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Sez. 3, Sentenzan. 35870 del 03/09/2004 (Ud. 01/07/2004 n.01516 ) Rv. 229012
Presidente: Savignano G. Estensore: Lombardi AM. Imputato: Arcidiacono. P.M. Fuzio R. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Agrigento, 13 febbraio 2003).
ACQUE - Tutela dall'inquinamento - Acque reflue industriali e domestiche - Differente regime - Rilevanza del grado o natura dell'inquinamento - Esclusione.

CON MOTIVAZIONE

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Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di scarichi di acque reflue, la distinzione fra acque reflue domestiche ed acque reflue industriali non è determinata dal grado o dalla natura dell'inquinamento delle acque, ma esclusivamente dalla natura della attività dalle quali provengono, così che qualunque tipo di acqua derivante dallo svolgimento di una attività produttiva rientra fra le acque reflue industriali, ed il suo scarico in difetto di autorizzazione configura il reato di cui all'art. 59 del D.Lgs. 11 maggio 1999 n. 152. (Fattispecie relativa allo scarico proveniente dal lavaggio delle lastre utilizzate per una attività tipografica nella quale la Corte ha escluso che la bassa concentrazione di sostanze inquinanti escludesse la configurabilità del reato)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 01/07/2004
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 1516
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 46975/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. Francesco Terrazzino, difensore di fiducia di Arcidiacono Filippo, n. il 26.9.1960 in Agrigento, ivi res. via Stromboli n. 19;
avverso la sentenza in data 13.3.2003 del Tribunale di Agrigento, con la quale venne condannato alla pena di euro 1.000,00 di ammenda, quale colpevole del reato di cui all'art. 59, comma 1, del D.L.vo n. 152/99.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Agrigento ha affermato la colpevolezza di Arcidiacono Filippo in ordine al reato di cui all'art. 59, comma 1, del D.L.vo n. 152/99, ascrittogli perché, in qualità di titolare della ditta "Tipografia Arcigraf", effettuava lo scarico dei reflui provenienti dalla attività produttiva nella pubblica fognatura, senza la prescritta autorizzazione. Il giudice di merito ha accertato che i liquidi usati per lo sviluppo venivano raccolti in appositi bidoni e smaltiti tramite una ditta specializzata, mentre venivano immesse nella pubblica fognatura, attraverso uno scarico, le acque di lavaggio delle lastre. Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputato, e l'impugnazione è stata trasmessa a questa Corte ai sensi dell'art. 568, ultimo comma, c.p.p..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 59, comma primo, del D.L.vo n. 152/99. Si deduce, in sintesi, che il giudice di merito ha erroneamente equiparato le acque di lavaggio delle lastre, utilizzate per l'attività tipografica, ai reflui industriali, dovendo essere, invece, assimilate a quelli domestici. Si osserva in proposito che i veri reflui industriali, rappresentati dai liquidi di sviluppo, venivano smaltiti regolarmente tramite una ditta specializzata per il recupero dei rifiuti tossici, mentre le acque di lavaggio delle lastre non avevano le caratteristiche dei reflui della attività industriale, essendo emerso dalle analisi effettuate che le stesse avevano un contenuto di sostanze inquinanti anche inferiore a quello delle acque provenienti dalle civili abitazioni.
In subordine l'impugnante chiede la diminuzione della pena inflitta, previa concessione delle attenuanti genetiche, e, in ogni caso, il dissequestro dello scarico fognario.
Il ricorso non è fondato.
Osserva la Corte in ordine al primo mezzo di annullamento che l'art. 2, primo comma lett. g), del D.L.vo n. 152/99 definisce "acque reflue domestiche" le "acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche".
L'art. 2, primo comma lett. h), definisce "acque reflue industriali":
"qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali e produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento". Emerge, quindi, evidente da tale classificazione che la distinzione tra "acque reflue domestiche" e "acque reflue industriali" non è determinata dal grado o dalla natura dell'inquinamento delle acque, bensì dalla natura della attività dalle quali provengono, di talché qualsiasi tipo di acqua derivante dallo svolgimento di un'attività produttiva rientra nella categoria di quelle di cui alla lett. h) e rende necessaria la autorizzazione prescritta dall'art. 45 del D.L.vo n. 152/99, la cui mancanza integra il reato di cui al successivo art. 59.
È stato, infatti, già affermato da questa Corte proprio con riferimento ad una fattispecie analoga a quella in esame che "Nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi". (Fattispecie relativa a scarico proveniente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo-litografica), (sez. 3^, 200242932, Barattoli, riv. 222966; conf. sez. 3^, 200001774, Scaramazza G., riv. 215608).
Peraltro, esattamente si è osservato nella impugnata sentenza in ordine alla ratio della norma che, nel caso di acque provenienti dall'esercizio di un'attività industriale, il legislatore ha anticipato la punibilità ad una fase prodromica alla causazione di un eventuale danno; che, a tal fine, la normativa impone all'esercente un'attività produttiva di richiedere una specifica autorizzazione, onde consentire alla pubblica amministrazione i controlli necessari in ordine alla autorizzabilità dello scarico, rendendo possibile la imposizione delle precauzioni e modalità di scarico ritenute necessarie.
Pertanto, la pericolosità minima dello scarico accertata nella sede di merito - per la bassa concentrazione di sostanze inquinanti - non esclude la sussistenza del reato.
Il secondo motivo di gravame è inammissibile, contenendo solo la richiesta di una valutazione di merito in ordine alla entità della pena da irrogarsi.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Arcidiacono Filippo al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 1 luglio 2004. Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2004