LA FATICA DEL BELLO

di Marcellino Bottone

 

 

Per salvaguardare il territorio e il paesaggio non è sufficiente pianificare, imporre vincoli, far rispettare le regole .

 

 

Geom. Bottone Marcellino - Piedimonte Matese (Caserta) - 19 settembre 2012 - Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

 

 

PREMESSA

In un articolo comparso sul sito LEXAMBIENTE.IT , il dr. Grisanti si è chiesto : Non ultimare le opere edili nei termini prescritti da leggi, regolamenti e/o permesso di costruire è reato ?

Devo dire che di fronte alla proposizione di questo interrogativo, forse per i miei trascorsi di dipendente Comunale dislocato presso l’Ufficio Tecnico, ho sentito come il tonfo di antiche questioni precipitate dal ripiano di un archivio delle non-soluzioni, quelle che tutti depositiamo da qualche parte – in attesa che la speranza si giustifichi in una “illuminazione”- quando il presente è troppo esigente per consentirci di individuare un confine condivisibile.

 

Questa domanda, infatti, ha bussato molte volte alla voglia di affermare valori, di segnalare incoerenze o – addirittura il vuoto di certi “impegni normativi” apparenti e sostanzialmente inefficaci: ma, incapace di rispondervi con le sole e solite armi della logica e dei principi, non ha avuto che l’insoddisfacente risposta di un … “mmh”.

 

Ed anche ora, che per una oscura ragione mi appresto a riconsiderarne il senso, il perimetro, la prospettiva, sento che questa domanda chiama ad una responsabilità collettiva con rintocchi che non possono essere trascurati.

 

 

 

LA QUESTIONE

 

Il fatto inoppugnabile è che voi potete stilare le più belle norme di tutela e sviluppo del territorio, potete regolamentare il più minuziosamente possibile i singoli interventi, potrete stazionare nei cantieri dei privati muniti di ogni genere di apparecchio di rilevazione delle differenze, delle variazioni, ecc… rispetto all’assentito, e … …

… … e nonostante tutto pervenire alla costruzione di un mondo altro, inferiore, degradato e provvisorio, ma – ad un tempo e incontestabilmente - diverso da quello programmato eppure “legittimo”.

 

E’ il mondo delle cose iniziate e mai finite, delle strutture pubbliche e private nate da grandi idee ed aspettative e poi inceppate in un respiro troppo corto, dei frutti - a cui tutti tendevano mani rapaci - lasciati marcire dopo il primo morso: è il giardino dell’Eden aperto agli uomini che spingevano per entrare e che ora giacciono corrosi da una fame che chiamavano sazietà.

 

 

E’ il mondo condensato intorno al nucleo atomico di questo evento/non-evento che – al di fuori di ogni prevedibilità – si perpetua con questa successione:

  • Richiesta del privato di modificare lo status quo;

  • Esame dell’istanza, imposizione di vincoli, limitazioni, ecc.., verifica di compatibilità con gli obiettivi e strumenti generali di difesa degli interessi collettivi generali, e assenso a mutare lo status quo;

  • Realizzazione effettiva del privato solo di una “parte” – benché per tale parte “conforme” – rispetto all’assentito.

  • Costruzione di un mondo “reale” che impatta con i valori riconosciuti e tutelati con gli strumenti di programmazione e con la disciplina attuativa.

 

E’ l’evento-tarlo che guardi agire mentre ti chiedi dove sia l’errore, per quale ignota alchimia è possibile - dalla voglia di bello e di giusto – generare un mostro?

