Cass. Sez. III n. 45434 del 30 novembre 2022 (UP 16 nov 2022)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Brandolin
Acque.Metodiche di prelievo e campionamento

Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell'allegato 5 alla Parte II^ del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (campione medio prelevato nell'arco di tre ore), non costituiscono un criterio legale di valutazione della prova e possono essere derogate, anche con campionamento istantaneo, in presenza di particolari esigenze individuate dall'organo di controllo, delle quali deve essere data motivazione e tali esigenze possono derivare dalle caratteristiche del ciclo produttivo, dal tipo di scarico - continuo, discontinuo, istantaneo - dal tipo di accertamento

RITENUTO IN FATTO

1. Il tribunale di Busto Arsizio con sentenza del 26 gennaio 2022 condannava Brondolin Davide in relazione al reato di cui all’art. 137 commi 1 e 2 del Dlgs. 152/06.

2. Avverso la pronuncia sopra indicata del tribunale, propone ricorso Brondolin Davide, deducendo tre motivi di impugnazione.

3. Con il primo motivo deduce il vizio di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 137 del Dlgs. 152/06 rappresentando l’errata applicazione della predetta norma a fronte dell’assenza di uno scarico come previsto dalla stessa, in quanto non vi era al momento dell’accertamento alcuno scarico in atto e lo stesso era ontologicamente impossibile con riguardo alla tipologia del ciclo produttivo della azienda condotta dall’imputato, posto che le previste fasi di lavaggio si svolgerebbero in impianti chiusi nell’immobile senza collegamento con l’esterno. Inoltre le sostanze impiegate in azienda non corrisponderebbero a quello trovate nei pozzetti. Peraltro alla luce dei prelievi, che dimostrano una riduzione drastica delle concentrazioni di inquinanti, si dovrebbe ricavare l’impossibilità del superamento dei limiti tabellari degli inquinanti rinvenuti già prima di arrivare ai successivi pozzetti e al corpo ricettore finale. Si segnala inoltre, che una precedente notizia di reato dell’ aprile 2017 avrebbe dato luogo ad un procedimento penale poi conclusosi con sentenza irrevocabile di assoluzione del medesimo tribunale, in base al rilievo della effettuazione di campionamenti su caditoie poste su una linea di acque meteoriche gestita assieme ad almeno un’altra ditta. Con la conclusione finale del ricorrente, per cui vi sarebbe la certezza della estraneità dell’imputato ad ogni tipo di condotta di scarico.

4. Con il secondo motivo rappresenta la violazione dell’art. 192 comma 2 cod. proc. pen., essendosi desunta la responsabilità penale in base ad indizi né gravi né precisi ne’ concordanti. Atteso che l’unico indizio equivoco sarebbe costituito dal rinvenimento di sostanze inquinanti in pozzetti ubicati presso la sede operativa della società amministrata dall’imputato. Mentre invece rileverebbe in favore del ricorrente, la assenza di uno scarico in atti e la estraneità delle sostanze rinvenute rispetto a quelle utilizzate nella azienda gestita dall’imputato. Inoltre sussisterebbe una spiegazione alternativa e plausibile rispetto a quanto rinvenuto, alla luce del dato per cui i pozzetti di prelievo raccoglierebbero acque meteoriche diverse da quella impiegata nella produzione, e la rete degli scarichi sarebbe condominiale e riceverebbe acque meteoriche del più ampio lotto industriale di cui l’azienda del ricorrente è parte. Pertanto, dovrebbe ritenersi che l’acqua rinvenuta nei pozzetti in assenza di recenti precipitazioni si sarebbe caratterizzata per una naturale sedimentazione nel tempo di residui e particelle e quindi essa derivava da eventi metereologici pregressi e dopo il deflusso sarebbe rimasta nei pozzetti acqua residua, rimasta a contatto con il sedimento del fondo, con maggiore concentrazione di sostanze ivi presenti. A fronte poi di condizioni di evaporazione diverse tra i vari tombini, i

campioni raccolti, tra loro diversi, non rappresenterebbero l’esito di uno scarico ma solo il contenuto del singolo pozzetto. E anche i risultati di analisi potrebbero essere stati condizionati dall’effettuazione di ciascun campionamento, posto che ogni pozzetto rappresentava una sorta di microsistema a sé stante.

