TAR Puglia (BA) Sez. III n. 348 del 2 marzo 2020
Urbanistica.Oneri concessori e caso di cambio d'uso
Ove non si autorizzi ex novo una costruzione a uso residenziale ma si realizzi un mutamento di destinazione d’uso senza opere, cioè meramente funzionale, dovrà tenersi conto - nella quantificazione degli oneri - degli stardards già garantiti; giacché, diversamente opinando, si determinerebbe un ingiustificato aggravio a carico dei richiedenti e un indebito arricchimento a vantaggio del Comune, dovendo individuarsi la finalità degli obblighi di cessione nell’esigenza di un corretto e ordinato svolgimento del tessuto edificato nei limiti prescritti dallo stesso Ente comunale in sede di pianificazione urbanistica. È significativo rammentare in proposito che gli Enti locali hanno l’obbligo di motivare l’imposizione di standards in misura superiore al minimo garantito dal D.M. n. 1444/68 (segnalazione INg. M. Federici)
Pubblicato il 02/03/2020
N. 00348/2020 REG.PROV.COLL.
N. 01045/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1045 del 2016, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Maurizio Di Cagno, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, alla via Nicolai, n. 43;
contro
Comune di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura dell’Ente in Bari, alla via Principe Amedeo, n. 26;
per l'annullamento
previa sospensione cautelare,
dei seguenti atti: 1) la nota prot. n. -OMISSIS- del 18.5.2016 della Ripartizione Urbanistica ed Edilizia privata, a firma del Direttore del Settore S.U.E.; 2) gli atti presupposti e connessi, ove occorra, quali le determinazioni dirigenziali 2014/ 08557-2014/130/00130 del 1°.7.2014, n. 5493 del 3.8.2012 e n. 8915 del 21.12.2012;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2019 la dott.ssa Giacinta Serlenga e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - Con ricorso notificato in data 22 luglio 2016, la dott.ssa -OMISSIS- -OMISSIS- ha impugnato la nota a firma del Direttore del Settore S.U.E. - in epigrafe meglio specificata - recante divieto di prosecuzione delle attività di cui alla S.C.I.A. in data 2.5.2016, per asserita omissione degli adempimenti indicati nella deliberazione di C.C. n. 31/2015 (di recepimento della L.R. n. 16/2014).
Trattasi di intervento di mutamento di destinazione d’uso senza opere, in relazione all’unità immobiliare sita in Bari, al corso -OMISSIS-, realizzata in attuazione di un piano di lottizzazione in area tipizzata come “Zona per attività terziaria”. L’Amministrazione comunale subordina la prosecuzione dell’intervento in questione al reperimento della totalità degli standards prescritti dall’art. 3 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, per la destinazione a uso residenziale. Più precisamente, si legge nella citata nota comunale che “detta delibera di Consiglio Comunale (n.d.r. la n. 31/15) prevede: a) il reperimento delle superfici destinate a standard per la residenza come previsti, per la nuova destinazione, dal D.M. n. 1444 del 1968, dallo strumento urbanistico vigente o l’importo dovuto per la loro monetizzazione ove non sia possibile reperirli nelle immediate vicinanze; b) il versamento del contributo di costruzione di cui all’art. 16 del T.U.E. – D.P.R. 380/2001, come fissato dalla Determina Dirigenziale n. 05493 del 03.08.2012 (contributo del costo di costruzione) e dalla Determina Dirigenziale n. 08915 del 21.12.2012 (oneri di urbanizzazione primaria e secondaria)”.
Parte ricorrente affida il gravame a un unico motivo di ricorso col quale contesta, per un verso, l’erroneità dei criteri adottati nella nota gravata, nella parte in cui non è stato previsto un meccanismo compensativo tra gli standards richiesti per la nuova destinazione (residenziale) e quelli già versati per la destinazione originaria (terziario), salvo l’onere di provvedere alla cessione di eventuali maggiori superfici in relazione alla nuova destinazione d’uso; per altro verso, contesta la richiesta di versamento del costo di costruzione, essendo stato richiesto un mutamento meramente funzionale e difettandone, pertanto, il presupposto.