 

E’ il mondo dell’uomo che pensa, ci ripensa, avanza e poi frena improvvisamente, scommette e si perde anche quando vince:

  • è un palazzo di sei piani costruito fino al terzo;

  • è un’abitazione caratteristica con rivestimento in pietrame che si è fermata al rinzaffo;

  • è un blocco di case a schiera in cui l’abitazione centrale è ferma al telaio travi/pilastri (perché il proprietario ha perso il lavoro, era titolare di una ditta fallita, ecc…) mentre tutto il resto è rifinito di lusso;

  • è una cappella cimiteriale dove la croce provvisoria di tavole da imballaggio marcisce al posto di una scultura mai finita o mai collocata sulla facciata principale;

  • è una stalla in cui gli animali non hanno mai visto intonaci alle pareti o vetri alle finestre;

  • è una teoria di muretti che non hanno mai conosciuto sostenitori e perciò si sostengono a vicenda come vittime in un lager;

  • è una mancanza che permea ogni cosa finita, che racconta un sogno provvisorio e traballante, che traccia un confine sempre imprevedibile, che rende monca la visione attesa, che delude come un racconto in cui il senso della storia è che la storia non ha senso.

 

È qualcosa che, secondo il dr. Grisanti, si può e si deve combattere applicando le sanzioni previste dalla legge.

 

E’ qualcosa che, invece, a mio avviso si deve combattere con altre armi.

 

 

 

QUALI SANZIONI ?

 

Per contrastare il degrado causato dalla parziale esecuzione di quanto autorizzato con Permesso di Cotruire, il dr. Grisanti ritiene di individuare un corpus di norme sanzionatorie svolgendo il seguente ragionamento :

“è notorio che la legislazione urbanistica ha il fine di assicurare il corretto e programmato assetto del territorio nonché la pubblica incolumità, oltre a concorrere, insieme alla legislazione dei beni culturali, a proteggere l’ambiente (compreso gli ecosistemi e la salute dell’uomo), il paesaggio e il patrimonio storico-culturale.

Considerando, quindi, che l’attività edilizia (branca dell’urbanistica prima, del governo del territorio oggi) va ad incidere su “beni comuni” nonché su valori costituzionalmente protetti, è del tutto evidente che all’indomani della Legge n. 1150/1942 (il cui art. 31 non prevedeva un termine per la fine dei lavori) ed a seguito dell’aumento della sensibilità per i vari interessi protetti il legislatore statale non poteva non preoccuparsi a che tale attività potesse essere autorizzabile imponendo un ragionevole termine per l’ultimazione delle opere.

Solo con la Legge n. 10/1977 è stato introdotto, in via generale, l’obbligo di ultimare le opere entro tre anni dal rilascio della concessione edilizia (oggi entro tre anni dall’inizio dei lavori, che deve avvenire entro un anno dal rilascio del permesso di costruire – art. 15 del D.P.R. n. 380/2001).

La Legge n. 10/1977 ha altresì introdotto una “norma penale in bianco”, applicabile alla fase esecutiva dell’opera, che sanziona l’inosservanza di leggi, regolamenti e prescrizioni contenute nella concessione edilizia (permesso di costruire); tale sanzione è oggi contenuta nell’art. 44, comma 1, lettera a) del D.P.R. n. 380/2001.

Allo scrivente è del tutto evidente che la sanzione penale in questione è manifestamente applicabile nei casi di mancata ultimazione delle opere nei termini previsti dalla legge (art. 15 del D.P.R. n. 380/2001), dai regolamenti edilizi (ritengo che non vi sia regolamento locale che non contenga una pari disposizione) e riportata, ordinariamente quale obbligo, anche nel permesso di costruire.”

 

Sulla base di tale ragionamento, dunque il dr. Grisanti conclude:

“In ragione di quanto esposto, non si comprende il motivo per il quale – per quanto mi consta – gli agenti di Polizia Giudiziaria e i tecnici comunali non provvedano a trasmettere alla competente Autorità Giudiziaria la comunicazione della notizia di reato ogni qualvolta i lavori di costruzione non vengano conclusi nel termine imposto.

In conclusione, è auspicabile, anche a tutela del patrimonio culturale, che gli addetti alla vigilanza urbanistico-edilizia, le forze di polizia e l’Autorità Giudiziaria penale considerino con la dovuta attenzione la fattispecie penale della mancata conclusione dei lavori nei termini e la conseguente applicazione della sanzione prevista dall’art. 44, comma 1, lett. a) del D.P.R. n. 380/2001.”

