TAR Lombardia (BS) Sez. II n. 249 del 27 marzo 2024
Urbanistica.Esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi 

L'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che l'ordinanza di ripristino costituisce atto vincolato per la cui adozione non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto. I provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, infatti, non devono essere preceduti da tale comunicazione, perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati. L'ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento; ciò tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell'atto, adottato in violazione delle norme sul procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato. Invero, la natura vincolata del provvedimento de quo rende di per sé inconfigurabile un qualunque apporto partecipativo del privato; non si richiede la comunicazione di avvio del procedimento, poiché la partecipazione del privato non potrebbe comunque determinare alcunché di diverso, rispetto a quanto statuito dall'Amministrazione 


Pubblicato il 27/03/2024

N. 00249/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00644/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 644 del 2022, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Giuliano Rizzardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alberto Salvadori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via S. Caterina, 6;

nei confronti

Agenzia del Demanio - Direzione Regionale Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via S. Caterina, 6;
Regione Lombardia, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

delle ordinanze n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-, entrambe adottate dal -OMISSIS-, portanti ordine di demolizione di una recinzione metallica realizzata su area di proprietà di enti pubblici e di rimozione di rifiuti abbandonati.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- e di Agenzia del Demanio - Direzione Regionale Lombardia e di Agenzia del Demanio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2024 il dott. Luigi Rossetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I ricorrenti sono proprietari in comune di -OMISSIS- di un complesso immobiliare costituito da una casa di abitazione e da un ampio appezzamento di terreno ad essa pertinenziale. Il vasto compendio si affaccia in lato nord sul -OMISSIS-ed in lato nord-est sul -OMISSIS-.

Più precisamente, -OMISSIS- è proprietario del mappale -OMISSIS-, -OMISSIS-dei mappali -OMISSIS-. Entrambi sono comproprietari del mappale -OMISSIS-.

Tali terreni sono fisicamente contigui ai mappali -OMISSIS- di 338 mq (incolto sterrato) e n. -OMISSIS-di 159 mq (reliquato stradale), intestati al -OMISSIS- ed il n. -OMISSIS-di 1.435 mq (reliquato acque esenti), intestato al Demanio Pubblico. I mappali -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-costituivano, in un’epoca remota parte, dell’alveo del -OMISSIS-, prima del progressivo ritiro delle acque e dello spostamento del corso del torrente in direzione nord-est.

Sul finire degli anni ’60 il -OMISSIS- è stato incanalato e sono state costruite sponde in muratura; in tal modo, i mappali -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-sono stati definitivamente isolati dall’alveo del torrente e sostanzialmente relitti.

Il signor -OMISSIS-, dante causa degli attori nonché proprietario confinante con tali aree, attuali mappali -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-, in coincidenza con l’emersione di dette superfici a metà del secolo scorso, iniziò a goderne.

In data 04/04/2022 il Comune resistente comunicava al sig. -OMISSIS- l’avvio del procedimento per esecuzione di opere in assenza di provvedimento autorizzativo su proprietà comunale e demaniale e per la rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati (ex art. 192 Dlgs 152/2006).

Le opere contestate consistono in recinzione metallica, pali, e il deposito di oggetti vari, tra i quali una ringhiera.

In data 20/04/2022, veniva inoltrata nota contenente osservazioni in merito al contestato abuso ed in merito all’abbandono di rifiuti.

In data 06/05/2022 il Comune resistente emetteva ex artt. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001 e 192 del D. Lgs. n. 152 del 2006 ordinanza n. -OMISSIS- con la quale intimava ai ricorrenti di rimuovere entro 7 gg recinzione, pali e oggetti vari e ripristinare lo stato dei luoghi dei mappali -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-.

In data 26/05/2022 i ricorrenti inoltravano istanza di riesame al -OMISSIS-.

In data 14/07/2022, all’esito del fallito tentativo di mediazione obbligatoria, i ricorrenti notificavano al -OMISSIS- e all’Agenzia del Demanio, atto di citazione innanzi al Tribunale di Brescia per l’accertamento del loro diritto di proprietà sui reliquati demaniali.

