Cass. Sez. III n. 45900 del 5 dicembre 2022 (UP 16 nov 2022)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. Fabbricatore
Acque.Nozione di acque reflue industriali
Ai sensi dell'art. 74 lett. h) del d.lgs. 152/2006 sono acque reflue industriali «qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento». Ai sensi della lett. g) sono acque reflue domestiche le «acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche». Pertanto nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche. Tanto perché la definizione normativa degli scarichi di acque reflue industriali, in conformità alla disciplina contenuta nell'art. 2 direttiva CEE 91/271, discende da qualità espresse in senso negativo ossia dal fatto di essere diverse dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento e, a tale proposito, si è precisato come sia configurabile il reato di cui al D.lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1, qualora lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall'art. 74, lett. h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o con materiali, anche inquinanti.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 16.12.2021 il tribunale di Nocera Inferiore ha condannato FABBRICATORE ALFONSO per il reato di cui all’art. 137, co. 1, d.lgs. n. 152 del 2006, perché, quale l.r. della soc. Giaguaro SPA, eseguiva o comunque consentiva l’illecito scarico di acque reflue industriali derivanti dall’impianto di produzione di conserve alimentari, specificamente per aver raccolto i reflui industriali in tre vasche colme di acque reflue industriali provenienti dalla lavorazione che, con un troppo pieno avente un diametro di 50 cm. circa, presente nell’ultima vasca, immesse direttamente ed illecitamente nel fiume rio Foce in assenza della prescritta autorizzazione, in relazione a fatti accertati l’8.09.2017, condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa, di 4000 euro di ammenda oltre al risarcimento danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili costituite ed al pagamento delle spese processuali da queste ultime sostenute, rigettando la richiesta di provvisionale formulata dalle stesse.
2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, l’interessato, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza di un effettivo collegamento tra le linee di produzione della soc. Giaguaro, l’impianto di depurazione autorizzato e le vasche poste sotto sequestro nonché sul punto dell’effettivo sversamento dei reflui dalla vasca posta sotto sequestro al canale consortile.
In sintesi, premesso che la motivazione della sentenza richiama in astratto principi condivisibili, facendone però un’applicazione pratica del tutto erronea, il ricorrente individua quattro punti della motivazione che, a suo giudizio, meriterebbero di essere censurati.
2.1.1. Il primo costituito dall’assiomatica asserzione dell’esistenza di un effettivo collegamento tra le linee di produzione e l’impianto di depurazione della soc. Giaguaro SPA, debitamente e pacificamente autorizzato con AIA, e le tre vasche in disuso poste sotto sequestro facenti parte del vecchio impianto di depurazione dell’azienda sarnese (tale ricostruzione si sarebbe fondata sulle divergenti ricostruzioni operate dai testi del PM e quella del teste a discarico, direttore dello stabilimento, il quale avrebbe escluso recisamente che vi fosse qualsiasi collegamento tra vasche ed impianto). La motivazione sul punto sarebbe censurabile soprattutto perché i testi del PM avrebbero paradossalmente individuato proprio nel direttore dello stabilimento la matrice dei loro assunti, riportando per estratto le relative deposizioni al fine di evidenziarne il travisamento; assertiva sarebbe quindi l’affermazione del giudice circa l’esistenza di uno scarico di acque da parte della soc. Giaguaro SPA assimilabili ai reflui industriali.
2.1.2. Un secondo punto censurabile sarebbe quello costituito dalla presunta riduzione della produzione da parte dell’azienda a seguito dell’accesso dei verbalizzanti. In sostanza, tale tesi si sostiene essere stata smentita documentalmente dal direttore dello stabilimento che, sentito quale teste, avrebbe prodotto i report di produzione del girono dell’accesso die verbalizzanti e di quelli antecedenti e successivi, dimostrando che nessuna riduzione della produzione vi fu da parte dell’azienda.