 

Così esposta, però, non mi pare una tesi convincente, in quanto superabile con le seguenti controdeduzioni:

 

    1. LA MANCATA ULTIMAZIONE DEI LAVORI NON E’ SANZIONABILE

Che la P.A. non abbia possibilità di seguire la strada indicata dal dr. Grisanti mi sembra deducibile dalla piana lettura dell’art. 15 del dpr 380/01 e s.m.i., di seguito trascritta:

 

Art. 15 (R)

Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire

(legge 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, commi 3, 4 e 5; legge 17 agosto 1942, n. 1150, art. 31, comma 11)

 

1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.

3. La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito e' subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell'articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione.

4. Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.

 

 

Infatti se il Legislatore ha stabilito che “La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito e' subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire”, significa – senza ombra di dubbio – che ritiene non sanzionabile l’esecuzione parziale, entro il termine di ultimazione fissato nel Permesso di Costruire, di un intervento assentito (ragionando al contrario si perverrebbe alla conclusione assurda secondo la quale il Legislatore sarebbe favorevole ad assentire all’esecuzione di opere integrative di una costruzione che considera sanzionabile … … ) .

 

 

    1. LA MANCATA ULTIMAZIONE DEI LAVORI NON E’ UNA VIOLAZIONE

Non dotata di sufficienti argomenti dimostrativi mi appare anche la tesi – pure indicata dal dr. Grisanti – secondo la quale “La Legge n. 10/1977 ha altresì introdotto una “norma penale in bianco”, applicabile alla fase esecutiva dell’opera, che sanziona l’inosservanza di leggi, regolamenti e prescrizioni contenute nella concessione edilizia (permesso di costruire); tale sanzione è oggi contenuta nell’art. 44, comma 1, lettera a) del D.P.R. n. 380/2001”.

 

Cosa dice, infatti, la norma citata e sotto trascritta:

 

 

 

Art. 44 (L)

Sanzioni penali

(legge 28 febbraio 1985, n. 47, articoli 19 e 20; decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146, art. 3, convertito, con modificazioni, in legge 21 giugno 1985, n. 298)

 

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:

a) l'ammenda fino a 10329 euro per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;

b) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 5164 a 51645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione;

c) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 15493 a 51645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell'articolo 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso.

2. La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi e' stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio e' avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva e' titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari.

2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell'articolo 22, comma 3, eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa. ((10))

 

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AGGIORNAMENTO (10)

Il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, ha disposto (con l'art. 32, comma 47) che "Le sanzioni pecuniarie di cui all'articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono incrementate del cento per cento".

 

 

Ebbene, anche in questo caso, la piana lettura della norma non allude in alcun modo alla sanzionabilità – in via penale – della non integrale esecuzione, nei termini indicati dal Permesso di Costruire, di opere regolarmente approvate.

Infatti, “l'inosservanza“ ritenuta penalmente perseguibile dal Legislatore ai sensi dell’art.44, comma 1, lett.a ), è riferibile sempre e comunque ad un “facere” contrario a quello “limite” imposto dalle leggi/regolamenti, non certo al “non facere” che è la mancata ultimazione dei lavori entro un certo tempo.

 

E che questa sia la lettura conforme della norma se ne ricava una conferma indiretta dal successivo art. 45 del medesimo DPR 380/01 e s.m.i. , laddove il Legislatore esplicita inequivocabilmente che il presupposto per l’esercizio dell’azione penale e/o della sospensione dell’azione penale sono indissolubilmente connessi alla esecuzione di violazioni edilizie e/o alla loro sanatoria.

 

 

 

Art. 45 (L)

Norme relative all'azione penale

(legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 22)

 

1. L'azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all'articolo 36.

2. ((COMMA ABROGATO DAL D. LGS. 2 LUGLIO 2010, N. 104)).

3. Il rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti.

 

 

 

 

 

Questo punto, al fine di evitare una improvvida estensione del raggio dell’azione penale ben oltre il limite della necessità di un fatto/comportamento lesivo, merita di essere trattato con qualche premessa in più.

