TAR Campania (NA) Sez. III n. 7730 del 2 dicembre 2021
Urbanistica.Certificato di agibilità e conformità dei manufatti alle norme urbanistico edilizie

La e costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, D.P.R. n. 380/2001 e 35, comma 20, L. n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata

Pubblicato il 02/12/2021

N. 07730/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00018/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 18 del 2021, proposto da
Alessandra Mozzillo, rappresentata e difesa dall'avvocato Claudio Ursomando, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Orta di Atella, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Raffaele Marciano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Santa Lucia, 62;

per l'annullamento

- dell’ordinanza nr. 08/SUAP del 28/12/2020 – Reg. generale nr. 35 del 28/12/2020 – notificata alla ricorrente in data 30/12/2020, con la quale il responsabile del 5° settore – Politiche del Territorio – ordinava “la chiusura ad horas dell’attività di vendita di articoli di cartolibreria e da regalo e dell’attività di rivendita di giornali quotidiani e periodici in Orta d’Atella alla Via Massimo Stanzione angolo via Curia individuati al catasto urbano al Foglio 10 p.lla 702 sub 3 (70 mq) e sub 4 (62 mq)”;

- di ogni altro atto preparatorio, connesso e conseguente, ancorché ignoti, ivi compreso il verbale della polizia municipale prot. Nr 23092 del 8/12/2020 di ispezione ed accertamento nei confronti “dell’esercizio di vicinato Carta Web di Mozzillo Alessandra (...)”;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Orta di Atella, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2021 la dott.ssa Gabriella Caprini e trattenuta la causa in decisione, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I. Parte ricorrente, titolare dell’attività commerciale, impugna l’ordinanza di chiusura ad horas delle attività di vendita di articoli di cartolibreria e da regalo nonché di rivendita di giornali quotidiani e periodici, costituente unica fonte di reddito per sé e per il proprio figlio minore. Il provvedimento gravato, visto il verbale della Polizia municipale n. 23092 dell’8.12.2020 di ispezione ed accertamento dell’esercizio di vicinato dalla medesima condotto, risulta motivato nei termini che seguono:

a) “Considerato che il legittimo esercizio di una attività commerciale è legato alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere ed, inoltre, sotto il profilo generale, al presupposto del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche si aggiunge quello del rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti che il certificato di agibilità ha la funzione di attestare (art. 24 del DPR. 380/2001)”;

b) “Verificata e confermata l'assenza dell'attestazione di agibilità per i locali oggetto dell'attività in questione, per i quali, tra l'altro, non sussistono i requisiti minimi in relazione all'altezza netta interna”.

I.1. Specifica, all’uopo, la medesima parte ricorrente che:

1. in data 8/12/2020, dopo 20 anni circa dal rilascio dei titoli autorizzatori richiamati, veniva effettuato nei locali dove la ricorrente esercita la propria attività commerciale, unica fonte di reddito, un’ispezione da parte della polizia municipale che accertava la mancanza del certificato d’agibilità;

2. con comunicazione prot. 23325 del 10/12/2020, notificata alla ricorrente in pari data, il Comune resistente comunicava l’avvio del procedimento teso alla “revoca di tutte le autorizzazioni conseguenti alla comunicazione per esercizio di commercio al dettaglio di vicinato per la vendita di articoli di cartolibreria e da regalo e domanda di autorizzazione per la rivendita di giornali quotidiani e periodici presso i locali in via M. Stanzione – angolo via Curia (foglio 10 p.lla 702 sub. 3-4) in capo alla sig.ra Mozzillo Alessandra”, sulla scorta della seguente motivazione: “la mancanza del certificato di agibilità comporta il divieto di prosecuzione dell’attività di cui alla “comunicazione per esercizio di commercio al dettaglio di vicinato per la vendita di articoli di cartolibreria e da regalo e domanda di autorizzazione per la rivendita di giornali quotidiani e periodici presso i locali in via M. Stanzione angolo via Curia”;