In data 13/07/2022, il Comune intimato adottava una nuova ordinanza n. -OMISSIS-, notificata ad entrambi i ricorrenti in data 15/07/2022, nella sostanza confermativa di quella precedente, con proroga del termine a provvedere alla rimozione e riduzione in pristino entro il 01/08/2022, pena l’avvio dell’intervento sostitutivo da parte delle P.A. con spese a loro carico.

Con ricorso notificato in data 18/07/2022, e depositato in data 19/07/2022, i ricorrenti contestano la legittimità delle suddette ordinanze, deducendo i seguenti motivi di censura:

1)Violazione di legge per mancata applicazione degli artt. 942 ss. C.C. ratione temporis vigenti ante riforma del 1994. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001–eccesso di potere essendo l’ordinanza emanata sul falso presupposto che i beni siano di proprietà pubblica

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono che l’ordinanza sarebbe censurabile per errata applicazione degli artt. 942 o 946 cc, nella formulazione anteriore al 1994. Difatti, le superfici demaniali relitte, alla metà del secolo scorso, sarebbero ricadute nella proprietà del dante causa dei ricorrenti, in applicazione delle indicate norme codicistiche, secondo la formulazione in quel tempo vigente.

Secondo i ricorrenti, in virtù di tali disposizioni, si sarebbe verificata un’automatica sdemanializzazione del fondo. Fino al 1994 i terreni relitti dai corsi d’acqua venivano acquisiti dai proprietari confinanti a titolo originario per accessione. La normativa sarebbe applicabile al caso di specie, essendosi la fattispecie integrata a ridosso della metà del secolo scorso e comunque certamente ante 1994.

Né l’acquisizione dei mappali in questione potrebbe essere impedita da atti di gestione del demanio posti in essere sull’erroneo presupposto della persistente demanialità del bene medesimo.

L’acquisto dei mappali in questione, inoltre, risulta suffragato anche dall’avvenuto perfezionamento dell’usucapione ventennale a favore dei ricorrenti. Difatti, il possesso, dapprima posto in essere dal sig. -OMISSIS-, e poi dai sigg. -OMISSIS-poi e, di recente, dalla signora -OMISSIS-, risulta pacifico, pubblico, continuo ed ininterrotto.

Esso è, inoltre, ventennale e la prescrizione acquisitiva risulta maturata prima del 1994.

Anche l’azione amministrativa, posta in essere in epoca successiva al 1969, fa presumere la sdemanializzazione tacita dei mappali, pacificamente ammessa dalla giurisprudenza consolidata, che consentirebbe l’acquisto per usucapione in capo ai privati.

Risulterebbe, quindi, erroneamente applicato l’art. 35 del D.P.R. avendo la p.a. agito sul falso presupposto che i beni in questione fossero senz’altro di proprietà pubblica.

2)Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 6 della Legge n. 241 del 1990 art.35 del D.P.R. n. 380 del 2001. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, errato accertamento dei presupposti di fatto e di diritto e vizio di motivazione e manifesta contraddittorietà.

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono che il Responsabile del procedimento si sarebbe limitato alla meccanica applicazione della disciplina codicistica in vigore dal 1994 e al dato formale delle visure catastali. Non avrebbe tenuto conto dell’acquisto a titolo originario, in favore dei ricorrenti, dei mappali in questione. La stessa p.a. procedente sarebbe caduta in contraddizione rispetto ad una precedente nota nella quale il sig. -OMISSIS-, dante causa dell’odierna ricorrente, sarebbe stato autorizzato a tagliare “i cespugli di Robinia situati all’interno del suo giardino privato, lungo la sponda sinistra del -OMISSIS-”. Non ha tenuto conto che le visure catastali non avrebbero valore probatorio in ordine alla titolarità giuridica dei beni immobili.

Nel complesso sarebbe, quindi, mancata un’attività di indagine istruttoria adeguata che inficia in radice la motivazione del provvedimento. Sarebbe mancata un’indagine specifica volta ad accertare, in maniera certa ed incontrovertibile, la natura pubblica o privata del suolo.

Rispetto a tale profilo, i ricorrenti hanno prodotto documenti e scritti difensivi che avrebbero dovuto far sorgere in capa alla PA procedente almeno il dubbio in ordine alla titolarità dei mappali in questione.

