Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2736, del 21 maggio 2013
Urbanistica.Piano di recupero scaduto

Una volta scaduto e quindi divenuto ormai inefficace il piano di recupero, non può ad esso sopravvivere la relativa normativa urbanistico-edilizia, sostituita dalle previsioni del P.R.G. e delle N.T.A. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02736/2013REG.PROV.COLL.

N. 10269/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10269 del 2009, proposto da: 
Quartz S.r.l., con sede in Montebelluna (Treviso), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo Malinconico e Gian Maria Menzani, e presso lo studio del primo elettivamente domiciliata in Roma, alla viale Bruno Buozzi 109, per mandato a margine dell’appello;

contro

Comune di Lecco, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marco Locati ed elettivamente domiciliato in Roma, al corso Vittorio Emanuele II, n. 18, presso lo studio Grez & Associati, per mandato a margine dell’atto di costituzione nel giudizio d’appello;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sez. II, n. 4667 del 17 settembre 2009, notificata l’8 ottobre 2009, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso in primo grado n.r. 21/2009, proposto per l’annullamento della determinazione dirigenziale n. 59310 del 14 ottobre 2008 -recante divieto di intraprendere i lavori di cui alla dichiarazione d’inizio di attività n. 38157 di prot. del 21 luglio 2008, relativi al “completamento della quarta torre dal livello + 2 nell’ambito del complesso “Centro Meridiana” di Lecco”- nonché per l’annullamento e/o la declaratoria d’inapplicabilità degli artt. 15 u.c., 17 comma 1, 17 comma 8, 21.22 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Lecco, e il risarcimento del danno, con condanna al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, liquidate in € 2.500,00



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Lecco;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 giugno 2012 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l’avv. Carlo Malinconico per la società Quartz S.r.l. appellante e l’avv. Antonella Giglio, per delega dell’avv. Marco Locati, per il Comune di Lecco appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1.) La società Quartz S.r.l. ha presentato dichiarazione d’inizio di attività n. 38157 di prot. in data 14 ottobre 2008, intesa alla realizzazione di un edificio (quarta torre, c.d. “torre D”) su piastra comune elevata di due piani -sul quale sorgono altri tre edifici già realizzati, “a torre concava”, in base a concessione edilizia unica n. 30243/88 dell’8 marzo 1989-, a completamento di un piano di recupero ex art. 28 della legge n. 457/1978 e di relativa convenzione stipulata il 22 giugno 1998 (piano di recupero c.d. del “Caleotto”).

Con la determinazione dirigenziale n. 59310 del 14 ottobre 2008, richiamata la scadenza del piano di recupero, è stato vietato l’intervento edilizio perché assoggettato a nuovo “piano attuativo”, nonché a parametri urbanistico-edilizi nuovi e diversi, in base alle previsioni delle N.T.A. del nuovo P.R.G., approvato il 7 aprile 2000, e successiva variante, approvata il 1° dicembre 2004, .

Con il ricorso in primo grado n.r. 21/2009, sono state proposte cumulative domande di annullamento (del diniego e delle disposizioni delle N.T.A. relative all’obbligatorietà del piano attuativo, alla salvezza dei soli piani attuativi ancora in corso di efficacia e ai nuovi parametri urbanistico-edilizi) e di risarcimento del danno cagionato dal diniego e dalla preclusione all’immediata edificazione dell’edificio.

Con la sentenza n. 4667 del 17 settembre 2009, notificata l’8 ottobre 2009, il T.A.R. per la Lombardia, in accoglimento dell’eccezione pregiudiziale spiegata dal Comune di Lecco, ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto non notificato anche alla Regione Lombardia pur recando l’impugnativa di disposizioni delle N.T.A. del P.R.G., dandosi carico, peraltro, di esaminare e disattendere tutte le censure dedotte.

Con appello notificato il 5 dicembre 2009 e depositato il 18 dicembre 2009, la predetta sentenza è stata gravata, deducendo, con unico motivo, in sintesi:

Violazione e falsa applicazione di legge (art. 17 della legge n. 1150/1942 e art. 28 comma 4 della legge n. 457/1978). Eccesso di potere per motivazione carente o comunque insufficiente, contrarietà con precedenti atti e posizioni consolidate, irragionevolezza e manifesta ingiustizia. Violazione di obblighi contrattualmente assunti e del vincolo di sinallagmaticità

L’intervenuta scadenza, e quindi l’inefficacia del piano di recupero, non implica che le sue previsioni, per la parte rimasta inattuata, possano essere superate dalla sopravvenuta normativa urbanistica di piano generale, che avrebbe dovuto raccordare la previsione dell’esigenza del piano attuativo con la considerazione delle previsioni dello stesso piano di recupero.