2.1.3. Un terzo punto censurabile, asseritamente decisivo, riguarderebbe l’apposizione, all’atto dell’accesso dei verbalizzanti, di una lastra bullonata in metallo che occludeva ermeticamente il foro che consentiva il collegamento tra la vasca sequestrata e la condotta consortile. Richiamato quanto argomentato a pag.16 della sentenza impugnata, il ricorrente evidenzia come, a fronte dell’apposizione di tale lastra, anomala appariva la circostanza che il teste Minoliti a soli 15 gg. di distanza avesse registrato il medesimo fenomeno di sversamento nel corso d’acqua superficiale che aveva indotto i verbalizzanti ad intervenire in data 8.09.2017. Il giudice, a fronte dell’impossibilità di attribuire alla soc. Giaguaro SPA lo sversamento del 24.09.2017, in considerazione dell’intervenuta apposizione della lastra, si sarebbe “inerpicato” in una motivazione illogica asserendo che gli scarichi potessero essere quelli autorizzati dalla Giaguaro SPA, dimenticando però che quelli autorizzati in regime AIA erano oggetto di procedimenti di depurazione che non potevano provocare lo stesso fenomeno degli scarichi abusivi e, dall’altro, sostenendo come fosse plausibile che vi fossero altre imprese che scaricassero nel medesimo canale consortile, con la conseguenza però, che a seguire tale ragionamento, anche gli scarichi dell’8.09.2017 potevano appartenere ad altra azienda.
2.1.4. Infine, un quarto ed ultimo punto censurabile è quello costituto dalla contraddittoria ricostruzione da parte del tribunale del comportamento aziendale che colliderebbe con quanto dichiarato dal direttore dello stabilimento. Detta ricostruzione sarebbe funzionale a sostenere l’esistenza dell’elemento psicologico, dapprima connotato in termini di colpa poi in termini dolosi, ma che, tuttavia, logicamente stride con la circostanza che la soc. Giaguaro SPA avesse presentato una SCIA ad aprile 2017 per la demolizione delle vasche nell’ambito di un disegno di ristrutturazione aziendale, ciò a sostegno della assoluta irrilevanza delle stesse per l’azienda, ma che tuttavia sarebbe stata utilizzata in maniera distorta dal tribunale colpevolizzando tale condotta che confermerebbe l’abusività dello scarico. Il tribunale, secondo la difesa, avrebbe travisato il portato delle dichiarazioni del direttore dello stabilimento sulla questione dell’AIA in possesso dell’azienda, sottolineando questi che le tre vasche in disuso non fossero comprese nell’AIA con l’intento di far comprendere al giudicante che l’azienda non le utilizzava più da anni nel proprio ciclo di gestione dei reflui.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 137, co. 1, d. lgs. n. 152 del 2006 circa l’esistenza di uno scarico e circa la natura di reflui industriali dei liquidi contenuti nelle basche in questione, con conseguente necessità di riqualificazione del fatto nell’ipotesi dell’art. 137, co. 5, d. lgs. n. 152 del 2006 e conseguente annullamento per insussistenza del reato o della diversa fattispecie di cui all’art. 29-quattuordecies, comma 2, d. lgs. n. 152 del 2006, punito con la sola sanzione amministrativa.