3)Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 35 e 22 del D.P.R. n. 380 del 2001. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e vizio di motivazione, essendo l’ordinanza emanata sul falso presupposto che trattasi di c.d. abuso edilizio maggiore.

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono che l’abuso edilizio contestato, recinzione amovibile e precaria, sarebbe da ricondurre ad abuso minore, meritevole di sanzione pecuniaria e non di sanzione reale.

Essa non determinerebbe una sensibile alterazione dell’assetto del territorio e pertanto non necessiterebbe del preventivo rilascio di un atto autorizzativo di natura edilizia.

4)Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001 in relazione alla violazione della sequenza procedimentale prevista dalla citata disposizione.

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono la violazione della sequenza procedimentale costituita da previo sopralluogo, dalla redazione del verbale di accertamento dell’intervento abusivo. L’ordinanza-ingiunzione finale ex art. 35 D.P.R. n. 380/2001, non sarebbe stata preceduta da una diffida non rinnovabile. Nel caso di specie, non si darebbe atto di alcun sopralluogo preliminare, né risulterebbe redatto alcun verbale di accertamento dell’asserito intervento abusivo né emanata alcuna diffida non rinnovabile.

5)Violazione e/o falsa applicazione della normativa sulle acque pubbliche RD 11/12/1933 n. 1775 e sugli interventi in materia di polizia idraulica. Eccesso di potere essendo l’ordinanza emanata sul falso presupposto della sussistenza di un pericolo per l’incolumità di cose e persone e sulla necessità di accedere ai mappali per cui è causa per eseguire gli interventi di polizia idraulica.

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono la illegittimità di entrambi i provvedimenti nella parte in cui la recinzione, i pali, e il deposito di altri oggetti non consentono l’accesso all’alveo per l’esecuzione delle suddette attività di polizia idraulica.

I presupposti invocati sarebbero del tutto falsi ed inesistenti. Non sussisterebbe un interesse pubblico concreto ed attuale di accedere alle particelle in questione per eseguire interventi di polizia idraulica, posto che, quei pochi realizzati negli anni, sono stati fatti accedendo direttamente dall’alveo del torrente, che è quasi sempre in secca.

6)Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183 e 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere essendo l’ordinanza stata emanata sul falso presupposto che vi siano rifiuti da rimuovere

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono che entrambe le ordinanze sarebbero state adottate anche in applicazione dell’art. 192 DLgs 152/2006. Il presupposto invocato sarebbe falso ed inesistente.

Tutti gli oggetti indicati nelle ordinanze come rifiuti, “tubi, rete elettrosaldata, asserito residuo di ringhiera”, non sarebbero oggetti abbandonati, ma parti integranti della recinzione e ne costituirebbero, pertanto, gli elementi fondamentali di supporto. L’ordinanza, per tale profilo, contrasterebbe con l’art. 183 D.lgs. 152/2006 poiché per tutto ciò che è stato indicato nel provvedimento come rifiuto, non sussisterebbe alcuna volontà di abbandono, di disfarsene, condizione essenziale per la qualifica di rifiuto.

7)Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001, dell’art.192 del D.Lgs. n. 152 del 2006e dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004. Eccesso di potere per sviamento della causa tipica.

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono che la PA procedente avrebbe esercitato in maniera impropria un potere attinente alla polizia edilizia e ambientale, per il perseguimento di una diversa finalità di polizia demaniale e per entrare in possesso di beni erroneamente ritenuti di proprietà pubblica

Il -OMISSIS-, inoltre, indica quale presupposto a fondamento delle ordinanze gravate la circostanza che l’intervento abusivo sarebbe stato compiuto in zona soggetta a vincolo paesaggistico, quindi in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica. La mancata applicazione dell’art. 167 del Dlgs 42/2004, tuttavia, non avrebbe consentito ai ricorrenti di richiedere la sanatoria paesaggistica di cui al comma 4.

8)Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 192 del D.lgs. n. 152 del 2006. Eccesso di potere per carenza di istruttoria, vizio di motivazione e travisamento dei fatti in relazione all’erronea individuazione del Ricorrente -OMISSIS- come responsabile dell’abuso contestato

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono che il ricorrente -OMISSIS-, fin dalla fase endoprocedimentale, avrebbe fatto presente di essere soggetto estraneo agli illeciti contestati e quindi di procedere nei suoi confronti all’archiviazione del procedimento amministrativo avviato.

