Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2433, del 6 maggio 2013
Urbanistica.Potere regolamentare del Comune di intervenire sulla struttura minima degli alloggi.

In una località balneare la creazione di alveari composti per la loro totalità da unità abitative di minimo taglio assolutamente inidonee al normale vivere civile, finisce comunque per creare dei quartieri fantasma di seconde case che restano praticamente deserte per nove mesi all’anno, mentre i relativi oneri di illuminazione, acqua, rifiuti, pulizia, ecc. restano comunque a carico della collettività dei residenti per 12 mesi. Inoltre, la crisi di un turismo esclusivamente basato sull’eccessivo sviluppo di seconde case di piccolissimo taglio, l’eccessivo affollamento (con l’inevitabile traffico, baccano notturno e diurno, lievitazione irragionevole dei prezzi, ecc.), conseguente all’inevitabile saturazione di presenze dei mesi estivi ha finito con il pregiudicare definitivamente proprio quelle entrate di provenienza turistica garantite dagli originari valori ambientali e “di vivibilità” delle località marine. Del tutto ragionevolmente il Comune ha, dunque, inteso limitare lo scempio del territorio e il mantenimento di una qualità della vita. Del tutto insussistente è poi l’affermata indebita compressione della “libertà di iniziativa economica, costituzionalmente garantita” all’imprenditore, in quanto, come è noto, l’art. 41 della Cost. prevede che “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, e comunque deve “.. essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02433/2013REG.PROV.COLL.

N. 02869/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2869 del 2005, proposto da: 
Comune di Martinsicuro, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Scarpantoni, con domicilio eletto presso G. Sante Assennato in Roma, via Carlo Poma, 2;

contro

Dg Costruzioni S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Gabriele Rapali, con domicilio eletto presso Ernestina Portelli in Roma, via Lucrezio Caro, 63;

nei confronti di

Responsabile dell'Area –Urbanistica del Comune di Martinsicuro;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - L'AQUILA n. 00027/2005, resa tra le parti, concernente modifica del regolamento edilizio comunale.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il Cons. Umberto Realfonzo; nessuno comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con il presente gravame il Comune impugna la sentenza con cui è stata annullata la modifica del Regolamento Edilizio del Comune, con cui si è introdotta la prescrizione per cui la superficie minima dei 45 mq doveva essere limitata al 25 % del totale degli alloggi di ogni nuovo fabbricato, mentre per il 75 % la superficie minima avrebbe comunque dovuto essere portata a 60 mq .

La decisione impugnata è affidata alla deduzione:

-- dell’illegittimità di una prescrizione che si sarebbe risolta in una limitazione dello jus aedificandi, che non avrebbe potuto essere disciplinato dall’ente locale;

-- dell’assenza di un fondamento normativo del potere esercitato dal Comune, che comunque non avrebbe potuto essere riferito alle nome che definiscono gli obiettivi e i contenuti del Regolamento edilizio di cui all’art.33 della L.U. n.1150/1942 ed all’art.16 della L.R. Abruzzo 12.4.1983, n.18;

-- della violazione delle libertà di iniziativa economica dell’imprenditore, che è costituzionalmente garantita e che, in assenza di una norma di rango statale o regionale, non può essere limitata o compressa, ove non sussistano prevalenti e pregnanti ragioni di interesse sociale;

-- dell’insussistenza di ragioni di carattere igienico-sanitario, le quali non sarebbero state affatto compromesse da alloggi di 45 m² , come confermerebbe l’art. 2 della L.R. 25.10.1996, il quale, nel definire i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica, ritiene adeguato un alloggio con una superficie utile non inferiore ai 45 m² per nucleo familiare composto da 1 o 2 persone;

-- dell’esigenza di salvaguardare gli interessi dei residenti e di evitare uno scompenso del mercato, in quanto, se vi è una domanda di alloggi con superficie superiore ai 45 m², saranno sicuramente le regole proprie del libero mercato a imporre un diverso equilibrio.

L’appello è affidato alla denuncia di tre articolate rubriche di gravame relative alla violazione dell’art. 33 della L.U. n.1150/1942; dell’art.16 della L.R. Abruzzo 12.4.1983, n.18, che definiscono gli obiettivi e i contenuti del Regolamento edilizio; edell’art.2 della L.R. 25.10.1996; dell’articolo 2 del IV° co. del D.Lgs. n. 201/2002, nonché dell’ “error in iudicando”.

Si è costituita in giudizio con memoria la società appellata, riproponendo, come eccezioni, gli identici motivi dedotti in primo grado, contestando analiticamente le affermazioni del Comune e sottolineando come l’imposizione di una superficie minima doveva costituire un elemento che, come tale, avrebbe invece dovuto implicare una modifica delle NTA.