In sintesi, premesso che l’indagine sconterebbe un deficit probatorio costituito dalla mancanza dei prelievi nelle vasche in questione e nel corso d’acqua superficiale allo sbocco della condotta consortile, per come confermato dai testi del PM che evidenziarono l’assenza di prelievi per verificare la tipologia di sostanze presenti nella vasca, sostiene la difesa che quanto sopra avrebbe costretto il giudice a rifugiarsi in una motivazione erronea per pervenire al giudizio di condanna. Anzitutto, quanto alla qualificazione giuridica del fatto come scarico abusivo, atteso che la ricostruzione in fatto escluderebbe categoricamente che le tre vasche poste sotto sequestro fossero collegate con uno stabile sistema di collettamento all’impianto di produzione. In secondo luogo, poi, quanto alla natura di acque reflue industriali, sarebbe impossibile desumere con certezza la provenienza dei liquidi dell’impianto produttivo della soc. Giaguaro SPA attesa l’assenza di un prelievo che ne consentisse di accertare la natura e qualità, donde non sarebbe possibile attribuire ai liquidi contenuti nella vasca la natura di reflui industriali. Né, si aggiunge, l’impasse sarebbe superabile ritenendo, come ha fatto il giudice, che si trattasse di reflui industriali in base alla classificazione CER 161002 operata all’atto dello svuotamento della vasca, in quanto ciò indentificherebbe solo le soluzioni acquose di scarico, ma non indicherebbe la natura industriale del liquido, avendo peraltro ignorato il giudice che la società era autorizzata in regime di AIA e che era dotata quindi di un impianto di depurazione, perfettamente funzionante, ciò che riverbererebbe le sue conseguenze in punto di qualificazione giuridica del fatto. Non sarebbe, cioè, applicabile l’ipotesi del co. 1 dell’art. 137 TUA, quanto piuttosto l’art. 137, co. 5, TUA o al più l’art. 29-quattuordecies, TUA, essendo l’azienda dotata di autorizzazione allo scarico in regime AIA, con la conseguenza che, in entrambi i casi, il reato non potrebbe ritenersi sussistente, in quanto il co. 5 dell’art. 137 TUA si applica solo in caso di superamento dei limiti delle sostanze indicate in tab. 5 all. 5 e l’assenza dei prelievi precluderebbe tale accertamento e, quanto all’art. 29-quattuordecies, sarebbe applicabile il co. 2 che è punito solo con sanzione amministrativa.
2.3. Deduce, con il terzo ed ultimo motivo, il vizio di motivazione illogica quanto alla mancata applicazione della speciale causa di non punibilità dell’art. 131-bis, c.p.
In sintesi, a fronte di un reato contravvenzionale commesso per mera negligenza, in assenza di un qualsiasi prelievo da cui desumere l’effettivo impatto dei reflui, il giudice si sarebbe avvalso della prova empirica costituita dalle dichiarazioni di un teste del PM che aveva riferito di aver avvertito un aumento della temperatura dell’acqua con la propria mano, per affermare che il fatto non sarebbe affatto tenue, trasformando un reato istantaneo, relativo all’episodio dell’8.09.2017, in una sorta di reato permanente, in assenza del riferimento ad ulteriori controlli o ispezioni da cui desumersi l’effettiva durata degli scarichi.
3. Con requisitoria scritta del 12.07.2022, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
In particolare, il PG ha ritenuto la motivazione resa dal Tribunale di Nocera Inferiore incensurabile per quanto consentito in sede di legittimità, data la peculiare natura del giudizio in questione. Le doglianze dedotte dal ricorrente, secondo il PG, sarebbero volte a richiedere alla Suprema Corte una rivalutazione del fatto e come tale non accoglibile. In merito al primo motivo, dirimente rispetto al collegamento tra il vecchio impianto e il canale consortile è il test con il colorante fluorescente effettuato in sede di sopralluogo. Il secondo motivo afferente alla mancata prova del prelievo di campioni liquidi non si confronta con quanto argomentato dai giudicanti che hanno assimilato le acque meteoriche di dilavamento e i reflui industriali. Infine, il PG condivide l’esclusione della causa di non punibilità atteso che la messa in pericolo dell’interesse ambientale non appare affatto tenue, tenuto conto dell’arco temporale in cui si è protratto l’illecito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, trattato oralmente ex art. 23, comma 8, d.l. n. 137/2020 e successive modd. ed integrazioni, è inammissibile.
2. Al fine di una migliore intelligibilità dell’impugnazione proposta in questa sede, soprattutto al fine di cogliere più chiaramente le ragioni che hanno condotto questa Corte al giudizio di inammissibilità dei motivi, soprattutto quelli che evocano vizio motivazionali in realtà non sussistenti, è utile una sintetica ricostruzione in fatto della vicenda.
