti divieti di proseguire l’attività estrattiva (note prot. nn. 464063 del 27 maggio 2009, n. 561329 del 24 giugno 2009, e n. 84266 dell’1 febbraio 2010).

5. Sulla base di questo presupposto fattuale, il TAR ha inoltre correttamente disatteso anche le restanti censure, con statuizione che deve quindi essere confermata.

Essendo infatti stata accertata la prosecuzione dell’attività di scavo, in violazione dei precedenti divieti conseguenti alla cessazione dei titoli abilitativi a tale attività, l’ordine di sospensione impugnato risulta di conseguenza legittimamente emanato nei confronti della connessa e consequenziale attività di frantumazione nell’annesso impianto, ubicato nel medesimo sito (e precisamente <<sul piazzale di cava>>).

6. Sul punto, occorre nondimeno dare atto che i rappresentanti società odierna appellante presenti al momento dell’accesso hanno ab origine affermato ciò che dalla medesima viene asserito a sostegno della presente impugnativa, e cioè che l’impianto di frantumazione degli inerti, in relazione alla quale hanno riferito essere in allora stata presentata domanda di permesso di costruire in sanatoria (poi ottenuta), è funzionalmente autonomo, essendo posto <<a servizio dell’attività di produzione di calcestruzzo e premiscelati>> (così nel verbale impugnato).

Sennonché, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, il provvedimento impugnato deve ritenersi legittimamente fondato sull’art. 5, comma 3, l. reg. n. 54/1985. Tale disposizione è infatti chiara nel comprendere nel titolo autorizzativo alla coltivazione della cava <<i connessi impianti di trattamento di materiale ubicati dentro il perimetro della cava>>. Pertanto l’accertamento di violazioni di detto titolo consente di inibire la svolgimento di attività comunque svolte nei predetti impianti.

7. A questo specifico riguardo, non giova alla General Sindes evidenziare la circostanza che nell’impianto in questione vengono lavorati materiali acquistati presso terzi (di cui alle fatture d’acquisto prodotte nel presente giudizio, anche all’udienza in camera di consiglio) e che lo stesso è stato sanato dal punto di vista edilizio, nell’ambito di un piano comunale di recupero del sito.

In contrario, come sottolinea la Regione appellata, occorre innanzitutto richiamare il disposto dell’art. 19, comma 2, della medesima legge, in virtù del quale il rilascio del titolo edilizio <<è obbligatorio>> e subordinato esclusivamente al rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava. Inoltre, il successivo comma 3 esclude che i manufatti in questione debbano essere demoliti dopo la cessazione dell’attività in caso di una <<diversa utilizzazione consentita dagli strumenti urbanistici vigenti>>.

Da tali disposizioni si evince quindi che è consentito il rilascio di provvedimenti abilitativi all’esercizio di ulteriori attività, purché, stante la subordinazione del potere comunale di governo del territorio rispetto a quello regionale connesso alla coltivazione della cava sancita dalle norme in esame, esse non vengano piegate alla prosecuzione di quest’ultima una volta che il relativo titolo autorizzativo sia venuto a scadenza. Detto in altri termini, eventuali titoli edilizi in sanatoria rilasciati dall’autorità comunale non rendono certo illegittimo un ordine di sospensione, quale quello qui impugnato, una volta accertato il necessario presupposto di detta prosecuzione, così come il fatto che all’interno dell’impianto siano trattati anche materiali non ricavati dalla cava. La norma da ultimo richiamata consente infatti di recuperare gli impianti già utilizzati per le attività (un tempo) pertinenziali a quella estrattiva una volta cessata l’efficacia del titolo autorizzativo, ma non certo, come sembra pretendere la società appellante richiamando il permesso di costruire in sanatoria ed il piano di recupero comunale sopra detti, a sanare l’illegittima prosecuzione della medesima attività estrattiva.

8. L’appello deve dunque essere respinto.

In punto spese del presente grado di giudizio non si ravvisano ragioni per derogare al criterio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante General Sindes a rifondere alla Regione Campania le spese di causa, liquidate in € 4.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 agosto 2014 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/08/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)