3. la medesima ricorrente provvedeva a notificare, con nota del 20/12/2020 assunta al protocollo dell’ente resistente al n. 24259, delle osservazioni controdeduttive in cui contestava la legittimità del procedimento avviato perché in palese violazione della normativa disciplinante le procedure di revoca in autotutela di provvedimenti amministrativi precedentemente rilasciati considerato il lungo lasso di tempo intercorso e la mancata valutazione dell’interesse contrapposto della ricorrente oramai cristallizzatosi nel tempo rispetto all’interesse pubblico, concreto ed attuale di cui, tuttavia, alcuna menzione era stata riportata nella motivazione per l’avvio della procedura. In ogni caso, la stessa istante si dichiarava disponibile a presentare la segnalazione certificata per l’agibilità dei locali in applicazione della recentissima normativa integrante l’art. 24 del DPR 380/01 con il comma 7 – bis, secondo cui: “La segnalazione certificata può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione”;

4. l’ente comunale, con il provvedimento in questa sede impugnato, senza concludere il procedimento avviato relativo alla revoca delle licenze rilasciate in capo alla ricorrente, ordinava la chiusura ad horas dell’attività commerciale.

II. A sostegno del gravame parte ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:

a) violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 7 e 10, 19 e 21 nonies della l. n. 241/90, degli artt. 7 e 22 del d.lgs. n. 114/1998, dell’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 3, 41 e 97 Cost.;

b) eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento degli elementi di fatto e di diritto, erroneità dei presupposti, contraddittorietà dell’azione amministrativa, sviamento, illogicità ed ingiustizia manifeste, violazione dei principi del giusto procedimento, di affidamento del privato, del tempus regit actum, di buona fede e correttezza della pubblica amministrazione e di proporzionalità dell’azione della P.A..

III Si è costituita l’Amministrazione comunale intimata, concludendo per il rigetto del ricorso.

IV. All’udienza pubblica del 12.10.2021, fissata per la trattazione, la causa è stata trattenuta in decisione.

V. Con il primo motivo di gravame, la parte lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 21 nonies della l. n. 241/90.

Osserva, in proposito, parte ricorrente che la disposta chiusura ad horas dell'esercizio commerciale avrebbe dovuto essere preceduta da un apposito provvedimento di secondo grado volto all'annullamento d'ufficio delle autorizzazioni precedentemente rilasciate dallo stesso Comune alla ricorrente per l'esercizio dell'attività commerciale de qua.

Ed invero, il procedimento teso alla revoca delle autorizzazioni rilasciate alla ricorrente, la cui conclusione costituirebbe il necessario presupposto per l’adozione dell’ingiunzione alla chiusura ad horas quivi gravata, sarebbe stato meramente avviato con la comunicazione richiamata nello stesso corpo dell’ordinanza impugnata - laddove si darebbe, peraltro, conto anche della non accoglibilità delle presentate osservazioni -, ma de facto lo stesso risulterebbe ancora aperto visto il tenore letterale dell’ordinanza censurata. Di contro, l’ingiunzione alla “chiusura ad horas” dei locali commerciali della ricorrente avrebbe, dal canto proprio, necessitato una puntuale e formale comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241/1990.

V.1. La censura è fondata.

V.1.1. Il provvedimento gravato, ingiungente la chiusura immediata dell’attività, pur esplicitando le motivazioni sottese all’adozione della misura, non risulta essere stato preceduto dal previo annullamento delle autorizzazioni che, invece, ne giustificano a tutt’oggi, legittimamente, fintanto, cioè, che sono esistenti nel mondo giuridico, l’esercizio.

Né può ritenersi che l’ordinanza impugnata contenga l’annullamento implicito delle predette autorizzazioni sussistenti in capo alla ricorrente, peraltro nemmeno menzionate nel corpo del provvedimento, considerato che il relativo dispositivo non esprime alcuna duplicità di statuizioni, quanto ai titoli legittimanti e all’ingiunzione, esaurendosi esclusivamente nell’ordine alla chiusura.