5. Con il terzo motivo rappresenta la violazione dell’art. 360 cod. proc. pen. con riguardo all’accertamento del dicembre 2017, in quanto al di là del richiamo da parte degli operanti alla predetta norma come da cnr del 4.6.2018, non sarebbe stato mai fornito alcun avviso all’indagato anche in assenza della direzione di indagini da parte del P.M., posto che i dipendenti dell’ente di controllo avrebbero operato di iniziativa e in autonomia poi riferendo l’esito dell’accertamento. Da qui l’inutilizzabilità dei risultati ottenuti a fronte di un atto effettuato al di fuori di ogni potere e quindi extra ordinem.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo proposto, relativo alla errata applicazione dell’art. 137 Dlgs. 152/06 per assenza di uno scarico in atto e ontologica impossibilità del medesimo con riguardo alla tipologia del ciclo produttivo della azienda condotta dall’imputato, è inammissibile. Ciò perché, quanto alla obiezione difensiva della insussistenza dello scarico di reflui al momento del campionamento, rientra nella nozione di scarico la canalizzazione, anche se soltanto periodica o discontinua o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuata tramite condotta, tubazione, o altro sistema stabile di canalizzazione (Sez. 3, n. 47038 del 07/10/2015 Rv. 265554 – 01). Da tale nozione si evince in maniera evidente, quindi, che essa non presuppone – diversamente da quanto sostenuto dalla difesa - che al momento dell’accertamento degli operanti sia necessariamente in corso il deflusso dei reflui all’interno della predetta canalizzazione, essendo piuttosto necessario accertare che attraverso una collettazione stabile si effettui ovvero sia stato effettuato lo sversamento di reflui nei termini di cui alla fattispecie penale di riferimento. Ed invero, la circostanza della sussistenza di un deflusso attuale invece che precedente ovvero discontinuo di reflui industriali può rilevare, piuttosto, oltre che in relazione all’epoca dei fatti, sul piano della significatività degli accertamenti analitici svolti (comunque sostanzialmente illustrata in sentenza), posto che, come noto, le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell'allegato 5 alla Parte II^ del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (campione medio prelevato nell'arco di tre ore), non costituiscono un criterio legale di valutazione della prova e possono essere derogate, anche con campionamento istantaneo, in

presenza di particolari esigenze individuate dall'organo di controllo, delle quali deve essere data motivazione e tali esigenze possono derivare dalle caratteristiche del ciclo produttivo, dal tipo di scarico - continuo, discontinuo, istantaneo -, dal tipo di accertamento (Sez. 3 - n. 36701 del 03/07/2019 Rv. 277158 – 01; Sez. 3, n. 26437 del 13/04/2016 Rv. 267110 – 01).

Quanto poi alla tesi della incompatibilità delle sostanze rinvenute a seguito dei prelievi e campionamenti rispetto a quelle usate nel processo produttivo dell’azienda gestita dal ricorrente, si tratta di censura dal carattere meramente valutativo, come tale inammissibile in questa sede, oltre che lontana da ogni confronto con la motivazione della sentenza impugnata (con conseguente difetto di specificità estrinseca), attraverso la quale il giudice, in maniera articolata quanto stringente sul piano logico, ha rappresentato: a) che i prelievi cui seguirono i successivi campionamenti furono effettuati su caditoie collegate alla tubazione di acque nere, collocate nel cortile esclusivo della azienda; b) che a seguito di specifico accertamento delegato dal P.M. si accertò che le predette caditoie erano di esclusiva riconducibilità alla ditta dell’imputato; c) che la tubazione di acque nere cui accedevano le citate caditoie proseguiva poi il suo percorso, così superandole, nella proprietà di altra azienda. Si tratta di precisazioni da cui discende la conclusione logica ed inattaccabile secondo la quale nessuno scarico di altra azienda poteva avere contaminato le caditorie di esclusiva pertinenza della citata azienda. Conclusione altresì rafforzata dalla esclusione anche della provenienza delle sostanze inquinanti da acque meteoriche. In ragione dei fatti per cui si tratta di sostanze di cui i tecnici hanno escluso ogni possibile origine meteorica, lo stato dei luoghi non era interessato da eventi meteorici da circa 10 giorni, le caditoie erano collocate in un cortile della società circondato da muri esterni o interni così da non lasciare neppure ipotizzare la caduta di sostanze pericolose eventualmente presenti su tetti di altre aziende, e “lavate” dalla pioggia.

