Superbonus e stato legittimo degli immobili

di Massimo GRISANTI

La non incerta interpretazione sia delle disposizioni dell’art. 119, commi 13 ter, 13 quater e 14 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 e s.m.i., sia delle disposizioni dell’art. 49 d.P.R. 380/2001, anche in correlazione tra esse, nonché in considerazione del diritto vivente, appare essere un desiderio di pochi, visti i tanti operatori del settore obnubilati dai fumi del denaro facile.
Del tutto infondatamente viene dato rilievo, da commentatori del web, alla risposta (in realtà una «non-risposta») che uno sconosciuto funzionario del MEF, il 15 settembre 2021 nell’audizione alla VI^ Commissione Finanze della Camera dei Deputati, ha dato all’interrogazione “5-06630 Fragomeli: Chiarimenti sull’applicazione del cosiddetto Superbonus fiscale per taluni interventi di ristrutturazione”, dalla quale hanno ricavato la certezza che non occorra che l’immobile sia legittimo al fine di poter eseguire gli interventi superbonus.
Questo è il testo dell’interrogazione e della risposta pubblicato sul Bollettino delle Giunte e delle Commissioni Parlamentari:
“TESTO DELLA RISPOSTA. (…)
Gli Onorevoli interroganti chiedono poi chiarimenti in merito alla possibilità di accedere al beneficio del Superbonus per un condominio provvisto di concessione edilizia e di titolo abitativo, costruito in difformità dal progetto originario, insanabile da un punto di vista urbanistico, ma reso alienabile con il ravvedimento dei condomini dopo aver pagato la relativa sanzione prevista dal comune di appartenenza (come previsto dall’articolo 206-bis della legge regione Toscana n. 65 del 2014 recante la sanzione pecuniaria pari al doppio del costo di produzione stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392).
A tale riguardo, si evidenzia che il comma 13-ter dell’articolo 119 del citato decreto-legge n. 34 del 2020, da ultimo modificato dal decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, prevede che gli interventi oggetto del Superbonus sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) e che la presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, del testo unico delle disposizioni in materia edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2021, n. 380”.
Non solo l’interrogazione dell’On. Fragomeli è del tutto infondata in punto di diritto perché da oltre due anni la Suprema Corte di cassazione, con sentenza n. 8230/2019 resa a sezioni unite civili, ha statuito che è alienabile il fabbricato affetto da difformità anche totali, ma addirittura vi è chi vede una risposta nella pedissequa lettura della disposizione di legge, e nient’altro, che fa il funzionario del MEF.
Di fronte a disposizioni oscure, i parlamentari della VI^ Commissione della Camera dei Deputati si sono dichiarano soddisfatti della risposta che ripete le disposizioni oscure. Evidentemente per loro non erano tali, ma semplicemente non l’avevano audite bene.
Chissà se tutti i cittadini si ritengono soddisfatti.
Il passo del decreto legge 34/2020 che secondo la massa degli operatori del settore abilita ad eseguire gli interventi superbonus in fabbricati privi dello “stato legittimo” sarebbe quello ove è scritto che “La presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”.
Se l’aspetto asseritamente rilevante è quello del non espressamente attestare lo “stato legittimo” non si vede ove stia la novità, atteso che già il modello unificato della CILA approvato con il decreto legislativo 222/2016, allegato 2, non contiene una sezione all’uopo dedicata. Il legislatore non ha fatto altro che ribadire una scelta già operata da oltre cinque anni.
Quindi, così come per le CILA “ordinarie” il professionista si muove verificando lo “stato legittimo” del fabbricato, non si vede quale sia la norma che lo abiliti a comportarsi in modo contrario per la CILA “superbonus”.
Altri operatori rinvengono la voluntas legis di prescindere dallo “stato legittimo” nel successivo periodo del comma 13 ter ovverosia ove è scritto che “Per gli interventi di cui al presente comma, la decadenza del beneficio fiscale previsto dall’articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 opera esclusivamente nei seguenti casi: a) mancata presentazione della CILA; b) interventi realizzati in difformità dalla CILA; c) assenza dell'attestazione dei dati di cui al secondo periodo; d) non corrispondenza al vero delle attestazioni ai sensi del comma 14”.
A ben vedere la disposizione riguarda gli specifici casi in cui gli interventi del superbonus riguardino immobili abusivi, in tutto o in parte, perché eretti o modificati sine titulo, anche quelli caratterizzati da difformità eccedenti il limite di tolleranza ex art. 34 bis TUE, ovvero con titolo annullato: sono questi, infatti, i casi presupposti che portano alla decadenza contemplata dall’art. 49 d.P.R. 380/2001.
