Cass. Sez. III sent. 20452 del 25 maggio 2007 (Ud. 27 mar. 2007)
Pres. Onorato Est. Marini Ric. Di Lucia ed altro
Acque. Smaltimento acque di vegetazione delle olive

La disciplina che mira ad agevolare lo smaltimento delle acque di vegetazione mediante il loro spandimento è stata introdotta esclusivamente per i frantoi che operano in stretta connessione con un'aziende agricola e che trattano in massima parte i frutti da essa prodotti. Tale caratteristica si connette anche alla circostanza che i quantitativi di acque ottenuti dalla lavorazione risultano in tal modo contenuti e, quindi, tollerabili dai terreni agricoli ove le acque vengono distribuite con le opportune cautele.
Queste conclusioni trovano conferma anche nella normativa introdotta dal T.U. in materia ambientale, e cioè dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152. E' sufficiente infatti richiamare le disposizioni contenute, in particolare, negli artt.101, comma settimo (scarichi e acque reflue), 112 (utilizzazione agronomica), 137 (sanzioni penali). Queste disposizioni ricalcano in modo quasi pedissequo la disciplina precedente. Il comma settimo dell' art.101 parifica alle acque reflue domestiche solo quelle che provengono dalle attività di aziende agricole e agroalimentari, e non di quelle che operano con carattere industriale. L' art.112 consente l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione esattamente negli stessi termini di quanto faceva l'art. 38, novellato del D.Lv. 152-1999 e rinvia per quanto riguarda le sanzioni, al successivo art.137, che al comma quattordicesimo riproduce, salvo un aumento della misura dell'ammenda, il contenuto del comma ll-ter dell'art.59 della precedente disciplina in materia di acque (D.Lv. 152-99)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 27/03/2007
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - SENTENZA
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 00928/2007
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 34441/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI LUCIA Pietro Antonio, nato il 14 Aprile 1947 a Chiesti; PALMIERI Domenico Giorgio, nato l'8 aprile 1952 a Chiesti;
Avverso la sentenza emessa il 2 marzo 2005 dal Tribunale di Lucera, Sezione distaccata di Apricena, che ha assolto "perché il fatto non sussiste" il Sig. PALMIERI dal reato contestato al capo A) della rubrica, diversamente qualificato ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, comma 1, ed assolto "perché il fatto non sussiste" il Sig. DI LUCIA dal reato previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1, contestato al capo D). Ha quindi condannato il Sig. PALMIERI, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e riconosciuta la continuazione, per le violazioni dal D.Lgs. n. 22 del 1997, contestati al capo B) (diversamente qualificato ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, comma 11 ter,) e al capo C) della rubrica, determinando la pena in Euro 6.000,00, di ammenda. Ha condannato il Sig. DI LUCIA per il reato previsto al capo C) della rubrica, concesse le circostanze attenuati generiche equivalenti alla recidiva, determinando la pena in Euro 5000,00, di ammenda. Ha ordinato, altresì, la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree interessate.
Sentita la relazione effettuata dal Cons. Dott. MARINI Luigi;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dott. D'ANGELO Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il Difensore, Avv. SONCINO Maria, che ha richiamato il contenuto del ricorso e le relative conclusioni.
RILEVA IN FATTO
Il Sig. PALMIERI, quale titolare di frantoio, è stato tratto a giudizio ai capi a) e b) in relazione ai reati previsti dall'art. 51, comma 2, in relazione alla lett. a) del comma 1 ed al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 14, per avere immesso rifiuti non pericolosi, consistenti in acque reflue oleose, nella condotta fognaria pubblica e per avere depositato i medesimi rifiuti mediante spandimento su terreni agricoli; è stato inoltre tratto a giudizio, in concorso col Sig. DI LUCIA che agiva quale trasportatore, in relazione, capo c), al reato previsto dal citato art. 51, comma 2, per avere sversato le acque reflue in un canale.