Rispetto a tale circostanza il -OMISSIS- avrebbe completamente ignorato questa allegazione difensiva né avrebbe disposto un’adeguata attività istruttoria per accertare se il sig. -OMISSIS- fosse estraneo o meno agli illeciti contestati.

9)Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7e ss. della L. n. 241 del 1990 in relazione alla mancata e/o vanificata partecipazione dei Ricorrenti al procedimento amministrativo.

Attraverso tale motivo di censura i ricorrenti deducono che risulterebbe violata la garanzia partecipativa, anche se il potere in esame ha carattere vincolato.

Sotto tale profilo non sarebbe stato comunicato l’avvio alla sig,ra -OMISSIS- la mancata adesione e partecipazione al procedimento di mediazione obbligatoria. L'Amministrazione non avrebbe neppure esaminato le osservazioni e le controdeduzioni formulate dall'interessato. L’istanza di riesame non sarebbe stata per nulla esaminata e contraddetta.

In data 22/07/2022 con Decreto monocratico veniva parzialmente accolta la richiesta di sospensiva.

In data 30/08/2022 si costituiva il -OMISSIS- eccependo l’inammissibilità e chiedendo il rigetto del ricorso perché infondato.

In data 10/09/2022 con ordinanza collegiale n. 650/2022 veniva rigettata l’istanza cautelare.

In data 14/12/2022, il Consiglio di Stato, con provvedimento n.5821/2022, in riforma dell'ordinanza impugnata, accoglie l'istanza cautelare in primo grado ai soli fini dell’art. 55 comma 10 del cod. del proc. amm.

Veniva fissata udienza pubblica per la data del 20/09/2023, poi rinviata d’ufficio al 10/01/2024.

All’udienza del 10/01/2024 l’affare passa in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, va sottoposta a disamina l’eccezione d’inammissibilità del gravame, prospettata dalla difesa dell’amministrazione resistente, secondo la quale l’impugnativa avrebbe ad oggetto atti meramente confermativi di altre determinazioni adottate nel 2004, ritenute legittime da questo Tar già con sentenza n. 1495/2012.

L’eccezione non è condivisibile.

Invero, la pronuncia sopra riportata fa riferimento ad altro provvedimento con cui l’amministrazione comunale dichiarava l’inefficacia di una DIA presentata dal ricorrente -OMISSIS- e da suo fratello -OMISSIS-, marito dell’odierna ricorrente -OMISSIS-. Più precisamente, si tratta di una vicenda avente ad oggetto la presentazione di una DIA per interventi su area ritenuta di proprietà dei sigg-OMISSIS-, poi dichiarata inefficace per difetto di legittimazione attiva e mancata dimostrazione della disponibilità della stressa, in quanto area demaniale.

Il provvedimento qui impugnato, quindi, non è lo stesso provvedimento del quale è stata accertata la legittimità con la sentenza n.1495/12.

Ne deriva l’ammissibilità del ricorso.

Va preliminarmente respinta, altresì, la richiesta di sospensione processuale, in attesa della definizione del giudizio civile per l’accertamento dell’avvenuta accessione o dei presupposti dell’usucapione.

Per la sospensione del processo, l’art. 79 cod. proc..amm. opera un rinvio al codice di procedura civile, nonché alle altre leggi ed al diritto europeo.

L’art. 295 cod. proc. civ. prevede che la sospensione debba essere disposta quando la decisione della controversia dipenda dalla definizione di altro giudizio. In altre parole, tra i due giudizi deve sussistere un rapporto di presupposizione necessaria, un vincolo di consequenzialità, vale a dire l’uno deve investire una questione di carattere pregiudiziale, rappresentando per l’altra un indispensabile antecedente logico-giuridico, mentre non è bastevole un mero collegamento tra le due emanande statuizioni (cfr.: Consiglio Stato - sez. IV – 28/01/2011, n. 693).

