Urbanistica contrattata: quanto?

di Massimo GRISANTI

La vicenda della costruzione del nuovo stadio dell’A.S. Roma calcio stimola a verificare se vi è un limite alla contrattazione nel determinare le regole dell’uso del territorio.
Innanzi tutto la Corte costituzionale nella sentenza 5/1980 ricordò che lo ius aedificandi inerisce al diritto di proprietà ma il suo esercizio è limitato o condizionato nell’interesse pubblico a mezzo delle regole contenute nel complesso della disciplina urbanistica.
Ma la Corte disse di più: “E’ indubbiamente esatto che il sistema normativo attuato per disciplinare l’edificabilità dei suoli demanda alla pubblica amministrazione ogni determinazione sul se, sul come e anche sul quando della edificazione …”.
Fermo restando che, ovviamente, la determinazione di rendere edificabili i suoli, e in quale misura, è di esclusiva spettanza della P.A. occorre chiedersi se la sua decisione possa essere influenzata dall’iniziativa privata.
Troppo spesso in giurisprudenza e dottrina ricorre la convinzione che l’urbanistica possa essere contrattata ad ogni livello.
Innanzi tutto le convenzioni urbanistiche sono divisibili in due tipi: quelle ex art. 11 L. 241/1990 che servono ad integrare o sostituire il provvedimento abilitativo (e il caso qui non ricorre) e quelle di lottizzazione ex art. 28 L. 1150/1942 previste anche per i piani di recupero ex L. 457/1978.
Mentre per quelle ex art. 11 L. 241/1990 sono dichiaratamente applicabili le disposizioni in tema di obbligazioni e contratti, l’art. 13 l.c. prescrive che per la formazione dei piani urbanistici restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Le particolari norme.
Utilizzando la locuzione “particolari norme” dopo aver detto – in tema di partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo – che addirittura si può fare ricorso alla contrattazione per la definizione del contenuto discrezionale del provvedimento amministrativo, il legislatore ha chiaramente ricordato l’esistenza di limiti invalicabili nel contatto tra cittadini e P.A., rinvenibili nella disciplina pianificatoria.
Limiti fissati a tutela della genuinità delle decisioni dei rappresentanti del popolo a cui i cittadini hanno messo in mano la loro sovranità. Il cui solo tentativo di influenzarle può configurare reato.
Si pensi, ad esempio, che gli articoli 9 e 15 della Legge Urbanistica 1150/1942 non contemplano l’istituto delle osservazioni da parte dei cittadini, ammettendole solamente per i portatori di interessi diffusi di rilievo pubblicistico. E la convenzione di lottizzazione è stata ammessa per piani urbanistici di dettaglio chiamati a definire scelte generali già compiute.
E laddove disposizioni di leggi particolari consentono ai Comuni di variare il PRG dietro proposte di soggetti privati, tale facoltà trova un limite invalicabile nell’art. 4 L. 1150/1942 che – prescrivendo l’impermeabilità dei principi fondamentali rispetto a disposizioni contenute aliunde rispetto alla LUN – impone l’esclusiva riferibilità del contenuto essenziale del piano regolatore generale (art. 7) alla P.A.
Con la conseguenza che le particolari disposizioni di legge che consentono di variare il PRG su iniziativa di parte trovano il limite nel combinato disposto degli articoli 4 e 7 LUN.
Non importa andare a scandagliare le varie leggi particolari successive alla LUN per verificare se esse volevano modificare i principi in essa contenuti: il sol fatto che le disposizioni particolari non abbiano trovato ingresso nel corpo della L. 1150/1942 sta a significare che il legislatore più moderno non ha inteso modificare i principi cardine della Legge Urbanistica.
Del resto, quando lo ha voluto l’ha fatto con le modifiche apportate dalla L. 765/1967 e più di recente con quelle apportate dall’art. 14, co. 4, del D.L. 133/2014, convertito con modificazioni dalla L. 164/2014, all’art. 28 relativo alle lottizzazioni.