Il Sig. DI LUCIA, oltre che per la contestazione prevista dal capo c), è stato tratto a giudizio, al capo d), per la violazione dell'art. 51, comma 1, lett. a) della medesima legge per avere trasportato senza autorizzazione rifiuti non pericolosi. Il Tribunale con la sentenza impugnata ha mandato assolto il Sig. PALMIERI per il reato contestato al capo a), e cioè l'ipotesi di scarico nella condotta fognaria pubblica, diversamente qualificato ai sensi del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 59, comma 1, non ritenendo sufficiente la prova raggiunta in sede dibattimentale; ha quindi mandato assolto il sig. DI LUCIA dal reato contestato al capo d), non ritenendo sufficiente la prova raggiunta.
Ha condannato gli odierni ricorrenti per i reati contestati al capo b), e cioè l'irrituale spandimento su terreni agricoli, e al capo c), e cioè lo scarico in un corso d'acqua superficiale, infliggendo, rispettivamente al Sig. PALMIERI ed al Sig. DI LUCIA la pena di Euro 6.000,00, e di Euro 5.000,00, di ammenda, nonché ordinando la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti interessati dalle attività illecite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Sig. DI LUCIA, lamentando l'inosservanza o l'erronea applicazione di legge per avere il Tribunale considerato come "rifiuti" le acque di vegetazione residuate da lavorazione meccanica delle olive, in ciò contraddicendo una ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, che esclude dalla sfera dell'illecito lo "spandimento" di tali acque su terreni agricoli. Infine, ha lamentato che il Tribunale avrebbe erroneamente non considerato che il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, per il reato di illecito sversamento in ogni caso prevederebbe l'irrogazione di sola sanzione amministrativa.
Ha proposto ricorso anche il Sig. PALMIERI, lamentando l'inosservanza o l'erronea applicazione di legge per avere il Tribunale erroneamente affermato l'esistenza di prove sufficienti a suo carico, mentre le risultanze dibattimentali avrebbero dovuto portare a diversa conclusione. Inoltre, erroneamente il Tribunale avrebbe qualificato le acque di lavorazione come "rifiuti" ed omesso, in ogni caso, di considerare che il D.Lgs. cit., art. 8 applicato si limita a prevedere la sola sanzione amministrativa per le attività di spandimento delle acque reflue.
OSSERVA IN DIRITTO
I ricorsi, che possono essere trattati congiuntamente per le questioni interpretative, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
1. È inammissibile il ricorso del Sig. PALMIERI nella parte in cui, lamentando un vizio ricostruttivo da parte del Tribunale, introduce una diversa ricostruzione dei fatti oggetto della valutazione del giudice di prime cure. La sentenza impugnata, invero, appare compiutamente e congruamente motivata con riferimento alla circostanze di fatto che fonderebbero la responsabilità penale del Sig. PALMIERI in ordine ai capi b) e c) della contestazione. Nel motivare la propria decisione, il Tribunale ha ampiamente esaminato gli elementi di prova acquisiti (pagg. 2 - 15), concludendo per la non sufficienza degli stessi in ordine al capo a) della rubrica, e cioè l'immissione delle acque di lavorazione nella fognatura pubblica, e, al contrario, ritenendo sufficientemente provati i capi b) e c), relativi alle condotte di spandimento delle acque reflue e di sversamento di altre acque in un affluente del "CANALE DIVENTO". In particolare, l'ampia motivazione adottata dal Tribunale alle pagine 12 e 13 della sentenza smentisce la prospettazione avanzata nel ricorso, e cioè che al Sig. PALMIERI venga fatto carico di condotte altrui a titolo di vera e propria responsabilità oggettiva. A fronte di una motivazione ampia e articolata, intrinsecamente coerente, in ordine agli elementi di prova acquisiti ed alle circostanze di fatto poste a fondamento della decisione, è precluso al giudice di legittimità, come ormai affermato anche da costante giurisprudenza, procedere ad un'attività di controllo che dovrebbe avere come oggetto la ricostruzione dei fatti e delle responsabilità per verificare l'esistenza di una soluzione alternativa a quella adottata dal giudice del merito.