3. L’odierno giudizio si origina dall’ispezione eseguita in data 08.09.2017 nei confronti della società conserviera “Giaguaro S.p.A.”, di cui il ricorrente è legale rappresentante, ed in particolare presso lo stabilimento sito in Sarno alla Via Ingegno s.n.c. In prossimità di quest’ultimo erano stati infatti segnalati sversamenti illeciti di reflui industriali nel Rio Foce. Il Rio Foce rappresenta una delle tre sorgenti del fiume Sarno, si trova in area protetta istituita con Decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 780 del 13 novembre 2003, pubblicato sul BURC speciale del 27 maggio 2004.
In sede di sopralluogo, riscontrata una notevole contrazione dell’attività lavorativa, l’attenzione si era concentrata su tre vasche del vecchio impianto di depurazione colme di reflui della produzione, in particolare di acque della lavorazione del pomodoro. L’ultima, in particolare, aveva un foro di circa 50 cm di diametro che scaricava direttamente nel Rio Foce. Per verificarne il collegamento, gli operanti eseguirono un test con un colorante fluorescente con l’esito finale che vedeva i liquidi fluorescenti presenti nella vasca di depurazione confluire nel torrente. Rilevata la mancanza di un’autorizzazione per lo scarico in questione, il foro venne chiuso e l’impianto sottoposto a sequestro ex art. 354 c.p.p. contestualmente fu richiesta la planimetria.
Aperto il dibattimento vennero sentiti i testi Mar. Vernacchio Gerardo del Comando di Polizia Provinciale di Salerno, Minoliti Mario, funzionario dell’Ente parco Regionale del fiume Sarno nonché l’imputato stesso e l’Ing. Giacobino, quale direttore tecnico addetto alla gestione del sistema di depurazione dell’industria.
Quest’ultimo dichiarò che il sistema in questione era in disuso dal 1995 e i reflui della lavorazione industriale non confluissero nelle tre vasche attenzionate bensì nell’impianto di scarico per cui la Giaguaro S.p.A. era titolare di un’Autorizzazione integrata ambientale, rilasciata nel 2011 e con successivo adeguamento nel 2017, che vede il punto di scarico idrico della società in un pozzetto posto all’uscita del nuovo depuratore e a circa 100 metri di distanza dalle vasche del vecchio impianto sottoposte a sequestro. All’esito dell’istruttoria dibattimentale, il Tribunale di Nocera Inferiore riteneva Fabbricatore Alfonso colpevole del reato a lui ascritto.
4. Tanto premesso, come anticipato, tutti i motivi sono generici e manifestamente infondati, ed il ricorso deve essere conseguentemente dichiarato inammissibile.
Occorre, infatti, in via preliminare osservare che la difesa, pur evocando cumulativamente vizi della motivazione, ha di fatto sollecitato una rilettura delle prove acquisite in dibattimento, in contrasto con il diritto vivente. Deve essere in tal senso sottolineato che è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez.3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, Rv. 271702-01). Sono dunque inammissibili nel giudizio di legittimità, tutte quelle censure che attengono a vizi diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo (Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Rv. 275100-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482-01).
5. Quanto al primo motivo, tutti i punti che secondo la difesa sarebbero censurabili, in realtà risultano privi dei vizi denunciati, avendo reso il tribunale iter motivazionale logico in ordine al collegamento tra le vasche sequestrate e le linee di produzione della Società Giaguaro Spa.
5.1. Il primo dei quattro punti è facilmente confutabile attraverso il richiamo del test svolto con la fluoresceina effettuato in sede di sopralluogo del 08.09.2017 atteso che, quale atto non ripetibile, ha dimostrato la presenza di un condotto tra l’ultima vasca del vecchio impianto di depurazione e un canale consortile, riversante nel bacino idrico del Rio Foce. La sentenza ha puntualmente ricostruito i fatti, dando conto dell'esito delle prove testimoniali e di quelle documentali, osservando come non potesse riconoscersi rilievo alcuno alla circostanza che l’impianto non venisse più utilizzato e che, all'atto del controllo, permanessero all'interno delle vasche sequestrate dei liquidi stagnanti contaminati dall’attività industriale.