La sospensione risulta necessaria in tutte quelle ipotesi nelle quali vi sia un rapporto di pregiudizialità fra le due controversie, secondo una prospettiva per la quale la definizione della prima influenzerebbe la definizione della seconda, rendendo astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati (Cass. civ. – sez. III – 13.11.2002, n. 15953; Cass. civ. – sez. lavoro – 11.2.2003, n. 2048).

Precisato quanto sopra, il Collegio ritiene che, nella fattispecie, non ricorrano i presupposti per la sospensione del processo. La situazione di fatto e di diritto rappresentata nel provvedimento impugnato evidenzia, da un lato, la titolarità dei mappali in capo al demanio e al Comune e, dall’altro, l’abusività delle opere oggetto del provvedimento gravato.

Passando al merito del gravame, i primi due motivi di censura, vertendo sugli stessi presupposti sostanziali ed essendo strettamene connessi, possono essere congiuntamente esaminati.

Con la prima censura, sostanzialmente, si contesta la proprietà pubblica dei mappali poiché, secondo la prospettiva dei ricorrenti, questi sarebbero stati acquisiti alla proprietà privata del loro dante causa per alluvione propria ex artt. 942 o impropria ex art. 946 cc ss cc, secondo la normativa precedente alla legge 37/1994. In sostanza, i presupposti costitutivi del menzionato acquisto a titolo originario, si sarebbero perfezionati in data antecedente al 1994, con conseguente trasferimento dei terreni emersi, oggi costituiti dai mappali -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-, nella sfera giuridica del dante causa degli attuali ricorrenti. A sostegno della proprietà privata dei suddetti mappali, il ricorrente eccepisce, altresì, l’intervenuta usucapione degli stessi, mediante successione nel possesso in favore dei ricorrenti. La pubblica amministrazione, pertanto, avrebbe agito sul falso presupposto che i beni in questione fossero senz’altro di proprietà pubblica.

Con il secondo motivo di censura, i ricorrenti, deducono che, in virtù di quanto sopra, sarebbe mancata un’attività di indagine istruttoria adeguata che inficierebbe in radice la motivazione del provvedimento. Sarebbe mancata un’indagine specifica volta ad accertare, in maniera certa ed incontrovertibile, la natura pubblica o privata del suolo.

Le censure non possono essere condivise.

Il Collegio ritiene che vada preliminarmente ribadita la finalità principale dei provvedimenti impugnati che, sotto il profilo della repressione degli abusi edilizi, sono diretti ad irrogare una tipica sanzione edilizia ripristinatoria.

Rispetto a tale circostanza, la legittimità dell’azione amministrativa va necessariamente parametrata al corretto accertamento del carattere abusivo dei manufatti sul piano urbanistico-edilizio. Trattasi di accertamento che, invero, prescinde dall’assetto proprietario del suolo al quale accede l’opera stessa, soprattutto se essa si colloca, come nel caso concreto, in un sito sottoposto a tutela paesaggistica.

A fondamento di tale provvedimento l’amministrazione procedente, in concreto, pone quale base normativa l’art. 35 D.P.R. 380/2001. La situazione giuridica, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, è esattamente quella indicata nell’ordine di ripristino, salvo un futuro e diverso accertamento all’esito della controversia pendente dinanzi al giudice civile o, verosimilmente, innanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche.

Accertamento, quest’ultimo, che non eliderebbe il potere ripristinatorio azionato. Difatti, nella migliore delle ipotesi, se il giudizio dovesse restituire un esito favorevole ai ricorrenti, ciò non impedirebbe alla p.a. procedente l’attivazione di analoga misura ripristinatoria, ai sensi dell’art. 31 D.P.R. 380/2001.

Sulla base di quanto sopra rilevato, il Collegio ritiene che i presupposti riguardanti l’assetto proprietario dei mappali siano correttamente indicati nel provvedimento impugnato e nessuna insufficienza istruttoria possa essere addebitata all’amministrazione comunale.

Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce che l’abuso edilizio contestato, sarebbe da ricondurre ad abuso minore, meritevole di sanzione pecuniaria e non di sanzione reale.

Il Collegio non condivide.

Il sito interessato dalla recinzione è sottoposto a tutela paesaggistica ex D.Lgs. 42/2004.

Inoltre, la recinzione, fino a prova contraria, è pacificamente collocata su suolo pubblico.

In tale contesto, essa necessita di specifico provvedimento di assenso preventivo alla realizzazione.