In tal senso s’invoca l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale quando, come nella specie, al piano di recupero sia stata data attuazione per la gran parte degli interventi edilizi e per tutte le opere urbanizzative primarie e secondarie accollate al privato, non possa negarsene il completamento.

Nella specie, peraltro, la mancata edificazione della quarta torre nel termine di efficacia del piano di recupero sarebbe dipesa dalla mancata l’esecuzione di un’opera di urbanizzazione (il sovrappasso ferroviario), che secondo la convenzione urbanistica doveva essere eseguita dall’amministrazione comunale.

Costituitosi in giudizio, il Comune di Lecco ha a sua volta dedotto l’infondatezza dell’appello.

Con memoria difensiva (tardiva) depositata il 25 maggio 2012 la società appellante ha ulteriormente illustrato le censure dedotte.

All’udienza pubblica del 26 maggio 2012 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.

2.) L’appello in epigrafe è inammissiblle, con la conseguente piena conferma della sentenza gravata.

2.1) Sotto un primo, decisivo ed assorbente profilo, deve rilevarsi che la società appellante non ha formulato alcuna specifica censura in ordine alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso proposto in primo grado in relazione all’omessa intimazione della Regione Lombardia.

La sentenza del giudice amministrativo di primo grado, disattesa altra eccezione concernente la dedotta tardività dell’impugnativa delle N.T.A. del P.R.G., ha viceversa accolto quella, pure pregiudiziale, spiegata dall’Amministrazione comunale relativa all’omessa notificazione del ricorso alla Regione Lombardia, quale parte necessaria del giudizio.

Al riguardo, è stato correttamente osservato che:

“13. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il ricorso avverso le disposizioni di p.r.g. vada notificato, oltre che al Comune, anche alla Regione, in considerazione della natura complessa dell’atto impugnato e del concorso della volontà di entrambi gli enti alla sua formazione definitiva (Cons. Stato, Sez. II, 12 dicembre 1990, n. 358), e che l’omesso assolvimento di tale onere implica l’inammissibilità del ricorso, per la sua mancata notificazione ad una delle autorità emananti (Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 1998, n.616).

14. Le censure proposte avverso le previsioni delle n.t.a. sono, dunque, inammissibili, poiché il ricorso è stato notificato solo al Comune e non anche alla Regione, quale autorità emanante il piano regolatore (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 maggio 1998, n. 616; Sez. V, 28 febbraio 1995, n. 304; Sez. VI, 15 giugno 1983, n. 493; Sez. V, 13 maggio 1977, n. 447; T.A.R. Lombardia, Brescia, 26 agosto 2002, n. 1159)”.

In effetti, l’orientamento richiamato è, più che consolidato, granitico e ancora più di recente riaffermato, con ovvia esclusione di ogni possibilità d’integrazione del contraddittorio, ammessa solo nei confronti di controinteressati ulteriori non evocati e non anche con riferimento alla mancata intimazione di una delle Autorità coemananti (Cons. Stato, 23 dicembre 2010, n. 9375 e 12 maggio 2009, n. 2901; Sez. V, 4 febbraio 2004, n. 367).

Orbene, la società appellante non ha formulato alcuna censura in ordine a tale capo della motivazione, che peraltro sorregge il dispositivo espresso in modo inequivoco nel senso della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, limitandosi invece a dedurre l’erroneità degli argomenti con i quali il giudice amministrativo lombardo ha inteso darsi carico, in modo del tutto ultroneo, della infondatezza dell’impugnativa (“15 Pur prescindendo dalla vexata quaestio relativa alla disapplicabilità, o meno, in assenza di una rituale impugnazione, delle n.t.a. in quanto atti a contenuto generale il Collegio rileva, comunque, per esigenze di completezza, l’infondatezza delle censure di merito”).

In difetto, quindi, di specifiche censure sulla motivazione che sorregge la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, l’appello risulta manifestamente inammissibile, secondo consolidata giurisprudenza, che, sulla scorta dei principi generali di diritto processuale (come peraltro consacrati, per l’appello, nell’art. 342 c.p.c., nel testo ante vigente alle modifiche introdotte dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134), ha sempre affermato l’esigenza di una puntuale, ancorché sintetica, critica ai capi della motivazione dai quali si dissente correlata alle conclusioni proposte, poiché, come è stato osservato “in mancanza di contestazione concreta e puntuale di tale contenuto (motivazionale), infatti, esso tende a consolidarsi definitivamente, creandosi cioè una definitività endoprocessuale dell’accertamento sfavorevole non censurato, senza che possa meramente riesaminarsi in appello la domanda originariamente proposta, come, cioè, se non si fosse svolto il primo grado di giudizio e come se questo costituisse solo un passaggio obbligato, ma ininfluente sul piano della definizione della materia controversa, per sottoporre la causa al giudice superiore” (Cons. Stato, Sez. VI, 30 maggio 2008, n. 2612; nel senso dell’inammissibilità dell’appello privo di specifiche censure vedi anche, tra le tante, Sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1389 e Sez. V, 24 gennaio 2007, n. 250).