La natura di scarico è determinata dal: meccanismo del troppo pieno, che integrava un sistema di deflusso, stabile e senza soluzione di continuità, dei reflui fino al corpo ricettore; foro rinvenuto nell’ultima vasca non era accidentale ma era stato appositamente realizzato in via artificiale per evitare la tracimazione nel bacino di raccolta. La sentenza impugnata da conto della circostanza per cui gli investigatori stessi constatarono de visu che i reflui della lavorazione confluivano nella vasca principale di stoccaggio alle altre due del vecchio impianto di depurazione, “funzionando come vasi comunicanti, il tutto possibile perché attraverso lo sgrigliatore le acque transitavano dalla vasca principale di stoccaggio dei reflui a quelle del vecchio depuratore, venendo pompate verso l’alto e poi scaricate nelle vasche sopraelevate rispetto alla prima. Quest’ultime, quando si riempivano, facevano confluire i reflui dall’una all’altra tramite feritoie, canalette e bypass, sino alla terza vasca, ove il troppo pieno determinava lo scarico nel canale consortile conducente al Rio Foce”.
5.1.1. La nozione di scarico è definita dallo stesso legislatore, il quale all’art. 74 comma 1 lett. ff) del D. lgs. n. 152/06 definisce scarico “qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione.”
Sul punto è intervenuta poi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che, ai sensi dell'art. 74 lett. ff) del d.lgs. 152/2006, per "scarico" si intende «qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che 2 collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono esclusi i rilasci di acque previsti all'articolo 114» (Sez. 3, n. 11419 del 22/02/2012, Rv. 252494 - 01). Pertanto, la disciplina delle acque è applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile; in tutti gli altri casi - nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore - si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 16623 dell'8/4/2015, Rv. 263354; Sez. 3, n. 45340 del 19/10/2011, Rv. 251335; Sez. 3, n. 22036 del 13/04/2010, Rv. 247627).
L’elemento qualificante è quindi offerto dall’esistenza di un collegamento ininterrotto tra il luogo della produzione del refluo e il corpo ricettore che non richiede la presenza di una condotta in senso tecnico essendo sufficiente, al fine dell’applicabilità della disciplina sugli scarichi, la stabilità del collegamento tra ciclo di produzione e recapito finale (cfr. Sez. 3, n. 16623 del 08/04/2015, Rv. 263354 – 01).
5.1.2. È di tutta evidenza che le deduzioni del giudice ben si conformano ai principi di legittimità vigenti in materia, tanto da precludere un controllo del giudice delle leggi sul punto.
Anche lo stesso ricorso non spende alcuna considerazione su quanto argomentato, rendendo piuttosto una ricostruzione alternative, coincidente con quanto dichiarato dal direttore tecnico, senza però confutare nello specifico quanto dedotto dal giudice.
5.2. Il secondo punto è privo di ogni rilevanza.
Si rileva, infatti, che la presunta criticità dedotta dalla difesa è finalizzata ad ottenere una differente valutazione di elementi già presi in considerazione dal Tribunale, riducendosi ad una contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione della sentenza, senza offrire elementi precisi, univoci, puntuali e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare lacune o vizi logici su punti decisivi dell'impugnazione.
5.3. Con riferimento al terzo punto passibile di censura per la difesa, il giudice in modo logico ed esaustivo, partendo da quanto provato attraverso il test di cui al primo punto, non ha escluso la presenza di ulteriori scarichi in capo ad altre imprese conserviere, circostanza che comunque non si presenta idonea a scalfire la responsabilità della Giaguaro S.p.A. per le evidenze probatorie.
5.4. Infine, il quarto punto riproduce una ricostruzione totalmente alternativa che non si confronta, anche in questo caso, con la logica e coerente motivazione della sentenza del tribunale, imponendo l’arresto dei giudici di legittimità circa ogni ulteriore sindacato.