Con ordinanza cautelare 2366 del 18 maggio 2005, la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione cautelare della decisione impugnata.

Chiamata all'udienza pubblica, assenti i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO

Per ragioni di economia espositiva i motivi di gravame possono essere esaminati unitariamente.

___1.§.1.Con un primo motivo, articolato su più doglianze, il Comune appellante assume che la legge urbanistica n. 1150/1942 ha affidato ai Comuni il ruolo e le responsabilità della trasformazione del territorio, nei limiti dell’articolo 41 quinquies. L’elencazione di cui all’art. 33 della predetta legge urbanistica avrebbe comunque valore esemplificativo e non tassativo. Pertanto il potere di disciplinare la materia edilizia, essendo espressione della più generale potestà di autonomia normativa, si tradurrebbe nella possibilità di stabilire anche i dati dimensionali delle singole unità abitative: il n.10 dell’articolo 33 consente di dettare “le particolari prescrizioni costruttive”, espressione che ricomprende naturalmente anche la superficie minima abitabile di singoli alloggi. Per cui la deliberazione impugnata rientrava pienamente nel potere di regolamentazione affidato al Comune anche ai sensi dell’art. 118 della Costituzione.

Del resto la L.R. Abruzzo 18/1983, presa in considerazione dal Tar, all’articolo 16, individua come obiettivi del regolamento edilizio rispettivamente: -- alla lettera a) del primo comma ” …la qualità edilizia attraverso la definizione dei livelli minimi di prestazione delle opere edilizie…”; -- alla lettera c) del secondo comma “… i requisiti cui devono rispondere i manufatti edilizi… tali requisiti tecnici attengono anche alla qualità formale e compositiva…”.

Sarebbe dunque evidente che al Comune spetterebbe il compito di dettare le regole cui attenersi nella realizzazione dell’attività costruttiva in generale; tale compito potrebbe raggiungere un livello di invasività tale da imporre persino il colore delle facciate dei fabbricati all’arredo urbano. Inoltre il D.Llgs. 27 dicembre 2002 n. 301, all’art. 2, II e IV co., prevede che i regolamenti dei comuni in materia debbano “… contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi”. La superficie costituirebbe quindi un elemento o parametro significativo delle modalità costruttive medesime.

Inoltre, il richiamo incidentale alla L.R. Abruzzo n. 96/1996 sull’edilizia residenziale pubblica fatto dal Tar sarebbe fuori luogo, in quanto l’articolo 2 della predetta legge fissa la superficie degli appartamenti da un numero minimo di 54 m² (45 + 9 per servizi) per 1-2 persone ad un massimo di 114 m² . In ogni caso mentre il minimo è fissato per legge, il massimo è comunque affidato alla discrezionalità dei Comuni, che potrebbero prescrivere dimensioni più ampie. In tal senso lo stesso decreto ministeriale 5 luglio 1975, sui requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione, prevede superfici minime non inferiori a determinate misure, ma non limita le massime. Il Comune avrebbe solo voluto assicurare, attraverso la modifica del requisito delle superfici, un corretto sviluppo dell’attività edilizia, un rapporto ottimale tra insediamenti abitativi e vivibilità ambientale, di talché gli aspetti igienico-sanitari avrebbero comunque svolto un ruolo del tutto marginale sulla decisione del Comune medesimo di aumentare lo standard abitativo.

___1.§.2. Con il secondo motivo si contesta il passaggio per cui il Comune avrebbe violato la libertà di iniziativa economica costituzionalmente garantita dell’imprenditore. Al contrario, il Comune avrebbe solo voluto evitare l’aumento a dismisura di un parco alloggi assolutamente non adeguato ai bisogni dei residenti; e quindi la scelta atterrebbe al governo del territorio e risponderebbe ad interessi collettivi. Non vi sarebbe stato alcun errore logico della statuizione, in quanto, fermo restando lo standard minimo, non sarebbe vietato al Comune di esigere una superficie maggiore per singolo alloggio, peraltro limitatamente al 75% della superficie complessiva del fabbricato.

___ 1.§.3. Con la terza rubrica il Comune ripropone in forma di appello le difese introdotte in primo grado, rilevando che erroneamente l’appellata società avrebbe ritenuto che la materia avrebbe dovuto essere oggetto di una modifica delle NTA, in quanto tra regolamento edilizio e norme tecniche di attuazione non vi sarebbe una così netta separazione: una stessa prescrizione potrebbe avere rilievo sia a fini edilizi che urbanistici. Con i restanti profili si riprendono le medesime argomentazioni sostanziali di cui sopra.