A questo proposito si deve rinviare all'ampia motivazione, che viene condivisa da questo Giudice, della sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte, 5 maggio - 7 giungo 2006, n. 19584, Capri ed altra (rv 233773, rv 233774, rv 233775) e della sentenza della Sesta Sezione Penale, 24 marzo - 20 aprile 2006, n. 14054, Strazzanti (rv 233454).
Osserva la sentenza Capri che prima delle novella del 2006 la giurisprudenza pacificamente affermava che l'art. 606 c.p.p., lett. e) non affidava alla Corte "il compito di accertare l'intrinseca adeguatezza dei risultati dell'interpretazione delle prove, ma quello ben diverso di stabilire se i giudici di merito avessero esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se avessero dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti e se nell'interpretazione delle prove avessero esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione della prova...". Tali principi sono rimasti fermi anche dopo la L. n. 46 del 2006, e la natura del vizio denunciabile resta attinente alla correttezza del discorso giustificativo della decisione e non al suo contenuto valutativo.
Ciò non toglie importanza alla circostanza che il nuovo testo del citato art. 606 c.p.p., lett. e) sottolinea il valore decisivo che la valutazione del fatto ha con riferimento alla corretta applicazione della disposizione che si attaglia al caso concreto, posto che un'errata applicazione delle regole sulla valutazione della prova si trasforma in una non coerente applicazione della legge al fatto realmente accaduto ed alle conseguenti responsabilità. Tuttavia, resta fuori dubbio che il giudizio avanti la Corte di cassazione risponde a logiche e finalità sue proprie, che non ripetono quelle del giudizio avanti i giudici di merito. Una dimostrazione di questa differenza la si ricava, tra l'altro, dalla motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, la dove (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica apportata dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la possibilità di ricorso avanti la Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall'appello". Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo operato dalle corti di appello, ben si comprende come il riferimento del nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., lett. e) agli "altri atti del processo" su cui il ricorso può fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito non significa affatto che il giudice di legittimità sia chiamato, attraverso l'esame di tali atti, a ripercorre l'intera ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio. In altri e conclusivi termini, questa Corte ritiene che il giudizio sulla completezza e correttezza della motivazione della sentenza impugnata non possa confondersi "con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporsi a quella fornita dal giudice di merito", con la conseguenza che una motivazione esauriente nell'affrontare i temi essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori si sottrae al sindacato di legittimità. Conservano, dunque, piena validità anche dopo la novella del 2006 i principi essenziali fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995 - 23 febbraio 1996, Facilini (rv 203767).
2. I ricorsi sono manifestamente infondati nella parte in cui lamentano l'erronea interpretazione di legge da parte del Tribunale. Circa lo spandimento delle acque di lavorazione dei prodotti oleari, la sentenza impugnata non si limita ad esaminare la natura delle acque, concludendo che si è in presenza di acque reflue industriali, ma concentra la propria attenzione sulla irregolare attuazione delle attività di spandimento controllato. In particolare (pag. 11) la motivazione evidenzia come il ruscellamento massiccio causato dalle modalità di spandimento contrasti con la preventiva comunicazione effettuata dal ricorrente al sindaco. La violazione delle regole e delle modalità riconducibili al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 38 (come modificato dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258), dunque, secondo il giudice di prime cure riporta il fatto entro la violazione prevista dal comma 11 ter, del successivo art. 59 del medesimo testo normativo.
3. Come emerge dalla copiosa giurisprudenza in materia, la stessa ricostruzione della disciplina applicabile alla utilizzazione agronomica di acque di vegetazione olearia presenta aspetti di complessità e richiede una particolare attenzione. Si è sostenuto da parte dei ricorrenti che per i casi di non corretto "spandimento" delle acque di vegetazione la L. 11 novembre 1996, n. 574, art. 8, prevede l'irrogazione della sola sanzione amministrativa, così che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe accolto la tesi della pubblica accusa.