La pronuncia impugnata chiarisce infatti che sebbene la società avesse previsto, nel piano di ammodernamento dello stabilimento, la demolizione delle vasche (effettivamente avvenuta su istanza dello stesso imputato dopo il sequestro), è evidente l’utilizzo, seppur in modo negligente, delle vasche che hanno continuato a scaricare i liquidi nel Rio Foce, a prescindere dall’effettivo utilizzo come sistema depurativo.
5.5. Ne consegue che i giudici del merito hanno fondato il proprio convincimento sulla base di una pluralità di circostanze (il foro rinvenuto nella terza vasca, le prove testimoniali, i rilievi fotografici e di sopralluogo, il test con la fluoresceina), sicché i rilievi del ricorrente, da un lato, operano una indebita frantumazione degli elementi posti a base della decisione impugnata e, dall'altro, introducono argomenti squisitamente fattuali, tendenti ad ipotizzare una ricostruzione alternativa dei fatti di causa, non consentita nel giudizio di legittimità, in presenza peraltro di una motivazione del tutto adeguata e priva di illogicità.
6. Destituito di ogni fondamento è il secondo motivo per le ragioni di seguito specificate.
6.1. All'imputato è contestato il reato ex art. 137 d.lgs. 152/2006 che punisce “Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell'articolo 29-quattuordecies, comma 1,) chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata, è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro”.
Se la nozione di scarico è stata meglio chiarita a proposito del precedente motivo di ricorso, dimostrando, attraverso le deduzioni del giudice di primo grado, quale siano stati gli elementi da cui è stata desunta la natura del foro praticata sulla terza vasca del vecchio sistema, da qui intendersi quindi richiamata, un approfondimento merita la nozione di “reflui industriali”.
6.2. Ai sensi dell'art. 74 lett. h) del d.lgs. 152/2006 sono acque reflue industriali «qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento». Ai sensi della lett. g) sono acque reflue domestiche le «acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche».
Pertanto, quanto alla mancata effettuazione di campionamenti, è sufficiente rilevare che nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, atteso che a tal fine rileva la sola diversità del refluo rispetto alle acque domestiche (Sez. 3, n. 12865 del 05/02/2009 Rv. 243122 - 01; Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002 Rv. 222966 - 01). Tanto perché la definizione normativa degli scarichi di acque reflue industriali, in conformità alla disciplina contenuta nell'art. 2 direttiva CEE 91/271, discende da qualità espresse in senso negativo ossia dal fatto di essere diverse dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento e, a tale proposito, la Suprema Corte ha precisato come (Sez. 3, n. 4844 del 14/11/2012, dep., 31/01/2013, in motivazione) sia configurabile il reato di cui al D.lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1, qualora lo scarico riguardi acque reflue industriali, definite dall'art. 74, lett. h), come qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o con materiali, anche inquinanti.
La sentenza impugnata, facendo buon governo dei principi espressi, ha dimostrato che le acque dello stabilimento non rispondevano ad alcuna esigenza abitativa dovendo essere quindi equiparati a reflui della produzione industriale, in particolar modo all’attività di lavaggio.
6.2.1. Le valutazioni del giudice si estendono anche all’ipotesi in cui le dichiarazioni del direttore tecnico circa il non utilizzo dell’impianto possano essere ritenute attendibili (sebbene non abbia reso spiegazioni sulla posizione della vasca principale di stoccaggio dei liquidi derivanti dal lavaggio del pomodoro in prossimità del vecchio depuratore), rilevando che, per stessa ammissione del teste, nelle ipotetiche acque stagnanti nelle vasche sequestrate fossero presenti residui della lavorazione dei pomodori e fanghi sedimentati.