___ 2.§. L’assunto è fondato.

Deve, infatti, rilevarsi che, come esattamente segnalato nel primo motivo di appello, fin dall’art. 33 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e s.m.i., ed oggi con l’art.4 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 T.U. Edilizia , “Il regolamento che i comuni adottano ai sensi dell'articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi.”

L’amplissima latitudine della disposizione da sola giustifica il potere regolamentare del Comune di intervenire sulla struttura minima degli alloggi.

Inoltre la norma deve essere collocata nell’alveo del D.M. 05 luglio 1975 “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896”, relativamente all'altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d'abitazione (ulteriormente modificato con D.M. 9 giugno 1999), “concernente la compilazione dei regolamenti locali sull'igiene del suolo e dell'abitato”, nonché nella scia delle norme di cui agli artt. 220-222 del R.D. 1265/34 - T.U.L.S.; queste stabiliscono la superficie minima abitabile per persona, quelle minime per le stanze da letto, quelle di soggiorno ed i monolocali; prevedono l’obbligo del riscaldamento, della presenza di finestre almeno per i vani abitativi principali; fissano in 1/8 il rapporto tra superficie finestrata apribile e quella del pavimento, prevedono i casi in cui è ammessa la ventilazione forzata, ecc…

Nel regolamento edilizio, oltre alle modalità concernenti gli oneri procedimentali e documentali, possono, dunque, essere collocate le disposizioni concernenti: i requisiti igienici; il rispetto delle regole estetiche e d’ornato; nonché le specifiche regole tecniche sull'attività costruttiva, quali, per l’appunto, fissazione quelle sui limiti generali di dimensionamento degli alloggi in esame.

Nel caso, poi, anche il riferimento fatto dal Comune appellante all’art. 16 della L.R. Abruzzo 12.4.1983, n.18 primo comma è corretto, in quanto la predetta legge regionale demanda al regolamento “l'indirizzo e il controllo della qualità edilizia attraverso la definizione dei livelli minimi di prestazione delle opere edilizie …”.

Appare utile, per contrasto, anche il richiamo al comma 4° dell’art. 16 della cit. L.R. n.18, che esclude dal regolamento – e quindi rimanda alle Norme Tecniche di attuazione – le indicazioni di carattere tipicamente programmatorio, quali “…le densità edilizie, le altezze, le distanze, le destinazioni d'uso nonché l'indicazione e definizione degli interventi edilizi ammessi”.

In sostanza, pur dovendosi riconoscere che si tratta di valutazioni sostanzialmente rimesse all’autonomia normativa del Comune, si deve comunque rilevare in linea generale che sia il regolamento edilizio che le norme tecniche di attuazione contengono prescrizioni a contenuto generale.

In conseguenza al Regolamento edilizio fanno propriamente capo le disposizioni di natura normativa-regolamentare, mentre nella NTA devono essere contenute le prescrizioni di natura più propriamente programmatica-pianificatoria, destinate, cioè, a regolare la futura attività edilizia.

Nel caso non vi sono dubbi che la disposizione concernente le superfici minime ammissibili delle singole unità, riguardando l’intero territorio comunale, aveva carattere generale, per cui esattamente il Comune ha ritenuto di provvedere alla sua introduzione attraverso la modifica del R.E. .

L’ampiezza del riferimento alle “modalità costruttive” comporta in sostanza che il regolamento edilizio ben possa riguardare tutti gli aspetti – nessuno escluso -- destinati a regolare le singole edificazioni.

Si tratta di un fascio di profili inerenti al diritto fondamentale alla casa dei cittadini, che è sostanzialmente unitario sotto il profilo teleologico, in quanto tali profili sono diretti ad assicurare, in concreto, la salubrità e la vivibilità delle residenze.

L’art. 4 del T.U. Edilizia implica che al Regolamento edilizio dei Comuni debba essere demandata la specificazione delle regole fondamentali dell’edificazione sotto i profili tecnici, estetici (secondo le antiche regole d’ornato), funzionali, igienico-sanitari e -- soprattutto per quello che qui interessa -- “di vivibilità” in senso ampio degli abitati.

Quest’ultima considerazione mostra l’erroneità della premessa logico-giuridica, su cui il Primo Giudice ha fondato la sua decisione, allccui stregua non vi sarebbe stato supporto normativo al provvedimento del Comune..

Sotto altra angolazione, ancora, il provvedimento impugnato in prime cure appare del tutto esente da manifeste illogicità o irragionevolezze o comunque da mende motivazionali.

Contrariamente a quanto vorrebbe la società appellata,iInfatti, un’offerta di abitazioni di 45 m² (e quindi addirittura inferiore ai 54 m² totali previsti per l’ERP in Abruzzo) configura una tipologia tipicamente destinata a villeggianti più che a residenti.