 

Bisogna ricordare, infatti, che – secondo l’insegnamento del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale - con l’adozione del termine ”Permesso di Costruire” si designa un titolo edilizio che allude al fatto “che lo ius aedificandi non discende dall’autorità che lo concede, essendo connaturato alla proprietà (o diritto equipollente), e che al tempo stesso non revoca in dubbio che quel diritto è sottoposto, nell’interesse comune e per la salvaguardia di superiori valori, ad un regime di governo e controllo amministrativo”.

 

Da ciò è agevole derivare l’evidenza che l’esercizio del “diritto di costruire” è – prima di tutto – una delle forme con cui il privato si afferma come dominus, e dunque un diritto che non può essere soppresso da un insieme di regole nominalisticamente finalizzate alla tutela di interessi pubblici ma sostanzialmente inibitive/espropriative.

 

Dunque non si può pensare ad alcuna legge urbanistico/edilizia, e me che meno al DPR 380/01 e s.m.i., in termini di formulario di inibizioni che mummificano il privato in un rapporto di sudditanza invalidante alla P.A. .

 

Ad esempio:

  • è pubblico l’interesse al rispetto di distanze minime nell’edificazione, ma non lo è imporre che si costruisca ad una precisa distanza;

  • è pubblico l’interesse ad insediare sul territorio edifici che non superino determinate plano-volumetrie, ma non lo è imporre che si costruiscano solo edifici a forma piramidale;

  • ecc… .

 

Ora, se si è giunti a questo approdo, la conseguenza è inevitabile: i termini fissati all’art.15 del DPR 380/01 e s.m.i. non designano un obbligo “temporale” di provvedere decorso il quale il titolare del Permesso di Costruire incorre in sanzioni, bensì i limiti temporali entro i quali l’esercizio del diritto di costruire e di proprietà può essere svolto senza ulteriori controlli di conformità da parte della Pubblica Amministrazione.

 

E’ come se la P.A. affermasse:

“Ok, caro privato, puoi procedere perché - per come stanno oggi le cose - il tuo diritto è compatibile con quello generale. Non metterci troppo tempo, però, perché le cose potrebbero cambiare. Anzi, facciamo così: ci rivediamo fra qualche anno per rifare il punto della situazione. Ciao.”

 

Insomma, è pubblico l’interesse ad inibire gli interventi del privato che contrastino con gli interessi generali definiti dagli strumenti urbanistici, ma è privato l’interesse ad eseguire - secondo la propria organizzazione, disponibilità economica, ecc…, fino a che non si esaurisca il potere liberatorio del Permesso di Costruire - gli interventi che siano stati ritenuti conformi ai medesimi strumenti urbanistici.

 

Ragionando diversamente, e cioè in base al principio “deve essere sanzionato chi non esegue, nel termine indicato dal PdC, TUTTO quanto è stato autorizzato con il PdC”, si perverrebbe ad una conclusione tanto paradossale quanto contraddittoria.

 

Infatti, supponiamo che un Comune rilasci un PdC per la realizzazione di un edificio di tre piani, caratterizzato da base quadrata di 10 metri per lato ed altezza 12 metri:

 

  • dovremmo ritenere un reato perseguibile il fatto che - alla scadenza del termine di validità del PdC – il privato abbia realizzato, ad esempio, solo 2 dei tre piani autorizzati ? ;

  • se la risposta è “SI”, allora dovremmo ritenere un reato perseguibile anche il fatto che - alla scadenza del termine di validità del PdC – il privato abbia realizzato solo 1 dei tre piani autorizzati … ;

  • anzi, se la risposta è “SI”, dovremmo ritenere un reato perseguibile anche il fatto che - alla scadenza del termine di validità del PdC – il privato abbia realizzato solo 1/10 dei tre piani autorizzati … ;

  • e, per le stesse ragioni, se la risposta è “SI”, allora dovremmo ritenere un reato perseguibile anche il fatto che - alla scadenza del termine di validità del PdC – il privato non abbia realizzato … …. …. nulla dei tre piani autorizzati ;

  • ma ciò è paradossale e costituisce una contraddizione in termini, perché equivale ad affermare che gli interessi collettivi tutelati dalla P.A. possano essere compromessi – e dunque giustificano una previsione sanzionatoria - anche dal fatto che il privato … non faccia nulla.