Orbene, come correttamente dedotto, la sopravvenuta rilevazione della mancanza di un requisito, come il certificato di agibilità, ritenuto necessario per l'esercizio dell'attività commerciale assentita, avrebbe dovuto essere valutata e apprezzata nell'ambito di uno specifico procedimento di riesame dell'originario titolo autorizzativo, tenuto conto, motivatamente e non con una formula di mero rito, come sembrerebbe essere avvenuto nel caso di specie, anche delle osservazioni controdeduttive depositate, avendo particolare riguardo alla normativa vigente all’epoca del rilascio delle autorizzazioni commerciali stesse. Ed, invero, la comunicazione d’esercizio di vicinato veniva depositata dalla ricorrente nel lontano anno 2000 e quindi precedentemente al DPR 380/2001 con il quale veniva ad esistenza il requisito dell’agibilità, così come oggi riconosciuto.

Il Comune resistente ha, invece, disposto l’immediata cessazione dell’attività commerciale, omettendo ogni attività istruttoria e procedimentale in ordine alla sussistenza di efficaci e preesistenti titoli autorizzatori (n. 1/2001, quanto alla vendita di giornali e riviste, e n. 85/SU del 23.01.2001, quanto all’esercizio di vicinato), attestanti la legittimità dell’esercizio tanto dal punto di vista urbanistico edilizio, essendo stato l’edificio assentito con regolare licenza edilizia n. 28/1971 (doc. 12), quanto di quello della salubrità dei luoghi, come si desume dalla certificazione di idoneità resa dalla competente azienda sanitaria locale CE/2, specificatamente con riferimento ai locali di vendita de quibus (doc. 4).

D’altro canto, se “La conformità dei manufatti alle norme urbanistico edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli artt. 24, comma 3, D.P.R. n. 380/2001 e 35, comma 20, L. n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata” (Cons. di St., sez. VI, 15/03/2021, n. 2216) non può negarsi che “Il certificato di agibilità degli immobili non presenta alcun rilievo sotto il profilo urbanistico-edilizio, assolvendo lo stesso esclusivamente alla funzione di controllo sanitario-urbanistico rispetto alla concessione edilizia a monte rilasciata e con opere concluse” (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 21/01/2021, n. 188). Invero, “Il certificato di agibilità delle costruzioni costituisce un'attestazione dei competenti uffici tecnici comunali in ordine alla sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico degli edifici e degli impianti tecnologici in essi installati, alla stregua della normativa di cui agli artt. 24 e 25 del D.P.R. n. 380/2001” (T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, 21/01/2021, n. 188). Esso ha, quindi, la funzione di attestare il conseguimento degli standard minimi e generali di qualità degli edifici, attenendo “unicamente agli aspetti della conformità dell'opera ai profili tecnici e igienico-sanitari e non avendo riguardo ai profili più strettamente urbanistici” (T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 31/07/2020, n. 217).

Può allora affermarsi che “Il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi, non sovrapponibili fra loro, in quanto il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l'immobile sia stato realizzato secondo le norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti, mentre il titolo edilizio è finalizzato all'accertamento del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 22/09/2020, n. 3964), dando quindi “vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili … con la conseguenza che i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell'edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza” (T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 23/07/2020, n. 963).

V.1.2. Ciò posto, solo per il tramite del proprio procuratore, la medesima Amministrazione comunale resistente, integrando in via postuma ed inammissibilmente attraverso meri scritti difensivi, il contenuto motivazionale del provvedimento gravato ha dichiarato che:

1. i locali nell’ambito dei quali viene esercitata l’attività commerciale di “vendita di articoli di cartolibreria e da regalo e rivendita dei giornali quotidiani periodici”, in realtà, presentavano una destinazione d’uso diversa dai locali commerciali, essendo inquadrati urbanisticamente come deposito-pertinenze nell’ambito di un fabbricato ad uso civile abitazione. La licenza n. 28 del 1971 (titolo edilizio del fabbricato), intestata ai sigg. Piccirillo Salvatore, Giuseppe, Pietro e Teresa, atterrebbe ad un fabbricato per civile abitazione con locali depositi-autorimesse al piano terra ed appartamenti ai piani superiori;

2. solo in data 16.01.2021 con prot. CE0005017, successivamente all’adozione del provvedimento gravato (del 28.12.2020), sarebbe stata presentata dal sig. Piccirillo Francesco, proprietario dell’immobile, una domanda volta al cambiamento di destinazione d’uso da deposito a locale commerciale (interrogazione online al Catasto Fabbricati della Agenzia delle entrate effettuata in data 19.1.2021), con ciò confermandosi l’originaria incompatibilità all’uso commerciale dei locali in esame.