La documentazione fotografica compulsata, difatti, evidenzia l’idoneità della struttura ad alterare per sua natura lo stato dei luoghi, attraverso un impatto visibile e non neutrale sugli stessi. La circostanza esclude, in concreto, l’eventuale rilevanza dello jus excludendi alios.

Sul punto: “Deve essere previamente assentita una recinzione realizzata in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico; l'ordine di demolizione, qualora non vi sia l'approvazione preventiva, si configura come un atto dovuto” (T.A.R. Milano, sez. IV, 27/06/2022, n.1507).

Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano la violazione della sequenza procedimentale.

L’ordinanza non sarebbe stata preceduta da una diffida non rinnovabile né da un verbale di sopralluogo.

Il motivo non è condivisibile.

Il verbale di sopralluogo non costituisce condizione per l’applicabilità dell’art. 35 D.P.R. 380/2001.

Esso ha natura endoprocedimentale ed è esclusivamente strumentale alle successive ed eventuali determinazioni provvedimentali. I provvedimenti sanzionatori edilizi, pertanto, possono essere adottati anche senza il previo sopralluogo, purché l’accertamento dell’abusività avvenga sulla base di una situazione di fatto per la quale parte ricorrente abbia avuto la possibilità di apportare il proprio contributo partecipativo alla ricostruzione della situazione concreta.

Nella fattispecie, la vicenda non solo era già nota da tempo per l’instaurazione di ben due giudizi, ma l’amministrazione comunale procedente, pur trattandosi di attività vincolata, ha comunicato l’avvio del procedimento con atto completo di tutti gli elementi utili all’allestimento delle più ampie garanzie partecipative. In tale situazione, il verbale di sopralluogo sarebbe risultato ultroneo e privo di utilità concreta.

Nella stessa prospettiva, anche l’assenza di una vera e propria diffida può ritenersi ragionevolmente superata da una comunicazione di avvio del procedimento idonea ad evidenziare il fatto che su di un suolo di proprietà pubblica siano state realizzate opere prive del necessario titolo edilizio.

Il Collegio ritiene che l’assenza di un’autonoma diffida, che preceda il provvedimento di ripristino, sia inidonea ad inficiare il provvedimento sanzionatorio.

Sul punto : “l’art. 35 del testo unico dell'edilizia, quando precisa che - in presenza di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici - l'Amministrazione comunale ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi previa diffida non rinnovabile, non intende con quest'ultima locuzione assoggettare il potere di vigilanza ad una sorta di decadenza o sanatoria, bensì semplicemente prescrivere al dirigente incaricato di non procrastinare (accordando ulteriori diffide) l'attuazione delle misure necessarie a ripristinare la legalità (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. VI , 23 luglio 2019 n. 5208)” (Cons. di Stato – Sez. VI – Sent. n.9807/2022). Nello stesso senso: “L'art. 35 del d.P.R. 380/2001, che dispone la demolizione delle costruzioni abusive eseguite su suoli demaniali, è una norma notoriamente di particolare rigore, in quanto l'abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, è ancor più grave che se commesso su suolo privato in assenza di titolo. Pertanto, la disposizione in questione non lascia all'Ente locale alcuno spazio per valutazioni discrezionali, una volta accertata la realizzazione di interventi eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire sui suoli demaniali, che impone di ordinarne la demolizione a cura del Comune e a spese del responsabile dell'abuso. La disciplina de qua non richiede un termine preciso per la diffida al ripristino bensì soltanto una previa diffida al responsabile per il ripristino. La diffida pertanto può essere surrogata dall'avviso di avvio del procedimento, considerato che l'art. 35 del testo unico dell'edilizia non rappresenta norma posta a presidio del diritto di difesa del privato ma, quando precisa che in presenza « di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici » l'Amministrazione comunale ordina al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi « previa diffida non rinnovabile », non intende con quest'ultima locuzione assoggettare il potere di vigilanza ad una sorta di decadenza o sanatoria, bensì semplicemente prescrivere al dirigente incaricato di non procrastinare (accordando ulteriori diffide) l'attuazione delle misure necessarie a ripristinare la legalità” (T.A.R. L'Aquila, (Abruzzo) sez. I, 14/02/2020, n.67).