A tal proposito ha richiamato il concetto di acque meteoriche di dilavamento ed ha correttamente rilevato che nel caso in cui le acque meteoriche di dilavamento vengano in contatto con sostanze inquinanti o pericolose, divenendo il mezzo attraverso cui le altre sostanze vengono veicolate verso un determinato corpo ricettore, non possano più essere considerate come semplici acque meteoriche di dilavamento. (In motivazione Sez. 3, n. 11128 del 24/02/2021). Di tal ché, ha ritenuto sia di poter escludere l’analogia in malam partem, con conseguente legittima applicazione dell’art. 137 d.lgs. 152/2006, sia di richiamare il codice C.E.R. n. 161002 “rifiuti liquidi non pericolosi” per la commistione non censurabile in alcun modo.
Tanto premesso, tali conclusioni non risultano in alcun modo sconfessate posto che l’impresa conserviera aveva comunque l’obbligo di verificare che i liquidi stagnanti fossero esclusivamente di natura meteorica.
6.2.2. Sul punto è utile richiamare il mutamento che ha coinvolto tale concetto.
In precedenza, l'art. 74, lett. h), nella prima formulazione all'atto dell'entrata in vigore del d.lgs. 152\2006, assimilava espressamente alle acque meteoriche di dilavamento anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento e, nel definire le acque reflue industriali, ne valorizzava la "provenienza" (da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni), nonché la differenza qualitativa dalle acque reflue domestiche, le quali, nella definizione contenuta nella lett. g) del medesimo articolo, sono quelle "provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche". Con il correttivo del 2008 (decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59), nella definizione di acque reflue industriali è stato eliminato l'ultimo periodo, che ampliava notevolmente il novero delle acque meteoriche di dilavamento, ritenendo non rilevante la loro eventuale contaminazione estranea al processo produttivo e non vengono più considerate la (generica) "provenienza" e la "differenza qualitativa" rispetto ai reflui domestici, precisandosi che le acque reflue devono essere "scaricate" da edifici od impianti (non più "installazioni") in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni.
Prima e dopo le modifiche, le acque meteoriche di dilavamento erano considerate, dall'art. 74 lett. h), solo al fine della individuazione delle acque reflue industriali, che si caratterizzano, infatti, tra l'altro, per la loro diversità non soltanto rispetto alle acque reflue domestiche, ma anche alle acque meteoriche di dilavamento, che costituiscono, conseguentemente, un'autonoma categoria, diversa pure da quella delle acque reflue domestiche, come risulta anche dalla successiva definizione delle acque reflue urbane di cui alla lett. i) del medesimo articolo.
Tale autonomia rende, dunque, irrilevanti le ulteriori differenze riscontrabili nelle diverse stesure della disposizione in esame. Va peraltro ricordato, a tale proposito, come si sia osservato (Sez. 3, n. 26543 del 21/5/2008, Rv. 240537) che la formulazione dell'art. 74, lett. h) introdotta dal d.lgs. 4/2008, secondo cui sono da considerare acque reflue industriali qualsiasi tipo di acque reflue scaricate (e non più, quindi, "provenienti da" come recitava la precedente formulazione dello stesso articolo contenuta nel d.lgs. 152/06) da edifici od impianti in cui si svolgono le attività commerciali o di produzione di beni diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento, come si rileva dalla relazione di accompagnamento alle modifiche, è strumentale unicamente a riaffermare la nozione di "scarico diretto", in maniera da riproporre in forma più chiara e netta la distinzione esistente tra la nozione di acque di scarico da quella di rifiuti liquidi. (Sez. 3, n. 11128 del 24/2/2021).
6.2.3. Nella pronuncia fin qui richiamata, si è dato atto del complesso iter che ha investito le acque di dilavamento con particolare riferimento alla possibilità di qualificare le acque meteoriche di dilavamento come tali nel caso in cui vengano a contatto con sostanze inquinanti o pericolose, quando, cioè, non si è in presenza di un dilavamento conseguente ad un fenomeno meteorologico che, attraverso la normale azione di erosione di una superficie impermeabile, determini la commistione delle acque piovane con polveri, detriti normalmente presenti sul suolo, con la conclusione, peraltro già richiamata, di escluderla perché in questi casi perdono la loro originaria consistenza non potendo più essere considerate come semplici acque meteoriche di dilavamento.