V.1.3. Né può assumere rilievo la circostanza che, quanto al certificato di agibilità, siano state rinvenute solo le autorizzazioni all’abitabilità datate 27.07.1979 con riferimento ai vari appartamenti e non anche rispetto ai locali in argomento, ubicati a piano terra e aventi destinazione diversa dall’abitazione, a fronte, come detto, della certificazione di idoneità dei locali ad uso commerciale della competente azienda sanitaria locale CE/2 prodotta in atti.

V.2. Con il secondo motivo di ricorso, la parte si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 22 del d.lgs. n. 114/1998, dell’art. 24 del dPR n. 380/2001 nonché del difetto di istruttoria.

V.2.1. L’ente comunale resistente sarebbe incorso in errore nell’applicazione della normativa sottesa al caso di specie, non facendo riferimento alle disposizioni vigenti all’epoca del rilascio delle autorizzazioni commerciali ed incorrendo così nella violazione del principio principio tempus regit actum.

Ed invero:

a) in data 4/10/2000, con prot. n. 8926, la ricorrente comunicava, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 114/1998, l’avvio dell’esercizio di vicinato per la vendita di prodotti non alimentari presentando, altresì, domanda di autorizzazione per la vendita di giornali quotidiani e periodici presso i locali, concessi in comodato d’uso gratuito;

b) la normativa richiamata, nella sua originaria formulazione, all’epoca vigente, prevedeva esclusivamente che: “1. L'apertura, il trasferimento di sede e l'ampliamento della superficie fino ai limiti di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), di un esercizio di vicinato sono soggetti a previa comunicazione al comune competente per territorio e possono essere effettuati decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione. 2. Nella comunicazione di cui al comma 1 il soggetto interessato dichiara: a) di essere in possesso dei requisiti di cui all'articolo 5; b) di avere rispettato i regolamenti locali di polizia urbana, annonaria e igienico sanitaria, i regolamenti edilizi e le norme urbanistiche nonché quelle relative alle destinazioni d'uso; c) il settore o i settori merceologici, l'ubicazione e la superficie di vendita dell'esercizio; d) l'esito della eventuale valutazione in caso di applicazione della disposizione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c)”;

c) L’ente comunale, già in sede di istruttoria, riconosceva, con comunicazione prot. 1077/S.U del 4/12/2000 a firma del responsabile del procedimento allora designato (doc. 13), che, da un lato, il procedimento riguardante la comunicazione ex art. 7 d.lgs. n. 114/1998 relativo all’apertura dell’esercizio commerciale di prodotti non alimentari si era già concluso con esito favorevole in data 4.11.2000 e che, dall’altro, il procedimento riguardante la domanda di autorizzazione amministrativa per la vendita di giornali quotidiani e periodici si sarebbe concluso il 13.12.2000;

d) l’esito procedimentale sarebbe stato poi positivo visto, quanto a quest’ultima attività, il rilascio dell’autorizzazione avvenuta con atto prot. 42/S.U. del 12/01/2001 (doc. 5) e, quanto all’esercizio commerciale, il provvedimento espresso prot. 85/SU del 23.01.2001, a firma congiunta del responsabile del procedimento e del dirigente del settore Attività produttive e sportello unico dell’epoca, con il quale veniva parimenti comunicato alla ricorrente che non vi erano motivi ostativi all’apertura dell’esercizio di vicinato (doc. 6).