Osserva sul punto la Corte che la citata L. n. 574 del 1996 (intitolata "Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari") mirava a disciplinare in modo specifico ed esaustivo il fenomeno della utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione, ivi comprese le attività di spandimento di tali acque sui terreni agricoli. In particolare, l'art. 1 della L. (Utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide), al comma 1, recita: "Le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive che non hanno subito alcun trattamento ne' ricevuto alcun additivo ad eccezione delle acque per la diluizione delle paste ovvero per la lavatura degli impianti possono essere oggetto di utilizzazione agronomica attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad usi agricoli. "
Il successivo art. 2, fissa i "limiti di tolleranza", che variano a seconda delle tipologie e delle modalità, mentre l'art. 3 prevede che si proceda alla preventiva comunicazione - al sindaco del comune interessato - delle attività che si intende svolgere, comunicazione che deve essere corredata da pareri tecnici.
L'art. 4. (Modalità di spandimento), quindi recita:
1. "Lo spandimento delle acque di vegetazione deve essere realizzato assicurando una idonea distribuzione ed incorporazione delle sostanze sui terreni in modo da evitare conseguenze tali da mettere in pericolo l'approvvigionamento idrico, nuocere alle risorse viventi ed al sistema ecologico".
2. "Lo spandimento delle acque di vegetazione si intende realizzato in modo tecnicamente corretto e compatibile con le condizioni di produzione nel caso di distribuzione uniforme del carico idraulico sull'intera superficie dei terreni in modo da evitare fenomeni di ruscellamento".
Infine, dopo che l'art. 5 ha escluso alcune tipologie di terreno dalla possibilità di ricevere le acque di vegetazione, l'art. 8 stabilisce sanzioni amministrative nei confronti di chiunque "proceda allo spandimento di acque di vegetazione senza procedere alla preventiva comunicazione", oppure "proceda allo spandimento di acque di vegetazione con inosservanza dei modi di applicazione" previsti dall'art. 4, e ciò "salvo che il fatto non sia previsto dalla legge come reato". Sanzioni amministrative si applicano anche nei confronti di chiunque "proceda allo spandimento delle acque di vegetazione con inosservanza del limite di accettabilità di cui all'art. 2" e, infine, di chiunque "proceda allo spandimento delle acque di vegetazione in violazione dei divieti di cui all'art. 5". 4. Come appare evidente, la L. del 1996 ha disciplinato con grande attenzione le attività di utilizzazione agronomiche delle acque di vegetazione, dimostrando di avere ben presente la potenziale pericolosità delle attività di raccolta e di spandimento rispetto alle diverse composizioni dei terreni ed ai rischi di inquinamento delle acque superficiali e delle stesse falde acquifere. La scelta di prevedere sanzioni amministrazioni, poi, non è esclusiva, posto che per le modalità di spandimento disciplinate dall'art. 4, residua la formula "salvo che il fatto non costituisca reato". Si tratta di riserva che assume uno specifico significato con riferimento al presente ricorso.
5. A questo proposito la Corte evidenzia, infatti, come la L. 18 Agosto 2000, n. 258, intitolata "Disposizioni correttive e integrative del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento" abbia modificato, tra l'altro, sia l'art. 38 sia l'art. 59 di tale ultima normativa.
L'art. 38, nel testo novellato, contiene al comma 1, una complessa previsione che: a) esclude dall'applicazione della disposizione sia le zone vulnerabili, sia gli impianti di allevamento intensivo; b) prevede, previa comunicazione alle autorità competenti, l'utilizzazione agronomica degli effluenti da allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi, secondo le previsioni della L. n. 574 del 1996, le acque reflue provenienti dalle aziende citate al comma 7, lett. a), b) e c) dell'art. 28 che precede, nonché "da altre piccole aziende agroalimentari ad esse assimilate". Contiene, poi, al comma 2, una delega agli enti regionali affinché disciplinino "le attività di utilizzazione agronomica di cui al comma 1" sulla base dei criteri fissati in sede governativa anche a seguito dell'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome; tale normativa deve disciplinare, tra l'altro, le modalità di attuazione della L. n. 574 del 1996 e le norme tecniche cui devono attenersi le attività, nonché, recita la lett. e), "Le sanzioni amministrative pecuniarie, fermo restando quanto disposto datt'art. 59, comma 11 ter,". In sostanza, il nuovo testo dell'art. 38 fornisce due indicazioni di grande rilievo ai fini della presente decisione. Innanzitutto chiarisce che l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione dei frantoi è soggetta alla disciplina della preventiva comunicazione (e non a quella più complessa e restrittiva degli scarichi) a condizione che sia effettuata da aziende agricole che trattano in massima parte i loro stessi prodotti (dell'art. 28, comma 7, lett. a) e c)) o comunque di modeste dimensioni ("piccole aziende agroalimentari"). In secondo luogo chiarisce che le violazioni al regime previsto per tali aziende sono passibili di sanzione amministrativa, ad eccezione dei casi in cui comportano la realizzazione di illeciti penali, ora disciplinati del successivo art. 59, comma 11 ter.