 

Teorizzare l’illiceità di un “non facere”, in altre parole, avrebbe senso solo muovendo da un attributo non posseduto dal Permesso di Costruire: quello di “negozio giuridico” con cui la P.A. e il privato assumono impegni reciproci – in materia urbanistico/edilizia – analoghi a quello della contrattualistica ordinaria (convenzioni, atti unilaterali d’obbligo, asservimenti, cessioni, ecc…, ) formalizzata secondo principi codicistici.

 

Dunque, mi pare che alla domanda posta dal dr. Grisanti : “Non ultimare le opere edili nei termini prescritti da leggi, regolamenti e/o permesso di costruire è reato ? ” debba rispondersi negativamente, in quanto (prendendo a prestito una formula espressiva enunciata, in un altro contesto, dalla Corte di Cassazione - Sezione III penale) “ un’eventuale condanna sarebbe il risultato di un’estensione della norma penale incriminatrice oltre la sua portata attraverso un’interpretazione analogica “in malam partem” non consentita ...”.

 

 

 

NON SANZIONI MA CULTURA

 

L’esigenza di contrastare questa imprevista malattia della modernità, cioè il degrado del territorio e del paesaggio causato dall’insediamento di opere incompiute, balza agli occhi di qualunque osservatore del mondo che si dipana oltre il naso.

 

Ma opporre soluzioni “sanzionatorie” a questo tipo di problematiche è – a mio avviso -come combattere una infezione con il codice penale.

 

E’ un limite che conosco bene, perché – come ho accennato in precedenza – mi ha fatto credere, quando operavo direttamente sul campo, che l’arma della pretesa del rispetto di regole formali fosse sufficientemente intimidatoria e convincente.

 

E, comunque, opporre (solo eventuali) soluzioni “sanzionatorie” non risolve, come la storia dimostra per fatti concludenti.

 

Bisogna - invece - opporsi con la fatica di ricostruire continuamente quel muro di valori – sul quale fonda la consistenza e credibilità delle norme sopraelevate – che il tempo depaupera di resina vitale: il muro che contiene tutti i nomi dei viventi e che, perciò, la comunità riconosce e difende.

 

Bisogna che si smetta di credere alla favola satanica di chi ci illude che ci possa essere qualcosa di veramente nostro senza essere contemporaneamente anche degli altri.

 

Ad esempio:

  • che possiamo costruirci la nostra bella villa sul dirupo della scogliera di Capri senza che questa vanità implichi detrazione di valori estetici per gli altri;

  • che possiamo sottrarre la nostra piccola pietra-cimelio-fermacarte dal Colosseo senza che questa appropriazione sottragga consistenza alla storia universale;

  • che possiamo ammassare baracche e costruzioni provvisorie, dove immergerci nelle nostre attività saltuarie o voluttuarie, senza ferire lo sguardo degli uccelli migratori che ripercorrono le rotte del ritorno;

  • che possiamo iniziare una costruzione e lasciarla incompiuta – con pilastri e ferri d’attesa infissi nell’orizzonte, pareti di laterizi scheggiati, graticci di materiali affastellati e indefinibili a chiusura di varchi che un giorno saranno porte e finestre, … – senza ferire lo sguardo dei vicini, la salubrità del circondario, l’attesa del turista che si è avventurato nel borgo o del cercatore di funghi che si è perso nel bosco.

 

Bisogna smettere, in definitiva, di pensare che ciò che togliamo agli altri non sia esattamente ciò che buttiamo di noi stessi.

 

 

Piedimonte Matese 19/09/2012 geom. Bottone Marcellino