Con il quinto motivo di ricorso i ricorrenti deducono la illegittimità di entrambi i provvedimenti nella parte in cui la recinzione, i pali, e il deposito di altri oggetti non consentirebbero l’accesso all’alveo per l’esecuzione delle suddette attività di polizia idraulica.

Il motivo è infondato.

Il provvedimento impugnato, pur lamentando l’impossibilità di accedere all’alveo per le operazioni di polizia idraulica a causa della recinzione metallica, dei pali e di oggetti vari, non necessita di un interesse pubblico concreto per irrogare la sanzione ripristinatoria.

Più specificamente, in quanto atto dovuto, l’ordine di ripristino non necessita né di una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né di una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, di alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.

In tale prospettiva, sotto il profilo della regolarità urbanistica ed edilizia, nessun rilievo può assumere la possibilità o meno di accedere per le operazioni di polizia idraulica, né l’eventuale disponibilità di parte ricorrente a consentire tale incombenza.

Con il sesto motivo di ricorso, i ricorrenti deducono che entrambe le ordinanze sarebbero state adottate anche in applicazione dell’art. 192 DLgs 152/2006. Il presupposto invocato sarebbe falso ed inesistente. Tutti gli oggetti indicati nelle ordinanze come rifiuti, “tubi, rete elettrosaldata, asserito residuo di ringhiera”, non sarebbero oggetti abbandonati, ma parti integranti della recinzione e ne costituirebbero pertanto gli elementi fondamentali di supporto. L’ordinanza, per tale profilo, contrasterebbe con l’art. 183 D.lgs. 152/2006 poiché per tutto ciò che è stato indicato nel provvedimento come rifiuto, non sussiste alcuna volontà di abbandono, di disfarsene, condizione essenziale per la qualifica di rifiuto.

Il motivo non è condivisibile.

La documentazione fotografica compulsata evidenzia degli oggetti metallici, posti in corrispondenza della recinzione. Nonostante parte ricorrenti li qualifichi come “parti integranti della recinzione e ne costituiscono pertanto gli elementi fondamentali di supporto”, essi sostanziano degli elementi ultronei rispetto alla struttura della recinzione, depositati nell’ambiente, con un’impropria funzione di protezione della proprietà “privata”.

I provvedimenti impugnati hanno accertato: un tubo metallico da idraulico, una rete elettro saldata per cantiere edile, un elemento metallico appoggiato alla rete, verosimilmente residuo di ringhiera.

Il Collegio ritiene che tali oggetti possano essere qualificati come rifiuti. Sul punto: “La nozione di rifiuto è definita dall'art. 183, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che come tale deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi; la definizione fornita da tale norma si basa sul dato funzionale, con la conseguenza che, per stabilire se una determinata sostanza o un determinato oggetto siano da considerare rifiuto, non occorre individuarne gli elementi intrinseci che ne determinano la qualificazione, ma occorre piuttosto far riferimento appunto alla sua funzione, essendo rifiuto tutto ciò da cui il detentore non tragga alcuna utilità e di cui, quindi, si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo. Si deve pertanto ritenere, in tale quadro, che un bene o una sostanza (soprattutto se privi di apprezzabile valore economico) debbano essere considerati rifiuto non solo quando questi vengano abbandonati dal detentore, ma anche quando questi li depositi nell'ambiente assegnando ad essi una funzione che non è loro propria senza ricavarne alcuna apprezzabile utilità all'evidente fine quindi di sottrarsi dall'obbligo di recupero o smaltimento” (T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. III, 23/02/2023, n.477).

Con il settimo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono che la PA procedente avrebbe esercitato in maniera impropria un potere attinente alla polizia edilizia e ambientale, per il perseguimento di una diversa finalità di polizia demaniale e per entrare in possesso di beni erroneamente ritenuti di proprietà pubblica. Il -OMISSIS-, inoltre, indicherebbe quale presupposto a fondamento delle ordinanze gravate la circostanza che l’intervento abusivo sarebbe stato compiuto in zona soggetta a vincolo paesaggistico, quindi in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica. La mancata applicazione dell’art. 167 del Dlgs 42/2004, tuttavia, non avrebbe consentito ai ricorrenti di richiedere la sanatoria paesaggistica di cui al comma 4.