La granitica motivazione del tribunale non lascia spazio alla ulteriore citazione circa la sussistenza di una precedente notizia di reato dell’ aprile 2017, inerente fatti rappresentati come identici a quelli qui in esame, che avrebbe dato luogo ad un procedimento penale poi conclusosi con sentenza irrevocabile di assoluzione del medesimo tribunale in base al rilievo della effettuazione di campionamenti su caditoie poste su una linea di acque meteoriche gestita assieme ad almeno un’altra ditta.

3. Il secondo motivo, proposto, sub specie della violazione di legge processuale di cui all’art. 192 cod. proc. pen. è manifestamente infondato alla luce innanzitutto del noto principio affermato dalla Suprema Corte secondo cui,

in tema di ricorso per cassazione, le doglianze relative alla violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., riguardanti l'attendibilità dei testimoni dell'accusa, non essendo l'inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (cfr. sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016 (dep. 15/09/2017) Rv. 271294 – 01 Cedrangolo).

Può aggiungersi, per completezza, che la motivazione della sentenza come sopra sintetizzata dà conto di come le considerazioni del ricorrente, da una parte, non considerino gli argomenti sviluppati dal giudice, con conseguente inammissibilità anche sotto tale aspetto della censura proposta, dall’altra, si traducono nella mera rappresentazione di una personale ricostruzione del merito della vicenda, che anche essa non trova spazio, come noto, in questa sede.

4. Quanto al terzo motivo inerente la inutilizzabilità dei prelievi e campionamenti effettuati è anche esso manifestamente infondato. Va osservato che, innanzitutto, costituisce mera asserzione del ricorrente quella per cui le predette attività sarebbero state svolte al di fuori dell’intervenuto avvio di attività di indagine. Sta di fatto che quand’anche ciò fosse vero, va ricordato che in tema di disciplina degli scarichi, l'ispezione dello stabilimento industriale, il prelievo ed il campionamento delle acque reflue, le analisi dei campioni, configurano attività amministrative che non richiedono l'osservanza delle norme del codice di procedura penale stabilite a garanzia degli indagati e degli imputati per le attività di polizia giudiziaria, atteso che l'unica garanzia richiesta per le anzidette attività ispettive è quella prevista dall'art. 223 disp. att. cod. proc. pen. che impone il preavviso all'interessato del giorno, dell'ora e del luogo dove si svolgeranno le analisi dei campioni. (Sez. 3, n. 15170 del 29/01/2003 Rv. 224456 – 01). Ebbene tale ultimo profilo è attestato dagli stessi operanti che hanno comunque rilevato l’avvenuta effettuazione di dovuti avvisi all’interessato come risulta dalla lettura dell’allegato 3 al ricorso, senza che tale circostanza, affermata da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni, possa essere superata dalla mera asserzione contraria del ricorrente. Deve aggiungersi che il ricorrente, che non risulta avere sollevato la presente questione in sede di merito, non si è premurato di produrre l’intera documentazione amministrativa di riferimento ma solo la CNR, peraltro priva degli allegati ivi citati. Circostanza che ulteriormente fonda il giudizio di inammissibilità alla luce del principio per cui, in

tema di ricorso per cassazione, nel caso in cui una parte deduca il verificarsi di cause di nullità o inutilizzabilità collegate ad atti non rinvenibili nel fascicolo processuale, al generale onere di precisa indicazione che incombe su chi solleva l'eccezione si accompagna l'ulteriore onere di formale produzione delle risultanze documentali - positive o negative - addotte a fondamento del vizio processuale. (Sez. U, Sentenza n. 39061 del 16/07/2009 Rv. 244329 – 01). Più di recente e in linea con tale principio questa corte ha precisato che In tema di ricorso per cassazione, la parte che deduca la nullità di un atto processuale che non fa parte del fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, ha l'onere di indicare ed allegare al ricorso gli atti sui quali l'eccezione si fonda (Sez. 6 - , n. 37074 del 01/10/2020 Rv. 280551 – 01). E in tal senso si è espressa anche in tema di inutilizzabilità, con riguardo alle intercettazioni, stabilendo che in base al principio di autosufficienza del ricorso, in tema di intercettazioni, qualora in sede di legittimità venga eccepita l'inutilizzabilità dei relativi risultati, è onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità, indicare specificamente l'atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato cui si accompagna l'ulteriore onere di curare la produzione dell'atto e delle risultanze documentali addotte a fondamento del vizio processuale curando che l'atto sia effettivamente acquisito·al fascicolo o provvedendo a produrlo in copia (Sez. 4, n. 18335 del 28/06/2017 (dep. 26/04/2018 ) Rv. 273261 – 01).

5.Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende

Così deciso il 16/11/2022