V.2.2. Tanto premesso, non troverebbe applicazione, nel caso di specie, il richiamato comma 2 dell’art. 24 del DPR 380/2001, posto alla base del provvedimento di chiusura impugnato, adottato, come detto, sulla scorta della mancata certificazione di agibilità.

Tale norma stabilisce, infatti, che: “Ai fini dell'agibilità, entro quindici giorni dall'ultimazione dei lavori di finitura dell'intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa, presenta allo sportello unico per l'edilizia la segnalazione certificata, per i seguenti interventi: a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1.”

Non sussisterebbe pertanto nessun obbligo di richiedere e consegnare il certificato di agibilità per le vecchie costruzioni che non siano state oggetto di interventi successivamente all’entrata in vigore del DPR 380/2001, laddove, nella specie, tale certificato non sia rinvenibile, in quanto trattasi di costruzioni molto risalenti, ovvero lo stesso sia stato rilasciato in base a previgenti normative.

Ora, nel caso all’esame, né la ricorrente, comodataria, né il proprietario dell’unità immobiliare avrebbero mai effettuato alcuna manutenzione straordinaria o intervento di ristrutturazione edilizia dei locali in cui la stessa svolge propria attività commerciale e pertanto, non ricadendo la fattispecie nelle ipotesi espressamente indicate nel succitato comma 2 dell’art. 24 del DPR 380/2001, non vi sarebbe mai stata la necessità di richiedere il certificato d’agibilità, essendo la medesima ricorrente già in possesso delle autorizzazioni e pareri necessari, sia dal punto di vista urbanistico che igienico sanitario, in ragione della normativa vigente al momento dell’inizio dell’attività.

V.2.3. Peraltro, la particolare fattispecie del caso in esame sarebbe stata compiutamente normata con la recentissima L. 120/2020, che, novellando, per quanto d’interesse, il richiamato art. 24 del d.P.R. n. 380/2001, ha introdotto il comma 7-bis secondo cui: “La segnalazione certificata può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione”.

Orbene, alla luce della nuova normativa introdotta, l’Amministrazione resistente avrebbe potuto, proprio in virtù del corretto esercizio dei poteri di autotutela, instaurare un fattivo contraddittorio procedimentale con l’interessata per consentirle di integrare la documentazione risultata successivamente carente, anche a garanzia dei principi di certezza delle situazioni giuridiche nonché di buon andamento, di economicità e di proporzionalità dell’azione amministrativa.

V.3. Con il terzo motivo di ricorso, logicamente collegato al precedente, la parte lamenta proprio la violazione del principio di proporzionalità dell’azione della P.A e il difetto di motivazione.

V.3.1. Si duole, nella specie, della sproporzione della sanzione applicata rispetto alla contestazione mossa che avrebbe dovuto, invece, concretarsi in un intervento correttivo di una precedente azione amministrativa che aveva già portato al rilascio di autorizzazioni (ad oggi ancora valide ed efficaci visto la mancata conclusione del procedimento di revoca avviato) con cui la stessa ricorrente aveva regolarmente esercitato la propria attività per ben 20 anni, senza soluzione di continuità.

V.3.2. Ciò posto, evidenza il difetto di motivazione, quale conseguenza del presupposto difetto di istruttoria. Il Comune resistente avrebbe fondato il proprio convincimento esclusivamente sull’asserita mancanza del certificato di agibilità senza, tuttavia, contestare l’accertamento di effettive condizioni di insalubrità, antigienicità o difformità dal punto di vista urbanistico edilizio rispetto al titolo abilitativo n. 28 del 1971 esistente, valido ed efficace. Né il medesimo ente comunale avrebbe rappresentato o prontamente motivato le ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale capace di comportare una contrazione così radicale della posizione particolare della ricorrente, il cui affidamento risulterebbe particolarmente qualificato in ragione del lunghissimo lasso di tempo trascorso dall’adozione delle autorizzazioni alla medesima rilasciate ben 20 anni prima.