Il Comune di Bari, costituitosi in giudizio per resistere all’impugnativa, essenzialmente oppone alla ricostruzione del ricorrente la mancata cessione di aree a standards all’atto di realizzazione del fabbricato destinato a terziario.
Questa Sezione, con ordinanza n. 913/2019, ha disposto incombenti istruttori per accertare eventuali cessioni e per verificare, conseguentemente, il saldo delle aree da destinarsi a standards, in considerazione della disomogeneità dei criteri di calcolo, a seconda che le aree stesse vengano rapportate alla destinazione a uso residenziale (artt. 3 e 4 del D.M. n. 1444/1968) ovvero alla destinazione a uso produttivo o assimilabile (art. 5 dello stesso D.M.).
L’Amministrazione comunale, con nota della Ripartizione urbanistica ed edilizia privata prot. n. 223008 del 7.8.2019, prodotta in pari data, ha reso i chiarimenti richiesti.
All’udienza dell’11 dicembre 2019, la causa è stata riservata per la decisione.
2 – Il ricorso è fondato.
3 - Deve rimarcarsi in via preliminare che il mutamento di destinazione d’uso richiesto da parte ricorrente – e inibito dal Comune di Bari - comporta il passaggio a una tipologia costruttiva più gravosa in termini di carico urbanistico, dal settore terziario a quello residenziale, come parte ricorrente stessa riconosce. Tale mutamento, cioè, si sostanzia in un cambio di destinazione d’uso tra categorie autonome, comportante un aumento quantitativo e qualitativo degli “standards”.
In via generale, l’art. 23-ter del D.P.R. n. 380/2001 (Testo unico dell’edilizia) – introdotto dal D.L. n. 123/2014 (c.d. decreto “Sblocca Italia”) – individua i mutamenti nella destinazione d’uso di un immobile da ritenere urbanisticamente rilevanti e che pertanto necessitano di uno specifico titolo abilitativo edilizio. Dimodoché, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, “ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie”, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati a una diversa categoria funzionale tra quelle “residenziale”, “turistico-ricettiva”, “produttiva e direzionale”, “commerciale” e “rurale” (cfr.: Cons. Stato V, n. 6562 del 20/11/2018; Cass. civile n. 6366 dell’11/02/2019). Nel caso di specie, non vi è questione sulla forma del titolo edilizio, bensì sulla quantificazione delle aree da vincolare a servizio e del contributo di costruzione.
4 - Le contestazioni di parte ricorrente si appuntano non già sulla configurabilità dell’obbligo di cessione ma sui criteri di calcolo utilizzati (dunque, sul dato quantitativo), non avendo il Comune considerato le aree già vincolate a standard all’atto della realizzazione del fabbricato originario.
La censura è, invero, da ritenersi attendibile.
In linea di principio deve osservarsi che, ove non si autorizzi ex novo una costruzione a uso residenziale ma si realizzi un mutamento di destinazione d’uso senza opere, cioè meramente funzionale, dovrà tenersi conto - nella quantificazione degli oneri - degli stardards già garantiti; giacché, diversamente opinando, si determinerebbe un ingiustificato aggravio a carico dei richiedenti e un indebito arricchimento a vantaggio del Comune, dovendo individuarsi la finalità degli obblighi di cessione nell’esigenza di un corretto e ordinato svolgimento del tessuto edificato nei limiti prescritti dallo stesso Ente comunale in sede di pianificazione urbanistica. È significativo rammentare in proposito che – per unanime giurisprudenza - gli Enti locali hanno l’obbligo di motivare l’imposizione di standards in misura superiore al minimo garantito dal D.M. n. 1444/68 (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 19/02/2019, n. 1151).