In siffatte ipotesi, non rileva quindi l’art. 113 D.lgs. 152/2006 che riguarda invece espressamente le acque meteoriche di dilavamento e quelle di prima pioggia. In questo caso, si tratta di acque meteoriche di dilavamento in genere, le quali, mantenendo la loro originaria condizione e considerata la loro provenienza, vengono regolamentate dalle Regioni in maniera più o meno incisiva, prevedendo mere forme di controllo nel caso degli scarichi provenienti da reti fognarie separate e la sottoposizione a prescrizioni particolari, ivi compresa l'autorizzazione, in caso di immissioni tramite altre condotte separate.
6.3. Sotto il profilo giuridico, non potendo dubitarsi che nel caso di specie sia stata correttamente applicata la disciplina in tema di tutela delle acque (ritenendo sussistere uno "scarico" tecnicamente qualificabile come tale nonché le acque reflue industriali), alla stregua delle considerazioni ampie e condivisibili sviluppate nella sentenza impugnata, il motivo si presenta manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
6.4. Infine, prive di pregio, per mancanza di presupposti, sono le tesi addotte dalla difesa sia circa la configurabilità dell’art. 137, co. 5, che punisce lo scarico extra tabellare, atteso che la condotta del comma 5 presuppone l’esistenza di un’autorizzazione allo scarico (per la necessità autorizzazione si veda Sez. 3, n. 5239 del 15/12/2016, dep. 03/02/2017), nella specie mancante, sia la tesi secondo cui sarebbe applicabile l’art. 29-quattuordecies, comma 2, d. lgs. n. 152 del 2006 (che prevede la sola sanzione amministrativa pecuniaria da 1.500 Euro a 15.000 Euro "salvo che il fatto costituisca reato", nei confronti di colui che pur essendo in possesso dell'autorizzazione integrata ambientale non ne osserva le prescrizioni o quelle imposte dall'autorità competente) atteso che la condotta qui contestata riguarda l’apertura di uno scarico abusivo e non certo l’inosservanza delle prescrizioni relative allo scarico regolarmente autorizzato in regime AIA.
7. Parimenti inammissibile è il terzo e ultimo motivo di ricorso.
Anche in questo caso il Tribunale di Nocera Inferiore, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, ha fornito una completa e puntuale motivazione delle ragioni sulle quali ha fondato l’esclusione della tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen.
7.1. Questa Corte ha autorevolmente affermato che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590 — 01).
E, in relazione al caso concreto sottoposto all'esame della Suprema Corte, non può certo dirsi che il primo giudice non abbia, coerentemente alle emergenze processuali, operato quella valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che lo hanno, con motivazione immune da vizi, condotto a ritenere il fatto non meritevole dell'applicazione della speciale causa di non punibilità.
7.2. Ed invero, la sentenza motiva sul punto alle pagg. 19 e segg., osservando come, avuto riguardo delle modalità offensive della condotta, alla gravità del pericolo per il bene giuridico tutelato e alla condotta susseguente al reato, non può ritenersi che la condotta sia di particolare tenuità posto che il danno causato al bacino idrico del Rio Foce, affluente del fiume Sarno sia innegabile ed oggettivo.
Pertanto, posto che in ossequio ai principi di legittimità la richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis cod. pen. deve ritenersi implicitamente disattesa dal giudice qualora la struttura argomentativa della sentenza richiami, anche rispetto a profili diversi, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità. (Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Rv. 282097 – 01), si rileva che il giudizio conclusivo del giudice di merito non mostra segni di cedimento logico né, tantomeno appare sganciato dalla valutazione dell'offensività del fatto ancorata ai parametri individuati dall'art. 131bis c.p. con conseguente inammissibilità di ogni profilo di censura.
8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 16 novembre 2022