Il motivo è infondato.

I provvedimenti impugnati sono stati adottati sul presupposto, legittimamente esistente al momento dell’adozione degli atti gravati e tuttora confermato, della realizzazione di una recinzione su proprietà demaniale e comunale, sottoposta a tutela ex Dlgs 42/2004 ed in assenza di titolo edilizio.

Nella stessa occasione di esercizio del potere, si è provveduto altresì all’adozione di provvedimenti ex art. 192 comma 3 Dlgs 152/2006, per il deposito di oggetti vari su suolo pubblico.

Vi è, pertanto, una perfetta conformità tra la situazione di fatto accertata, costituita dall’abuso edilizio e dall’ abbandono di rifiuti, e il potere esercitato.

Il Collegio non ravvisa elementi di sviamento di potere, né parte ricorrente allega indici sintomatici idonei a dimostrare l’esistenza del suddetto vizio.

L’assenza di titolo idoneo a legittimare il possesso o la detenzione dei mappali pubblici, da parte dei ricorrenti, esclude in radice la possibilità di richiedere l’autorizzazione paesaggistica. Il richiamo ad essa nei provvedimenti impugnati, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, è dovuto ai fini di una completa descrizione dello stato di fatto e giuridico dei luoghi.

Con l’ottavo motivo di ricorso, si deduce che il ricorrente -OMISSIS-, fin dalla fase endoprocedimentale, avrebbe fatto presente di essere soggetto estraneo agli illeciti contestati, chiedendo l’archiviazione del procedimento amministrativo avviato. Rispetto a tale circostanza il -OMISSIS- avrebbe completamente ignorato questa allegazione difensiva né avrebbe disposto un’adeguata attività istruttoria per accertare se il sig. -OMISSIS- fosse estraneo o meno agli illeciti contestati.

Il motivo non è condivisibile.

Invero, il ricorso pone a base dell’avvenuto acquisto per usucapione il possesso ultraventennale pacifico, pubblico, continuo e non interrotto dei mappali in esame anche del ricorrente -OMISSIS-. La circostanza è stata più volte ribadita, non solo nei pregressi giudizi ma anche con riferimento alla vicenda in esame, sia in sede procedimentale, sia in sede processuale.

L’esercizio del possesso implica una disponibilità di fatto dei mappali e, in assenza di contrarie allegazioni ad opera dello stesso ricorrente, il provvedimento di ripristino non può che essere indirizzato nei confronti di chi si dichiari nella disponibilità dei mappali in forza di acquisto a titolo originario del bene, sia o meno responsabile dell’abuso.

In ragione di ciò, il Collegio ritiene legittimo il provvedimento di ripristino adottato nei confronti del ricorrente -OMISSIS-.

Con il nono e ultimo motivo di ricorso, si deduce la violazione della garanzia partecipativa, anche se il potere in esame ha carattere vincolato. Sotto tale profilo non sarebbe stato comunicato l’avvio alla sig,ra -OMISSIS-.

Il motivo è destituito di fondamento.

Come già più sopra rilevato, i provvedimenti impugnati hanno carattere vincolato.

L'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che l'ordinanza di ripristino costituisce atto vincolato per la cui adozione non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto.

I provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, infatti, non devono essere preceduti da tale comunicazione, perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati.

In tal senso : “L'ordinanza di demolizione, per la sua natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento; ciò tanto più che, in relazione ad una simile tipologia provvedimentale, può trovare applicazione l'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990, che statuisce la non annullabilità dell'atto, adottato in violazione delle norme sul procedimento, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato. Invero, la natura vincolata del provvedimento de quo rende di per sé inconfigurabile un qualunque apporto partecipativo del privato; non si richiede la comunicazione di avvio del procedimento, poiché la partecipazione del privato non potrebbe comunque determinare alcunché di diverso, rispetto a quanto statuito dall'Amministrazione” (T.A.R. Napoli, (Campania) sez. IV, 09/10/2023, n.5486).

Sulla base di quanto sopra, va dichiarata la legittimità dei provvedimenti impugnati.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Bernardo Massari, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Luigi Rossetti, Referendario, Estensore