In correlazione al principio fondamentale desumibile dall’art. 9 bis d.P.R. 380/2001 – ovverosia che l’esercizio dello jus aedificandi trova il limite nella legittimità dell’immobile così come conformato dai titoli abilitativi o a sanatoria, un principio costituzionalizzato dalla Consulta con la sentenza n. 529/1995 – si ritiene che la decadenza ex art. 49 TUE operi nei casi summenzionati, atteso che eventuali lavori assoggettabili a comunicazione asseverata di inizio lavori già eseguiti sull’immobile, conformi alla disciplina urbanistico-edilizia e alle norme settoriali, non incidono sullo “stato legittimo” perché realizzabili senza titolo (permesso di costruire – scia).
Tuttavia, la ragionevolezza porta a ritenere che la norma abilitante all’esecuzione degli interventi superbonus non sia rivolta all’universalità degli edifici abusivi, ma solamente a quelli per i quali sono pendenti istanze di sanatoria o di condono edilizio o procedimenti di regolarizzazione ex art. 38 TUE per violazioni formali.
La volontà del legislatore di non estromettere a priori coloro i quali hanno in corso procedimenti di ravvedimento pare racchiusa nel periodo “La presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”, considerato che non gli è sconosciuto (al legislatore) che attraverso l’asseverazione dell’intervento alla disciplina urbanistico-edilizia, la quale è elemento essenziale della CILA, il progettista attesta implicitamente la sussistenza del presupposto “stato legittimo” dell’immobile  (v. Cons. Stato, n. 1413/2014, con affermazioni evidentemente valevoli anche per l’asseverazione della CILA).
Ecco quindi che in tali casi, non dissimilmente da quanto gli è richiesto all’art. 20 d.P.R. 380/2001 per le istanze di sanatoria, il professionista, con una valutazione prognostica, deve asseverare che le procedure in corso per la regolarizzazione dell’immobile non possono che concludersi positivamente perché le opere abusive sono rispondenti al paradigma delineato dalle norme in tema di sanatoria ordinaria o straordinaria ovvero dall’art. 38 TUE.
Infine il ruolo dei dirigenti degli uffici tecnici comunali.
La disposizione del comma 13 ter dell’art. 119 d.l. 34/2020 che richiama la decadenza ex art. 49 TUE impone loro di segnalare all’Agenzia delle Entrate, entro tre mesi dall’ultimazione lavori, “ogni inosservanza comportante la decadenza di cui al comma precedente”.
Ciò spiegherebbe il motivo per il quale la disposizione “… resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento” abbia trovato allocazione in un comma specifico (il 13 quater) con le modifiche vigenti dal 31 luglio 2021.
Quindi, i dirigenti comunali dovranno comunque accertare lo “stato legittimo” dell’immobile ovvero l’asseverazione prognostica del progettista entro il termine ordinatorio di tre mesi dalla comunicazione di fine lavori, al fine di mettere nelle condizioni l’Agenzia delle Entrate di eventualmente intervenire con tempestività per dichiarare la decadenza dai benefici fiscali.
L’inazione o l’inerzia nell’esercizio del potere di vigilanza edilizia è sicuramente motivo di incolpazione a carico del dirigente comunale per inveramento di danno erariale, qualora all’Agenzia delle Entrate il contribuente opponesse la prescrizione per i casi di tardiva contestazione di decadenza dai benefici.
 Nell’avviarsi a concludere, vorrei ricordare che nei giorni o settimane antecedenti all’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765 decine di migliaia furono le licenze edilizie sfornate dai comuni al fine di porre al riparo, a dire dei sindaci, i proprietari dei terreni dall’entrata in vigore delle limitazioni dell’art. 17, introducente l’art. 41 quinquies alla legge urbanistica n. 1150/1942.
Ebbene, chi ha avuto modo di accedere ai documenti amministrativi relativi a tali licenze ha accertato, e lo dico senza timore di smentita alcuno, che alta è la percentuale degli edifici i cui lavori sono iniziati dal 1° settembre 1967 in poi ovverosia allorquando, in ragione delle suddette limitazioni, la licenza edilizia era decaduta ex art. 10, penultimo comma, L. 765/1967.
Si evidenzia che il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3480/2021 ha statuito che “…la dizione “nuove previsioni urbanistiche”, presente nel richiamato comma 13 dell’art. 31, include a pieno titolo una nuova disciplina (legislativa o regolamentare) introdotta …” e con la sentenza n. 4354/2014 che è legittimo il provvedimento di decadenza di una licenza edilizia adottato a distanza di trentadue anni dal rilascio perché dichiarativo di un effetto prodottosi ex lege. In via di principio e sul piano della teoria generale del diritto l’esercizio del potere amministrativo non è soggetto a prescrizione, ma al più a decadenza, laddove questa sia espressamente prevista dalla legge (art. 2964 c.c.).
Pertanto, la prudenza nell’agire non è mai abbastanza.