V.3.3. La condotta dell’ente resistente risulterebbe, peraltro, viziata per violazione dell’art. 22 del D.lgs. n. 118/1998 che disciplina le ipotesi tassative per le quali l’ente comunale può disporre la sanzione della chiusura ad horas di una attività precedentemente autorizzata, non rientrando il caso di specie in alcuna delle ipotesi tassativamente indicate nel richiamato articolo di legge.

V.3.4. Di contro, la medesima Amministrazione avrebbe ben potuto concedere ad essa o al proprietario dei locali un termine per sanare il vizio formale della mancata certificazione d’agibilità, anche ai sensi del recentissimo comma 7 bis introdotto all’art. 24 del DPR 380/2001 dalla L.120/2020 che disciplina, appunto, la fattispecie relativa alla presentazione, in assenza di lavori, della segnalazione certificata per l’agibilità di immobili legittimamente realizzati ma privi di agibilità, pur nelle more della definizione dei requisiti per la presentazione, non risultano promulgati i decreti ministeriali attuativi.

VI. I motivi, che per connessione logico giuridica possono essere trattati congiuntamente, sono fondati nei termini che seguono.

VI.1. Orbene, assorbente è la censura della mancata istaurazione di un fattivo contraddittorio procedimentale volto a verificare, ad un ventennio dalle rilasciate autorizzazioni, peraltro non revocate, l’applicabilità della recentissima normativa riferita, invero, a tutti gli immobili realizzati precedentemente alla vigenza delle disposizioni ritenute violate, che, integrando, per quanto di diretto interesse nella vicenda all’esame, l’art. 24 DPR 380/01 con il comma 7 – bis, ha espressamente disposto quanto segue. “La segnalazione certificata può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione”.

Tale norma, di carattere generale, non reca alcuna specificazione in ordine alla esclusiva applicabilità della disciplina che consente una regolarizzazione, divenuta necessaria solo ex post, agli immobili destinati unicamente ad uso abitativo, come sostenuto dall’Amministrazione resistente, e non anche agli immobili ad uso diverso, come nel caso di specie.

VI.1.1. Peraltro, in coerenza con tale disposizione normativa, l’art. 10, comma 2, del medesimo DL 76/2020, conv. in legge 120/2020, che ha novellato, tra l’altro, nei termini sopra esposti, anche il richiamato art. 24, introduce, con efficacia immediata, una norma interpretativa derogatoria temporanea proprio in ordine alle altezze minime, prescrivendo, in particolare, che: “Nelle more dell'approvazione del decreto del Ministro della salute di cui all'articolo 20, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, le disposizioni di cui al decreto del Ministro per la sanità 5 luglio 1975, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18 luglio 1975, si interpretano nel senso che i requisiti relativi all'altezza minima e i requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione ivi previsti non si considerano riferiti agli immobili che siano stati realizzati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto e che siano ubicati nelle zone A o B, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili, in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali”. In tale norma si specifica, all’uopo, che: “Ai fini della presentazione e del rilascio dei titoli abilitativi per il recupero e la qualificazione edilizia dei medesimi immobili e della segnalazione certificata della loro agibilità, si fa riferimento alle dimensioni legittimamente preesistenti”.

Ora, vero è, come osservato dall’Amministrazione resistente, che la disposizione da ultimo richiamata parrebbe derogare all’altezza minima con esclusivo riferimento ad immobili aventi destinazione abitativa e non anche con riguardo ad unità aventi altre destinazioni d’uso quali locali commerciali o depositi. La normativa richiamata, di cui alla L. 120/2020 (D.L. 76/2020), prevedrebbe, cioè, letteralmente, una espressa deroga al solo Decreto del Ministero della sanità del 5.7.1975, riferentesi agli immobili ad uso abitativo, e non anche al D.Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., che di contro, all’allegato IV, postulerebbe per le attività commerciali ed uffici una altezza minima non inferiore a quella indicata dalla normativa urbanistica, ovvero pari a mt. 2.70, eventualmente derogabile a 2.40 solo per locali accessori (spogliatoi, servizi igienici ecc.). Nella specie, l’altezza rilevata in sede di sopralluogo sarebbe, secondo quanto dichiarato dalla difesa dell’Amministrazione resistente, risultata significativamente inferiore, essendo stata rilevata in mt. 2,20 – 2,35 in luogo dei detti prescritti 2,70 mt.