6. L'art. 59, comma 11 ter, recita: "Chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti da allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonché delle acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'art. 38 al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste ovvero non ottemperi al divieto o all'ordine di sospensione delle attività impartito a norma di detto articolo è punito con l'ammenda di Euro 1.032,00, a Euro 7.746,00, o con l'arresto fino a un anno. La stessa pena si applica a chiunque effettua l'utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente".
Tale ultima previsione assume uno specifica rilievo in attesa che trovi definizione la complessa disciplina amministrativa prevista dell'art. 38, commi 2 e seguenti, come novellato.
Ritiene la Corte che la disciplina sanzionatoria ora ricordata, che è successiva a quella fissata dalla L. n. 574 del 1996, sopra descritta, escluda che violazioni come quelle contestate nel presente giudizio possano essere ricondotte nell'ambito di applicazione della L. del 1996, art. 8 cit..
In ultima istanza, la Corte considera che la disciplina che mira ad agevolare lo smaltimento delle acque di vegetazione mediante il loro spandimento sia stata introdotta esclusivamente per i frantoi che operano in stretta connessione con un'aziende agricola e che trattano in massima parte i frutti da essa prodotti. Tale caratteristica si connette anche alla circostanza che i quantitativi di acque ottenuti dalla lavorazione risultano in tal modo contenuti e, quindi, tollerabili dai terreni agricoli ove le acque vengono distribuite con le opportune cautele.
6. Così ricostruito il quadro normativo, la Corte ritiene che la sentenza impugnata abbia correttamente motivato sia in ordine alla situazione di fatto rilevante (pag. 13 e 14) sia in ordine alla sussistenza della violazione prevista del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, comma 11 ter. Ed infatti, il frantoio gestito dal Sig. PALMIERI risulta avere una produzione quantitativamente significativa e non riconducibile nell'ambito delle tipologie di azienda previste dall'art. 28 cit., comma 7, o ad esse assimilate. Dalla sentenza impugnata emerge con tutta evidenza che le attività di trasporto e di utilizzazione delle acque di vegetazione non rispettarono le modalità contenute nella segnalazione e comportarono modalità di spandimento che dettero origine al fenomeno, non consentito, del ruscellamento, così come emerge una non consentita di condotta di trasporto e di scarico in corso d'acqua superficiale (su questo aspetto la Corte concorda con la sentenza della Terza Sezione Penale, 31 maggio - 12 luglio 2002, n. 26614, Iannotti, rv. 222121, che richiama).
7. Queste conclusioni trovano conferma anche nella normativa introdotta dal T.U. in materia ambientale, e cioè dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
È sufficiente qui richiamare le disposizioni contenute, in particolare, nell'art. 101, comma 7, (scarichi e acque reflue), art. 112, (utilizzazione agronomica), art. 137, (sanzioni penali). Queste disposizioni ricalcano in modo quasi pedissequo la disciplina precedente. L'art. 101, comma 7, parifica alle acque reflue domestiche solo quelle che provengono dalle attività di aziende agricole e agroalimentari, e non di quelle che operano con carattere industriale. L'art. 112 consente l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione esattamente negli stessi termini di quanto faceva l'art. 38, novellato, sopra esaminato, e rinvia per quanto riguarda le sanzioni, al successivo art. 137, che al comma 14 riproduce, salvo un aumento della misura dell'ammenda, il contenuto dell'art. 59 cit., comma 11 ter.
I ricorsi debbono pertanto essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna I ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2007