La specificità dei motivi d’appello è ora, peraltro, consacrata normativamente anche nell’art. 101 comma 1 del c.p.a., che ricomprende, nel contenuto essenziale dell’appello, anche “…le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata…”, ancorché esso sia inapplicabile, rationetemporis, all’appello in epigrafe.

2.2) Sotto altro aspetto, peraltro -e pur dovendosi revocare in dubbio la disapplicazione delle N.T.A., che hanno una peculiare efficacia normativa diversa da quella dei regolamenti propriamente intesi, in quanto destinati a individuare, nel quadro delle previsioni programmatorie e delle destinazioni impresse dallo strumento urbanistico generale, i limiti specifici, sostanziali e procedimentali, per l’edificazione- deve comunque convenirsi con il giudice amministrativo lombardo in ordine alla piena legittimità della nota provvedimentale, in quanto raccordata a puntuali e ineludibili prescrizioni delle N.T.A.

E’ evidente infatti che una volta scaduto e quindi divenuto ormai inefficace il piano di recupero, non può ad esso sopravvivere la relativa normativa urbanistico-edilizia, sostituita dalle previsioni del P.R.G. e delle N.T.A. che peraltro hanno, ragionevolmente, fatti salvi i piani di recupero ancora efficaci.

L’art. 17 comma 8 delle N.T.A. ha disposto, in modo affatto inequivoco, che (corsivi dell’estensore):

“Sono fatti salvi i piani attuativi approvati e/o adottati alla data di adozione delle presenti Nta, anche in deroga alle disposizioni grafiche e normative del presente Prg, fino alla rispettiva scadenza, e comunque dovranno essere cedute almeno le aree a standard previste nelle convenzioni approvate”.

Tale prescrizione si è data carico di salvaguardare le aspettative correlate a piani attuativi ancora in corso di validità e segna un razionale raccordo tra l’esigenza di attuazione dei piani ancora efficaci e il nuovo assetto urbanistico, laddove, nel caso di specie, il piano di recupero era scaduto ormai da circa due anni al momento dell’approvazione del P.R.G., e circa sei al momento dell’approvazione della variante al P.R.G.

Non è infatti revocabile in dubbio, per effetto dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 28 comma 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457, che ai piani di recupero ivi disciplinati si applichino, per quanto non diversamente previsto dalla legge stessa, “…le disposizioni previste per i piani particolareggiati dalla vigente legislazione regionale e, in mancanza, da quella statale”, ivi compreso quindi sia l’art. 16 della legge urbanistica fondamentale 17 agosto 1942, n. 1150, in ordine alla durata decennale dei piani attuativi, sia l’art. 17 in ordine all’inefficacia dello strumento “…per la parte in cui non abbia avuto attuazione…”.

Né appare esatto e persuasivo l’insistito richiamo all’orientamento della giurisprudenza amministrativa concernente il regime urbanistico-edilizio dei suoli già ricompresi in piano esecutivo scaduto, perché esso si compendia, in realtà, nel ribadito rilievo che la scadenza dei piani di recupero o degli strumenti esecutivi non implica la “reviviscenza” di precedenti e più favorevoli parametri urbanistici, rimanendo comunque salve le prescrizioni di zona, senza escludere affatto la possibilità che una nuova disciplina di piano regolatore generale possa rideterminare i parametri urbanistici delle aree già comprese nel piano scaduto.

3.) In conclusione l’appello in epigrafe deve essere dichiarato inammissibile, con la conferma della sentenza gravata.

4.) Il regolamento delle spese processuali del giudizio d’appello, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) dichiara inammissibile l’appello n.r. 10269/2009 e condanna la società appellante Quartz S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla rifusione, in favore del Comune di Lecco appellato, in persona del Sindaco pro-tempore, delle spese e onorari del giudizio d’appello, liquidati in complessivi € 3.000,00 (tremila/00), oltre I.V.A. e C.A.P. nella misura dovuta.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2012 con l’intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)