Orbene, ragioni di intrinseca coerenza dell’ordinamento impongono, tuttavia, una lettura della norma che consenta di ritenere applicabile il regime normativo ivi previsto, secondo una interpretazione logico - sistematica e costituzionalmente orientata, anche alla fattispecie all’esame, ravvisandosi, per analogia, una eadem ratio nelle situazioni giuridiche tutelate e tutelabili, quella, cioè, di consentire in via postuma, alla presenza di determinati requisiti, la regolarizzazione di situazioni edilizie che, legittime secondo la legislazione vigente all’epoca del rilascio dei titoli abilitativi, siano divenute successivamente irregolari alla luce della normativa sopravvenuta e, per il valore dei beni tutelati, richiedano una integrazione postuma.

Dalla lettura del combinato disposto della normativa appena richiamata è evidente l’intento del legislatore di cui recente riforma - rubricata DL semplificazioni volto all’introduzione di un principio temporaneamente derogatorio di carattere generale valevole per tutti gli immobili e, dunque, anche per i locali aventi ad oggetto un uso diverso, realizzati sulla base di un titolo abilitativo rilasciato antecedentemente all’entrata in vigore di disposizioni più restrittive, passibili di essere ritenute violate secondo una discutibile valutazione effettuata ex post di provvedimenti ormai consolidati, ove gli immobili interessati, non essendo mai stati oggetto di ristrutturazioni e/o interventi edilizi straordinari, non abbiano mai necessitato di ulteriori e successivi titoli abilitativi assoggettati alle norme sopravvenute.

Peraltro, chiarisce l’art. 9-bis del DPR 380/2001, rubricato “Documentazione amministrativa e stato legittimo degli immobili”, così come introdotto dal DL n. 76/2020, citato, che: “1-bis. Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitati interventi parziali” (cfr., in tal senso, T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 31/05/2021, n. 1358).

VI.1.2. Orbene, nel caso all’esame, parte ricorrente, nel riscontrare la comunicazione di avvio del diverso procedimento finalizzato alla revoca aveva anticipatamente rappresentato, invero, in attesa dell’adozione dei Decreti ministeriali attuativi, l’intenzione, da concretizzare ad avvenuta adozione, di presentare apposita segnalazione certificata al fine di ottenere la richiesta agibilità senza che sul punto si sia aperto alcun contraddittorio procedimentale.

Invero, in data 22.01.2021, è stato poi il proprietario dell’immobile a presentare una Scia per ottenere l’agibilità ai sensi del richiamato art. 24, comma 7 bis, del d.P.R. n. 380/2001, segnalazione il cui eventuale consolidamento priverebbe di effetti l’ingiunzione gravata. La segnalazione certificata per l'agibilità ai sensi dell' art. 24 del d.P.R. n. 380/2001, infatti, “avendo sostituito il certificato di agibilità, conserva la stessa funzione originaria, propria del provvedimento espresso, di verifica di conformità edilizio-urbanistica e di salubrità e sicurezza di quanto realizzato, con l'unica differenza che essa viene ricondotta entro i confini della s.c.i.a. ex art. 19 e 19-bis della l. n. 241/1990, configurandosi come atto privato, corrispondente nella prassi alla dichiarazione di un professionista abilitato attestante l'agibilità dell'immobile corredata dai documenti già previsti dall'art. 25 del d.P.R. n. 380/2001” (T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, sez. I, 17/09/2020, n. 557) .

VII. Sulla base delle complessive sovra esposte considerazioni, il ricorso, assorbite le ulteriori censure dedotte, è meritevole di accoglimento.

VIII. Ragioni di equità, tenuto conto delle sopravvenienze normative che hanno interessato la vicenda all’esame, inducono, tuttavia, il Collegio a disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Anna Pappalardo, Presidente

Pierluigi Russo, Consigliere

Gabriella Caprini, Consigliere, Estensore