Come esattamente rilevato dall’appellante nel secondo motivo, la minima tipologia costruttiva finisce di fatto per rendere del tutto impossibile ai residenti -- e soprattutto alle famiglie con figli -- la naturale reperibilità di abitazioni di un taglio ragionevole; per cui del tutto fuori luogo appare la petizione di principio del “libero mercato”, come fattore miracolistico di autoregolazione perfetta dell’offerta.

Al contrario, come la Sezione ha avuto già modo di rilevare, in una località balneare, la creazione di alveari composti per la loro totalità da unità abitative di minimo taglio assolutamente inidonee al normale vivere civile, finisce comunque per creare dei quartieri fantasma di seconde case che restano praticamente deserte per nove mesi all’anno, mwentre i relativi oneri di illuminazione, acqua, rifiuti, pulizia, ecc. restano comunque a carico della collettività dei residenti per 12 mesi (cfr. Consiglio Stato, Sez. IV 22.1.2013 n.361).

Come dimostra -- specialmente nelle regioni del mezzogiorno -- la crisi di un turismo esclusivamente basato sull’eccessivo sviluppo di seconde case di piccolissimo taglio, l’eccessivo affollamento (con l’inevitabile traffico, baccano notturno e diurno, lievitazione irragionevole dei prezzi, ecc.), conseguente all’inevitabile saturazione di presenze dei mesi estivi ha finito con il pregiudicare definitivamente proprio quelle entrate di provenienza turistica garantite dagli originari valori ambientali e “di vivibilità” delle località marine.

Del tutto ragionevolmente il Comune appellante ha, dunque, inteso limitare lo scempio del territorio e il mantenimento di una qualità della vita.

In sostanza, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, sussistevano puntuali ragioni di interesse pubblico e “prevalenti …e pregnanti ragioni di carattere sociale”, che, sul piano funzionale, supportavano la legittimità e la ragionevolezza della decisione del Comune.

Del tutto insussistente è poi l’affermata indebita compressione della “libertà di iniziativa economica, costituzionalmente garantita” all’imprenditore, in quanto, come è noto, l’art. 41 della Cost. prevede che “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (primo co.), e comunque deve “.. essere indirizzata e coordinata a fini sociali “ (secondo co.).

In tale direzione è rilevante il fatto che, con la modifica regolamentare “de qua”, l'amministrazione comunale non ha affatto negato in radice lo "ius edificandi" della società, ma ne ha preteso un uso più conforme all’interesse pubblico.

In conseguenza, del tutto inconferenti si rivelano i riferimenti all’asserita igienicità degli alloggi di 45 m² , in relazione alla Legge in materia di ERP.

Qui, infatti, non è tanto in discussione l’ammissibilità, o meno, di tale tipologia nel caso singolo, ma l’indiscriminata generalizzazione di tale taglio a tutto il territorio comunale.

Sulla base delle precedenti considerazioni deve dunque concludersi che:

-- sul piano giuridico, è esatto che la superficie minima abitativa per alloggio costituisce un elemento significativo delle “modalità costruttive” medesime, per cui la potestà di regolare le dimensioni dei nuovi alloggi deve essere ricondotta all’art. 4 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 T.U. Edilizia ed alle altre norme ricordate, che consentono al Comune di porre dei limiti regolamentari al fine di assicurare la vivibilità delle costruzioni;

-- anche sotto il profilo della ragionevolezza, inoltre,, l’aver consentito la creazione di alloggi di 45 m² per ben il 25 % dell’intero fabbricato (il che non è poco) e di soli 60 m² per la restante parte appare comunque un ragionevole contemperamento tra esigenze naturalmente conflittuali, del costruttore al perseguimento del massimo lucro e della collettività dei residenti a pervenire ad un’idonea sistemazione abitativa.

Gli esaminati assorbenti motivi di gravame qui favorevolmente esaminati devono dunque essere accolti.

___ 3.§. In definitiva l’appello è fondato e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata va respinto il ricorso di primo grado.

Le spese, secondo le regole generali di cui all’art. 26 e segg. del c.p.a., seguono la soccombenza e solo liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

___ 1. accoglie l'appello, come in epigrafe proposto, e in riforma della decisione impugnata, respinge il ricorso di primo grado;

___ 2. condanna l’appellata Dg Costruzioni S.r.l. al pagamento delle spese del presente giudizio, che vengono liquidate in favore del Comune di Martinsicuro per € 3.000,00 oltre all’IVA, alla CPA, ed al rimborso del contributo unificato di cui all'art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Andrea Migliozzi, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

Oberdan Forlenza, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)