Nella fattispecie, è incontroverso che di mutamento funzionale si tratti; l’Amministrazione comunale ha, infatti, ritenuto di imporre la cessione dell’integrale dotazione di standards a servizio della destinazione residenziale sul diverso presupposto dell’assenza di cessione di aree a standards all’atto di realizzazione dell’intervento costruttivo originario.
Orbene, tale assenza di cessioni è stata, in effetti, confermata in sede istruttoria; ma, nella stessa sede, è emersa la destinazione di una certa quantità di superfici a standards pubblicistici attraverso l’imposizione di servitù (cfr. la tabella riepilogativa allegata all’istruttoria stessa; nonché l’atto per notaio Ernesto Fornaro rep. n.114464 del 14.05.1996, agli atti di causa).
Nell’interpretazione seguita dall’Amministrazione, tuttavia, tali superfici non sarebbero suscettibili di scomputo in considerazione del dato testuale dell’art. 39 delle N.T.A. dello strumento urbanistico generale che utilizza il termine “reperire” con riferimento agli standards destinati alla residenza e il termine “prevedere” con riferimento agli standards destinati al terziario; sicché sussisterebbe il vincolo della cessione vera e propria degli standards per la realizzazione degli interventi residenziali e, conseguentemente, non sarebbero all’uopo utili le aree meramente vincolate a finalità pubblicistiche rimaste nella proprietà degli interessati.
In disparte il rilievo che di tali aree si sarebbe potuta prevedere la cessione all’Ente comunale quale condizione dello scomputo, in ogni caso – stante la ratio dell’obbligo di reperimento degli standards come su riportata - non può ritenersi dirimente lo strumento giuridico utilizzato per assicurarne la fruizione da parte della collettività insediata su una certa porzione di territorio (cessione in proprietà, costituzione di servitù o vincolo di destinazione). Pertanto, a fronte dell’indiscussa messa a disposizione di aree che - sebbene non trasferite in proprietà all’Ente locale - risultano gravate da vincolo di destinazione, appare infondata la pretesa dell’Amministrazione comunale di ricalcolare l’intero fabbisogno come se si trattasse di prima costruzione; fatta salva la diversa opzione di trasformare il vincolo di destinazione pregresso in vera e propria cessione della proprietà in favore dell’Amministrazione stessa.
5 - Con un’ulteriore residuale censura, parte ricorrente domanda l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo di pagamento del contributo di costruzione per ciò che attiene al costo di costruzione, pure richiesto dal Comune di Bari in relazione al mutamento di destinazione d’uso (si ribadisce: da ufficio a residenziale) dell’appartamento in questione, sul presupposto che, nel caso de quo, trattandosi di cambio di destinazione d’uso senza opere, realizzato mediante segnalazione certificata di inizio attività, non sussiste l’obbligo del versamento del costo di costruzione, difettandone in radice il presupposto.
La pretesa è legittima, essendo fondato il motivo dedotto. Dal combinato disposto degli artt. 16, commi 1, 3 e 10, 19, comma 2, e 23 del D.P.R. n. 380/2001, emerge con chiarezza che il costo di costruzione, nel caso di interventi su edifici esistenti, è determinato in relazione agli interventi stessi, come individuati dal Comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire.
Nel caso di cui si tratta, siamo in presenza – si ribadisce ancora una volta - di un cambio di destinazione d’uso funzionale dell’unità immobiliare in discussione, senza che ricorrano interventi di ristrutturazione, di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica; sicché – alla stregua del combinato disposto delle norme su richiamate - il costo di costruzione non è dovuto, poiché, in effetti, non vi è alcuna costruzione.
6 – In conclusione, in ragione di quanto su esposto, il ricorso deve essere interamente accolto.
Considerato, tuttavia, che la definizione della controversia ha richiesto approfondimenti istruttori e che le questioni giuridiche sottese non si presentano di immediata risoluzione, il Collegio dispone la compensazione tra le parti delle spese di causa.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui in motivazione. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2019 con l'intervento dei magistrati:
Orazio Ciliberti, Presidente
Carlo Dibello, Consigliere
Giacinta Serlenga, Consigliere, Estensore